Sezioni Unite: “integra un difetto di giurisdizione, quindi rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado, la violazione della connessione tra reati comuni e reati militari”
(Cass. Pen., Sezioni Unite, sent. n. 8193 del 9.3.2022)
Con sentenza del 16 Dicembre 2020, la Corte militare d’appello confermava quella del Tribunale militare di Napoli che aveva condannato l’imputato, sottocapo 3″ cl. M.M., alla pena di giustizia per i reati di simulazione di infermità aggravata (artt. 159 e 47, n. 2, cod. pen. mil. pace), truffa militare aggravata (artt. 234, comma 2, e 47, n. 2, cod. pen. mil. pace) e diserzione aggravata (artt. 148, n. 2 e 47, n. 2 cod. pen. mil. pace). Il Tribunale aveva rigettato l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione del giudice militare sollevata dalla difesa dell’imputato, che aveva esibito l’avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi per i reati di cui agli artt. 81 e 476 cod. pen. Secondo il Tribunale militare, l’eccezione era preclusa ai sensi dell’art. 21, comma 3, c.p.p., poiché non dedotta in sede di udienza preliminare, sbarramento temporale per le eccezione di rito. La difesa, tuttavia, rilevava come ciò non fosse stato impossibile in quanto all’epoca non era conosciuto il procedimento pendente davanti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario ma il Giudice speciale rigettava ritenendo, di contro, che tale conoscenza sussistesse già dal momento della trasmissione degli atti da parte della Procura militare alla Procura della Repubblica di Brindisi, affinché quest’ultima procedesse per i reati ordinari. Riproposta la doglianza relativa al difetto di giurisdizione, la Corte militare d’appello, confermava la decisone di primo grado sulla scorta della applicabilità al caso di specie l’art. 21 comma 3 c.p.p. – e non l’art. 20 c.p.p. – Ciò in quanto si ravvisava, secondo il Giudice speciale di secondo grado, un’ipotesi di connessione ex art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p. tra reati comuni e reati militari. Muovendo da tali premesse, pertanto, si considerava tardiva l’eccezione, irrilevante essendo la mancata conoscenza, alla data dell’udienza preliminare, del procedimento pendente per i reati connessi ma dovendo darsi prevalenza all’interesse ad un simultaneus processus. Superata l’obiezione processuale, nel merito, la Corte di appello militare confermava l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato per il reato di diserzione aggravata. Proposto ricorso per Cassazione anche per tale motivo di giurisdizione, la Prima Sezione rimetteva al vaglio delle Sezioni Unite il quesito “se, in caso di connessione tra un reato militare e un reato comune più grave, la questione del riparto di “competenza giurisdizionale”, regolata dall’art 13, comma 2, cod. proc. pen., soggiaccia alla disciplina, di cui all’art. 21, comma 2, cod. proc. pen., della rilevabilità e sollevabilità a pena di decadenza soltanto prima della conclusione dell’udienza preliminare o, in mancanza di questa, entro il termine di cui all’art. 491, comma 1, cod. proc. pen., ovvero sia rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, in applicazione dell’art. 20 cod. proc. pen.”. La più Alta composizione del Supremo Collegio muove dall’esame di due distinti profili: la riconducibilità della connessione tra procedimenti aventi ad oggetto reati ordinari e procedimenti per reati militari alla categoria della giurisdizione o della competenza; il fondamento normativo della relativa soluzione ed evidenzia come la sentenza della Corte militare d’appello non abbia tenuto distinti i due temi. La Corte di legittimità sottolinea che il giudice militare ha cognizione sui reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate ma la Corte militare d’appello sembra sostenere che la mancata applicazione della norma sulla connessione con procedimenti pendenti davanti ai giudici ordinari non produce effetti rilevanti, atteso che l’imputato viene giudicato da un giudice che sarebbe stato quello “competente” nel caso gli fossero stati contestati soltanto reati militari e non anche reati comuni; ergo, ritiene ragionevole applicare le preclusioni poste dall’art. 21, comma 3, c.p.p. Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, il principio del giudice naturale precostituito per legge – scolpito nell’art. 25 Cost. – non consente di risolvere le questioni di giurisdizione e di competenza sulla base di applicazioni analogiche basate sulla ratio della normativa dettata per una diversa fattispecie. Ed invero, in disparte la ragionevolezza della disciplina dettata dal legislatore, la ripartizione di giurisdizione e di competenza è rigida e non discrezionale. In questa ripartizione, l’individuazione dell’organo giudiziario avente la giurisdizione nel caso concreto si pone in rapporto di pregiudizialità rispetto al tema della competenza, che si sviluppa nell’ambito di una determinata giurisdizione; occorre, cioè, prima individuare quale magistratura abbia “giurisdizione” sui reati contestati e poi, se necessario, verificare quale giudice, facente parte di quella magistratura, sia competente (per materia, per territorio, per connessione). Alla luce di tali argomentazioni, il massimo arresto di legittimità rileva non possano residuare dubbi sull’attinenza alla giurisdizione – e non alla competenza – del rapporto tra autorità giudiziaria ordinaria e autorità giudiziaria militare. Ne discende, in detta prospettiva, come debba trovare applicazione l’art. 20 c.p.p., a mente del quale il difetto di giurisdizione è rilevato, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. La Corte di Cassazione ribadisce come la verifica della giurisdizione, che precede logicamente ogni altro tipo di indagine rimesso alla cognizione del giudice, ha carattere dinamico, dovendo il difetto di giurisdizione essere rilevato, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, ed implica il potere-dovere del giudice di controllare costantemente, per tutto il corso del processo, se i fatti che formano il contenuto dell’imputazione rientrino nell’ambito della propria giurisdizione, dovendo dichiararne il difetto non appena gli elementi di prova raccolti modifichino la struttura e l’impianto originari dell’imputazione facendola esorbitare dalla sfera cognitiva assegnatagli dall’ordinamento. Sulla scorta degli argomenti illustrati, le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto in forza del quale, “posto che il riparto di potestà tra giudice ordinario e giudice militare attiene alla giurisdizione e non alla competenza in conformità all’art. 103, terzo comma, della Costituzione, anche il precetto integrativo concernente la connessione tra reati comuni e reati militari, di cui all’art. 13, comma 2, cod. proc. pen., si inquadra nello stesso riparto, con la conseguenza che la sua violazione integra un difetto di giurisdizione, deducibile o rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi dell’art. 20 cod. proc. pen.“.
Con sentenza del 16 Dicembre 2020, la Corte militare d’appello confermava quella del Tribunale militare di Napoli che aveva condannato l’imputato, sottocapo 3″ cl. M.M., alla pena di giustizia per i reati di simulazione di infermità aggravata (artt. 159 e 47, n. 2, cod. pen. mil. pace), truffa militare aggravata (artt. 234, comma 2, e 47, n. 2, cod. pen. mil. pace) e diserzione aggravata (artt. 148, n. 2 e 47, n. 2 cod. pen. mil. pace). Il Tribunale aveva rigettato l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione del giudice militare sollevata dalla difesa dell’imputato, che aveva esibito l’avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi per i reati di cui agli artt. 81 e 476 cod. pen. Secondo il Tribunale militare, l’eccezione era preclusa ai sensi dell’art. 21, comma 3, c.p.p., poiché non dedotta in sede di udienza preliminare, sbarramento temporale per le eccezione di rito. La difesa, tuttavia, rilevava come ciò non fosse stato impossibile in quanto all’epoca non era conosciuto il procedimento pendente davanti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario ma il Giudice speciale rigettava ritenendo, di contro, che tale conoscenza sussistesse già dal momento della trasmissione degli atti da parte della Procura militare alla Procura della Repubblica di Brindisi, affinché quest’ultima procedesse per i reati ordinari. Riproposta la doglianza relativa al difetto di giurisdizione, la Corte militare d’appello, confermava la decisone di primo grado sulla scorta della applicabilità al caso di specie l’art. 21 comma 3 c.p.p. – e non l’art. 20 c.p.p. – Ciò in quanto si ravvisava, secondo il Giudice speciale di secondo grado, un’ipotesi di connessione ex art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p. tra reati comuni e reati militari. Muovendo da tali premesse, pertanto, si considerava tardiva l’eccezione, irrilevante essendo la mancata conoscenza, alla data dell’udienza preliminare, del procedimento pendente per i reati connessi ma dovendo darsi prevalenza all’interesse ad un simultaneus processus. Superata l’obiezione processuale, nel merito, la Corte di appello militare confermava l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato per il reato di diserzione aggravata. Proposto ricorso per Cassazione anche per tale motivo di giurisdizione, la Prima Sezione rimetteva al vaglio delle Sezioni Unite il quesito “se, in caso di connessione tra un reato militare e un reato comune più grave, la questione del riparto di “competenza giurisdizionale”, regolata dall’art 13, comma 2, cod. proc. pen., soggiaccia alla disciplina, di cui all’art. 21, comma 2, cod. proc. pen., della rilevabilità e sollevabilità a pena di decadenza soltanto prima della conclusione dell’udienza preliminare o, in mancanza di questa, entro il termine di cui all’art. 491, comma 1, cod. proc. pen., ovvero sia rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, in applicazione dell’art. 20 cod. proc. pen.”. La più Alta composizione del Supremo Collegio muove dall’esame di due distinti profili: la riconducibilità della connessione tra procedimenti aventi ad oggetto reati ordinari e procedimenti per reati militari alla categoria della giurisdizione o della competenza; il fondamento normativo della relativa soluzione ed evidenzia come la sentenza della Corte militare d’appello non abbia tenuto distinti i due temi. La Corte di legittimità sottolinea che il giudice militare ha cognizione sui reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate ma la Corte militare d’appello sembra sostenere che la mancata applicazione della norma sulla connessione con procedimenti pendenti davanti ai giudici ordinari non produce effetti rilevanti, atteso che l’imputato viene giudicato da un giudice che sarebbe stato quello “competente” nel caso gli fossero stati contestati soltanto reati militari e non anche reati comuni; ergo, ritiene ragionevole applicare le preclusioni poste dall’art. 21, comma 3, c.p.p. Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, il principio del giudice naturale precostituito per legge – scolpito nell’art. 25 Cost. – non consente di risolvere le questioni di giurisdizione e di competenza sulla base di applicazioni analogiche basate sulla ratio della normativa dettata per una diversa fattispecie. Ed invero, in disparte la ragionevolezza della disciplina dettata dal legislatore, la ripartizione di giurisdizione e di competenza è rigida e non discrezionale. In questa ripartizione, l’individuazione dell’organo giudiziario avente la giurisdizione nel caso concreto si pone in rapporto di pregiudizialità rispetto al tema della competenza, che si sviluppa nell’ambito di una determinata giurisdizione; occorre, cioè, prima individuare quale magistratura abbia “giurisdizione” sui reati contestati e poi, se necessario, verificare quale giudice, facente parte di quella magistratura, sia competente (per materia, per territorio, per connessione). Alla luce di tali argomentazioni, il massimo arresto di legittimità rileva non possano residuare dubbi sull’attinenza alla giurisdizione – e non alla competenza – del rapporto tra autorità giudiziaria ordinaria e autorità giudiziaria militare. Ne discende, in detta prospettiva, come debba trovare applicazione l’art. 20 c.p.p., a mente del quale il difetto di giurisdizione è rilevato, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. La Corte di Cassazione ribadisce come la verifica della giurisdizione, che precede logicamente ogni altro tipo di indagine rimesso alla cognizione del giudice, ha carattere dinamico, dovendo il difetto di giurisdizione essere rilevato, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, ed implica il potere-dovere del giudice di controllare costantemente, per tutto il corso del processo, se i fatti che formano il contenuto dell’imputazione rientrino nell’ambito della propria giurisdizione, dovendo dichiararne il difetto non appena gli elementi di prova raccolti modifichino la struttura e l’impianto originari dell’imputazione facendola esorbitare dalla sfera cognitiva assegnatagli dall’ordinamento. Sulla scorta degli argomenti illustrati, le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto in forza del quale, “posto che il riparto di potestà tra giudice ordinario e giudice militare attiene alla giurisdizione e non alla competenza in conformità all’art. 103, terzo comma, della Costituzione, anche il precetto integrativo concernente la connessione tra reati comuni e reati militari, di cui all’art. 13, comma 2, cod. proc. pen., si inquadra nello stesso riparto, con la conseguenza che la sua violazione integra un difetto di giurisdizione, deducibile o rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi dell’art. 20 cod. proc. pen.“.
Sezioni Unite: “integra un difetto di giurisdizione, quindi rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado, la violazione della connessione tra reati comuni e reati militari”
(Cass. Pen., Sezioni Unite, sent. n. 8193 del 9.3.2022)
Con sentenza del 16 Dicembre 2020, la Corte militare d’appello confermava quella del Tribunale militare di Napoli che aveva condannato l’imputato, sottocapo 3″ cl. M.M., alla pena di giustizia per i reati di simulazione di infermità aggravata (artt. 159 e 47, n. 2, cod. pen. mil. pace), truffa militare aggravata (artt. 234, comma 2, e 47, n. 2, cod. pen. mil. pace) e diserzione aggravata (artt. 148, n. 2 e 47, n. 2 cod. pen. mil. pace).
Il Tribunale aveva rigettato l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione del giudice militare sollevata dalla difesa dell’imputato, che aveva esibito l’avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi per i reati di cui agli artt. 81 e 476 cod. pen.
Secondo il Tribunale militare, l’eccezione era preclusa ai sensi dell’art. 21, comma 3, c.p.p., poiché non dedotta in sede di udienza preliminare, sbarramento temporale per le eccezione di rito.
La difesa, tuttavia, rilevava come ciò non fosse stato impossibile in quanto all’epoca non era conosciuto il procedimento pendente davanti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario ma il Giudice speciale rigettava ritenendo, di contro, che tale conoscenza sussistesse già dal momento della trasmissione degli atti da parte della Procura militare alla Procura della Repubblica di Brindisi, affinché quest’ultima procedesse per i reati ordinari.
Riproposta la doglianza relativa al difetto di giurisdizione, la Corte militare d’appello, confermava la decisone di primo grado sulla scorta della applicabilità al caso di specie l’art. 21 comma 3 c.p.p. – e non l’art. 20 c.p.p. –
Ciò in quanto si ravvisava, secondo il Giudice speciale di secondo grado, un’ipotesi di connessione ex art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p. tra reati comuni e reati militari.
Muovendo da tali premesse, pertanto, si considerava tardiva l’eccezione, irrilevante essendo la mancata conoscenza, alla data dell’udienza preliminare, del procedimento pendente per i reati connessi ma dovendo darsi prevalenza all’interesse ad un simultaneus processus.
Superata l’obiezione processuale, nel merito, la Corte di appello militare confermava l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato per il reato di diserzione aggravata.
Proposto ricorso per Cassazione anche per tale motivo di giurisdizione, la Prima Sezione rimetteva al vaglio delle Sezioni Unite il quesito “se, in caso di connessione tra un reato militare e un reato comune più grave, la questione del riparto di “competenza giurisdizionale”, regolata dall’art 13, comma 2, cod. proc. pen., soggiaccia alla disciplina, di cui all’art. 21, comma 2, cod. proc. pen., della rilevabilità e sollevabilità a pena di decadenza soltanto prima della conclusione dell’udienza preliminare o, in mancanza di questa, entro il termine di cui all’art. 491, comma 1, cod. proc. pen., ovvero sia rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, in applicazione dell’art. 20 cod. proc. pen.”.
La più Alta composizione del Supremo Collegio muove dall’esame di due distinti profili: la riconducibilità della connessione tra procedimenti aventi ad oggetto reati ordinari e procedimenti per reati militari alla categoria della giurisdizione o della competenza; il fondamento normativo della relativa soluzione ed evidenzia come la sentenza della Corte militare d’appello non abbia tenuto distinti i due temi.
La Corte di legittimità sottolinea che il giudice militare ha cognizione sui reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate ma la Corte militare d’appello sembra sostenere che la mancata applicazione della norma sulla connessione con procedimenti pendenti davanti ai giudici ordinari non produce effetti rilevanti, atteso che l’imputato viene giudicato da un giudice che sarebbe stato quello “competente” nel caso gli fossero stati contestati soltanto reati militari e non anche reati comuni; ergo, ritiene ragionevole applicare le preclusioni poste dall’art. 21, comma 3, c.p.p.
Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, il principio del giudice naturale precostituito per legge – scolpito nell’art. 25 Cost. – non consente di risolvere le questioni di giurisdizione e di competenza sulla base di applicazioni analogiche basate sulla ratio della normativa dettata per una diversa fattispecie.
Ed invero, in disparte la ragionevolezza della disciplina dettata dal legislatore, la ripartizione di giurisdizione e di competenza è rigida e non discrezionale.
In questa ripartizione, l’individuazione dell’organo giudiziario avente la giurisdizione nel caso concreto si pone in rapporto di pregiudizialità rispetto al tema della competenza, che si sviluppa nell’ambito di una determinata giurisdizione; occorre, cioè, prima individuare quale magistratura abbia “giurisdizione” sui reati contestati e poi, se necessario, verificare quale giudice, facente parte di quella magistratura, sia competente (per materia, per territorio, per connessione).
Alla luce di tali argomentazioni, il massimo arresto di legittimità rileva non possano residuare dubbi sull’attinenza alla giurisdizione – e non alla competenza – del rapporto tra autorità giudiziaria ordinaria e autorità giudiziaria militare.
Ne discende, in detta prospettiva, come debba trovare applicazione l’art. 20 c.p.p., a mente del quale il difetto di giurisdizione è rilevato, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento.
La Corte di Cassazione ribadisce come la verifica della giurisdizione, che precede logicamente ogni altro tipo di indagine rimesso alla cognizione del giudice, ha carattere dinamico, dovendo il difetto di giurisdizione essere rilevato, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, ed implica il potere-dovere del giudice di controllare costantemente, per tutto il corso del processo, se i fatti che formano il contenuto dell’imputazione rientrino nell’ambito della propria giurisdizione, dovendo dichiararne il difetto non appena gli elementi di prova raccolti modifichino la struttura e l’impianto originari dell’imputazione facendola esorbitare dalla sfera cognitiva assegnatagli dall’ordinamento.
Sulla scorta degli argomenti illustrati, le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto in forza del quale, “posto che il riparto di potestà tra giudice ordinario e giudice militare attiene alla giurisdizione e non alla competenza in conformità all’art. 103, terzo comma, della Costituzione, anche il precetto integrativo concernente la connessione tra reati comuni e reati militari, di cui all’art. 13, comma 2, cod. proc. pen., si inquadra nello stesso riparto, con la conseguenza che la sua violazione integra un difetto di giurisdizione, deducibile o rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi dell’art. 20 cod. proc. pen.“.
Con sentenza del 16 Dicembre 2020, la Corte militare d’appello confermava quella del Tribunale militare di Napoli che aveva condannato l’imputato, sottocapo 3″ cl. M.M., alla pena di giustizia per i reati di simulazione di infermità aggravata (artt. 159 e 47, n. 2, cod. pen. mil. pace), truffa militare aggravata (artt. 234, comma 2, e 47, n. 2, cod. pen. mil. pace) e diserzione aggravata (artt. 148, n. 2 e 47, n. 2 cod. pen. mil. pace).
Il Tribunale aveva rigettato l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione del giudice militare sollevata dalla difesa dell’imputato, che aveva esibito l’avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi per i reati di cui agli artt. 81 e 476 cod. pen.
Secondo il Tribunale militare, l’eccezione era preclusa ai sensi dell’art. 21, comma 3, c.p.p., poiché non dedotta in sede di udienza preliminare, sbarramento temporale per le eccezione di rito.
La difesa, tuttavia, rilevava come ciò non fosse stato impossibile in quanto all’epoca non era conosciuto il procedimento pendente davanti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario ma il Giudice speciale rigettava ritenendo, di contro, che tale conoscenza sussistesse già dal momento della trasmissione degli atti da parte della Procura militare alla Procura della Repubblica di Brindisi, affinché quest’ultima procedesse per i reati ordinari.
Riproposta la doglianza relativa al difetto di giurisdizione, la Corte militare d’appello, confermava la decisone di primo grado sulla scorta della applicabilità al caso di specie l’art. 21 comma 3 c.p.p. – e non l’art. 20 c.p.p. –
Ciò in quanto si ravvisava, secondo il Giudice speciale di secondo grado, un’ipotesi di connessione ex art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p. tra reati comuni e reati militari.
Muovendo da tali premesse, pertanto, si considerava tardiva l’eccezione, irrilevante essendo la mancata conoscenza, alla data dell’udienza preliminare, del procedimento pendente per i reati connessi ma dovendo darsi prevalenza all’interesse ad un simultaneus processus.
Superata l’obiezione processuale, nel merito, la Corte di appello militare confermava l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato per il reato di diserzione aggravata.
Proposto ricorso per Cassazione anche per tale motivo di giurisdizione, la Prima Sezione rimetteva al vaglio delle Sezioni Unite il quesito “se, in caso di connessione tra un reato militare e un reato comune più grave, la questione del riparto di “competenza giurisdizionale”, regolata dall’art 13, comma 2, cod. proc. pen., soggiaccia alla disciplina, di cui all’art. 21, comma 2, cod. proc. pen., della rilevabilità e sollevabilità a pena di decadenza soltanto prima della conclusione dell’udienza preliminare o, in mancanza di questa, entro il termine di cui all’art. 491, comma 1, cod. proc. pen., ovvero sia rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, in applicazione dell’art. 20 cod. proc. pen.”.
La più Alta composizione del Supremo Collegio muove dall’esame di due distinti profili: la riconducibilità della connessione tra procedimenti aventi ad oggetto reati ordinari e procedimenti per reati militari alla categoria della giurisdizione o della competenza; il fondamento normativo della relativa soluzione ed evidenzia come la sentenza della Corte militare d’appello non abbia tenuto distinti i due temi.
La Corte di legittimità sottolinea che il giudice militare ha cognizione sui reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate ma la Corte militare d’appello sembra sostenere che la mancata applicazione della norma sulla connessione con procedimenti pendenti davanti ai giudici ordinari non produce effetti rilevanti, atteso che l’imputato viene giudicato da un giudice che sarebbe stato quello “competente” nel caso gli fossero stati contestati soltanto reati militari e non anche reati comuni; ergo, ritiene ragionevole applicare le preclusioni poste dall’art. 21, comma 3, c.p.p.
Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, il principio del giudice naturale precostituito per legge – scolpito nell’art. 25 Cost. – non consente di risolvere le questioni di giurisdizione e di competenza sulla base di applicazioni analogiche basate sulla ratio della normativa dettata per una diversa fattispecie.
Ed invero, in disparte la ragionevolezza della disciplina dettata dal legislatore, la ripartizione di giurisdizione e di competenza è rigida e non discrezionale.
In questa ripartizione, l’individuazione dell’organo giudiziario avente la giurisdizione nel caso concreto si pone in rapporto di pregiudizialità rispetto al tema della competenza, che si sviluppa nell’ambito di una determinata giurisdizione; occorre, cioè, prima individuare quale magistratura abbia “giurisdizione” sui reati contestati e poi, se necessario, verificare quale giudice, facente parte di quella magistratura, sia competente (per materia, per territorio, per connessione).
Alla luce di tali argomentazioni, il massimo arresto di legittimità rileva non possano residuare dubbi sull’attinenza alla giurisdizione – e non alla competenza – del rapporto tra autorità giudiziaria ordinaria e autorità giudiziaria militare.
Ne discende, in detta prospettiva, come debba trovare applicazione l’art. 20 c.p.p., a mente del quale il difetto di giurisdizione è rilevato, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento.
La Corte di Cassazione ribadisce come la verifica della giurisdizione, che precede logicamente ogni altro tipo di indagine rimesso alla cognizione del giudice, ha carattere dinamico, dovendo il difetto di giurisdizione essere rilevato, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, ed implica il potere-dovere del giudice di controllare costantemente, per tutto il corso del processo, se i fatti che formano il contenuto dell’imputazione rientrino nell’ambito della propria giurisdizione, dovendo dichiararne il difetto non appena gli elementi di prova raccolti modifichino la struttura e l’impianto originari dell’imputazione facendola esorbitare dalla sfera cognitiva assegnatagli dall’ordinamento.
Sulla scorta degli argomenti illustrati, le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto in forza del quale, “posto che il riparto di potestà tra giudice ordinario e giudice militare attiene alla giurisdizione e non alla competenza in conformità all’art. 103, terzo comma, della Costituzione, anche il precetto integrativo concernente la connessione tra reati comuni e reati militari, di cui all’art. 13, comma 2, cod. proc. pen., si inquadra nello stesso riparto, con la conseguenza che la sua violazione integra un difetto di giurisdizione, deducibile o rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi dell’art. 20 cod. proc. pen.“.
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