Si può imporre la religione ai figli?

La scelta relativa a quale educazione religiosa debba essere impartita a un figlio può essere fonte di conflitti tra i genitori.
Se la discussione non trova una composizione pacifica sarà il tribunale ad essere chiamato ad accertare eventuali pregiudizi ai danni del figlio. Un tale accertamento presuppone che anche il minore venga coinvolto e quindi ascoltato personalmente. Il giudice, infatti, deve farsi guidare dal “supremo interesse del minore” che si ritiene prevalente sulla libertà religiosa dell’adulto e sul potere educativo del genitore.

1. Contrasto sull’educazione religiosa

Sono sempre più frequenti i matrimoni e le convivenze tra persone che provengono da culture profondamente diverse. Tali diversità possono trasformarsi in causa di contrasti quando viene in gioco l’educazione da impartire ai figli.
Quando si tratta di educazione viene normale includere anche la religione che costituisce uno dei capisaldi della cultura di ciascuno di noi.
Ma può un genitore imporre la propria religione al figlio? La questione, per nulla scontata, ha creato molti contrasti anche nella giurisprudenza.
Quando si verificano dei contrasti tra i genitori sull’indirizzo dell’educazione da dare al figlio minorenne, in assenza di accordo tra i due decide il tribunale.  Il padre o la madre si possono rivolgere al giudice chiedendogli di adottare la decisione che ritiene più conveniente che non è necessariamente una terza via, ma può essere anche una delle due in discussione. Nel decidere, il tribunale si deve attenere al parametro costituito dal superiore interesse del minore.
Quando il contrasto tra i genitori arriva davanti al giudice, questi si deve rivolgere ai servizi sociali o allo psicologo che, dopo un’attenta valutazione delle reazioni del minore, esprimano il loro parere con una relazione scritta da depositare agli atti del procedimento civile.
Il genitore non può imporre al minore la sua religione se questa lo danneggia nella crescita e può compromettere il suo equilibrio emotivo. Questo non si concretizza in un’astensione dal proselitismo, ma neanche, all’opposto, in una costrizione.  La consulenza psicologica definirà se il genitore sta adottando tecniche di convinzione molto “pervasive” oppure no.
Se il dato di partenza deve essere il superiore interesse del minore, in caso di disaccordo dei genitori – che possa arrecare un pregiudizio al minore – sarà il giudice a decidere ascoltandolo personalmente
Ciò significa anche che il tribunale potrebbe decidere:

  • di impedire ai genitori qualsiasi imput religioso o
  • che sia un solo genitore ad impartire l’educazione religiosa al figlio, indipendentemente dalle religioni di cui si tratta.

L’unico interesse del giudice è quello per cui il minore cresca sereno e soprattutto libero.

2. La giurisprudenza più recente

Secondo la recente sentenza numero 12954/2018 della Corte di Cassazione, il genitore non può imporre ai figli la propria fede religiosa, ancorché si tratti di minori affidatigli dal Tribunale in esito ad un giudizio di separazione o divorzio.
Se è vero quindi che al genitore compete istruire ed educare la prole, ovviamente secondo i propri orientamenti e le proprie convinzioni, è altrettanto vero che un tale diritto incontra un limite invalicabile dato dalla tutela del minore e dal diritto di quest’ultimo ad un percorso di crescita equilibrato e rispettoso delle proprie predisposizioni e dei propri orientamenti.
È l’articolo 316 del nostro codice civile che prevede che i genitori sono tenuti ad esercitare la responsabilità genitoriale

“tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio”.

Recentemente, la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 21916/2019, ha riconosciuto il diritto del minore a ricevere l’educazione religiosa da entrambi i genitori e che il minore deve essere libero di scegliere la propria religione così come sancito all‘articolo 19 della nostra Costituzione.

3. Un caso noto di giurisprudenza

La Corte di Cassazione, in una sentenza oramai nota (sentenza numero 9546/2012), si è pronunciata ponendo in evidenza che la direttrice da seguire quando si tratti di scelte educative e religiose debba essere esclusivamente l’interesse del minore.
Nel caso in parola la madre aveva iniziato a frequentare i Testimoni di Geova compromettendo la salute psicofisica del bambino già provato dalla separazione dei genitori. Il drastico cambiamento di stile di vita per un minore, causato dalla scelta di un genitore che, nella specie, si riflette anche sulle abitudini quotidiane, può comportare ansia e conflitti interiori nel bambino. Il punto chiave è “l’immaturità” del minore il quale non ha gli strumenti idonei per poter scegliere consapevolmente, dopo avere vissuto i primi anni della sua vita in uno specifico contesto familiare e sociale, una diversa fede religiosa in modo libero.
I principi posti a tutela della libertà religiosa consentono di educare i figli secondo la propria fede purché, “siano rispettate le loro inclinazioni e questi siano lasciati liberi di scegliere se e in cosa credere”. Insomma, c’è un interesse superiore che è quello del minore, che si impone sulle credenze dei genitori e su qualsiasi religione. La libertà individuale del minore deve essere salvaguardata: c’è il diritto di credere (anche ai supereroi, eventualmente) così come di disinteressarsi rispetto a qualsiasi manifestazione religiosa.