Il giudicato progressivo: la posizione delle Sezioni Unite dopo la sentenza n. 3423 del 27 gennaio 2021

La Suprema Corte, con la sentenza n. 3423/2021 esprime il principio di diritto secondo cui “in caso di annullamento parziale (art. 624 c.p.p.), è eseguibile la pena principale irrogata in relazione a un capo (o a più capi) non in connessione essenziale con quelli attinti dall’annullamento parziale per il quale abbiano acquisito autorità di cosa giudicata l’affermazione di responsabilità, anche in relazione alle circostanze del reato, e la determinazione della pena principale, essendo questa immodificabile nel giudizio di rinvio e individuata alla stregua delle sentenze pronunciate in sede di cognizione. La Corte di Cassazione, con la sentenza rescindente o con l’ordinanza di cui all’art. 624, comma 2 c.p.p., può solo dichiarare, quando occorre, quali parti della sentenza parzialmente annullata sono diventate irrevocabili.

Giudicato progressivo

Indice:

1. La vicenda
2. Il quadro giurisprudenziale
3. La posizione delle Sezioni Unite
4. Considerazioni finali

1. La vicenda

La pronuncia delle Sezioni Unite prende vita da un ordine di esecuzione della Procura Generale presso la Corte d’Appello di Lecce. La Corte distrettuale, in ossequio al dettato codicistico dell’art. 656 c.p.p., aveva disposto l’esecutività della sentenza in ordine alla pena minima inderogabile per i capi oggetto della sentenza e non sottoposti ad annullamento. Infatti, i difensori dell’imputato avevano proposto ricorso per Cassazione, la quale aveva disposto l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza in merito all’esclusiva sussistenza dell’aggravante del comma 4 ex art. 74 D.P.R. 309/1990 ed alla qualificazione giuridica ai sensi dell’art. 73 comma 5 del citato Testo Unico.
Tale impostazione non era condivisa dalla difesa che proponeva nuovo ricorso in Cassazione ritenendo che, il rinvio operato dalla Suprema Corte, non potesse costituire giudicato in ordine all’individuazione di una pena certa soprattutto in relazione alla contestazione della circostanza aggravante.
La Prima sezione penale rimetteva la questione alle Sezioni Unite rilevando un contrasto di vedute in ordine alle questioni connesse alla formazione del c.d. “giudicato progressivo”.

2. Il quadro giurisprudenziale

Innanzitutto, La Corte riflette sul dettato normativo dell’art. 624 c.p.p. e sull’accezione in cui l’articolo intende l’espressione “parti”. La norma, infatti, dispone il passaggio in giudicato di tutte le parti della sentenza che non abbiano connessione con la pronuncia di annullamento o non ne costituiscano oggetto.
La questione investe il concetto di capo e punto di una sentenza che sono intese, rispettivamente, come la confluenza di più azioni penali, riferiti ad una singola imputazione nel medesimo processo, e come statuizioni indispensabili per l’accertamento del giudizio su ciascun capo, ovvero su ciascun reato contestato. Tutto ciò, ovviamente, letto in considerazione dell’effetto devolutivo dello strumento di impugnazione e al principio di disponibilità del processo di impugnazione. Il significato di “parte” della sentenza non coincide, dunque, con la nozione di capo ma ha ad oggetto anche i punti che lo costituiscono[1].
La stessa Corte ha poi rilevato che vi è una sostanziale distinzione fra irrevocabilità della sentenza ed eseguibilità che presume un titolo esecutivo e la possibilità materiale di eseguire le disposizioni della sentenza. Ciò posto, pur se l’irrevocabilità può riguardare anche solo statuizioni singole quali i punti, non può dirsi esecutivo il relativo capo. Già in passato, la Corte dichiarava legittima la sola esecuzione dei capi “non ulteriormente modificabili[2].
La questione, a questo punto, assume i tratti del rapporto fra i concetti inerenti ai capi ed ai punti con quello di giudicato. L’irrevocabilità può dirsi intervenuta sulla responsabilità ascrivibile all’imputato ma, qualora questa manchi della determinazione in punto di pena, non è considerabile titolo esecutivo in ordine al decisium.
Anche la Corte Costituzionale, con l’ordinanza 367/1996, rimarca come il giudicato non sia espressione riconducibile all’idoneità all’esecuzione della decisione ed in modo particolare, statuendo come non si possa parlare di passaggio in giudicato qualora sia accertata la sola responsabilità ma non sia applicabile la pena relativa.
Il primo filone giurisprudenziale creatosi sulla scorta delle predette precisazioni, si sostanzia essenzialmente dei seguenti principi. Innanzitutto, per eseguire una decisone sulla base della formazione del giudicato parziale ex art. 624 c.p.p., occorre che sia possibile stabilire un’autonomia del capo (escludendo quindi le ipotesi ex art. 81 c.p.) e dunque sia suscettibile di una pena immodificabile. È necessario, se non altro, individuare una pena minima applicabile che, anche in presenza del rinvio, dovrà comunque essere irrogata e non travolta dal rinvio operato.
La seconda impostazione della Cassazione, invece, risulta favorevole anche alla formazione del giudicato parziale in relazione al capo contenente un punto oggetto di rinvio quale, ad esempio, una circostanza. In tal caso la pena minima è ritenuta a prescindere dal capo investito o meno nel rinvio ma ipotizzabile dal computo ipotetico desumibile dalla irrevocabile statuizione di responsabilità.

3. La posizione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite abbracciano il primo orientamento. La pena, dunque, in caso di annullamento parziale da parte della Cassazione è suscettibile di esecuzione solo per quei capi in cui siano passate in giudicato sia l’affermazione di responsabilità sia la questione inerente le circostanze del reato ed essendo, la stessa, affermata in termini di completezza e certezza. Questo in riferimento, rispettivamente, alla insensibilità delle statuizioni rispetto alle nuove decisioni di competenza del giudice del rinvio ed alla certezza del trattamento sanzionatorio. Tutto ciò, peraltro, non deve porsi in connessione essenziale con i capi investiti dal rinvio. In sostanza, per il passaggio in giudicato di un capo devono essere passati in giudicato tutti i punti che lo compongono.

4. Considerazioni finali

Le Sezioni Unite nella pronuncia in commento affidano al giudicato progressivo una definitività che tiene conto del distinguo fra esaurimento del giudizio, in ordine a determinati capi e punti, ed eseguibilità posta alla base di una pretesa punitiva dello Stato fondata sulla sentenza quale titolo esecutivo.
Ciò, però, non si esaurisce nel formalismo enucleato dalla giurisprudenza di legittimità ma risponde anche al dettato costituzionale degli artt. 27 e 111 in ordine alla questione di presunzione di innocenza. Tale presunzione non rende eseguibile una sentenza e, inoltre, muta il regime anche delle scadenze inerenti i c.d. termini di fase.
La Corte Costituzionale, già con l’ordinanza n. 397/2000 confermata dalla sentenza n. 299/2005, ha tracciato una applicazione rigida dell’art. 13 Cost. soprattutto in riferimento all’attuazione del “massimo dei massimi” ossia il termine finale non valicabile inerente la misura cautelare. Il passaggio da imputato sottoposto a misura a condannato e quindi detenuto vive anche della certezza in punto di pena di cui parlano gli ermellini, proprio per evitare di sottrarsi alla disciplina relativa ai termini cautelari che, inevitabilmente, si ripercuoterebbe in una violazione costituzionale. Tutto questo, ovviamente, inerisce caratteri che esulano dalla semplice responsabilità e dell’accertamento del fatto costitutivo del reato ma coinvolgono anche circostanze capaci di determinare scostamenti anche significativi di pena.


[1] Principio statuito e ripreso dalle Sezioni Unite “Tuzzolino”, n. 1 del 19 gennaio 2000.
[2] Cassazione Sezioni Unite, 9 Ottobre 1996, n. 20

giudicato progressivo

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1. La vicenda
2. Il quadro giurisprudenziale
3. La posizione delle Sezioni Unite
4. Considerazioni finali

1. La vicenda

La pronuncia delle Sezioni Unite prende vita da un ordine di esecuzione della Procura Generale presso la Corte d’Appello di Lecce. La Corte distrettuale, in ossequio al dettato codicistico dell’art. 656 c.p.p., aveva disposto l’esecutività della sentenza in ordine alla pena minima inderogabile per i capi oggetto della sentenza e non sottoposti ad annullamento. Infatti, i difensori dell’imputato avevano proposto ricorso per Cassazione, la quale aveva disposto l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza in merito all’esclusiva sussistenza dell’aggravante del comma 4 ex art. 74 D.P.R. 309/1990 ed alla qualificazione giuridica ai sensi dell’art. 73 comma 5 del citato Testo Unico.
Tale impostazione non era condivisa dalla difesa che proponeva nuovo ricorso in Cassazione ritenendo che, il rinvio operato dalla Suprema Corte, non potesse costituire giudicato in ordine all’individuazione di una pena certa soprattutto in relazione alla contestazione della circostanza aggravante.
La Prima sezione penale rimetteva la questione alle Sezioni Unite rilevando un contrasto di vedute in ordine alle questioni connesse alla formazione del c.d. “giudicato progressivo”.

2. Il quadro giurisprudenziale

Innanzitutto, La Corte riflette sul dettato normativo dell’art. 624 c.p.p. e sull’accezione in cui l’articolo intende l’espressione “parti”. La norma, infatti, dispone il passaggio in giudicato di tutte le parti della sentenza che non abbiano connessione con la pronuncia di annullamento o non ne costituiscano oggetto.
La questione investe il concetto di capo e punto di una sentenza che sono intese, rispettivamente, come la confluenza di più azioni penali, riferiti ad una singola imputazione nel medesimo processo, e come statuizioni indispensabili per l’accertamento del giudizio su ciascun capo, ovvero su ciascun reato contestato. Tutto ciò, ovviamente, letto in considerazione dell’effetto devolutivo dello strumento di impugnazione e al principio di disponibilità del processo di impugnazione. Il significato di “parte” della sentenza non coincide, dunque, con la nozione di capo ma ha ad oggetto anche i punti che lo costituiscono[1].
La stessa Corte ha poi rilevato che vi è una sostanziale distinzione fra irrevocabilità della sentenza ed eseguibilità che presume un titolo esecutivo e la possibilità materiale di eseguire le disposizioni della sentenza. Ciò posto, pur se l’irrevocabilità può riguardare anche solo statuizioni singole quali i punti, non può dirsi esecutivo il relativo capo. Già in passato, la Corte dichiarava legittima la sola esecuzione dei capi “non ulteriormente modificabili[2].
La questione, a questo punto, assume i tratti del rapporto fra i concetti inerenti ai capi ed ai punti con quello di giudicato. L’irrevocabilità può dirsi intervenuta sulla responsabilità ascrivibile all’imputato ma, qualora questa manchi della determinazione in punto di pena, non è considerabile titolo esecutivo in ordine al decisium.
Anche la Corte Costituzionale, con l’ordinanza 367/1996, rimarca come il giudicato non sia espressione riconducibile all’idoneità all’esecuzione della decisione ed in modo particolare, statuendo come non si possa parlare di passaggio in giudicato qualora sia accertata la sola responsabilità ma non sia applicabile la pena relativa.
Il primo filone giurisprudenziale creatosi sulla scorta delle predette precisazioni, si sostanzia essenzialmente dei seguenti principi. Innanzitutto, per eseguire una decisone sulla base della formazione del giudicato parziale ex art. 624 c.p.p., occorre che sia possibile stabilire un’autonomia del capo (escludendo quindi le ipotesi ex art. 81 c.p.) e dunque sia suscettibile di una pena immodificabile. È necessario, se non altro, individuare una pena minima applicabile che, anche in presenza del rinvio, dovrà comunque essere irrogata e non travolta dal rinvio operato.
La seconda impostazione della Cassazione, invece, risulta favorevole anche alla formazione del giudicato parziale in relazione al capo contenente un punto oggetto di rinvio quale, ad esempio, una circostanza. In tal caso la pena minima è ritenuta a prescindere dal capo investito o meno nel rinvio ma ipotizzabile dal computo ipotetico desumibile dalla irrevocabile statuizione di responsabilità.

3. La posizione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite abbracciano il primo orientamento. La pena, dunque, in caso di annullamento parziale da parte della Cassazione è suscettibile di esecuzione solo per quei capi in cui siano passate in giudicato sia l’affermazione di responsabilità sia la questione inerente le circostanze del reato ed essendo, la stessa, affermata in termini di completezza e certezza. Questo in riferimento, rispettivamente, alla insensibilità delle statuizioni rispetto alle nuove decisioni di competenza del giudice del rinvio ed alla certezza del trattamento sanzionatorio. Tutto ciò, peraltro, non deve porsi in connessione essenziale con i capi investiti dal rinvio. In sostanza, per il passaggio in giudicato di un capo devono essere passati in giudicato tutti i punti che lo compongono.

4. Considerazioni finali

Le Sezioni Unite nella pronuncia in commento affidano al giudicato progressivo una definitività che tiene conto del distinguo fra esaurimento del giudizio, in ordine a determinati capi e punti, ed eseguibilità posta alla base di una pretesa punitiva dello Stato fondata sulla sentenza quale titolo esecutivo.
Ciò, però, non si esaurisce nel formalismo enucleato dalla giurisprudenza di legittimità ma risponde anche al dettato costituzionale degli artt. 27 e 111 in ordine alla questione di presunzione di innocenza. Tale presunzione non rende eseguibile una sentenza e, inoltre, muta il regime anche delle scadenze inerenti i c.d. termini di fase.
La Corte Costituzionale, già con l’ordinanza n. 397/2000 confermata dalla sentenza n. 299/2005, ha tracciato una applicazione rigida dell’art. 13 Cost. soprattutto in riferimento all’attuazione del “massimo dei massimi” ossia il termine finale non valicabile inerente la misura cautelare. Il passaggio da imputato sottoposto a misura a condannato e quindi detenuto vive anche della certezza in punto di pena di cui parlano gli ermellini, proprio per evitare di sottrarsi alla disciplina relativa ai termini cautelari che, inevitabilmente, si ripercuoterebbe in una violazione costituzionale. Tutto questo, ovviamente, inerisce caratteri che esulano dalla semplice responsabilità e dell’accertamento del fatto costitutivo del reato ma coinvolgono anche circostanze capaci di determinare scostamenti anche significativi di pena.


[1] Principio statuito e ripreso dalle Sezioni Unite “Tuzzolino”, n. 1 del 19 gennaio 2000.
[2] Cassazione Sezioni Unite, 9 Ottobre 1996, n. 20