Indice
1. Brevi cenni sul reato di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale
2. La questione circa la procedibilità alla luce della sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 24141 del 07/02/2019
1. Brevi cenni sul reato di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale
Il reato, di cui all’art. 517-ter c.p., è posto a tutela dell’economia pubblica, dell’industria e del commercio.
La norma in esame, in realtà, disciplina due distinte fattispecie: al primo comma è punito colui che, sotto il profilo materiale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando[1] un titolo di proprietà industriale; il secondo comma, invece, sanziona l’introduzione nello Stato, la detenzione per la vendita, o comunque il porre in vendita con offerta diretta ai consumatori i predetti beni[2].
Tuttavia, entrambe le fattispecie richiedono come presupposto che il soggetto possa conoscere l’esistenza del titolo di proprietà; entrambe operano sussidiariamente quando il caso concreto non configuri i reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p. (si tratta di fattispecie che individuano l’oggetto del reato nel marchio[3], in altri segni distintivi, brevetti, modelli e disegni); ulteriore elemento comune fra le due ipotesi delittuose menzionate è ravvisabile nel trattamento sanzionatorio, in quanto il secondo comma rinvia al primo quoad poenam[4].
Diversamente, le due fattispecie si distinguono sotto il profilo soggettivo: ai fini della sussistenza del delitto di cui al primo comma è sufficiente il dolo generico, mentre il secondo comma richiede “il fine di trarre profitto”.
2. La questione circa la procedibilità alla luce della sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 24141 del 07/02/2019.
Le due fattispecie, inoltre, si distinguono per il differente regime di procedibilità.
Il primo comma dell’art. 517-ter c.p. subordina la procedibilità alla presentazione della querela della parte offesa. La condizione di procedibilità, quindi, è resa esplicita dallo stesso comma, mentre un’analoga specificazione è assente nel comma successivo.
Stante, però, il rinvio del secondo comma al trattamento sanzionatorio previsto al comma precedente, si è posta la questione se tale rinvio fosse estendibile anche al regime di procedibilità.
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24141/2019, è intervenuta sul punto rispondendo negativamente. In primo luogo, la Corte ha evidenziato che, nonostante i reati in esame siano modellati sulla falsariga dei reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p.[5], nessuno di essi preveda ipotesi a procedibilità a querela.
Altresì, in ordine al regime di procedibilità vige la regola di cui al secondo comma dell’art. 50 c.p.p. che stabilisce la procedibilità d’ufficio quando non è necessaria la querela, l’istanza o l’autorizzazione a procedere.
Infine, la Corte conclude il proprio ragionamento rilevando che la previsione del regime di procedibilità a querela non è menzionata alla fine dell’art. 517-ter c.p. e, pertanto, debba essere interpretata come l’intenzione del Legislatore di circoscrivere tale procedibilità solo all’ipotesi del primo comma, nella quale sono sanzionate le condotte – fabbricazione o uso industriale – riferibili al momento genetico dell’usurpazione e non alla commercializzazione che si inserisce in una fase successiva.
Per quanto il ragionamento della Suprema Corte della Cassazione sia ancorato a presupposti e riferimenti normativi idonei a sostenere tale conclusione, non è esente da altrettante perplessità: in primo luogo, occorre precisare che i delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p. sono collocati fra i delitti contro la pubblica fede – e non tutelano quindi il singolo consumatore, ma l’intera comunità dei consociati; presentano natura plurioffensiva e sono delitti di pericolo. Tutti aspetti che rendono maggiormente comprensibile l’esigenza di procedere d’ufficio.
In secondo luogo, il ragionamento della Corte non fa alcun riferimento ad indici di maggior o minor offensività delle condotte: stante il comune bene giuridico, un diverso regime di procedibilità potrebbe esser giustificato dal considerare maggiormente offensivo introdurre nel territorio dello Stato, o detenere per la vendita o porre in vendita i titoli di proprietà industriale rispetto a fabbricare o usare industrialmente gli stessi.
Diversamente, ad opinione della scrivente, il differente elemento soggettivo non può costituire idonea giustificazione del diverso regime di procedibilità: il dolo specifico, infatti, non rappresenta una maggior intensità dell’aspetto psicologico, ma solo una specificazione di questo.
Pertanto, la conclusione della Corte non dirimerebbe eventuali profili di incostituzionalità sotto il profilo dell’uguaglianza sostanziale per trattare diversamente ipotesi criminose analoghe.
[1] Il verbo “usurpare” si identifica: nel comportamento di chi eserciti, appropriandosene, un potere, una funzione o un diritto la cui titolarità è riservata ad altri (Cass., pen., sez. III, 19/11/2015, n. 86539).
[2] Ai sensi del IV comma del medesimo articolo: i delitti previsti da entrambi i commi sono punibili a condizione che siano state rispettate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale o intellettuale.
[3] Il concetto di titolo di proprietà industriale comprende quello di marchio, ma non si esaurisce con esso: infatti, ai sensi dell’art. 1 del Codice della proprietà industriale, si afferma che l’espressione proprietà industriale comprende marchi ma anche altri segni distintivi, ad esempio un logo.
[4] È prevista la pena della reclusione fino a due anni e la multa fino a 20.000,00 euro.
La questione circa la procedibilità per i reati di cui all’art. 517-ter c.p.
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1. Brevi cenni sul reato di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale
2. La questione circa la procedibilità alla luce della sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 24141 del 07/02/2019
1. Brevi cenni sul reato di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale
Il reato, di cui all’art. 517-ter c.p., è posto a tutela dell’economia pubblica, dell’industria e del commercio.
La norma in esame, in realtà, disciplina due distinte fattispecie: al primo comma è punito colui che, sotto il profilo materiale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando[1] un titolo di proprietà industriale; il secondo comma, invece, sanziona l’introduzione nello Stato, la detenzione per la vendita, o comunque il porre in vendita con offerta diretta ai consumatori i predetti beni[2].
Tuttavia, entrambe le fattispecie richiedono come presupposto che il soggetto possa conoscere l’esistenza del titolo di proprietà; entrambe operano sussidiariamente quando il caso concreto non configuri i reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p. (si tratta di fattispecie che individuano l’oggetto del reato nel marchio[3], in altri segni distintivi, brevetti, modelli e disegni); ulteriore elemento comune fra le due ipotesi delittuose menzionate è ravvisabile nel trattamento sanzionatorio, in quanto il secondo comma rinvia al primo quoad poenam[4].
Diversamente, le due fattispecie si distinguono sotto il profilo soggettivo: ai fini della sussistenza del delitto di cui al primo comma è sufficiente il dolo generico, mentre il secondo comma richiede “il fine di trarre profitto”.
2. La questione circa la procedibilità alla luce della sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 24141 del 07/02/2019.
Le due fattispecie, inoltre, si distinguono per il differente regime di procedibilità.
Il primo comma dell’art. 517-ter c.p. subordina la procedibilità alla presentazione della querela della parte offesa. La condizione di procedibilità, quindi, è resa esplicita dallo stesso comma, mentre un’analoga specificazione è assente nel comma successivo.
Stante, però, il rinvio del secondo comma al trattamento sanzionatorio previsto al comma precedente, si è posta la questione se tale rinvio fosse estendibile anche al regime di procedibilità.
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24141/2019, è intervenuta sul punto rispondendo negativamente. In primo luogo, la Corte ha evidenziato che, nonostante i reati in esame siano modellati sulla falsariga dei reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p.[5], nessuno di essi preveda ipotesi a procedibilità a querela.
Altresì, in ordine al regime di procedibilità vige la regola di cui al secondo comma dell’art. 50 c.p.p. che stabilisce la procedibilità d’ufficio quando non è necessaria la querela, l’istanza o l’autorizzazione a procedere.
Infine, la Corte conclude il proprio ragionamento rilevando che la previsione del regime di procedibilità a querela non è menzionata alla fine dell’art. 517-ter c.p. e, pertanto, debba essere interpretata come l’intenzione del Legislatore di circoscrivere tale procedibilità solo all’ipotesi del primo comma, nella quale sono sanzionate le condotte – fabbricazione o uso industriale – riferibili al momento genetico dell’usurpazione e non alla commercializzazione che si inserisce in una fase successiva.
Per quanto il ragionamento della Suprema Corte della Cassazione sia ancorato a presupposti e riferimenti normativi idonei a sostenere tale conclusione, non è esente da altrettante perplessità: in primo luogo, occorre precisare che i delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p. sono collocati fra i delitti contro la pubblica fede – e non tutelano quindi il singolo consumatore, ma l’intera comunità dei consociati; presentano natura plurioffensiva e sono delitti di pericolo. Tutti aspetti che rendono maggiormente comprensibile l’esigenza di procedere d’ufficio.
In secondo luogo, il ragionamento della Corte non fa alcun riferimento ad indici di maggior o minor offensività delle condotte: stante il comune bene giuridico, un diverso regime di procedibilità potrebbe esser giustificato dal considerare maggiormente offensivo introdurre nel territorio dello Stato, o detenere per la vendita o porre in vendita i titoli di proprietà industriale rispetto a fabbricare o usare industrialmente gli stessi.
Diversamente, ad opinione della scrivente, il differente elemento soggettivo non può costituire idonea giustificazione del diverso regime di procedibilità: il dolo specifico, infatti, non rappresenta una maggior intensità dell’aspetto psicologico, ma solo una specificazione di questo.
Pertanto, la conclusione della Corte non dirimerebbe eventuali profili di incostituzionalità sotto il profilo dell’uguaglianza sostanziale per trattare diversamente ipotesi criminose analoghe.
[1] Il verbo “usurpare” si identifica: nel comportamento di chi eserciti, appropriandosene, un potere, una funzione o un diritto la cui titolarità è riservata ad altri (Cass., pen., sez. III, 19/11/2015, n. 86539).
[2] Ai sensi del IV comma del medesimo articolo: i delitti previsti da entrambi i commi sono punibili a condizione che siano state rispettate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale o intellettuale.
[3] Il concetto di titolo di proprietà industriale comprende quello di marchio, ma non si esaurisce con esso: infatti, ai sensi dell’art. 1 del Codice della proprietà industriale, si afferma che l’espressione proprietà industriale comprende marchi ma anche altri segni distintivi, ad esempio un logo.
[4] È prevista la pena della reclusione fino a due anni e la multa fino a 20.000,00 euro.
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1. Brevi cenni sul reato di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale
2. La questione circa la procedibilità alla luce della sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 24141 del 07/02/2019
1. Brevi cenni sul reato di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale
Il reato, di cui all’art. 517-ter c.p., è posto a tutela dell’economia pubblica, dell’industria e del commercio.
La norma in esame, in realtà, disciplina due distinte fattispecie: al primo comma è punito colui che, sotto il profilo materiale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando[1] un titolo di proprietà industriale; il secondo comma, invece, sanziona l’introduzione nello Stato, la detenzione per la vendita, o comunque il porre in vendita con offerta diretta ai consumatori i predetti beni[2].
Tuttavia, entrambe le fattispecie richiedono come presupposto che il soggetto possa conoscere l’esistenza del titolo di proprietà; entrambe operano sussidiariamente quando il caso concreto non configuri i reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p. (si tratta di fattispecie che individuano l’oggetto del reato nel marchio[3], in altri segni distintivi, brevetti, modelli e disegni); ulteriore elemento comune fra le due ipotesi delittuose menzionate è ravvisabile nel trattamento sanzionatorio, in quanto il secondo comma rinvia al primo quoad poenam[4].
Diversamente, le due fattispecie si distinguono sotto il profilo soggettivo: ai fini della sussistenza del delitto di cui al primo comma è sufficiente il dolo generico, mentre il secondo comma richiede “il fine di trarre profitto”.
2. La questione circa la procedibilità alla luce della sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 24141 del 07/02/2019.
Le due fattispecie, inoltre, si distinguono per il differente regime di procedibilità.
Il primo comma dell’art. 517-ter c.p. subordina la procedibilità alla presentazione della querela della parte offesa. La condizione di procedibilità, quindi, è resa esplicita dallo stesso comma, mentre un’analoga specificazione è assente nel comma successivo.
Stante, però, il rinvio del secondo comma al trattamento sanzionatorio previsto al comma precedente, si è posta la questione se tale rinvio fosse estendibile anche al regime di procedibilità.
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24141/2019, è intervenuta sul punto rispondendo negativamente. In primo luogo, la Corte ha evidenziato che, nonostante i reati in esame siano modellati sulla falsariga dei reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p.[5], nessuno di essi preveda ipotesi a procedibilità a querela.
Altresì, in ordine al regime di procedibilità vige la regola di cui al secondo comma dell’art. 50 c.p.p. che stabilisce la procedibilità d’ufficio quando non è necessaria la querela, l’istanza o l’autorizzazione a procedere.
Infine, la Corte conclude il proprio ragionamento rilevando che la previsione del regime di procedibilità a querela non è menzionata alla fine dell’art. 517-ter c.p. e, pertanto, debba essere interpretata come l’intenzione del Legislatore di circoscrivere tale procedibilità solo all’ipotesi del primo comma, nella quale sono sanzionate le condotte – fabbricazione o uso industriale – riferibili al momento genetico dell’usurpazione e non alla commercializzazione che si inserisce in una fase successiva.
Per quanto il ragionamento della Suprema Corte della Cassazione sia ancorato a presupposti e riferimenti normativi idonei a sostenere tale conclusione, non è esente da altrettante perplessità: in primo luogo, occorre precisare che i delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p. sono collocati fra i delitti contro la pubblica fede – e non tutelano quindi il singolo consumatore, ma l’intera comunità dei consociati; presentano natura plurioffensiva e sono delitti di pericolo. Tutti aspetti che rendono maggiormente comprensibile l’esigenza di procedere d’ufficio.
In secondo luogo, il ragionamento della Corte non fa alcun riferimento ad indici di maggior o minor offensività delle condotte: stante il comune bene giuridico, un diverso regime di procedibilità potrebbe esser giustificato dal considerare maggiormente offensivo introdurre nel territorio dello Stato, o detenere per la vendita o porre in vendita i titoli di proprietà industriale rispetto a fabbricare o usare industrialmente gli stessi.
Diversamente, ad opinione della scrivente, il differente elemento soggettivo non può costituire idonea giustificazione del diverso regime di procedibilità: il dolo specifico, infatti, non rappresenta una maggior intensità dell’aspetto psicologico, ma solo una specificazione di questo.
Pertanto, la conclusione della Corte non dirimerebbe eventuali profili di incostituzionalità sotto il profilo dell’uguaglianza sostanziale per trattare diversamente ipotesi criminose analoghe.
[1] Il verbo “usurpare” si identifica: nel comportamento di chi eserciti, appropriandosene, un potere, una funzione o un diritto la cui titolarità è riservata ad altri (Cass., pen., sez. III, 19/11/2015, n. 86539).
[2] Ai sensi del IV comma del medesimo articolo: i delitti previsti da entrambi i commi sono punibili a condizione che siano state rispettate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale o intellettuale.
[3] Il concetto di titolo di proprietà industriale comprende quello di marchio, ma non si esaurisce con esso: infatti, ai sensi dell’art. 1 del Codice della proprietà industriale, si afferma che l’espressione proprietà industriale comprende marchi ma anche altri segni distintivi, ad esempio un logo.
[4] È prevista la pena della reclusione fino a due anni e la multa fino a 20.000,00 euro.
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