Obbligo di motivazione “rafforzata” nella sentenza che dichiara la sussistenza del “reato continuato”

Questa l’indicazione emessa dalla Corte di Cassazione penale a Sezioni uUnite attraverso la sentenza n. 47127/2021.

 

Reato continuato

Quando viene riconosciuta una continuazione tra reati, il giudice penale, nel computare la pena complessiva, oltre a individuare il reato più grave e a indicare la pena di base stabilita per questa fattispecie delittuosa, dovrà anche indicare in maniera analitica la modalità di calcolo per i relativi reati satellite, e fornire, infine, congrua motivazione.
Viene così introdotto un obbligo di motivazione rafforzato, che non può considerarsi limitato al solo caso del reato più grave.
Si ricorda che la ratio del reato continuato è indicata dall’art. 81 del codice penale. La sua principale caratteristica è quella che il compimento dei vari reati sono comunque frutto di un medesimo disegno criminoso. Per l’effetto del primo comma del predetto articolo “È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge”.
Secondo l’interpretazione dei giudici della Suprema Corte, infatti, il reato continuato non costituisce strutturalmente un unico reato. L’unificazione rappresenta piuttosto un scelta legislativa funzionale alla definizione da parte del giudice di un trattamento sanzionatorio più mite rispetto a quanto previsto dal cumulo delle pene. Per tale motivo essa non può spiegare effetto oltre il perimetro espressamente individuato dal legislatore. Per l’effetto di ciò, dal punto di vista della struttura del reato continuato non sussiste alcuna ragione di ridurre l’obbligo motivazionale ritenendolo cogente unicamente per la pena relativa al reato più grave.
La vicenda che portato all’emanazione di questa sentenza ha visto proprio il difetto di motivazione, come unico motivo di impugnazione di una precedente pronuncia emanata dalla Corte di Appello che confermava la condanna già inflitta in primo grado all’imputato.
Sulla base dell’assenza di una motivazione rafforzata, gli ermellini hanno infine disposto l’annullamento della sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello per nuovo giudizio sul punto. Contestualmente ha comunque dichiarato irrevocabile, ai sensi dell’art. 624 del codice di procedura penale, l’affermazione di responsabilità emersa nei gradi precedenti.
Questa sentenza costituisce un precedente importante e che “costringerà” da ora in poi, i giudici delle sezioni penali, a motivare in maniera dettagliata le modalità di calcolo della pena utilizzata qualora si proceda a condanna di un soggetto per reato continuato.

reato continuato

Quando viene riconosciuta una continuazione tra reati, il giudice penale, nel computare la pena complessiva, oltre a individuare il reato più grave e a indicare la pena di base stabilita per questa fattispecie delittuosa, dovrà anche indicare in maniera analitica la modalità di calcolo per i relativi reati satellite, e fornire, infine, congrua motivazione.
Viene così introdotto un obbligo di motivazione rafforzato, che non può considerarsi limitato al solo caso del reato più grave.
Si ricorda che la ratio del reato continuato è indicata dall’art. 81 del codice penale. La sua principale caratteristica è quella che il compimento dei vari reati sono comunque frutto di un medesimo disegno criminoso. Per l’effetto del primo comma del predetto articolo “È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge”.
Secondo l’interpretazione dei giudici della Suprema Corte, infatti, il reato continuato non costituisce strutturalmente un unico reato. L’unificazione rappresenta piuttosto un scelta legislativa funzionale alla definizione da parte del giudice di un trattamento sanzionatorio più mite rispetto a quanto previsto dal cumulo delle pene. Per tale motivo essa non può spiegare effetto oltre il perimetro espressamente individuato dal legislatore. Per l’effetto di ciò, dal punto di vista della struttura del reato continuato non sussiste alcuna ragione di ridurre l’obbligo motivazionale ritenendolo cogente unicamente per la pena relativa al reato più grave.
La vicenda che portato all’emanazione di questa sentenza ha visto proprio il difetto di motivazione, come unico motivo di impugnazione di una precedente pronuncia emanata dalla Corte di Appello che confermava la condanna già inflitta in primo grado all’imputato.
Sulla base dell’assenza di una motivazione rafforzata, gli ermellini hanno infine disposto l’annullamento della sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello per nuovo giudizio sul punto. Contestualmente ha comunque dichiarato irrevocabile, ai sensi dell’art. 624 del codice di procedura penale, l’affermazione di responsabilità emersa nei gradi precedenti.
Questa sentenza costituisce un precedente importante e che “costringerà” da ora in poi, i giudici delle sezioni penali, a motivare in maniera dettagliata le modalità di calcolo della pena utilizzata qualora si proceda a condanna di un soggetto per reato continuato.