Nel procedimento di concordato fallimentare risultante dai d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e 12 settembre 2007, n. 169, il parere reso dal curatore sui presumibili risultati della liquidazione e sulle garanzie offerte, ai sensi dell’art. 125 legge fall., svolge una funzione diversa – più ridotta e limitata – rispetto a quella svolta dalla relazione del professionista ex art. 161 legge fall. nel concordato preventivo, atteso che, mentre quest’ultima costituisce lo strumento fondamentale perché i creditori possano venire a conoscenza delle vicende imprenditoriali, finanziarie ed economiche di un’impresa normalmente ancora in attività, il primo è reso con riferimento ad un’impresa fallita, della quale vengono accertati dagli organi fallimentari sia le attività, che le passività. Ne consegue che la maggiore conoscenza del ceto creditorio circa la situazione economico-finanziaria e patrimoniale dell’impresa fallita implica che il parere del curatore non debba incentrarsi in modo specifico sulla congruenza e non contraddittorietà della proposta concordataria, e che eventuali ulteriori carenze, omissioni o erronee indicazioni in esso contenute, ivi comprese le inesattezze in ordine all’indicazione delle percentuali di soddisfacimento dei creditori, non possono inficiare la regolarità del procedimento, ben potendo i creditori, del resto, valutare – in autonomia e alla luce della documentazione fornita dagli organi fallimentari – eventuali imprecisioni e contraddizioni o possibili divergenze interpretative della proposta. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 24359 del 29 ottobre 2013 (Cass. civ. n. 24359/2013)
In tema di concordato fallimentare, proposto (nella specie, dal curatore) nella vigenza del d.l.vo n. 5 del 2006 e prima del d.l.vo n. 169 del 2007, in una procedura di fallimento disciplinata, ad ogni altro effetto, dal testo originario del r.d. n. 267 del 1942, perchè aperta anteriormente all’entrata in vigore del cit. d.l.vo n. 5 ed ai sensi dell’art. 150 dello stesso, il parere che il comitato dei creditori è chiamato a rendere, su richiesta del giudice delegato ed avendo riguardo ai presumibili risultati della liquidazione, non è regolato più specificamente ai sensi dell’art. 125 legge fall. e dunque le sue modalità di espressione fanno rinvio implicito all’art. 41 legge fall. il quale, anche dopo i menzionati interventi di riforma, non esige che tale organo sia convocato per emettere una delibera collegiale, mentre una succinta motivazione è stata richiesta solo con il d.l.vo n. 5 del 2006; ne consegue che il parere può risultare anche da separate dichiarazioni dei suoi singoli componenti ed eventualmente, allorchè si tratti – come nella specie – di organo già costituito prima di tale modifica normativa, può manifestarsi anche col silenzio – assenso, nel caso in cui la richiesta sia stata formulata con l’avvertenza che la mancata manifestazione del parere entro un termine stabilito sarà considerata come parere favorevole. Al relativo funzionamento si applica, infatti, ai sensi dell’art. 150 cit., la disciplina dell’art. 41 legge fall. nel testo anteriore, apparendo irragionevole che il comitato sia tenuto ad esprimersi, nella medesima procedura, con regole diverse, tanto più che, in ogni caso, l’intervenuta approvazione del concordato da parte dei creditori – cui soltanto spetta ogni valutazione di convenienza – determina la sanatoria di ogni irregolarità del predetto parere, unico vizio in cui incorrerebbe se anche privo di motivazione. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 24026 del 26 novembre 2010 (Cass. civ. n. 24026/2010)
I provvedimenti del giudice delegato al fallimento sono modificabili e revocabili, sia d’ufficio che su istanza di parte, fino al momento della relativa esecuzione e, quindi, nel caso di provvedimenti preordinati alla liquidazione dell’attivo ed al trasferimento dei beni oggetto della liquidazione, fino a quando non sia stato pronunciato il relativo decreto, al quale soltanto (e non anche, invece, al provvedimento di aggiudicazione) consegue l’effetto traslativo, onde l’avvenuta aggiudicazione di un bene non costituisce ostacolo alla sospensione della liquidazione ex art. 125, comma terzo L. fall. Ne consegue che, per effetto della proposta di concordato, il potere del giudice delegato di sospendere la liquidazione dell’attivo, in base alla valutazione discrezionale degli interessi dei creditori, può essere esercitato, con riguardo alla vendita all’incanto di beni immobili acquisiti al fallimento o dell’intera azienda del fallito, anche dopo che l’aggiudicatario abbia pagato il prezzo, e fino a quando non sia stato emanato in suo favore il decreto di trasferimento di cui all’art. 586 c.p.c. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 4760 del 3 aprile 2002 (Cass. civ. n. 4760/2002)