Sequestro probatorio illegittimo se il fumus commissi delicti è … fumoso. (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 36929 del 22.12.2020).

Con la pronuncia in commento, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione è intervenuta in merito ad un sequestro probatorio eseguito nei confronti dell’indagato per la fattispecie di manovre speculative su merci (art. 501 bis c.p.), per avere posto in commercio, tramite piattaforma online, mascherine anti Covid-19 con un rincaro del 350%.

Sequestro probatorio

In disparte l’attualità connaturata all’oggetto di sequestro, la pronuncia risulta di particolare di interesse perché ha costituito l’occasione per il Supremo Collegio per una attenta disamina della natura e degli elementi costitutivi della fattispecie in parola.
Ad avviso della Corte si tratta di un reato proprio, posto che, pur a dispetto della possibile attribuzione della condotta delittuosa a “chiunque”, questa, per come successivamente specificato nella disposizione incriminatrice, deve essere stata attuata da un soggetto che abbia operato nell’esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale.
Il tenore letterale della norma attraverso l’uso del sostantivo “esercizio” (espressione che nel suo significato richiama una condotta di tipo sistematico o, comunque, metodicamente ripetuta), appare riferirsi non allo svolgimento del tutto occasionale ed estemporaneo dell’attività in discorso, quanto al fatto che questa sia praticata da parte di chi ad essa sia addetto con una tendenziale stabilità.
Si è, pertanto, secondo la Corte di Cassazione, al cospetto di un reato proprio, che, come tale, potrà essere commesso solo da chi rivesta, dal punto di vista operativo, la qualifica soggettiva di esercente un’attività produttiva ovvero commerciale avente oggetto determinati beni o servizi.
La condotta tipica, secondo l’ordinanza in commento, può manifestarsi sotto due forme, rispettivamente disciplinate nel primo e nel secondo comma dell’art. 501 bis c.p. (si parla, in tal senso, di norma a più fattispecie).
Ee infatti, viene punito sia chi realizza manovre speculative, ovvero occulta, accaparra materia prime, generi alimentari di largo consumo o prodotti di prima necessità in modo atto a determinarne il rincaro sul mercato interno, sia chi, consapevole della esistenza delle condizioni di rincaro sul mercato interno dei prodotti di cui al comma 1, ne sottragga rilevanti quantità al potenziale consumo.
La Corte di Cassazione ha precisato come la fattispecie di cui al primo comma abbia natura di reato di pericolo concreto, atteso che “la locuzione ‘atta a determinare…’ evidenzia chiaramente la mera attitudine di una determinata condotta alla produzione di un effetto, ma non impone anche, ai fini della integrazione del reato, che questo si sia realizzato”.
Di contro, secondo l’arresto di legittimità in parola, il secondo comma configura una fattispecie di pura condotta in quanto, “presupposta la situazione di ‘crisi del mercato’, il reato è perfezionato sulla base della semplice sottrazione, all’utilizzazione od al consumo di rilevanti quantità di un determinato prodotto, in relazione al quale si era manifestata rarefazione o rincaro sul mercato”.
In particolare, si è ritenuto che i concetti di occultamento, accaparramento ed incetta, corrispondendo a fenomeni naturalistici, sono facilmente identificabili nella condotta di chi – avendoli prodotti – sottragga, tenendoli nascosti e negandone la disponibilità, al mercato determinati beni ovvero li accumuli, acquisendoli presso altri soggetti, in misura ampiamente superiore ai propri bisogni imprenditoriali.
Meno agevole la concretizzazione della formula compie manovre speculative”, dovendosi ritenere che l’espressione valga a descrivere la condotta di chi intenda – peraltro attraverso il compimento di azioni per lo più riconducibili, appunto, all’occultamento, l’accaparramento o l’incetta – conseguire un guadagno parassitario mediante lo stravolgimento consapevole e voluto del bilanciamento fra la domanda e l’offerta di un bene avente le caratteristiche descritte dalla norma incriminatrice, onde alternarne il prezzo in danno dell’utente.
Avuto riguardo all’oggetto materiale della condotta, la Suprema Corte rileva che condicio sine qua non perché venga integrato il reato è che le merci siano materie prime ovvero generi alimentari di largo consumo (“beni questi che, per lunga tradizione storica, in caso di crisi, sono i primi in relazione ai quali si dubita del corretto funzionamento del mercato; basti, al proposito, rileggere le prime pagine del Capitolo XII de “I promessi sposi” laddove si rileva come, in caso di penuria di disponibilità, i generi alimentari siano immediatamente soggetti a tensioni economiche) o i “prodotti di prima necessità”, dovendosi per tali intendere quelle merci, di vario genere, la cui disponibilità è indispensabile per lo svolgimento di una vita libera e dignitosa”.
In relazione alla fattispecie di cui al primo comma, l’evento da cui dipende l’esistenza del reato è identificabile nella potenziale rarefazione o rincaro sul mercato interno delle merci oggetto di intento speculativo.
È chiaro come il rincaro o la rarefazione debbono assumere della forme, per intensità e durata, di assoluta eccezionalità: diversamente opinando, invero, qualunque contingente penuria di merci potrebbe costituire condotta penalmente irrilevante in tale prospettiva.
La diffusa influenza del fenomeno sull’andamento dei prezzi – soprattutto dei quelli al consumo – deve essere, infatti, tale da comportare un serio pericolo non soltanto in un contesto geografico limitato, bensì su una area territoriale nazionale, così da potere incidere in malus sulla economia pubblica generale.
Nella soluzione del caso concreto, i Supremi Giudici, hanno ravvisato la certa attribuibilità all’indagato della qualifica soggettiva necessaria ai fini della integrazione del reato, svolgendo egli un’attività di carattere imprenditoriale avente anche lo scopo di produrre le mascherine filtranti (ascrivibili in questa fase storica alla categoria dei prodotti di prima necessità) di cui al capo di imputazione provvisorio.
Tuttavia, è stato escluso che la condotta contestata al ricorrente potesse essere idonea a determinare un generalizzato rincaro dei prezzi nella prospettiva sopra delineata.
Ed infatti, la modestia della struttura imprenditoriale a disposizione con l’esiguità delle scorte sequestrate e con l’unicità del macchinario utilizzato nella catena produttiva, secondo la Corte di Cassazione, rende del tutto improbabile la possibilità che la condotta posta in essere sia atta ad offendere il bene giuridico tutelato dall’art. 501 bis c.p., id est l’ordine economico nazionale.
Sulla scorta di queste motivazioni, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza emessa dal Tribunale di Vicenza.

sequestro probatorio

In disparte l’attualità connaturata all’oggetto di sequestro, la pronuncia risulta di particolare di interesse perché ha costituito l’occasione per il Supremo Collegio per una attenta disamina della natura e degli elementi costitutivi della fattispecie in parola.
Ad avviso della Corte si tratta di un reato proprio, posto che, pur a dispetto della possibile attribuzione della condotta delittuosa a “chiunque”, questa, per come successivamente specificato nella disposizione incriminatrice, deve essere stata attuata da un soggetto che abbia operato nell’esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale.
Il tenore letterale della norma attraverso l’uso del sostantivo “esercizio” (espressione che nel suo significato richiama una condotta di tipo sistematico o, comunque, metodicamente ripetuta), appare riferirsi non allo svolgimento del tutto occasionale ed estemporaneo dell’attività in discorso, quanto al fatto che questa sia praticata da parte di chi ad essa sia addetto con una tendenziale stabilità.
Si è, pertanto, secondo la Corte di Cassazione, al cospetto di un reato proprio, che, come tale, potrà essere commesso solo da chi rivesta, dal punto di vista operativo, la qualifica soggettiva di esercente un’attività produttiva ovvero commerciale avente oggetto determinati beni o servizi.
La condotta tipica, secondo l’ordinanza in commento, può manifestarsi sotto due forme, rispettivamente disciplinate nel primo e nel secondo comma dell’art. 501 bis c.p. (si parla, in tal senso, di norma a più fattispecie).
Ee infatti, viene punito sia chi realizza manovre speculative, ovvero occulta, accaparra materia prime, generi alimentari di largo consumo o prodotti di prima necessità in modo atto a determinarne il rincaro sul mercato interno, sia chi, consapevole della esistenza delle condizioni di rincaro sul mercato interno dei prodotti di cui al comma 1, ne sottragga rilevanti quantità al potenziale consumo.
La Corte di Cassazione ha precisato come la fattispecie di cui al primo comma abbia natura di reato di pericolo concreto, atteso che “la locuzione ‘atta a determinare…’ evidenzia chiaramente la mera attitudine di una determinata condotta alla produzione di un effetto, ma non impone anche, ai fini della integrazione del reato, che questo si sia realizzato”.
Di contro, secondo l’arresto di legittimità in parola, il secondo comma configura una fattispecie di pura condotta in quanto, “presupposta la situazione di ‘crisi del mercato’, il reato è perfezionato sulla base della semplice sottrazione, all’utilizzazione od al consumo di rilevanti quantità di un determinato prodotto, in relazione al quale si era manifestata rarefazione o rincaro sul mercato”.
In particolare, si è ritenuto che i concetti di occultamento, accaparramento ed incetta, corrispondendo a fenomeni naturalistici, sono facilmente identificabili nella condotta di chi – avendoli prodotti – sottragga, tenendoli nascosti e negandone la disponibilità, al mercato determinati beni ovvero li accumuli, acquisendoli presso altri soggetti, in misura ampiamente superiore ai propri bisogni imprenditoriali.
Meno agevole la concretizzazione della formula compie manovre speculative”, dovendosi ritenere che l’espressione valga a descrivere la condotta di chi intenda – peraltro attraverso il compimento di azioni per lo più riconducibili, appunto, all’occultamento, l’accaparramento o l’incetta – conseguire un guadagno parassitario mediante lo stravolgimento consapevole e voluto del bilanciamento fra la domanda e l’offerta di un bene avente le caratteristiche descritte dalla norma incriminatrice, onde alternarne il prezzo in danno dell’utente.
Avuto riguardo all’oggetto materiale della condotta, la Suprema Corte rileva che condicio sine qua non perché venga integrato il reato è che le merci siano materie prime ovvero generi alimentari di largo consumo (“beni questi che, per lunga tradizione storica, in caso di crisi, sono i primi in relazione ai quali si dubita del corretto funzionamento del mercato; basti, al proposito, rileggere le prime pagine del Capitolo XII de “I promessi sposi” laddove si rileva come, in caso di penuria di disponibilità, i generi alimentari siano immediatamente soggetti a tensioni economiche) o i “prodotti di prima necessità”, dovendosi per tali intendere quelle merci, di vario genere, la cui disponibilità è indispensabile per lo svolgimento di una vita libera e dignitosa”.
In relazione alla fattispecie di cui al primo comma, l’evento da cui dipende l’esistenza del reato è identificabile nella potenziale rarefazione o rincaro sul mercato interno delle merci oggetto di intento speculativo.
È chiaro come il rincaro o la rarefazione debbono assumere della forme, per intensità e durata, di assoluta eccezionalità: diversamente opinando, invero, qualunque contingente penuria di merci potrebbe costituire condotta penalmente irrilevante in tale prospettiva.
La diffusa influenza del fenomeno sull’andamento dei prezzi – soprattutto dei quelli al consumo – deve essere, infatti, tale da comportare un serio pericolo non soltanto in un contesto geografico limitato, bensì su una area territoriale nazionale, così da potere incidere in malus sulla economia pubblica generale.
Nella soluzione del caso concreto, i Supremi Giudici, hanno ravvisato la certa attribuibilità all’indagato della qualifica soggettiva necessaria ai fini della integrazione del reato, svolgendo egli un’attività di carattere imprenditoriale avente anche lo scopo di produrre le mascherine filtranti (ascrivibili in questa fase storica alla categoria dei prodotti di prima necessità) di cui al capo di imputazione provvisorio.
Tuttavia, è stato escluso che la condotta contestata al ricorrente potesse essere idonea a determinare un generalizzato rincaro dei prezzi nella prospettiva sopra delineata.
Ed infatti, la modestia della struttura imprenditoriale a disposizione con l’esiguità delle scorte sequestrate e con l’unicità del macchinario utilizzato nella catena produttiva, secondo la Corte di Cassazione, rende del tutto improbabile la possibilità che la condotta posta in essere sia atta ad offendere il bene giuridico tutelato dall’art. 501 bis c.p., id est l’ordine economico nazionale.
Sulla scorta di queste motivazioni, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza emessa dal Tribunale di Vicenza.