Art. 73 – DPR 309-90

(D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 - Testo unico in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope)

Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope

Art. 73 - dpr 309-90

1. Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000 . (1)
1 bis. Con le medesime pene di cui al comma 1 è punito chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene:
a) sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute emanato di concerto con il Ministro della giustizia sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale;
b) medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezione A, che eccedono il quantitativo prescritto. In questa ultima ipotesi, le pene suddette sono diminuite da un terzo alla metà. (2)
2. Chiunque, essendo munito dell’autorizzazione di cui all’articolo 17, illecitamente cede, mette o procura che altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nelle tabelle I e II di cui all’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a ventidue anni e con la multa da euro 26.000 a euro 300.000. (3)
[2 bis. Le pene di cui al comma 2 si applicano anche nel caso di illecita produzione o commercializzazione delle sostanze chimiche di base e dei precursori di cui alle categorie 1, 2 e 3 dell’allegato I al presente testo unico, utilizzabili nella produzione clandestina delle sostanze stupefacenti o psicotrope previste nelle tabelle di cui all’articolo 14.] (4)
3. Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione.
4. Quando le condotte di cui al comma 1 riguardano i medicinali ricompresi nella tabella II, sezioni A, B, C e D, limitatamente a quelli indicati nel numero 3-bis) della lettera e) del comma 1 dell’articolo 14 e non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 17, si applicano le pene ivi stabilite, diminuite da un terzo alla metà.
5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329. 
5-bis. Nell’ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste. Con la sentenza il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L’ufficio riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso può essere disposto anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, previo consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, su richiesta del pubblico ministero o d’ufficio, il giudice che procede, o quello dell’esecuzione, con le formalità di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dell’entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte. 
5 -ter . La disposizione di cui al comma 5 -bis si applica anche nell’ipotesi di reato diverso da quelli di cui al comma 5, commesso, per una sola volta, da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e in relazione alla propria condizione di dipendenza o di assuntore abituale, per il quale il giudice infligga una pena non superiore ad un anno di detenzione, salvo che si tratti di reato previsto dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale o di reato contro la persona.
6. Se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, la pena è aumentata.
7. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.
7-bis. Nel caso di condanna o di applicazione di pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, è ordinata la confisca delle cose che ne sono il profitto o il prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, fatta eccezione per il delitto di cui al comma 5, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto.

Art. 73 - DPR 309-90

1. Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000 . (1)
1 bis. Con le medesime pene di cui al comma 1 è punito chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene:
a) sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute emanato di concerto con il Ministro della giustizia sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale;
b) medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezione A, che eccedono il quantitativo prescritto. In questa ultima ipotesi, le pene suddette sono diminuite da un terzo alla metà. (2)
2. Chiunque, essendo munito dell’autorizzazione di cui all’articolo 17, illecitamente cede, mette o procura che altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nelle tabelle I e II di cui all’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a ventidue anni e con la multa da euro 26.000 a euro 300.000. (3)
[2 bis. Le pene di cui al comma 2 si applicano anche nel caso di illecita produzione o commercializzazione delle sostanze chimiche di base e dei precursori di cui alle categorie 1, 2 e 3 dell’allegato I al presente testo unico, utilizzabili nella produzione clandestina delle sostanze stupefacenti o psicotrope previste nelle tabelle di cui all’articolo 14.] (4)
3. Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione.
4. Quando le condotte di cui al comma 1 riguardano i medicinali ricompresi nella tabella II, sezioni A, B, C e D, limitatamente a quelli indicati nel numero 3-bis) della lettera e) del comma 1 dell’articolo 14 e non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 17, si applicano le pene ivi stabilite, diminuite da un terzo alla metà.
5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329. 
5-bis. Nell’ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste. Con la sentenza il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L’ufficio riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso può essere disposto anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, previo consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, su richiesta del pubblico ministero o d’ufficio, il giudice che procede, o quello dell’esecuzione, con le formalità di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dell’entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte. 
5 -ter . La disposizione di cui al comma 5 -bis si applica anche nell’ipotesi di reato diverso da quelli di cui al comma 5, commesso, per una sola volta, da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e in relazione alla propria condizione di dipendenza o di assuntore abituale, per il quale il giudice infligga una pena non superiore ad un anno di detenzione, salvo che si tratti di reato previsto dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale o di reato contro la persona.
6. Se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, la pena è aumentata.
7. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.
7-bis. Nel caso di condanna o di applicazione di pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, è ordinata la confisca delle cose che ne sono il profitto o il prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, fatta eccezione per il delitto di cui al comma 5, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto.

Note

Legge 26 giugno 1990, n. 162, art. 14, comma 1

(1) Il presente comma prima modificato dall’art. 1, D.P.R. 05.06.1993, n. 171, è stato, poi, così sostituito dall’art. 4 bis, D.L. 30.12.2005, n. 272 così come modificato dall’allegato alla legge di conversione L. 21.02.2006, n. 49 con decorrenza dal 28.02.2006.
“È costituzionalmente illegittimo l’art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni.” (C.Cost. 08.03.2019, n. 40, sentenza)

(2) Il presente comma inserito dall’art. 4 bis, D.L. 30.12.2005, n. 272 così come modificato dall’allegato alla legge di conversione L. 21.02.2006, n. 49, con decorrenza dal 28.02.2006 è stato così sostituito dall’art. 1, D.L. 20.03.2014, n. 36 con decorrenza dal 21.03.2014, così come modificato dall’allegato alla legge di conversione, L. 16.05.2014, n. 79 con decorrenza dal 21.05.2014.

(3) Il presente comma è stato così modificato dall’art. 4 bis, D.L. 30.12.2005, n. 272 così come modificato dall’allegato alla legge di conversione L. 21.02.2006, n. 49, con decorrenza dal 28.02.2006.

(4) Il presente comma inserito dall’art. 4 bis D.L. 30.12.2005, n. 272 così come modificato dall’allegato alla legge di conversione L. 21.02.2006, n. 49 con decorrenza dal 28.02.2006 è stato abrogato dall’art. 1 D.Lgs. 24.03.2011, n. 50 con decorrenza dal 27.04.2011.

Massime

In tema di sostanze stupefacenti, il giudice della esecuzione che proceda alla rideterminazione della pena inflitta per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, è tenuto a motivare in modo specifico e con rafforzato grado di persuasività in ordine ai criteri fattuali seguiti, quanto più si discosti, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, dal nuovo minimo edittale. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 22809 del 9 giugno 2021 (Cass. pen. n. 22809/2021)

È illegale la pena determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione che, nell’ipotesi di fatto di lieve entità, si sia fondato sui limiti edittali dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nella formulazione prevista dall’art. 4-bis del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito in legge 21 febbraio 2006, n. 49, in vigore al momento del fatto ma successivamente novellata dall’art. 1, comma 24-ter, del d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito in legge 16 maggio 2014, n. 79, anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti dalla formulazione della nuova norma.  Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 20921 del 27 maggio 2021 (Cass. pen. n. 20921/2021)

In tema di sequestro probatorio di derivati dalla coltivazione di “cannabis sativa L” detenuti dall’indagato e destinati alla commercializzazione, in caso di annullamento, in sede di riesame, del provvedimento di convalida del sequestro per mancanza di motivazione sulle finalità probatorie, ai fini della legittimità del diniego della restituzione delle cose sequestrate in quanto riconducibili a quelle per le quali è prevista la confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240, comma secondo, n. 2), cod. pen., non è sufficiente l’astratta configurabilità del reato di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ma occorre accertare l’efficacia drogante della sostanza, che integra l’intrinseca pericolosità della cosa, e il relativo onere della prova grava sul pubblico ministero. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 18371 del 12 maggio 2021 (Cass. pen. n. 18371/2021)

La contestazione dell’aggravante comune prevista dall’art. 61, n. 9, cod. pen., volta a tutelare l’interesse al corretto svolgimento di una pubblica funzione, non esclude che l’abuso dei poteri o la violazione dei doveri, in quanto incidenti sul piano delle modalità dell’azione, possano essere valutati anche con riguardo alla gravità di un reato posto a tutela di un diverso bene giuridico, in forza della generale previsione di cui all’art. 133, primo comma, n. 1), cod. pen., ovvero di disposizioni che – come l’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 – richiamino lo stesso parametro, senza che ciò comporti la violazione del principio del “ne bis in idem” sostanziale. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 17386 del 6 maggio 2021 (Cass. pen. n. 17386/2021)

In tema di stupefacenti, la reviviscenza dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, successivamente dichiarate incostituzionali dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, comporta la reintroduzione per le droghe cosiddette “pesanti” di un trattamento sanzionatorio meno favorevole per il reo, di talché per le condotte aventi ad oggetto tali sostanze, che siano state commesse nel corso della vigenza delle disposizioni attinte dalla censura di incostituzionalità, le stesse continuano ad applicarsi. (Nella specie la Corte ha ritenuto corretta la determinazione delle sanzioni inflitte perché coerente con i parametri commisurativi definitivamente fissati per la suddetta ipotesi di reato dalla sentenza n. 40 del 2019 della Corte Costituzionale). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 14863 del 20 aprile 2021 (Cass. pen. n. 14863/2021)

La circostanza aggravante della cessione di sostanze stupefacenti a soggetto minore di età rappresenta una modalità della condotta indicativa di maggiore offensività, di tal che è necessario, affinché sia compatibile con l’ipotesi del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, che i parametri di giudizio contemplati da quest’ultima norma abbiano una maggiore forza compensativa, denotando mera occasionalità del fatto ovvero assenza di particolari accorgimenti, quali la predisposizione di mezzi o metodologie di spaccio insidiose e di più difficile accertamento. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 14592 del 19 aprile 2021 (Cass. pen. n. 14592/2021)

La somministrazione di sostanza stupefacente ad un soggetto inconsapevole o non consenziente non configura il reato di cui all’art. 73, d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309, trattandosi di condotta non indicata tra quelle espressamente elencate dalla norma, né tale comportamento può ritenersi coincidente con l’offerta, che presuppone la manifestazione palese del prodotto al destinatario, o con la consegna, che richiede il coinvolgimento dell’”accipiens” nella ricezione del bene. (Nella specie, la Corte ha ritenuto tale condotta assorbita nell’aggravante di cui all’art. 577, comma primo, n. 2 cod. pen. in relazione agli artt. 582 e 585 cod. pen.). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 11734 del 29 marzo 2021 (Cass. pen. n. 11734/2021)

In tema di c.d. patteggiamento, il giudice ha l’obbligo di verificare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto, dando conto, seppure nella maniera succinta tipica del rito, del percorso motivazionale seguito, soprattutto nel caso in cui, in sede di accordo delle parti, sia stata data al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella formante oggetto dell’imputazione in origine contestata. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di applicazione della pena priva di qualsiasi motivazione in ordine alla derubricazione del reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, originariamente contestato, nell’ipotesi di lieve entità prevista dal comma 5 della medesima norma). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 4453 del 4 febbraio 2021 (Cass. pen. n. 4453/2021)

La detenzione di un quantitativo non particolarmente elevato di sostanza stupefacente di tipo “pesante”, laddove accompagnata dalla contestuale detenzione di un quantitativo elevato di sostanza di tipo “leggero”, ben può essere qualificata ai sensi dell’art. 73, commi 1 ed 1-bis, d.P.R. n. 309 del 1990 e non invece ai sensi dell’art. 73, comma 5, dovendo la condotta relativa ad un tipo di stupefacente essere comunque valutata nel contesto della sua realizzazione, in modo da tenere conto delle specifiche circostanze e delle modalità dell’azione. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 35992 del 16 dicembre 2020 (Cass. pen. n. 35992/2020)

La condotta criminosa di offerta di sostanze stupefacenti di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, si perfeziona nel momento in cui l’agente manifesta la disponibilità a procurare ad altri droga, indipendentemente dall’accettazione del destinatario, a condizione, tuttavia, che si tratti di un’offerta collegata ad una effettiva disponibilità, sia pure non attuale, della droga, per tale intendendosi la possibilità di procurare lo stupefacente ovvero di smistarlo in tempi ragionevoli e con modalità che garantiscano il cessionario. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 34754 del 7 dicembre 2020 (Cass. pen. n. 34754/2020)

Ai fini della configurabilità del reato di illecita detenzione di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la destinazione all’uso personale della sostanza stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità e non è onere dell’imputato darne la prova, gravando invece sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio. (Fattispecie in cui è stata annullata senza rinvio la sentenza di condanna che aveva ritenuto non dimostrata la detenzione per l’uso personale, nonostante l’imputato fosse tossicodipendente, fosse stata rinvenuta una quantità minima di sostanze stupefacenti e non vi fossero specifici elementi dai quali desumere la destinazione delle stesse alla cessione a terzi). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 26738 del 25 settembre 2020 (Cass. pen. n. 26738/2020)

L’applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità prevista dall’art. 73, comma 5-bis, d.P.R. n. 309 del 1990, non consegue automaticamente al ricorrere dei presupposti legali, bensì è oggetto di una valutazione discrezionale del giudice in ordine alla meritevolezza dell’imputato ad ottenerla. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la sentenza che aveva respinto la richiesta di applicazione della sanzione sostitutiva alla luce delle modalità di detenzione della sostanza stupefacente, della capacità di intessere e mantenere relazioni nel mondo dei fornitori e degli assuntori di sostanze stupefacenti, nonché dell’assenza di dati concreti da cui desumere una seria prospettiva per l’imputato di rescindere tali relazioni). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 26082 del 16 settembre 2020 (Cass. pen. n. 26082/2020)

In tema di reati concernenti gli stupefacenti, al fine della sussumibilità del fatto nella previsione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non rileva il contegno collaborativo dell’imputato, che esula dai “mezzi”, dalle “modalità” e dalle “circostanze dell’azione” e che può trovare riconoscimento, a livello sanzionatorio, nell’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990, ovvero delle circostanze attenuanti generiche. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 25044 del 4 settembre 2020 (Cass. pen. n. 25044/2020)

In tema di patteggiamento, è ammissibile il ricorso per cassazione per errore sulla qualificazione giuridica del fatto qualora il giudice, pur avendo riconosciuto l’ipotesi di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990 nell’ipotesi di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti di diverso tipo, abbia ritenuto sussistente una pluralità di reati in continuazione tra di loro, anziché un’unica fattispecie delittuosa. (In motivazione, la Corte ha precisato che la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, costituisce un’ipotesi autonoma di reato, con una pena unica ed indifferenziata, quanto alla tipologia di stupefacente, rispetto a quella delineata dall’art. 73, comma 1 del medesimo decreto). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 20326 del 8 luglio 2020 (Cass. pen. n. 20326/2020)

In tema di stupefacenti, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 10 ottobre 1990, n. 309, nella parte in cui prevede la pena minima edittale di anni otto anziché di anni sei di reclusione per la detenzione delle droghe pesanti, la Corte di cassazione può rideterminare, così annullando senza rinvio la sentenza ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., la pena base irrogata nella nuova legittima misura minima in luogo di quella minima di anni otto già individuata dal giudice di merito e disporre l’aumento per la continuazione nella medesima misura sempre già stabilita dallo stesso giudice in relazione alla detenzione delle droghe leggere, non oggetto della declaratoria di incostituzionalità. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 13097 del 28 aprile 2020 (Cass. pen. n. 13097/2020)

In tema di stupefacenti, va disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza resa a seguito di concordato sui motivi di appello in ordine al reato di cui all’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, al fine di consentire la rideterminazione della pena alla luce della più favorevole cornice edittale definita dalla Corte cost. n. 40 del 2019. (In motivazione, la Corte ha precisato che, essendo l’accordo raggiunto tra le parti ai sensi dell’art.599-bis cod.proc.pen. basato sulla rinuncia ai motivi di appello in ragione della determinazione del “quantum” della pena, le parti devono essere rimesse nella situazione processuale precedente alla sentenza, di modo che possano raggiungere una nuova intesa che tenga conto dello “ius supervenies” derivante dalla pronuncia della Corte costituzionale). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 41254 del 8 ottobre 2019 (Cass. pen. n. 41254/2019)

In tema di stupefacenti, la legge 2 dicembre 2016, n. 242 ha previsto la liceità della sola coltivazione della cannabis sativa L per finalità espresse e tassative, mentre la commercializzazione dei prodotti della coltivazione e le conseguenti condotte di detenzione e cessione di tali derivati continuano a essere sottoposte alla disciplina del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, a condizione che le sostanze presentino comunque un effetto drogante rilevabile. (In motivazione la Corte ha precisato che la “cannabis sativa L” ha natura di sostanza stupefacente, in quanto il generico riferimento alla “cannabis” contenuto nell’art. 14 d.P.R. n. 309 del 1990 e nell’allegata Tabella II è comprensivo di tutte le possibili varianti di tale specie). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 56737 del 17 dicembre 2018 (Cass. pen. n. 56737/2018)

Non configura desistenza ma tentativo di reato di cui all’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, il mancato perfezionamento dell’acquisto di stupefacente a causa della scarsa qualità della sostanza, se, essendo stato già raggiunto l’accordo su quantità, tipologia e prezzo dello stupefacente, le trattative proseguano in vista della ravvicinata conclusione di un accordo avente ad oggetto droga di migliore qualità. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 41096 del 24 settembre 2018 (Cass. pen. n. 41096/2018)

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 Cost., dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, nella parte in cui, prevedendo – a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 – la pena minima edittale di anni otto di reclusione, stabilisce un trattamento sanzionatorio assai più severo rispetto a quello previsto dall’art. 73, comma 5, d. P.R. cit., stante la diversità e la ben maggiore pericolosità delle fattispecie di cui al comma 1 e la possibilità per il giudice, nella determinazione della pena da applicare in concreto, di adeguare il trattamento sanzionatorio al disvalore della singola violazione. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 42507 del 27 settembre 2018 (Cass. pen. n. 42507/2018)

In relazione al reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti previsto dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, può procedersi alla confisca del denaro trovato in possesso dell’imputato soltanto quando sussiste un nesso di pertinenzialità fra questo e l’attività illecita di cessione contestata; ne consegue che non sono confiscabili le somme che, in ipotesi, costituiscono il ricavato di precedenti diverse cessioni di droga e sono destinate ad ulteriori acquisti della medesima sostanza, non potendo le stesse qualificarsi né come “strumento”, nè quale “prodotto”, “profitto” o “prezzo” del reato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 55852 del 14 dicembre 2017 (Cass. pen. n. 55852/2017)

Ai fini della configurabilità della fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 9 ottobre 1990, n. 309, nell’ipotesi di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, deve aversi riguardo sia al principio attivo ricavato nell’immediato, sia a quello ricavabile all’esito del ciclo biologico delle piante, sia ad una apparente destinazione per uso non esclusivamente personale, per tipo, qualità, quantità e livello di produzione, tenuto conto del fabbisogno medio dell’agente. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto immune da vizi la decisione del giudice di merito che aveva escluso l’ipotesi del fatto di lieve entità nella condotta di coltivazione domestica di 19 piante di “cannabis indica”, in un non definito stadio di sviluppo vegetativo, con un principio attivo drogante di oltre 460 grammi, corrispondente a più di 1800 spinelli). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 50970 del 8 novembre 2017 (Cass. pen. n. 50970/2017)

In tema di reati concernenti gli stupefacenti, l’applicazione della sanzione del lavoro di pubblica utilità in luogo della pena detentiva ai sensi dell’art. 73, comma 5-bis, d.P.R. n. 309 del 1990, presuppone la condizione soggettiva di tossicodipendente o assuntore di sostanze psicotrope dell’imputato, e quindi che il medesimo versi in una effettiva situazione di dipendenza dalle sostanze stupefacenti, in quanto tale trattamento di favore, si giustifica solo con l’intento di favorire la risocializzazione di soggetti, che, a causa di tale “addictio”, potrebbero nuovamente delinquere. (In motivazione la S.C. ha precisato che è onere della difesa fornire idonei elementi dimostrativi della sussistenza delle condizioni legittimanti l’ammissione al beneficio). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 45535 del 3 ottobre 2017 (Cass. pen. n. 45535/2017)

La fattispecie attenuata prevista dall’art. 73, quinto comma, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, anche a seguito della sua qualificazione, ad opera della legge 21 febbraio 2014, n. 10, come ipotesi autonoma di reato è configurabile anche con riguardo all’ipotesi di coltivazione non autorizzata di piante, dalle quali sia ricavabile sostanza stupefacente, e deve essere determinata in base agli stessi criteri valevoli per le ipotesi di produzione o traffico illecito di stupefacente, con la specificazione che, oltre alle caratteristiche qualitative e quantitative, il giudice deve prendere in considerazione anche i mezzi, le circostanze e le modalità del fatto. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 30328 del 16 giugno 2017 (Cass. pen. n. 30328/2017)

In tema di stupefacenti, ai fini dell’accertamento del fatto di lieve entità, il giudice è tenuto a valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendosi escludere qualsivoglia preclusione derivante dalla eterogeneità delle sostanze o dalle modalità organizzate della condotta, essendo quest’ultimi elementi idonei ad escludere l’ipotesi del fatto lieve soltanto qualora siano dimostrativi di una significativa potenzialità offensiva. (In motivazione, la Corte ha annullato la sentenza che aveva escluso l’ipotesi di cui all’art.73, comma quinto, d.P.R. n.309 del 1990, valorizzando esclusivamente la reiterazione nel tempo delle cessioni ed omettendo di compiere una valutazione globale ed unitaria dei diversi indicatori della lieve entità del fatto). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 29132 del 12 giugno 2017 (Cass. pen. n. 29132/2017)

La riduzione del minimo edittale della pena prevista per i reati di detenzione e cessione di stupefacenti di lieve entità per effetto del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, conv. con mod. dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, impone al giudice d’appello di diminuire la pena inflitta con sentenza resa in prima cura precedentemente alla modifica normativa, irrogando il nuovo minimo, soltanto se risulti che il giudice di primo grado abbia inteso applicare il minimo della pena indipendentemente dalla sua quantificazione e non, invece, quando quest’ultimo abbia ritenuto la pena inflitta adeguata alla gravità del fatto, fornendone congrua motivazione, potendosi in tal caso anche confermare la pena irrogata dal primo giudice, ovvero applicare una pena comunque superiore al nuovo minimo edittale, purché inferiore a quella inflitta in primo grado. (Fattispecie in cui il giudice di merito, pur riconoscendo l’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, non aveva ritenuto la condotta minimale, in tal maniera motivando adeguatamente l’entità dell’aumento di pena irrogato a titolo di continuazione). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 41774 del 5 ottobre 2016 (Cass. pen. n. 41774/2016)

In relazione al reato previsto dall’art. 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, può procedersi alla confisca del danaro, trovato in possesso dell’imputato, solo quando ricorrono le condizioni generali previste dall’art. 240 cod. pen. e non ai sensi dell’art. 12-sexies del D.L. n. 306 del 1992, convertito nella l. n. 356 del 1992. (In applicazione di tale principio, la Corte ha annullato senza rinvio la confisca del denaro disposta con sentenza di patteggiamento in assenza di un collegamento eziologico tra il denaro e il reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti contestato all’imputato). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 40912 del 30 settembre 2016 (Cass. pen. n. 40912/2016)

Non viola il divieto di “reformatio in peius” la sentenza di appello che, in caso di impugnazione proposta dal solo imputato, nell’applicare la norma più favorevole, sopravvenuta dopo la sentenza di primo grado, in relazione alla fattispecie prevista dall’art. 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, operi, nella rideterminazione della pena, l’aumento per la recidiva, ritenuta dal primo giudice soccombente rispetto alla circostanza attenuante del fatto di lieve entità, divenuta ipotesi autonoma di reato. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 23882 del 9 giugno 2016 (Cass. pen. n. 23882/2016)

Per i delitti previsti dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, l’aumento di pena calcolato a titolo di continuazione per i reati-satellite relativi a fatti di “lieve entità” di cui al comma quinto del citato articolo, commessi prima della novella introdotta dall’art. 2, comma primo, lett. a), D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, deve essere oggetto di specifica rivalutazione da parte dei giudici del merito, alla luce della più favorevole cornice edittale applicabile per tale ipotesi a seguito delle modifiche operate sia dal citato art. 2, sia dall’art. 1, comma 24 ter, lett. a), D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014, n. 79. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 49989 del 18 dicembre 2015 (Cass. pen. n. 49989/2015)

In tema di stupefacenti, la caducazione, per effetto di dichiarazione di incostituzionalità, della legge che fissa le direttive di carattere generale alle quali devono attenersi i decreti ministeriali di inserimento delle singole sostanze nel catalogo legale comporta la conseguente caducazione di tali atti amministrativi, integrativi del precetto di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, se adottati successivamente all’entrata in vigore della legge incostituzionale e sulla base di essa. (Fattispecie riferita alla sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale ed ai suoi effetti sui D.M. 16 giugno 2010 e 11 maggio 2011 relativi ai cannabinoidi sintetici JWH-018, JWH-073, JWH-081, JWH-122, JWH-210, AM-2201). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 40268 del 7 ottobre 2015 (Cass. pen. n. 40268/2015)

Nell’attuale ordinamento penale vige una nozione legale di stupefacente per cui sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione soltanto le sostanze specificamente indicate negli elenchi appositamente predisposti, i quali, adottati con atti di natura amministrativa in attuazione delle direttive espresse dalla disciplina legale, integrano il precetto penale di cui all’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, costruito con struttura di norma parzialmente in bianco. (In motivazione la Suprema Corte ha affermato la piena aderenza al principio di legalità di tale disposizione, poichè è la legge che indica, con idonea specificazione, i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei provvedimenti dell’autorità amministrativa.) Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 29316 del 9 luglio 2015 (Cass. pen. n. 29316/2015)

In tema di stupefacenti, per i reati commessi prima della data di entrata in vigore del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, conv. con mod. dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, che ha ridotto i limiti edittali della sanzione irrogabile per il fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, del d.P.R. n. 309 del 1990, l’accordo concluso tra le parti e ratificato dal giudice in epoca precedente alla indicata modifica normativa comporta l’applicazione di una pena illegale, di talché va annullata senza rinvio la relativa sentenza di patteggiamento. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 49531 del 27 novembre 2014 (Cass. pen. n. 49531/2014)

In tema di stupefacenti, per i reati di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commessi prima della data di entrata in vigore dei D.L. 23 dicembre 2013, n. 146 e 20 marzo 2014, n. 36, convertiti con modificazioni, rispettivamente, dalle leggi 21 febbraio 2014, n. 10 e 16 maggio 2014, n. 79 – che hanno trasformato il fatto di lieve entità in reato autonomo, attenuandone anche il trattamento sanzionatorio – è configurabile l’illegalità sopravvenuta della pena inflitta qualora il giudice abbia utilizzato i parametri edittali antecedenti alle indicate novelle legislative. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 47020 del 13 novembre 2014 (Cass. pen. n. 47020/2014)

A seguito del più favorevole trattamento sanzionatorio previsto, dopo la l. n. 49 del 2006, dall’art. 73, comma primo, d.P.R. 309 del 1990 quanto al minimo edittale per le droghe cosiddette pesanti, il giudice d’appello deve rimodulare la pena di ufficio anche nel caso in cui il primo giudice, anteriormente alla novella, abbia determinato la pena base, o sia comunque partito dal suo calcolo, in misura superiore al minimo edittale. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 50614 del 16 dicembre 2013 (Cass. pen. n. 50614/2013)

In tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, ai fini della applicazione dell’attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 73, comma settimo, d.P.R. n. 309 del 1990, non è sufficiente il mero dato della offerta delle informazioni possedute, ma occorre che dette informazioni siano in grado di consentire il perseguimento di un risultato utile di indagine che, senza la collaborazione stessa, non si sarebbe potuto perseguire (Nella specie, la Corte ha escluso la sussistenza dell’attenuante invocata, evidenziando come le dichiarazioni rese dagli imputati, oltre che difformi tra loro, fossero finalizzate a negare la rilevanza del proprio contributo all’attività di spaccio e non già a consentire di impedire l’altrui traffico di droga). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9069 del 25 febbraio 2013 (Cass. pen. n. 9069/2013)

In tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, l’ipotesi disciplinata dall’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990, configura una circostanza attenuante e non una figura autonoma di reato; ne deriva che, ove essa concorra con la recidiva, si applica obbligatoriamente il giudizio di comparazione previsto dall’art. 69, comma quarto, cod. pen., con la ulteriore conseguenza che, in caso di ritenuta equivalenza, la pena è determinata senza tener conto delle circostanze di segno opposto, mentre non si applica la disposizione dell’art. 63, comma terzo, cod. pen., che riguarda il concorso di circostanze omogenee. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 3557 del 30 gennaio 2012 (Cass. pen. n. 3557/2012)

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