Indice
1. L’interpretazione della Cassazione
2. Il problema irrisolto: la natura di reato di evento del delitto di ragion fattasi
3. Conclusioni
1. L’interpretazione della Cassazione
La Sentenza sopra citata si è posta al culmine di una questione risalente di decenni e mai completamente risolta.
Alla teoria dell’intenzionalità, la quale valorizza la consapevolezza dell’agente di porre in essere una condotta al fine di ottenere un profitto ingiusto, si è aggiunta una diversa interpretazione che invece valorizzava le modalità concrete della condotta, le quali, se poste in essere oltre un certo limite di ragionevolezza, da accertarsi caso per caso, avrebbero potuto configurare il delitto, molto più grave, di estorsione anche in presenza di una convinzione soggettiva della giustizia della pretesa dell’agente.
D’altro canto la dottrina ha sempre sostenuto la tesi che, rilevante ai fini della configurazione del delitto di ragion fattasi, dovesse essere il fine perseguito dall’agente, con l’unica eccezione rappresentata dal fine ulteriore, ovvero da quella finalità ulteriore, di profitto o di altra utilità, che il reo potrebbe compiere e che, quindi comporterebbe la configurazione dell’estorsione.
La tesi della materialità scontava, difatti, alcune incongruenze.
Basandosi unicamente sull’estrinsecazione della condotta, questa poteva essere ricondotta all’una o all’altra fattispecie solo in base ad una valutazione degli effetti della stessa, configurando estorsione nel solo caso di “costrizione” che comportino un annullamento della capacità volitiva2, in quanto unico parametro aderente al dettato dell’art. 629 c.p., relegando all’esercizio arbitrario delle proprie ragioni le condotte “meramente” persuasive.
In tal caso tuttavia, non si teneva in considerazione che anche l’estorsione può attuarsi con modalità c.d. “larvate”, implicite, indirette e persino indeterminate3; non solo, ma tale ricostruzione non teneva conto del fatto che la costrizione, più che distinguere l’estorsione dal delitto di ragion fattasi, la distingue nettamente dalla rapina vera e propria, ove l’attività di violenza o minaccia, in tal caso, si esclude completamente la volontà dell’agente, tanto che l’agente “s’impossessa” del bene.
In definitiva le Sezioni Unite hanno stabilito il principio di diritto secondo cui i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e l’estorsione si differenziano per il profilo psicologico, nel primo finalizzato alla tutela di un preteso diritto, astrattamente azionabile davanti al Giudice e nella convinzione della ragione nella controversia, mentre nel secondo espressamente ingiusto, quindi anche esorbitante rispetto alle eventuali ragioni giuridiche, caso in cui potrebbe ricadere il terzo estraneo al rapporto che esuli, nella sua condotta, dal fornire un contributo alla pretesa del creditore.
2. Il problema irrisolto: la natura di reato di evento del delitto di ragion fattasi
La soluzione interpretativa poc’anzi prospettata, tuttavia, non giunge ad eliminare tutti i contrasti evidenziabili sulla natura del delitto di cui agli artt. 392 e 393 c.p.
Aver stabilito che tali delitti prevedono un elemento psicologico preciso, ovvero quello di sostituirsi all’Autorità giudiziaria nella tutela di un diritto che si ritiene sia stato leso, significa infondere nella condotta, sia essa violenta o minacciosa, un elemento caratterizzante il quale, una volta concretatosi, rende consumato il reato, con tutte le conseguenze che ne derivano.
La questione non è di poco momento.
La giurisprudenza ha già manifestato in alcune decisioni una certa oscillazione relativamente al momento di consumazione del reato.
È orientamento risalente quello che sostiene la natura di reato di evento che si consuma nel momento in cui lo scopo perseguito dall’agente è realizzato4, con ciò giustificando la configurabilità del tentativo.
D’altro canto, si segnala una sentenza della Suprema Corte che già nel 2007 avvertiva che “il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sia con violenza sulle cose che con violenza alle persone, si consuma nel momento in cui la violenza o la minaccia sono esplicate, senza che rilevi il conseguimento in concreto del fine perseguito”5.
Anche nella dottrina si segnala un certo ondeggiamento, per cui vi sono autori che hanno seguito l’orientamento predominante, ovvero quello secondo il quale si tratterebbe di reato di evento6, mentre altri autori7 hanno seguito l’impostazione della giurisprudenza, comunque al momento minoritaria, secondo la quale il reato sarebbe un reato di mera condotta.
3. Conclusioni
La soluzione ermeneutica a sostegno della natura di reato di evento da parte delle fattispecie di cui agli artt. 392 e 393 c.p. non sembra poter essere condivisa.
In primo luogo occorre stabilire quale sarebbe la condotta incriminata dal Legislatore.
Non può essere condivisa la ricostruzione secondo la quale la dicitura “farsi ragione da sé” sarebbe una formula pleonastica mediante la quale il Legislatore intenderebbe significare il raggiungimento dello scopo da parte dell’agente.
Le ragioni possono essere rinvenute, a dire il vero, proprio nella recentissima Sentenza delle Sezioni Unite analizzata all’inizio del presente scritto, ove a pagina 15 si fa riferimento alle origini della formulazione della disposizione.
Il Legislatore del Codice Zanardelli aveva mutuato la formula, poi a sua volta adottata nel Codice Rocco, dal Codice Toscano del 1853 e nei lavori preparatori alla stesura del Codice la dotta sentenza del 2020 riporta la definizione che più interessa: “quando chi crede di avere una pretesa giuridica sostituisce la sua forza al potere del giudice, si fa ragione da sé medesimo”.
Non ci si troverebbe affatto di fronte ad una frase meramente pleonastica, buona solo per rendere l’idea dell’obiettivo raggiunto, ma la traduzione di ciò che invece è la “sostituzione al potere dello Stato”.
In base a questa definizione della condotta, le attività che corrispondano ad una sostituzione del privato al potere statuale, dovrebbero portare a consumazione il reato, ciò anche in ragione della diversità del bene giuridico tutelato rispetto ai vari delitti “parenti” che sarebbero contenuti in questi altri, ovvero il danneggiamento e la violenza privata.
Infine, e soprattutto, tali reati di ragion fattasi dovrebbero essere configurabili come unisussistenti, in quanto possibile realizzare una minaccia ovvero la violenza con un singolo atto, ed essendo possibile la violenza sulle cose con una sola azione perpetrata sul bene.
Tali argomenti dovrebbero convincere in merito all’impossibilità di legare la consumazione del reato all’evento rappresentato dallo scopo da raggiungere, e di conseguenza, di ammettere in ogni caso il tentativo.
1 Cass. Pen. SS.UU. n. 29541/2020 (ud. 16 luglio 2020)
2 Ex multis Cass. Pen., sez. II, 26608/2019 (ud. 29 maggio 2019)
3 Cass. Pen., sez. V, 41507/2009 (ud. 22 settembre 2009)
4 Cass. Pen.,sez. I, 10100/1974 (ud. 23 gennaio 1974)
5 Cass. Pen., sez. II, 25999/2007 (ud. 2 aprile 2007)
6 Antonio Pagliaro, Trattato di Diritto Penale, p. 224, ricomprende l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose nel genus del danneggiamento, modificato il titolo di reato dal dolo specifico del primo
7 Giulio Basagni, Pareri di diritto Penale 2009
Sulla configurabilità del tentativo nel delitto di ragion fattasi
Recentemente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione 1 si sono espresse su un tema alquanto dibattuto in giurisprudenza, la natura del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e le differenze con il reato di estorsione.
La ricostruzione effettuata dalle Sezioni Unite citate ha ripercorso l’intera storia della fattispecie, a partire dal Codice Zanardelli del 1889, passando per un’analisi della Relazione al Codice Penale del 1930 e passando in rassegna una vasta raccolta giurisprudenziale, al fine di rispondere al seguente quesito, fra gli altri: se la differenza fra i due reati in esame risieda nell’elemento intenzionale dell’agente ovvero nell’elemento materiale delle condotte.
Tuttavia, si vedrà, la soluzione interpretativa delle Sezioni Unite suscita un’ulteriore domanda, che meriterebbe di essere affrontata e che il presento scritto si propone di affrontare: il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è compatibile con la figura del tentativo?
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1. L’interpretazione della Cassazione
2. Il problema irrisolto: la natura di reato di evento del delitto di ragion fattasi
3. Conclusioni
1. L’interpretazione della Cassazione
La Sentenza sopra citata si è posta al culmine di una questione risalente di decenni e mai completamente risolta.
Alla teoria dell’intenzionalità, la quale valorizza la consapevolezza dell’agente di porre in essere una condotta al fine di ottenere un profitto ingiusto, si è aggiunta una diversa interpretazione che invece valorizzava le modalità concrete della condotta, le quali, se poste in essere oltre un certo limite di ragionevolezza, da accertarsi caso per caso, avrebbero potuto configurare il delitto, molto più grave, di estorsione anche in presenza di una convinzione soggettiva della giustizia della pretesa dell’agente.
D’altro canto la dottrina ha sempre sostenuto la tesi che, rilevante ai fini della configurazione del delitto di ragion fattasi, dovesse essere il fine perseguito dall’agente, con l’unica eccezione rappresentata dal fine ulteriore, ovvero da quella finalità ulteriore, di profitto o di altra utilità, che il reo potrebbe compiere e che, quindi comporterebbe la configurazione dell’estorsione.
La tesi della materialità scontava, difatti, alcune incongruenze.
Basandosi unicamente sull’estrinsecazione della condotta, questa poteva essere ricondotta all’una o all’altra fattispecie solo in base ad una valutazione degli effetti della stessa, configurando estorsione nel solo caso di “costrizione” che comportino un annullamento della capacità volitiva2, in quanto unico parametro aderente al dettato dell’art. 629 c.p., relegando all’esercizio arbitrario delle proprie ragioni le condotte “meramente” persuasive.
In tal caso tuttavia, non si teneva in considerazione che anche l’estorsione può attuarsi con modalità c.d. “larvate”, implicite, indirette e persino indeterminate3; non solo, ma tale ricostruzione non teneva conto del fatto che la costrizione, più che distinguere l’estorsione dal delitto di ragion fattasi, la distingue nettamente dalla rapina vera e propria, ove l’attività di violenza o minaccia, in tal caso, si esclude completamente la volontà dell’agente, tanto che l’agente “s’impossessa” del bene.
In definitiva le Sezioni Unite hanno stabilito il principio di diritto secondo cui i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e l’estorsione si differenziano per il profilo psicologico, nel primo finalizzato alla tutela di un preteso diritto, astrattamente azionabile davanti al Giudice e nella convinzione della ragione nella controversia, mentre nel secondo espressamente ingiusto, quindi anche esorbitante rispetto alle eventuali ragioni giuridiche, caso in cui potrebbe ricadere il terzo estraneo al rapporto che esuli, nella sua condotta, dal fornire un contributo alla pretesa del creditore.
2. Il problema irrisolto: la natura di reato di evento del delitto di ragion fattasi
La soluzione interpretativa poc’anzi prospettata, tuttavia, non giunge ad eliminare tutti i contrasti evidenziabili sulla natura del delitto di cui agli artt. 392 e 393 c.p.
Aver stabilito che tali delitti prevedono un elemento psicologico preciso, ovvero quello di sostituirsi all’Autorità giudiziaria nella tutela di un diritto che si ritiene sia stato leso, significa infondere nella condotta, sia essa violenta o minacciosa, un elemento caratterizzante il quale, una volta concretatosi, rende consumato il reato, con tutte le conseguenze che ne derivano.
La questione non è di poco momento.
La giurisprudenza ha già manifestato in alcune decisioni una certa oscillazione relativamente al momento di consumazione del reato.
È orientamento risalente quello che sostiene la natura di reato di evento che si consuma nel momento in cui lo scopo perseguito dall’agente è realizzato4, con ciò giustificando la configurabilità del tentativo.
D’altro canto, si segnala una sentenza della Suprema Corte che già nel 2007 avvertiva che “il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sia con violenza sulle cose che con violenza alle persone, si consuma nel momento in cui la violenza o la minaccia sono esplicate, senza che rilevi il conseguimento in concreto del fine perseguito”5.
Anche nella dottrina si segnala un certo ondeggiamento, per cui vi sono autori che hanno seguito l’orientamento predominante, ovvero quello secondo il quale si tratterebbe di reato di evento6, mentre altri autori7 hanno seguito l’impostazione della giurisprudenza, comunque al momento minoritaria, secondo la quale il reato sarebbe un reato di mera condotta.
3. Conclusioni
La soluzione ermeneutica a sostegno della natura di reato di evento da parte delle fattispecie di cui agli artt. 392 e 393 c.p. non sembra poter essere condivisa.
In primo luogo occorre stabilire quale sarebbe la condotta incriminata dal Legislatore.
Non può essere condivisa la ricostruzione secondo la quale la dicitura “farsi ragione da sé” sarebbe una formula pleonastica mediante la quale il Legislatore intenderebbe significare il raggiungimento dello scopo da parte dell’agente.
Le ragioni possono essere rinvenute, a dire il vero, proprio nella recentissima Sentenza delle Sezioni Unite analizzata all’inizio del presente scritto, ove a pagina 15 si fa riferimento alle origini della formulazione della disposizione.
Il Legislatore del Codice Zanardelli aveva mutuato la formula, poi a sua volta adottata nel Codice Rocco, dal Codice Toscano del 1853 e nei lavori preparatori alla stesura del Codice la dotta sentenza del 2020 riporta la definizione che più interessa: “quando chi crede di avere una pretesa giuridica sostituisce la sua forza al potere del giudice, si fa ragione da sé medesimo”.
Non ci si troverebbe affatto di fronte ad una frase meramente pleonastica, buona solo per rendere l’idea dell’obiettivo raggiunto, ma la traduzione di ciò che invece è la “sostituzione al potere dello Stato”.
In base a questa definizione della condotta, le attività che corrispondano ad una sostituzione del privato al potere statuale, dovrebbero portare a consumazione il reato, ciò anche in ragione della diversità del bene giuridico tutelato rispetto ai vari delitti “parenti” che sarebbero contenuti in questi altri, ovvero il danneggiamento e la violenza privata.
Infine, e soprattutto, tali reati di ragion fattasi dovrebbero essere configurabili come unisussistenti, in quanto possibile realizzare una minaccia ovvero la violenza con un singolo atto, ed essendo possibile la violenza sulle cose con una sola azione perpetrata sul bene.
Tali argomenti dovrebbero convincere in merito all’impossibilità di legare la consumazione del reato all’evento rappresentato dallo scopo da raggiungere, e di conseguenza, di ammettere in ogni caso il tentativo.
1 Cass. Pen. SS.UU. n. 29541/2020 (ud. 16 luglio 2020)
2 Ex multis Cass. Pen., sez. II, 26608/2019 (ud. 29 maggio 2019)
3 Cass. Pen., sez. V, 41507/2009 (ud. 22 settembre 2009)
4 Cass. Pen.,sez. I, 10100/1974 (ud. 23 gennaio 1974)
5 Cass. Pen., sez. II, 25999/2007 (ud. 2 aprile 2007)
6 Antonio Pagliaro, Trattato di Diritto Penale, p. 224, ricomprende l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose nel genus del danneggiamento, modificato il titolo di reato dal dolo specifico del primo
7 Giulio Basagni, Pareri di diritto Penale 2009
Indice
1. L’interpretazione della Cassazione
2. Il problema irrisolto: la natura di reato di evento del delitto di ragion fattasi
3. Conclusioni
1. L’interpretazione della Cassazione
La Sentenza sopra citata si è posta al culmine di una questione risalente di decenni e mai completamente risolta.
Alla teoria dell’intenzionalità, la quale valorizza la consapevolezza dell’agente di porre in essere una condotta al fine di ottenere un profitto ingiusto, si è aggiunta una diversa interpretazione che invece valorizzava le modalità concrete della condotta, le quali, se poste in essere oltre un certo limite di ragionevolezza, da accertarsi caso per caso, avrebbero potuto configurare il delitto, molto più grave, di estorsione anche in presenza di una convinzione soggettiva della giustizia della pretesa dell’agente.
D’altro canto la dottrina ha sempre sostenuto la tesi che, rilevante ai fini della configurazione del delitto di ragion fattasi, dovesse essere il fine perseguito dall’agente, con l’unica eccezione rappresentata dal fine ulteriore, ovvero da quella finalità ulteriore, di profitto o di altra utilità, che il reo potrebbe compiere e che, quindi comporterebbe la configurazione dell’estorsione.
La tesi della materialità scontava, difatti, alcune incongruenze.
Basandosi unicamente sull’estrinsecazione della condotta, questa poteva essere ricondotta all’una o all’altra fattispecie solo in base ad una valutazione degli effetti della stessa, configurando estorsione nel solo caso di “costrizione” che comportino un annullamento della capacità volitiva2, in quanto unico parametro aderente al dettato dell’art. 629 c.p., relegando all’esercizio arbitrario delle proprie ragioni le condotte “meramente” persuasive.
In tal caso tuttavia, non si teneva in considerazione che anche l’estorsione può attuarsi con modalità c.d. “larvate”, implicite, indirette e persino indeterminate3; non solo, ma tale ricostruzione non teneva conto del fatto che la costrizione, più che distinguere l’estorsione dal delitto di ragion fattasi, la distingue nettamente dalla rapina vera e propria, ove l’attività di violenza o minaccia, in tal caso, si esclude completamente la volontà dell’agente, tanto che l’agente “s’impossessa” del bene.
In definitiva le Sezioni Unite hanno stabilito il principio di diritto secondo cui i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e l’estorsione si differenziano per il profilo psicologico, nel primo finalizzato alla tutela di un preteso diritto, astrattamente azionabile davanti al Giudice e nella convinzione della ragione nella controversia, mentre nel secondo espressamente ingiusto, quindi anche esorbitante rispetto alle eventuali ragioni giuridiche, caso in cui potrebbe ricadere il terzo estraneo al rapporto che esuli, nella sua condotta, dal fornire un contributo alla pretesa del creditore.
2. Il problema irrisolto: la natura di reato di evento del delitto di ragion fattasi
La soluzione interpretativa poc’anzi prospettata, tuttavia, non giunge ad eliminare tutti i contrasti evidenziabili sulla natura del delitto di cui agli artt. 392 e 393 c.p.
Aver stabilito che tali delitti prevedono un elemento psicologico preciso, ovvero quello di sostituirsi all’Autorità giudiziaria nella tutela di un diritto che si ritiene sia stato leso, significa infondere nella condotta, sia essa violenta o minacciosa, un elemento caratterizzante il quale, una volta concretatosi, rende consumato il reato, con tutte le conseguenze che ne derivano.
La questione non è di poco momento.
La giurisprudenza ha già manifestato in alcune decisioni una certa oscillazione relativamente al momento di consumazione del reato.
È orientamento risalente quello che sostiene la natura di reato di evento che si consuma nel momento in cui lo scopo perseguito dall’agente è realizzato4, con ciò giustificando la configurabilità del tentativo.
D’altro canto, si segnala una sentenza della Suprema Corte che già nel 2007 avvertiva che “il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sia con violenza sulle cose che con violenza alle persone, si consuma nel momento in cui la violenza o la minaccia sono esplicate, senza che rilevi il conseguimento in concreto del fine perseguito”5.
Anche nella dottrina si segnala un certo ondeggiamento, per cui vi sono autori che hanno seguito l’orientamento predominante, ovvero quello secondo il quale si tratterebbe di reato di evento6, mentre altri autori7 hanno seguito l’impostazione della giurisprudenza, comunque al momento minoritaria, secondo la quale il reato sarebbe un reato di mera condotta.
3. Conclusioni
La soluzione ermeneutica a sostegno della natura di reato di evento da parte delle fattispecie di cui agli artt. 392 e 393 c.p. non sembra poter essere condivisa.
In primo luogo occorre stabilire quale sarebbe la condotta incriminata dal Legislatore.
Non può essere condivisa la ricostruzione secondo la quale la dicitura “farsi ragione da sé” sarebbe una formula pleonastica mediante la quale il Legislatore intenderebbe significare il raggiungimento dello scopo da parte dell’agente.
Le ragioni possono essere rinvenute, a dire il vero, proprio nella recentissima Sentenza delle Sezioni Unite analizzata all’inizio del presente scritto, ove a pagina 15 si fa riferimento alle origini della formulazione della disposizione.
Il Legislatore del Codice Zanardelli aveva mutuato la formula, poi a sua volta adottata nel Codice Rocco, dal Codice Toscano del 1853 e nei lavori preparatori alla stesura del Codice la dotta sentenza del 2020 riporta la definizione che più interessa: “quando chi crede di avere una pretesa giuridica sostituisce la sua forza al potere del giudice, si fa ragione da sé medesimo”.
Non ci si troverebbe affatto di fronte ad una frase meramente pleonastica, buona solo per rendere l’idea dell’obiettivo raggiunto, ma la traduzione di ciò che invece è la “sostituzione al potere dello Stato”.
In base a questa definizione della condotta, le attività che corrispondano ad una sostituzione del privato al potere statuale, dovrebbero portare a consumazione il reato, ciò anche in ragione della diversità del bene giuridico tutelato rispetto ai vari delitti “parenti” che sarebbero contenuti in questi altri, ovvero il danneggiamento e la violenza privata.
Infine, e soprattutto, tali reati di ragion fattasi dovrebbero essere configurabili come unisussistenti, in quanto possibile realizzare una minaccia ovvero la violenza con un singolo atto, ed essendo possibile la violenza sulle cose con una sola azione perpetrata sul bene.
Tali argomenti dovrebbero convincere in merito all’impossibilità di legare la consumazione del reato all’evento rappresentato dallo scopo da raggiungere, e di conseguenza, di ammettere in ogni caso il tentativo.
1 Cass. Pen. SS.UU. n. 29541/2020 (ud. 16 luglio 2020)
2 Ex multis Cass. Pen., sez. II, 26608/2019 (ud. 29 maggio 2019)
3 Cass. Pen., sez. V, 41507/2009 (ud. 22 settembre 2009)
4 Cass. Pen.,sez. I, 10100/1974 (ud. 23 gennaio 1974)
5 Cass. Pen., sez. II, 25999/2007 (ud. 2 aprile 2007)
6 Antonio Pagliaro, Trattato di Diritto Penale, p. 224, ricomprende l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose nel genus del danneggiamento, modificato il titolo di reato dal dolo specifico del primo
7 Giulio Basagni, Pareri di diritto Penale 2009
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