1. Il fatto
I balconi di un edificio condominiale si sgretolano, le crepe diventano sempre più ampie e profonde, mettendo in serio pericolo i passanti.
La questione, tra beghe condominiali ed infuocate assemblee, si prolunga per anni. Alcuni condomini chiedono all’amministratore di intervenire per sanare la facciata, ma non si raggiunge mai la maggioranza assembleare.
Ad un certo punto, accade l’inevitabile, un calcinaccio si sgretola e provoca lesioni ad un passante. La questione viene, quindi, sottoposta all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria, la quale si è pronunciata nel senso di seguito specificato.
2. Svolgimento del processo
Nella sentenza in commento, il Tribunale di Messina ha ravvisato la responsabilità penale, ai sensi dell’art. 677, comma 3, c.p., dei condomini che non si sono attivati per rimuovere lo stato di pericolo provocato dalla rovina dei balconi degli alloggi di loro proprietà.
Gli imputati si sono difesi sostenendo che, più volte avevano richiesto all’amministratore di intervenire e che mai si era formata, in seno all’assemblea condominiale, la maggioranza idonea per eseguire i lavori.
Il Tribunale siciliano ha ritenuto non condivisibili tali argomentazioni, asserendo che i condominii non possono accampare, come giustificazione della loro omissione, il mancato intervento dell’amministratore, nel caso in cui questi si trovi nella materiale impossibilità di farlo.
Gli imputati contestano la condanna e impugnano la sentenza, con un atto che viene qualificato ricorso per Cassazione, sostenendo di aver sempre invitato l’amministratore ad intervenire e che, comunque, trattandosi dei frontalini dei balconi, i lavori dovevano essere effettuati in ambito condominiale. Si contesta, infine, la responsabilità personale dei singoli condomini, in quanto non è stato possibile stabilire da quale balcone si è staccato il calcinaccio che ha provocato le lesioni.
3. La sentenza della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione dichiarava inammissibili i ricorsi degli imputati.
Non si ravvisava, infatti, responsabilità dell’amministratore ai sensi dell’art. 677 c.p., posto che non si era raggiunta una volontà assembleare di intervento, non vi era stato stanziamento di fondi per l’intervento e, quindi, non vi era potere materiale del rappresentante dell’ente.
La responsabilità ricade, in questo caso, su ogni singolo proprietario del bene, essendo suo preciso obbligo rimuovere la situazione di pericolo.
Si consideri, inoltre, che i balconi aggettanti, ossia quelli che sporgono dalla facciata dell’edificio, non avendo una funzione strutturale, non possono considerarsi beni comuni ma di individuale proprietà.
È emerso, infine, che i condomini coinvolti non avessero diffidato l’amministratore ad intervenire a titolo precauzionale, né si fossero mai attivati autonomamente per evitare crolli.
In tale situazione era quindi ravvisabile la culpa in vigilando dei singoli proprietari e non era, pertanto, possibile “scaricare” sull’amministratore la responsabilità del mancato intervento.
4. Conclusioni
Dalla lettura della sentenza in commento si deduce il principio della non totale delegabilità della posizione di garanzia dei proprietari nei confronti di altri soggetti, quali l’amministratore condominiale, il quale, anche se titolato ad agire in determinate situazioni, non può sostituirsi integralmente al proprietario del bene, in quanto la sua funzione è, precipuamente, quella della gestione delle parti comuni dell’immobile.
Pur a fronte di un atteggiamento ostativo dell’assemblea, che non deliberi l’intervento, il proprietario dell’alloggio interessato dalla parte in rovina, deve attivarsi personalmente e non può adagiarsi dietro la presenza dell’amministratore.
Edifici pericolanti: sono responsabili i condomini o l’amministratore?
Cass. pen., Sez. I, Sent., (data ud. 07/06/2022) 24/08/2022, n. 31592: i condomini sono responsabili penalmente della rovina dell’edificio anche se l’amministratore non interviene.
Il proprietario, si sa, risponde dei danni provocati dall’omessa cura o custodia dei propri beni. Ma tale responsabilità si ravvisa anche quando si tratti di un edificio condominiale e l’amministratore non sia intervenuto a sanare la carenza strutturale?
Nella questione in oggetto, il Tribunale di Messina ha sentenziato che, in caso di grave pericolo per le persone, i condomini non possono giustificare il loro mancato intervento addossando al solo amministratore la responsabilità di tale omissione.
Indice
1. Il fatto
2. Svolgimento del processo
3. La sentenza della Corte di Cassazione
4. Conclusioni
1. Il fatto
I balconi di un edificio condominiale si sgretolano, le crepe diventano sempre più ampie e profonde, mettendo in serio pericolo i passanti.
La questione, tra beghe condominiali ed infuocate assemblee, si prolunga per anni. Alcuni condomini chiedono all’amministratore di intervenire per sanare la facciata, ma non si raggiunge mai la maggioranza assembleare.
Ad un certo punto, accade l’inevitabile, un calcinaccio si sgretola e provoca lesioni ad un passante. La questione viene, quindi, sottoposta all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria, la quale si è pronunciata nel senso di seguito specificato.
2. Svolgimento del processo
Nella sentenza in commento, il Tribunale di Messina ha ravvisato la responsabilità penale, ai sensi dell’art. 677, comma 3, c.p., dei condomini che non si sono attivati per rimuovere lo stato di pericolo provocato dalla rovina dei balconi degli alloggi di loro proprietà.
Gli imputati si sono difesi sostenendo che, più volte avevano richiesto all’amministratore di intervenire e che mai si era formata, in seno all’assemblea condominiale, la maggioranza idonea per eseguire i lavori.
Il Tribunale siciliano ha ritenuto non condivisibili tali argomentazioni, asserendo che i condominii non possono accampare, come giustificazione della loro omissione, il mancato intervento dell’amministratore, nel caso in cui questi si trovi nella materiale impossibilità di farlo.
Gli imputati contestano la condanna e impugnano la sentenza, con un atto che viene qualificato ricorso per Cassazione, sostenendo di aver sempre invitato l’amministratore ad intervenire e che, comunque, trattandosi dei frontalini dei balconi, i lavori dovevano essere effettuati in ambito condominiale. Si contesta, infine, la responsabilità personale dei singoli condomini, in quanto non è stato possibile stabilire da quale balcone si è staccato il calcinaccio che ha provocato le lesioni.
3. La sentenza della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione dichiarava inammissibili i ricorsi degli imputati.
Non si ravvisava, infatti, responsabilità dell’amministratore ai sensi dell’art. 677 c.p., posto che non si era raggiunta una volontà assembleare di intervento, non vi era stato stanziamento di fondi per l’intervento e, quindi, non vi era potere materiale del rappresentante dell’ente.
La responsabilità ricade, in questo caso, su ogni singolo proprietario del bene, essendo suo preciso obbligo rimuovere la situazione di pericolo.
Si consideri, inoltre, che i balconi aggettanti, ossia quelli che sporgono dalla facciata dell’edificio, non avendo una funzione strutturale, non possono considerarsi beni comuni ma di individuale proprietà.
È emerso, infine, che i condomini coinvolti non avessero diffidato l’amministratore ad intervenire a titolo precauzionale, né si fossero mai attivati autonomamente per evitare crolli.
In tale situazione era quindi ravvisabile la culpa in vigilando dei singoli proprietari e non era, pertanto, possibile “scaricare” sull’amministratore la responsabilità del mancato intervento.
4. Conclusioni
Dalla lettura della sentenza in commento si deduce il principio della non totale delegabilità della posizione di garanzia dei proprietari nei confronti di altri soggetti, quali l’amministratore condominiale, il quale, anche se titolato ad agire in determinate situazioni, non può sostituirsi integralmente al proprietario del bene, in quanto la sua funzione è, precipuamente, quella della gestione delle parti comuni dell’immobile.
Pur a fronte di un atteggiamento ostativo dell’assemblea, che non deliberi l’intervento, il proprietario dell’alloggio interessato dalla parte in rovina, deve attivarsi personalmente e non può adagiarsi dietro la presenza dell’amministratore.
1. Il fatto
I balconi di un edificio condominiale si sgretolano, le crepe diventano sempre più ampie e profonde, mettendo in serio pericolo i passanti.
La questione, tra beghe condominiali ed infuocate assemblee, si prolunga per anni. Alcuni condomini chiedono all’amministratore di intervenire per sanare la facciata, ma non si raggiunge mai la maggioranza assembleare.
Ad un certo punto, accade l’inevitabile, un calcinaccio si sgretola e provoca lesioni ad un passante. La questione viene, quindi, sottoposta all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria, la quale si è pronunciata nel senso di seguito specificato.
2. Svolgimento del processo
Nella sentenza in commento, il Tribunale di Messina ha ravvisato la responsabilità penale, ai sensi dell’art. 677, comma 3, c.p., dei condomini che non si sono attivati per rimuovere lo stato di pericolo provocato dalla rovina dei balconi degli alloggi di loro proprietà.
Gli imputati si sono difesi sostenendo che, più volte avevano richiesto all’amministratore di intervenire e che mai si era formata, in seno all’assemblea condominiale, la maggioranza idonea per eseguire i lavori.
Il Tribunale siciliano ha ritenuto non condivisibili tali argomentazioni, asserendo che i condominii non possono accampare, come giustificazione della loro omissione, il mancato intervento dell’amministratore, nel caso in cui questi si trovi nella materiale impossibilità di farlo.
Gli imputati contestano la condanna e impugnano la sentenza, con un atto che viene qualificato ricorso per Cassazione, sostenendo di aver sempre invitato l’amministratore ad intervenire e che, comunque, trattandosi dei frontalini dei balconi, i lavori dovevano essere effettuati in ambito condominiale. Si contesta, infine, la responsabilità personale dei singoli condomini, in quanto non è stato possibile stabilire da quale balcone si è staccato il calcinaccio che ha provocato le lesioni.
3. La sentenza della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione dichiarava inammissibili i ricorsi degli imputati.
Non si ravvisava, infatti, responsabilità dell’amministratore ai sensi dell’art. 677 c.p., posto che non si era raggiunta una volontà assembleare di intervento, non vi era stato stanziamento di fondi per l’intervento e, quindi, non vi era potere materiale del rappresentante dell’ente.
La responsabilità ricade, in questo caso, su ogni singolo proprietario del bene, essendo suo preciso obbligo rimuovere la situazione di pericolo.
Si consideri, inoltre, che i balconi aggettanti, ossia quelli che sporgono dalla facciata dell’edificio, non avendo una funzione strutturale, non possono considerarsi beni comuni ma di individuale proprietà.
È emerso, infine, che i condomini coinvolti non avessero diffidato l’amministratore ad intervenire a titolo precauzionale, né si fossero mai attivati autonomamente per evitare crolli.
In tale situazione era quindi ravvisabile la culpa in vigilando dei singoli proprietari e non era, pertanto, possibile “scaricare” sull’amministratore la responsabilità del mancato intervento.
4. Conclusioni
Dalla lettura della sentenza in commento si deduce il principio della non totale delegabilità della posizione di garanzia dei proprietari nei confronti di altri soggetti, quali l’amministratore condominiale, il quale, anche se titolato ad agire in determinate situazioni, non può sostituirsi integralmente al proprietario del bene, in quanto la sua funzione è, precipuamente, quella della gestione delle parti comuni dell’immobile.
Pur a fronte di un atteggiamento ostativo dell’assemblea, che non deliberi l’intervento, il proprietario dell’alloggio interessato dalla parte in rovina, deve attivarsi personalmente e non può adagiarsi dietro la presenza dell’amministratore.
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