Indice
1. Introduzione
2. La sentenza Paolini
3. Giurisprudenza successiva
4. L’odierna sentenza delle Sezioni Unite
5. Una lettura critica
1. Introduzione
Con la sentenza n. 3585/2021 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno avuto modo di tornare su un tema molto discusso in dottrina e giurisprudenza: se la recidiva possa essere considerata al pari di ogni altra circostanza aggravante e, nel caso della recidiva qualificata, una circostanza aggravante ad effetto speciale.
La risposta a tale quesito ha importanti conseguenze, tanto sulla disciplina dell’istituto della recidiva, quando addirittura sulla politica criminale di alcune disposizioni. In particolare, la recente modifica dei reati contro il patrimonio ha introdotto la procedibilità d’ufficio per i reati indicati nel nuovo art. 649-bis codice penale in presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale, ovvero quelle circostanze che comportano un aumento della pena superiore ad un terzo.
Si può ben comprendere che, anche in un’ottica di riduzione del carico giudiziario tramite la modifica della procedibilità per determinati reati, la presenza o meno della recidiva fra le cause di procedibilità d’ufficio è un quesito di non poco momento.
2. La sentenza Paolini
La giurisprudenza ha avuto modo di confrontarsi con la questione già nel 1987, con la famosa sentenza Paolini la quale ha avallato un’interpretazione soggettivistica della recidiva, in una lettura molto aderente alla volontà del Legislatore del 1930, secondo il quale la recidiva sarebbe un elemento relativo unicamente alla persona, nulla avendo a che fare con il fatto-reato, per cui non potrebbe rendere, al pari delle altre circostanze, perseguibile d’ufficio un reato quale la truffa aggravata, che già al tempo era costruito con due diversi regimi di procedibilità a seconda della presenza o meno di circostanze ad effetto speciale.
In altre parole, questa interpretazione considera la recidiva una circostanza sui generis, diversa da tutte le altre in quanto non attinente ai fatti, quanto alla personalità e alla vita passata del reo.
La sentenza in commento fornisce una interessante riconstruzione storica delle motivazioni che portarono alla decisione delle Sezioni Unite Paolini, fondate principalmente su un rilievo sistematico, ovvero il posizionamento dell’istituto nel titolo relativo al reo e non al reato, e soprattutto nella decisione del legislatore fascista di escluderlo dal bilanciamento delle circostanze, chiaro segnale di un trattamento differenziato.
Il cambiamento apportato nel 1974 proprio sul bilanciamento delle circostanze, che ha previsto l’introduzione anche delle circostanze inerenti la persona del reo avrebbe dovuto mettere in guardia su un’evoluzione delle vedute da parte del Legislatore, ma ciò è stato semplicemente interpretato appunto dalle Sezioni Unite Paolini come la necessaria risoluzione di un’antinomia del sistema.
3. Giurisprudenza successiva
L’andamento di buona parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione ha mantenuto negli anni successivi l’impostazione della sentenza Paolini, rinnegando di fatto quella che sarebbe la reale portata di un ingresso della recidiva nel novero delle circostanze aggravanti, quindi incidenti sul fatto-reato: il superamento del concetto della recidiva quale status personae desumibile semplicemente da una valutazione del certificato del casellario giudiziario.
Sulla scorta delle decisioni della Corte Costituzionale, tendenti ad una lettura costituzionalmente orientata del Codice Rocco, le Sezioni Unite sono approdate, prima con la sentenza Calibè (2010) e successivamente con la sentenza Indelicato (2011), ad una nuova funzione e interpretazione dell’istituto.
La sentenza Calibè ha finalmente stabilito che il mero riscontro sul certificato del casellario giudiziario della presenza di più fatti-reato non è di per sé sufficiente per integrare la recidiva, ma che occorre una valutazione in concreto del fatto dal quale emerga una condotta particolarmente grave ed una pericolosità del soggetto. L’accertamento della recidiva è, quindi, rimesso ad una valutazione del giudice all’esito del processo, la cui applicazione o esclusione deve entrare nella parte motiva della sentenza.
La sentenza Indelicato procede oltre, affermando che la recidiva è una circostanza certamente ambivalente, ma che senza dubbio, in un sistema costituzionale moderno, non può che avere attinenza con il reato, con ciò essendo richiesto l’accertamento nel caso concreto della sua presenza e, inoltre, ammettendo la recidiva qualificata quale circostanza aggravante ad effetto speciale, in ossequio al “diritto penale del fatto” fondato sula valutazione della condotta.
Ciononostante, ancora nel 2019 (tra le numerose) la sezione V della Corte di Cassazione, Sentenza Cabello, applicava i principi della ormai risalente e superata Sentenza Paolini, che con una certa pervicacia continua a mantenere una certa presa sui giudici del Palazzaccio.
4. L’odierna sentenza delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite Schettino del 2019 hanno ulteriormente chiarito il ruolo della recidiva quale circostanza aggravante al pari delle canoniche.
La questione verteva sull’applicazione delle regole sul bilanciamento di cui già si è accennato: sarebbe possibile affermare che la recidiva, nel caso di sua soccombenza rispetto ad un’altra circostanza, non sarebbe mai stata nemmeno riconosciuta?
La risposta della sentenza Schettino è assolutamente negativa.
Lo strumento del bilanciamento, per avere una sua consistenza logica, prevede che vi siano due elementi da bilanciare; da ciò consegue che, anche nel momento in cui la recidiva dovesse soccombere, ovvero annullarsi con altra circostanza, certamente non si potrà negare che questa sia stata riconosciuta, anche se poi non concretamente applicata.
In buona sostanza, esattamente come accade per tutte le altre circostanza, anche la recidiva, una volta riconosciuta, rientra nel sistema del bilanciamento, al quale può sottrarsi, oltre che nei casi specificati dalla legge, nel solo caso in cui non sia mai stata riconosciuta dal giudice come presente.
Venendo, infine, al nocciolo della questione, non sono mancate critiche alla possibilità che questa concezione della recidiva possa conciliarsi con il regime di procedibilità dei reati.
In particolare si è lamentato il fatto che ci si troverebbe in tali casi, ad una procedibilità solo “provvisoria” suscettibile di crollare a procedimento quasi ultimato, con ciò lamentando, inoltre, la frustrazione delle ragioni deflattive della riforma stessa sulla procedibilità di certi reati.
Infine, e soprattutto a parere dello scrivente, vi sarebbe una differenza non colmabile fra la valutazione alla base della procedibilità, fondata sulla gravità del reato come stabilita dalla legge, e quella della recidiva, del tutto discrezionale e basata sui fatti emersi nel processo.
A tali critiche la Sentenza in commento risponde affermando, da un lato, che la decisione del Legislatore di rendere perseguibili a querela piuttosto che d’ufficio determinati fatti-reato è scelta puramente discrezionale e legata a ragioni di politica criminale, quindi non sindacabili.
In secondo luogo ha fatto notare che in altri ambiti, quali la prescrizione, si è già avuta una disciplina differenziata per i recidivi, e tale decisione non ha comportato altrettante ritrosie da parte della dottrina, sebbene vi siano innegabili similarità nelle motivazioni sottostanti tali scelte.
Inoltre, la provvisorietà della contestazione, nonché la frustrazione delle ragioni deflattive, sono presenti non solo riguardo la recidiva, ma rispetto a tutto l’arco delle circostanze aggravanti in grado di incidere sulla procedibilità, e pertanto la questione, almeno a tal riguardo, può definirsi superata, non foss’altro perché il codice di procedura prevede comunque l’immediata declaratoria di proscioglimento nel caso di un eventuale mutamento della situazione, ai sensi dell’art. 129 c.p.p.
Di conseguenza, le Sezioni Unite concludono affermando il principio di diritto secondo il quale fra le aggravanti ad effetto speciale cui l’art. 649-bis ricollega la procedibilità d’ufficio dei delitti in esso indicati, deve comprendere anche la recidiva qualificata di cui all’art. 99, secondo, terzo e quarto comma c.p.
5. Una lettura critica
La sentenza in commento non supera, a parere dello scrivente, i dubbi relativi alla critica mossa da parte della dottrina sulla differenza incolmabile tra una valutazione della recidiva e la valutazione della procedibilità.
Il semplice richiamo alla Corte Costituzionale, e alla sua indicazione della natura discrezionale della decisione del Legislatore sulle deroghe all’obbligatorietà dell’azione penale, non fa che spostare il problema in capo proprio alle decisioni del Legislatore, che quanto mai si rivelano connotate da un’assoluta vaghezza.
Affermare che le circostanze aggravanti siano decisive rispetto alla procedibilità non può certamente essere criticato da un punto di vista meramente fattuale: è innegabile che determinate circostanze del reato caratterizzino un fatto enormemente più grave della fattispecie non aggravata, tuttavia rimettere l’azione del Pubblico Ministero a parametri discrezionali ed accertabili solo ex post comporta certamente una lesione dell’obbligatorietà della stessa, oltre che dinamiche investigative nel concreto assolutamente schizofreniche; si pensi alla valutazione del danno di rilevante gravità[1], caratterizzato da un’assoluta incertezza e fumosità anche nella sola determinazione, senza poi parlare dei casi in cui, ad una mera denuncia da parte del privato, dovrebbero seguire delle indagini finalizzate specificamente alla conferma “fenomenica” dell’astratta tipizzazione legislativa.
In questo senso non si potrà, né si dovrà anzi, sottrarre la recidiva, la quale non potrà essere unicamente inserita dal Pubblico Ministero quale riscontro di una lettura del certificato del casellario giudiziario, come affermato in apertura, ma dovrà essere corroborata da elementi puntuali sui quali l’Ufficio di Procura dovrà impiegare energie. Ciò deve essere portato anche a seguito di una semplice denuncia, si ripete, perciò a prescindere dalla volontà del privato di voler perseguire il colpevole.
In buona sostanza, almeno in teoria, tale sistema di deflazione, oltre ad essere rischioso per l’obbligatorietà dell’azione penale e per le garanzie dei soggetti coinvolti, è sostanzialmente inutile nella fase delle indagini, a meno di immaginare dinamiche e automatismi degli uffici di Procura che procedano ad una sommaria individuazione delle aggravanti, a scapito ancora delle garanzie dei cittadini.
Ciò che veramente potrebbe ottenere dei risultati deflattivi senza limitare eccessivamente i diritti delle persone sarebbe, come ininterrottamente sostenuto dalla dottrina, una seria politica di depenalizzazione che configuri, una volta per tutte, un diritto penale quale extrema ratio del sistema giudiziario.
[1] C. Iasevoli, La procedibilità a querela: verso una dimensione liquida del diritto postmoderno?, in La Legislazione Penale, 2017, p. 15
Recidiva e circostanze aggravanti: ulteriore conferma dalle Sezioni Unite e problematiche di politica criminale
Indice
1. Introduzione
2. La sentenza Paolini
3. Giurisprudenza successiva
4. L’odierna sentenza delle Sezioni Unite
5. Una lettura critica
1. Introduzione
Con la sentenza n. 3585/2021 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno avuto modo di tornare su un tema molto discusso in dottrina e giurisprudenza: se la recidiva possa essere considerata al pari di ogni altra circostanza aggravante e, nel caso della recidiva qualificata, una circostanza aggravante ad effetto speciale.
La risposta a tale quesito ha importanti conseguenze, tanto sulla disciplina dell’istituto della recidiva, quando addirittura sulla politica criminale di alcune disposizioni. In particolare, la recente modifica dei reati contro il patrimonio ha introdotto la procedibilità d’ufficio per i reati indicati nel nuovo art. 649-bis codice penale in presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale, ovvero quelle circostanze che comportano un aumento della pena superiore ad un terzo.
Si può ben comprendere che, anche in un’ottica di riduzione del carico giudiziario tramite la modifica della procedibilità per determinati reati, la presenza o meno della recidiva fra le cause di procedibilità d’ufficio è un quesito di non poco momento.
2. La sentenza Paolini
La giurisprudenza ha avuto modo di confrontarsi con la questione già nel 1987, con la famosa sentenza Paolini la quale ha avallato un’interpretazione soggettivistica della recidiva, in una lettura molto aderente alla volontà del Legislatore del 1930, secondo il quale la recidiva sarebbe un elemento relativo unicamente alla persona, nulla avendo a che fare con il fatto-reato, per cui non potrebbe rendere, al pari delle altre circostanze, perseguibile d’ufficio un reato quale la truffa aggravata, che già al tempo era costruito con due diversi regimi di procedibilità a seconda della presenza o meno di circostanze ad effetto speciale.
In altre parole, questa interpretazione considera la recidiva una circostanza sui generis, diversa da tutte le altre in quanto non attinente ai fatti, quanto alla personalità e alla vita passata del reo.
La sentenza in commento fornisce una interessante riconstruzione storica delle motivazioni che portarono alla decisione delle Sezioni Unite Paolini, fondate principalmente su un rilievo sistematico, ovvero il posizionamento dell’istituto nel titolo relativo al reo e non al reato, e soprattutto nella decisione del legislatore fascista di escluderlo dal bilanciamento delle circostanze, chiaro segnale di un trattamento differenziato.
Il cambiamento apportato nel 1974 proprio sul bilanciamento delle circostanze, che ha previsto l’introduzione anche delle circostanze inerenti la persona del reo avrebbe dovuto mettere in guardia su un’evoluzione delle vedute da parte del Legislatore, ma ciò è stato semplicemente interpretato appunto dalle Sezioni Unite Paolini come la necessaria risoluzione di un’antinomia del sistema.
3. Giurisprudenza successiva
L’andamento di buona parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione ha mantenuto negli anni successivi l’impostazione della sentenza Paolini, rinnegando di fatto quella che sarebbe la reale portata di un ingresso della recidiva nel novero delle circostanze aggravanti, quindi incidenti sul fatto-reato: il superamento del concetto della recidiva quale status personae desumibile semplicemente da una valutazione del certificato del casellario giudiziario.
Sulla scorta delle decisioni della Corte Costituzionale, tendenti ad una lettura costituzionalmente orientata del Codice Rocco, le Sezioni Unite sono approdate, prima con la sentenza Calibè (2010) e successivamente con la sentenza Indelicato (2011), ad una nuova funzione e interpretazione dell’istituto.
La sentenza Calibè ha finalmente stabilito che il mero riscontro sul certificato del casellario giudiziario della presenza di più fatti-reato non è di per sé sufficiente per integrare la recidiva, ma che occorre una valutazione in concreto del fatto dal quale emerga una condotta particolarmente grave ed una pericolosità del soggetto. L’accertamento della recidiva è, quindi, rimesso ad una valutazione del giudice all’esito del processo, la cui applicazione o esclusione deve entrare nella parte motiva della sentenza.
La sentenza Indelicato procede oltre, affermando che la recidiva è una circostanza certamente ambivalente, ma che senza dubbio, in un sistema costituzionale moderno, non può che avere attinenza con il reato, con ciò essendo richiesto l’accertamento nel caso concreto della sua presenza e, inoltre, ammettendo la recidiva qualificata quale circostanza aggravante ad effetto speciale, in ossequio al “diritto penale del fatto” fondato sula valutazione della condotta.
Ciononostante, ancora nel 2019 (tra le numerose) la sezione V della Corte di Cassazione, Sentenza Cabello, applicava i principi della ormai risalente e superata Sentenza Paolini, che con una certa pervicacia continua a mantenere una certa presa sui giudici del Palazzaccio.
4. L’odierna sentenza delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite Schettino del 2019 hanno ulteriormente chiarito il ruolo della recidiva quale circostanza aggravante al pari delle canoniche.
La questione verteva sull’applicazione delle regole sul bilanciamento di cui già si è accennato: sarebbe possibile affermare che la recidiva, nel caso di sua soccombenza rispetto ad un’altra circostanza, non sarebbe mai stata nemmeno riconosciuta?
La risposta della sentenza Schettino è assolutamente negativa.
Lo strumento del bilanciamento, per avere una sua consistenza logica, prevede che vi siano due elementi da bilanciare; da ciò consegue che, anche nel momento in cui la recidiva dovesse soccombere, ovvero annullarsi con altra circostanza, certamente non si potrà negare che questa sia stata riconosciuta, anche se poi non concretamente applicata.
In buona sostanza, esattamente come accade per tutte le altre circostanza, anche la recidiva, una volta riconosciuta, rientra nel sistema del bilanciamento, al quale può sottrarsi, oltre che nei casi specificati dalla legge, nel solo caso in cui non sia mai stata riconosciuta dal giudice come presente.
Venendo, infine, al nocciolo della questione, non sono mancate critiche alla possibilità che questa concezione della recidiva possa conciliarsi con il regime di procedibilità dei reati.
In particolare si è lamentato il fatto che ci si troverebbe in tali casi, ad una procedibilità solo “provvisoria” suscettibile di crollare a procedimento quasi ultimato, con ciò lamentando, inoltre, la frustrazione delle ragioni deflattive della riforma stessa sulla procedibilità di certi reati.
Infine, e soprattutto a parere dello scrivente, vi sarebbe una differenza non colmabile fra la valutazione alla base della procedibilità, fondata sulla gravità del reato come stabilita dalla legge, e quella della recidiva, del tutto discrezionale e basata sui fatti emersi nel processo.
A tali critiche la Sentenza in commento risponde affermando, da un lato, che la decisione del Legislatore di rendere perseguibili a querela piuttosto che d’ufficio determinati fatti-reato è scelta puramente discrezionale e legata a ragioni di politica criminale, quindi non sindacabili.
In secondo luogo ha fatto notare che in altri ambiti, quali la prescrizione, si è già avuta una disciplina differenziata per i recidivi, e tale decisione non ha comportato altrettante ritrosie da parte della dottrina, sebbene vi siano innegabili similarità nelle motivazioni sottostanti tali scelte.
Inoltre, la provvisorietà della contestazione, nonché la frustrazione delle ragioni deflattive, sono presenti non solo riguardo la recidiva, ma rispetto a tutto l’arco delle circostanze aggravanti in grado di incidere sulla procedibilità, e pertanto la questione, almeno a tal riguardo, può definirsi superata, non foss’altro perché il codice di procedura prevede comunque l’immediata declaratoria di proscioglimento nel caso di un eventuale mutamento della situazione, ai sensi dell’art. 129 c.p.p.
Di conseguenza, le Sezioni Unite concludono affermando il principio di diritto secondo il quale fra le aggravanti ad effetto speciale cui l’art. 649-bis ricollega la procedibilità d’ufficio dei delitti in esso indicati, deve comprendere anche la recidiva qualificata di cui all’art. 99, secondo, terzo e quarto comma c.p.
5. Una lettura critica
La sentenza in commento non supera, a parere dello scrivente, i dubbi relativi alla critica mossa da parte della dottrina sulla differenza incolmabile tra una valutazione della recidiva e la valutazione della procedibilità.
Il semplice richiamo alla Corte Costituzionale, e alla sua indicazione della natura discrezionale della decisione del Legislatore sulle deroghe all’obbligatorietà dell’azione penale, non fa che spostare il problema in capo proprio alle decisioni del Legislatore, che quanto mai si rivelano connotate da un’assoluta vaghezza.
Affermare che le circostanze aggravanti siano decisive rispetto alla procedibilità non può certamente essere criticato da un punto di vista meramente fattuale: è innegabile che determinate circostanze del reato caratterizzino un fatto enormemente più grave della fattispecie non aggravata, tuttavia rimettere l’azione del Pubblico Ministero a parametri discrezionali ed accertabili solo ex post comporta certamente una lesione dell’obbligatorietà della stessa, oltre che dinamiche investigative nel concreto assolutamente schizofreniche; si pensi alla valutazione del danno di rilevante gravità[1], caratterizzato da un’assoluta incertezza e fumosità anche nella sola determinazione, senza poi parlare dei casi in cui, ad una mera denuncia da parte del privato, dovrebbero seguire delle indagini finalizzate specificamente alla conferma “fenomenica” dell’astratta tipizzazione legislativa.
In questo senso non si potrà, né si dovrà anzi, sottrarre la recidiva, la quale non potrà essere unicamente inserita dal Pubblico Ministero quale riscontro di una lettura del certificato del casellario giudiziario, come affermato in apertura, ma dovrà essere corroborata da elementi puntuali sui quali l’Ufficio di Procura dovrà impiegare energie. Ciò deve essere portato anche a seguito di una semplice denuncia, si ripete, perciò a prescindere dalla volontà del privato di voler perseguire il colpevole.
In buona sostanza, almeno in teoria, tale sistema di deflazione, oltre ad essere rischioso per l’obbligatorietà dell’azione penale e per le garanzie dei soggetti coinvolti, è sostanzialmente inutile nella fase delle indagini, a meno di immaginare dinamiche e automatismi degli uffici di Procura che procedano ad una sommaria individuazione delle aggravanti, a scapito ancora delle garanzie dei cittadini.
Ciò che veramente potrebbe ottenere dei risultati deflattivi senza limitare eccessivamente i diritti delle persone sarebbe, come ininterrottamente sostenuto dalla dottrina, una seria politica di depenalizzazione che configuri, una volta per tutte, un diritto penale quale extrema ratio del sistema giudiziario.
[1] C. Iasevoli, La procedibilità a querela: verso una dimensione liquida del diritto postmoderno?, in La Legislazione Penale, 2017, p. 15
Indice
1. Introduzione
2. La sentenza Paolini
3. Giurisprudenza successiva
4. L’odierna sentenza delle Sezioni Unite
5. Una lettura critica
1. Introduzione
Con la sentenza n. 3585/2021 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno avuto modo di tornare su un tema molto discusso in dottrina e giurisprudenza: se la recidiva possa essere considerata al pari di ogni altra circostanza aggravante e, nel caso della recidiva qualificata, una circostanza aggravante ad effetto speciale.
La risposta a tale quesito ha importanti conseguenze, tanto sulla disciplina dell’istituto della recidiva, quando addirittura sulla politica criminale di alcune disposizioni. In particolare, la recente modifica dei reati contro il patrimonio ha introdotto la procedibilità d’ufficio per i reati indicati nel nuovo art. 649-bis codice penale in presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale, ovvero quelle circostanze che comportano un aumento della pena superiore ad un terzo.
Si può ben comprendere che, anche in un’ottica di riduzione del carico giudiziario tramite la modifica della procedibilità per determinati reati, la presenza o meno della recidiva fra le cause di procedibilità d’ufficio è un quesito di non poco momento.
2. La sentenza Paolini
La giurisprudenza ha avuto modo di confrontarsi con la questione già nel 1987, con la famosa sentenza Paolini la quale ha avallato un’interpretazione soggettivistica della recidiva, in una lettura molto aderente alla volontà del Legislatore del 1930, secondo il quale la recidiva sarebbe un elemento relativo unicamente alla persona, nulla avendo a che fare con il fatto-reato, per cui non potrebbe rendere, al pari delle altre circostanze, perseguibile d’ufficio un reato quale la truffa aggravata, che già al tempo era costruito con due diversi regimi di procedibilità a seconda della presenza o meno di circostanze ad effetto speciale.
In altre parole, questa interpretazione considera la recidiva una circostanza sui generis, diversa da tutte le altre in quanto non attinente ai fatti, quanto alla personalità e alla vita passata del reo.
La sentenza in commento fornisce una interessante riconstruzione storica delle motivazioni che portarono alla decisione delle Sezioni Unite Paolini, fondate principalmente su un rilievo sistematico, ovvero il posizionamento dell’istituto nel titolo relativo al reo e non al reato, e soprattutto nella decisione del legislatore fascista di escluderlo dal bilanciamento delle circostanze, chiaro segnale di un trattamento differenziato.
Il cambiamento apportato nel 1974 proprio sul bilanciamento delle circostanze, che ha previsto l’introduzione anche delle circostanze inerenti la persona del reo avrebbe dovuto mettere in guardia su un’evoluzione delle vedute da parte del Legislatore, ma ciò è stato semplicemente interpretato appunto dalle Sezioni Unite Paolini come la necessaria risoluzione di un’antinomia del sistema.
3. Giurisprudenza successiva
L’andamento di buona parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione ha mantenuto negli anni successivi l’impostazione della sentenza Paolini, rinnegando di fatto quella che sarebbe la reale portata di un ingresso della recidiva nel novero delle circostanze aggravanti, quindi incidenti sul fatto-reato: il superamento del concetto della recidiva quale status personae desumibile semplicemente da una valutazione del certificato del casellario giudiziario.
Sulla scorta delle decisioni della Corte Costituzionale, tendenti ad una lettura costituzionalmente orientata del Codice Rocco, le Sezioni Unite sono approdate, prima con la sentenza Calibè (2010) e successivamente con la sentenza Indelicato (2011), ad una nuova funzione e interpretazione dell’istituto.
La sentenza Calibè ha finalmente stabilito che il mero riscontro sul certificato del casellario giudiziario della presenza di più fatti-reato non è di per sé sufficiente per integrare la recidiva, ma che occorre una valutazione in concreto del fatto dal quale emerga una condotta particolarmente grave ed una pericolosità del soggetto. L’accertamento della recidiva è, quindi, rimesso ad una valutazione del giudice all’esito del processo, la cui applicazione o esclusione deve entrare nella parte motiva della sentenza.
La sentenza Indelicato procede oltre, affermando che la recidiva è una circostanza certamente ambivalente, ma che senza dubbio, in un sistema costituzionale moderno, non può che avere attinenza con il reato, con ciò essendo richiesto l’accertamento nel caso concreto della sua presenza e, inoltre, ammettendo la recidiva qualificata quale circostanza aggravante ad effetto speciale, in ossequio al “diritto penale del fatto” fondato sula valutazione della condotta.
Ciononostante, ancora nel 2019 (tra le numerose) la sezione V della Corte di Cassazione, Sentenza Cabello, applicava i principi della ormai risalente e superata Sentenza Paolini, che con una certa pervicacia continua a mantenere una certa presa sui giudici del Palazzaccio.
4. L’odierna sentenza delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite Schettino del 2019 hanno ulteriormente chiarito il ruolo della recidiva quale circostanza aggravante al pari delle canoniche.
La questione verteva sull’applicazione delle regole sul bilanciamento di cui già si è accennato: sarebbe possibile affermare che la recidiva, nel caso di sua soccombenza rispetto ad un’altra circostanza, non sarebbe mai stata nemmeno riconosciuta?
La risposta della sentenza Schettino è assolutamente negativa.
Lo strumento del bilanciamento, per avere una sua consistenza logica, prevede che vi siano due elementi da bilanciare; da ciò consegue che, anche nel momento in cui la recidiva dovesse soccombere, ovvero annullarsi con altra circostanza, certamente non si potrà negare che questa sia stata riconosciuta, anche se poi non concretamente applicata.
In buona sostanza, esattamente come accade per tutte le altre circostanza, anche la recidiva, una volta riconosciuta, rientra nel sistema del bilanciamento, al quale può sottrarsi, oltre che nei casi specificati dalla legge, nel solo caso in cui non sia mai stata riconosciuta dal giudice come presente.
Venendo, infine, al nocciolo della questione, non sono mancate critiche alla possibilità che questa concezione della recidiva possa conciliarsi con il regime di procedibilità dei reati.
In particolare si è lamentato il fatto che ci si troverebbe in tali casi, ad una procedibilità solo “provvisoria” suscettibile di crollare a procedimento quasi ultimato, con ciò lamentando, inoltre, la frustrazione delle ragioni deflattive della riforma stessa sulla procedibilità di certi reati.
Infine, e soprattutto a parere dello scrivente, vi sarebbe una differenza non colmabile fra la valutazione alla base della procedibilità, fondata sulla gravità del reato come stabilita dalla legge, e quella della recidiva, del tutto discrezionale e basata sui fatti emersi nel processo.
A tali critiche la Sentenza in commento risponde affermando, da un lato, che la decisione del Legislatore di rendere perseguibili a querela piuttosto che d’ufficio determinati fatti-reato è scelta puramente discrezionale e legata a ragioni di politica criminale, quindi non sindacabili.
In secondo luogo ha fatto notare che in altri ambiti, quali la prescrizione, si è già avuta una disciplina differenziata per i recidivi, e tale decisione non ha comportato altrettante ritrosie da parte della dottrina, sebbene vi siano innegabili similarità nelle motivazioni sottostanti tali scelte.
Inoltre, la provvisorietà della contestazione, nonché la frustrazione delle ragioni deflattive, sono presenti non solo riguardo la recidiva, ma rispetto a tutto l’arco delle circostanze aggravanti in grado di incidere sulla procedibilità, e pertanto la questione, almeno a tal riguardo, può definirsi superata, non foss’altro perché il codice di procedura prevede comunque l’immediata declaratoria di proscioglimento nel caso di un eventuale mutamento della situazione, ai sensi dell’art. 129 c.p.p.
Di conseguenza, le Sezioni Unite concludono affermando il principio di diritto secondo il quale fra le aggravanti ad effetto speciale cui l’art. 649-bis ricollega la procedibilità d’ufficio dei delitti in esso indicati, deve comprendere anche la recidiva qualificata di cui all’art. 99, secondo, terzo e quarto comma c.p.
5. Una lettura critica
La sentenza in commento non supera, a parere dello scrivente, i dubbi relativi alla critica mossa da parte della dottrina sulla differenza incolmabile tra una valutazione della recidiva e la valutazione della procedibilità.
Il semplice richiamo alla Corte Costituzionale, e alla sua indicazione della natura discrezionale della decisione del Legislatore sulle deroghe all’obbligatorietà dell’azione penale, non fa che spostare il problema in capo proprio alle decisioni del Legislatore, che quanto mai si rivelano connotate da un’assoluta vaghezza.
Affermare che le circostanze aggravanti siano decisive rispetto alla procedibilità non può certamente essere criticato da un punto di vista meramente fattuale: è innegabile che determinate circostanze del reato caratterizzino un fatto enormemente più grave della fattispecie non aggravata, tuttavia rimettere l’azione del Pubblico Ministero a parametri discrezionali ed accertabili solo ex post comporta certamente una lesione dell’obbligatorietà della stessa, oltre che dinamiche investigative nel concreto assolutamente schizofreniche; si pensi alla valutazione del danno di rilevante gravità[1], caratterizzato da un’assoluta incertezza e fumosità anche nella sola determinazione, senza poi parlare dei casi in cui, ad una mera denuncia da parte del privato, dovrebbero seguire delle indagini finalizzate specificamente alla conferma “fenomenica” dell’astratta tipizzazione legislativa.
In questo senso non si potrà, né si dovrà anzi, sottrarre la recidiva, la quale non potrà essere unicamente inserita dal Pubblico Ministero quale riscontro di una lettura del certificato del casellario giudiziario, come affermato in apertura, ma dovrà essere corroborata da elementi puntuali sui quali l’Ufficio di Procura dovrà impiegare energie. Ciò deve essere portato anche a seguito di una semplice denuncia, si ripete, perciò a prescindere dalla volontà del privato di voler perseguire il colpevole.
In buona sostanza, almeno in teoria, tale sistema di deflazione, oltre ad essere rischioso per l’obbligatorietà dell’azione penale e per le garanzie dei soggetti coinvolti, è sostanzialmente inutile nella fase delle indagini, a meno di immaginare dinamiche e automatismi degli uffici di Procura che procedano ad una sommaria individuazione delle aggravanti, a scapito ancora delle garanzie dei cittadini.
Ciò che veramente potrebbe ottenere dei risultati deflattivi senza limitare eccessivamente i diritti delle persone sarebbe, come ininterrottamente sostenuto dalla dottrina, una seria politica di depenalizzazione che configuri, una volta per tutte, un diritto penale quale extrema ratio del sistema giudiziario.
[1] C. Iasevoli, La procedibilità a querela: verso una dimensione liquida del diritto postmoderno?, in La Legislazione Penale, 2017, p. 15
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