Prolungamento dell’attività di stalking, anche durante la fase dibattimentale: consentito l’inasprimento della misura di custodia cautelare (Cassazione penale, sez. V, sentenza n. 17000/2020)

La quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sull’accoglimento da parte della corte di appello territorialmente competente, circa l’applicazione della misura cautelare in carcere già in corso di dibattimento.

Stalking sentenza cassazione-penale-sez-v-sentenza-n-17000-2020

Indice

1. I fatti di causa
2. I motivi dell’impugnazione
3. La decisione della Suprema Corte
4. Massima
5. La sentenza integrale

1. I fatti di causa

L’unico motivo di ricorso è incentrato sull’accoglimento dell’istanza di applicazione della misura cautelare avanzata dal PM in fase di dibattimento. L’imputato, infatti, anche durante la predetta fase, ha reiterato condotte di stalking nei confronti dei medesimi querelanti, mediante l’utilizzo di armi ad aria compressa.

2. I motivi dell’impugnazione

Il motivo unico di impugnazione è fondato sulla violazione di legge e sulla manifesta illogicità della motivazione, in quanto le condotte nuove non potevano essere ricomprese nella contestazione già in fase di dibattimento, ma che dovevano essere oggetto di nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato.

3. La decisione della Suprema Corte

Il ricorso proposto è stato rigettato, in quanto, secondo la Corte  il reato è stato contestato con condotta in atto. Nell’ambito dell’unico contesto delittuoso di stalking, infatti, vi è stato un susseguirsi di ulteriori atti persecutori che hanno avuto inizio dall’anno 2017 e sono andati avanti continuativamente e abitualmente sino al momento della richiesta di rinvio a giudizio, attraverso numerosi atti di molestie e minacce sia fisiche che verbali. L’assunzione della qualifica di imputato non ha scoraggiato lo stalker dal continuare ad adottare la medesima condotta criminosa e, pertanto, ha continuato a commettere lo stesso reato anche in costanza di dibattimento e, quindi, in tal caso la consumazione finale del reato dovrà individuarsi con l’intervento della sentenza di primo grado e non nel precedente momento dell’imputazione dei capi di accusa.

4. Massima

Il delitto previsto dell’art. 612-bis cod. pen. ha natura di reato abituale di evento “per accumulo”, che si perfeziona al momento della realizzazione di uno degli eventi alternativi previsti dalla norma e si consuma al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, così che, in caso di contestazione “aperta”, il termine finale di consumazione coincide con quello della pronuncia della sentenza di condanna in primo grado, consentendo fino a quel momento l’estensione dell’imputazione alle condotte, frutto della reiterazione criminosa, realizzate dopo l’esercizio dell’azione penale. (Fattispecie relativa a contestazione del reato “con condotta in atto”, in cui la Corte ha ritenuto che le ulteriori minacce poste in essere dall’imputato nel corso del dibattimento nei confronti delle persone offese, anche dopo il loro esame, non potessero essere espressione di una nuova e diversa “campagna persecutoria”).

5. La sentenza integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – rel. Consigliere

Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 12/09/2019 del TRIBUNALE DEL RIESAME di ROMA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. CATERINA MAZZITELLI;

sentite le conclusioni del PG Dr. EPIDENDIO TOMASO, che conclude per il rigetto del ricorso.

Udito il difensore, avv. (OMISSIS), che si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per raccoglimento dello stesso.

RITENUTO IN FATTO

  1. (OMISSIS) propone ricorso avverso il provvedimento del 2.9.2019 emesso dal Tribunale del Riesame di Roma quale giudice dell’appello cautelare, con cui – in accoglimento dell’appello del pubblico ministero di Tivoli avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere pronunciata dal Tribunale di Tivoli – è stata disposta la misura cautelare di massima afflittività nei suoi confronti in relazione al reato di stalking commesso ai danni di (OMISSIS), (OMISSIS) e il loro figlio – suoi vicini di casa – contestato con “condotta in atto”, avuto riguardo ad un’ulteriore “tranche” dell’agire delittuoso (minacce con l’uso di armi ad aria compressa commesse il (OMISSIS)), realizzata nel corso del dibattimento a suo carico, dopo l’esame delle persone offese avvenuto il 2.4.2019, che è stata ritenuta ricompresa nell’imputazione “aperta”, confortata dai gravi indizi di colpevolezza e meritevole di tutela quanto alle esigenze cautelari aggravate.
  1. Il ricorrente lamenta, con un motivo unico, violazione di legge e carenza e manifesta illogicità della motivazione, sostenendo le ragioni sulla base delle quali il Tribunale di Tivoli, dinanzi al quale era in corso il dibattimento, aveva ritenuto di non poter accogliere la richiesta del pubblico ministero, poichè le condotte nuove non potevano essere ricomprese nella contestazione già oggetto di giudizio, e aveva invitato la pubblica accusa alla modifica eventualmente dell’imputazione ai sensi dell’articolo 516 c.p.p. e ss. ovvero ad una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato.

Il ricorrente evidenzia, da un lato, che una decisione del Tribunale al riguardo avrebbe portato ad una perdita di terzietà e imparzialità del giudice chiamato a decidere all’esito del dibattimento già in atto (si richiama l’articolo 275 c.p.p., comma 1-bis); dall’altro, che è consentito ampliare l’oggetto della contestazione “aperta” di un reato abituale direttamente in dibattimento soltanto quando i nuovi fatti emergano dal confronto in contraddittorio tra le parti, e dunque nel rispetto delle garanzie difensive, e non se, come nel caso di specie, la nuova condotta di reato sia stata denunciata ex novo dalle persone offese al di fuori dell’ambito processuale in corso.

Inoltre, si evidenzia l’assenza di rischi di incorrere nel futuro nella violazione del principio di ne bis in idem qualora si procedesse ad una nuova contestazione estranea al dibattimento in atto, poiché non vi sarebbe identità tra il fatto oggetto del giudicato e la nuova contestazione.

Infine, si censura la motivazione sotto il profilo della valutazione di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza relativi alla nuova condotta contestata all’imputato e della verifica delle esigenze cautelari.

Quanto al primo aspetto, si è ignorato che la vicenda deve essere letta in una chiave logica di rapporti di vicinato conflittuali con reciproche denunce e che non vi è stato riscontro del denunciato utilizzo di una pistola ad aria compressa per compiere le nuove minacce, poichè l’arma è stata ritrovata dai carabinieri intervenuti soltanto all’interno dell’abitazione, non rilevando tracce di sparo all’esterno, dove si è denunciato essere avvenuto il fatto.

Sul punto delle esigenze cautelari, impropriamente si sarebbe richiamato il comportamento di mancata presentazione dell’imputato in seguito all’invito ex articolo 375 c.p.p. mentre nulla si è detto sulla possibilità di contenere la cautela con la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari, plausibile nonostante il vicinato, dal momento che le persone offese e l’imputato vivono in due fabbricati comunque distinti sebbene confinanti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
  1. Anzitutto, deve essere affrontata la questione relativa alla possibilità di configurare e contestare come un’unica ipotesi di reato l’ulteriore condotta criminosa commessa dal ricorrente nell’ambito dell’unico contesto delittuoso individuato negli atti persecutori che hanno avuto inizio, ai danni delle persone offese, dall’anno 2017 e sono andati avanti continuativamente e abitualmente sino al momento della richiesta di rinvio a giudizio, attraverso numerosi ed allarmanti atti di molestie e minacce sia fisiche (getto di rifiuti, intralcio al passaggio delle autovetture delle vittime, pedinamenti, aggressioni, esplosione di colpi con armi ad aria compressa al loro indirizzo) che verbali (minacce ripetute anche di morte), atti resi ancora più preoccupanti per le circostanze di luogo (le abitazioni confinanti si trovano in una zona isolata). Il reato è stato contestato con condotta “in atto”.

2.1. Quanto alla sussistenza della gravità indiziaria, l’ennesima azione di minaccia grave da parte del ricorrente, portata avanti con esplosione di colpi d’armi ad aria compressa, poi effettivamente trovate in casa e sequestrate dalla polizia giudiziaria, è stata in parte commessa anche in presenza dei carabinieri intervenuti (che hanno assistito ad alcune minacce ed ingiurie verbali rivolte alle persone offese), sicchè la denuncia delle vittime risulta del tutto confortata da tali elementi di fatto; le osservazioni del ricorrente al riguardo non hanno pregio poichè ribaltano la piana valenza di un riscontro alle dichiarazioni delle persone offese (il ritrovamento delle armi in casa dell’imputato), ritenendolo immotivatamente una smentita: ed invece, non vi è dubbio che la prima parte della condotta si sia potuta svolgere con la minaccia armata e, successivamente, messe da parte le armi, si sia protratta l’azione in presenza dei carabinieri senza l’utilizzo delle armi ad aria compressa riposte in casa.

2.2. Risolta la censura relativa all’assenza di gravi indizi di colpevolezza della nuova condotta espressiva del reato, deve ora trattarsi della possibilità formale di procedere alla contestazione nella fattispecie in esame.

Ebbene, correttamente il Riesame ha richiamato la giurisprudenza secondo cui, nel delitto previsto dall’articolo 612-bis c.p., che è reato abituale e si consuma al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, il termine finale di consumazione, in mancanza di una specifica contestazione, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l’accertamento processuale, cosicchè, nell’ipotesi di contestazione aperta (come è quella sottoposta all’esame oggi del Collegio), è possibile estendere il giudizio di penale responsabilità dell’imputato anche a fatti non espressamente indicati nel capo di imputazione e, tuttavia, accertati nel corso del giudizio sino alla sentenza di primo grado (Sez. 5, n. 6742 del 13/12/2018, dep. 2019, D., Rv. 275490).

Tale impostazione – sebbene di recente apparentemente contraddetta da una pronuncia difforme (Sez. 5, n. 54376 del 2/10/2019, S., Rv. 277255) – appare la logica conseguenza della pacifica opzione interpretativa secondo cui, nel delitto previsto dell’articolo 612-bis c.p., che ha natura abituale di evento, l’evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, in quanto dalla reiterazione degli atti deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, solo alla fine della sequenza, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme previste dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 51718 del 5/11/2014, T., Rv. 262636; Sez. 5, n. 54920 del 8/6/2016, G., Rv. 269081), sicchè ciò che rileva non e’ la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento (Sez. 5, n. 7899 del 14/1/2019, P., Rv. 275381).

La possibilita’ formale di procedere alla contestazione di una nuova manifestazione della condotta del reato di atti persecutori sino alla pronuncia della sentenza di primo grado è stata espressamente enunciata anche da Sez. 5, n. 22210 del 3/4/2017, C., Rv. 270241, che ha affermato come, nel delitto previsto dall’articolo 612-bis c.p., che è reato abituale e si consuma al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, il termine finale di consumazione, in mancanza di una specifica contestazione, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l’accertamento processuale, cosicchè non si configura violazione del principio del “ne bis in idem” in caso di nuova condanna per fatti successivi alla data della prima pronuncia.

Anche sotto il profilo della prospettiva di un futuro, possibile, rilievo del criterio preclusivo volto ad evitare un doppio giudizio le censure del ricorrente si rivelano quanto meno insufficienti, alla luce della giurisprudenza citata.

Il Collegio intende aderire al principio enunciato da Sez. 5, n. 6742 del 2019, cit., ribadendolo con alcune precisazioni, mentre non può essere seguita, nel caso di specie, la logica da cui muove l’arresto successivo di questa stessa Quinta Sezione, sebbene ispirato dall’attenzione e dal rigore interpretativo dinanzi ad una fattispecie tipica complessa.

Invero, la sentenza n. 54376 del 2019 ha escluso l’applicabilità al delitto di atti persecutori di cui all’articolo 612-bis c.p., che ha natura di reato abituale, e cioè a condotta plurima, del principio, proprio dei reati permanenti, secondo il quale, nell’ipotesi di contestazione aperta, il giudizio di penale responsabilità dell’imputato può estendersi, senza necessità di modifica dell’imputazione originaria, agli sviluppi della fattispecie emersi dall’istruttoria dibattimentale. Da ciò ha fatto derivare la conseguenza che le condotte persecutorie diverse e ulteriori rispetto a quelle descritte nell’imputazione devono formare oggetto di specifica contestazione, sia quando servono a perfezionare o ad integrare l’imputazione originaria, sia – e a maggior ragione – quando costituiscono una serie autonoma, unificabile alla precedente con il vincolo della continuazione e, nel caso deciso, ha escluso che la contestazione in sede cautelare di determinate condotte persecutorie, commesse dall’indagato nell’anno 2018, fosse preclusa dalla condanna di primo grado, riportata dal medesimo, nel 2019, per il delitto omogeneo in danno della stessa vittima, contestato con la formula “dal 2016 ad oggi”.

Deve, tuttavia, evidenziarsi che l’impostazione della pronuncia appena citata è influenzata, in parte, dal raffronto paradigmatico e astratto tra reato abituale e reato permanente; per altra parte, dalla funzionalizzazione dell’affermazione di principio a sciogliere i dubbi di una fattispecie complessa quale quella in concreta decisa, opposta a quella oggi all’esame del Collegio (poichè le contestazioni ulteriori, in quel caso, pur ricomprese nell’alveo temporale chiuso dalla condanna di primo grado, non erano state contestate nel corso del dibattimento, ma in fase cautelare ed in un separato e diverso procedimento).

Ed invece, deve essere valorizzato il dato peculiare della tipicità normativa che caratterizza il reato di atti persecutori: il delitto di cui all’articolo 612-bis c.p., infatti, ha natura, si, di reato abituale ma anche di reato di evento (o di danno), come è stato più volte pacificamente ribadito (cfr. Sez. 5, n. 7899 del 2019 cit.; Sez. 3, n. 23485 del 7/3/2014, U., Rv. 260083; Sez. 3, n. 9222 del 16/1/2015, G., Rv. 262517), sicchè è a tale struttura complessa che bisogna guardare per poter esplorare la possibilità di ampliare i confini della contestazione di un reato già consumato e in relazione al quale è iniziata la fase dibattimentale dopo l’esercizio dell’azione penale.

A tal riguardo, deve essere evidenziato che l’evento o meglio gli eventi alternativi (ciascuno dei quali è idoneo a realizzare il reato (cfr. Sez. 5, n. 29782 del 19/5/2011, L., Rv. 250399; Sez. 5, n. 34015 del 22/6/2010, De Guglielmo, Rv. 248412), che disegnano la tipicità oggettiva della fattispecie di stalking si realizzano “per accumulo” di condotte reiterate, le quali integrano minacce e molestie verso taluno, tanto da provocargli un grave stato d’ansia o di paura, ovvero da ingenerare fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto ovvero ancora da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.

Orbene, tale evento “per accumulo” rimane unico, ed unico si configura anche il reato, pur se, come nel caso di specie, di seguito al suo perfezionamento, la condotta prosegua e arrivi ad ulteriore, definitiva consumazione, aggravandone le conseguenze, e cioè amplificando la dimensione dell’evento dannoso generato e già (nella gran parte) realizzatosi.

Ciò perchè, in un caso come quello di specie, in cui evidentemente la condotta del ricorrente si inscrive nella medesima logica persecutoria e nel medesimo contesto di reato già delineato dall’imputazione in relazione alla quale è in corso il processo, non può dirsi che essa sia manifestazione di una nuova e diversa “campagna persecutoria” contro le vittime, bensì piuttosto costituisce l’apoteosi di quella già in atto (e come tale contestata dal pubblico ministero).

Il reato, pertanto, contestato come condotta “aperta” e in atto, ingloba in se’ gli ulteriori frammenti di condotta che contribuiscono alla sua definitiva consumazione nelle forme finali unitariamente offensive, frutto della reiterazione criminosa.

Può, pertanto, sinteticamente enunciarsi il seguente principio di diritto: il delitto previsto dall’articolo 612-bis c.p. è reato abituale di evento “per accumulo”, che si consuma al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, pur potendosi essere già perfezionato nel momento in cui uno degli eventi previsti dalla norma si sia realizzato, sicchè il termine finale di consumazione, in presenza di una contestazione “aperta”, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l’accertamento processuale, consentendo l’ampliamento dell’ambito dell’imputazione alle ulteriori condotte eventualmente realizzate successivamente all’esercizio dell’azione penale.

2.3. Quanto alla violazione del principio di terzietà ed imparzialità per il giudice del dibattimento che emetta la misura cautelare nei confronti dell’imputato, valga rammentare le affermazioni costanti di questa Corte di legittimità secondo cui l’esercizio del potere cautelare in corso di giudizio non determina una situazione di incompatibilità rilevabile neppure come motivo di ricusazione, poichè il giudice è titolare della competenza accessoria cautelare che si radica in ragione di quella principale del giudizio sul merito (Sez. 1, n. 38657 del 22/9/2004, Assinata, Rv. 229537; Sez. 2, n. 17401 del 24/3/2009, Russo, Rv. 244345; Sez. 6, n. 11 del 29/12/2015, dep. 2016, Gammuto, Rv. 265466).

Del resto, la giurisprudenza costituzionale ha da tempo chiarito come, affinchè insorga l’incompatibilità dl giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, è necessario che ogni eventuale, precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento, essendo del tutto ragionevole che, all’interno di ciascuna delle fasi, resti comunque preservata “l’esigenza di continuità e di globalità” per non incorrere in irrazionali ed irragionevoli frammentazioni del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere (sentenze n. 131 del 1996 e n. 153 del 2012 Corte Cost.). Egualmente non vi sono ragioni per escludere la possibilità di ampliare la contestazione in dibattimento pur in presenza di una nuova azione espressiva del delitto abituale che non sia emersa direttamente dall’esame di una delle prove acquisite o nel corso della sua acquisizione, ma venga portata nel processo da una delle parti.

Anche in tal caso, infatti, in relazione ad essa, potrà operare la garanzia del contraddittorio in atto tra accusa e difesa e dinanzi al giudice terzo, secondo le ordinarie regole processuali previste.

Del resto, il motivo al riguardo, così come formulato, si presenta generico poichè neppure cita quali siano le violazioni del contraddittorio in cui si sia incorsi, sostenendo una preclusione tout court all’ingresso nella contestazione di un nuovo e successivo passaggio delittuoso con le modalità realizzatesi in concreto.

2.4. Un’ultima considerazione deve riservarsi alla censura rivolta alla verifica delle esigenze cautelari quanto all’inevitabilità del ricorso alla custodia in carcere.

Ebbene, il Riesame ha utilizzato una motivazione convincente dal punto di vista logico e del richiamo agli elementi concreti della condotta posta in essere dal ricorrente, dai quali si è desunta la necessità di attivare la misura di massimo rigore e non altra meno afflittiva (quale gli invocati arresti domiciliari) per soddisfare le sempre più evidenti esigenze di evitare la reiterazione del reato.

L’imputato ha mostrato un’ossessività crescente nei confronti delle vittime così come si è evidenziata l’inutilità dell’intervento diretto persino delle forze di polizia per sciogliere la sua carica aggressiva e minacciosa verso costoro; infine, la reiterazione criminosa anche dopo l’audizione delle persone offese nel processo ha reso ancora più allarmante il rischio cautelare, espressivo di una personalità minata dal livore e dall’astio nei riguardi dei vicini, visti come spettro di un nemico da contrastare compulsivamente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 28 Reg. Esec. c.p.p..

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla  legge.

stalking sentenza Cassazione-penale-sez-V-sentenza-n-17000-2020

Indice

1. I fatti di causa
2. I motivi dell’impugnazione
3. La decisione della Suprema Corte
4. Massima
5. La sentenza integrale

1. I fatti di causa

L’unico motivo di ricorso è incentrato sull’accoglimento dell’istanza di applicazione della misura cautelare avanzata dal PM in fase di dibattimento. L’imputato, infatti, anche durante la predetta fase, ha reiterato condotte di stalking nei confronti dei medesimi querelanti, mediante l’utilizzo di armi ad aria compressa.

2. I motivi dell’impugnazione

Il motivo unico di impugnazione è fondato sulla violazione di legge e sulla manifesta illogicità della motivazione, in quanto le condotte nuove non potevano essere ricomprese nella contestazione già in fase di dibattimento, ma che dovevano essere oggetto di nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato.

3. La decisione della Suprema Corte

Il ricorso proposto è stato rigettato, in quanto, secondo la Corte  il reato è stato contestato con condotta in atto. Nell’ambito dell’unico contesto delittuoso di stalking, infatti, vi è stato un susseguirsi di ulteriori atti persecutori che hanno avuto inizio dall’anno 2017 e sono andati avanti continuativamente e abitualmente sino al momento della richiesta di rinvio a giudizio, attraverso numerosi atti di molestie e minacce sia fisiche che verbali. L’assunzione della qualifica di imputato non ha scoraggiato lo stalker dal continuare ad adottare la medesima condotta criminosa e, pertanto, ha continuato a commettere lo stesso reato anche in costanza di dibattimento e, quindi, in tal caso la consumazione finale del reato dovrà individuarsi con l’intervento della sentenza di primo grado e non nel precedente momento dell’imputazione dei capi di accusa.

4. Massima

Il delitto previsto dell’art. 612-bis cod. pen. ha natura di reato abituale di evento “per accumulo”, che si perfeziona al momento della realizzazione di uno degli eventi alternativi previsti dalla norma e si consuma al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, così che, in caso di contestazione “aperta”, il termine finale di consumazione coincide con quello della pronuncia della sentenza di condanna in primo grado, consentendo fino a quel momento l’estensione dell’imputazione alle condotte, frutto della reiterazione criminosa, realizzate dopo l’esercizio dell’azione penale. (Fattispecie relativa a contestazione del reato “con condotta in atto”, in cui la Corte ha ritenuto che le ulteriori minacce poste in essere dall’imputato nel corso del dibattimento nei confronti delle persone offese, anche dopo il loro esame, non potessero essere espressione di una nuova e diversa “campagna persecutoria”).

5. La sentenza integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – rel. Consigliere

Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 12/09/2019 del TRIBUNALE DEL RIESAME di ROMA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. CATERINA MAZZITELLI;

sentite le conclusioni del PG Dr. EPIDENDIO TOMASO, che conclude per il rigetto del ricorso.

Udito il difensore, avv. (OMISSIS), che si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per raccoglimento dello stesso.

RITENUTO IN FATTO

  1. (OMISSIS) propone ricorso avverso il provvedimento del 2.9.2019 emesso dal Tribunale del Riesame di Roma quale giudice dell’appello cautelare, con cui – in accoglimento dell’appello del pubblico ministero di Tivoli avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere pronunciata dal Tribunale di Tivoli – è stata disposta la misura cautelare di massima afflittività nei suoi confronti in relazione al reato di stalking commesso ai danni di (OMISSIS), (OMISSIS) e il loro figlio – suoi vicini di casa – contestato con “condotta in atto”, avuto riguardo ad un’ulteriore “tranche” dell’agire delittuoso (minacce con l’uso di armi ad aria compressa commesse il (OMISSIS)), realizzata nel corso del dibattimento a suo carico, dopo l’esame delle persone offese avvenuto il 2.4.2019, che è stata ritenuta ricompresa nell’imputazione “aperta”, confortata dai gravi indizi di colpevolezza e meritevole di tutela quanto alle esigenze cautelari aggravate.
  1. Il ricorrente lamenta, con un motivo unico, violazione di legge e carenza e manifesta illogicità della motivazione, sostenendo le ragioni sulla base delle quali il Tribunale di Tivoli, dinanzi al quale era in corso il dibattimento, aveva ritenuto di non poter accogliere la richiesta del pubblico ministero, poichè le condotte nuove non potevano essere ricomprese nella contestazione già oggetto di giudizio, e aveva invitato la pubblica accusa alla modifica eventualmente dell’imputazione ai sensi dell’articolo 516 c.p.p. e ss. ovvero ad una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato.

Il ricorrente evidenzia, da un lato, che una decisione del Tribunale al riguardo avrebbe portato ad una perdita di terzietà e imparzialità del giudice chiamato a decidere all’esito del dibattimento già in atto (si richiama l’articolo 275 c.p.p., comma 1-bis); dall’altro, che è consentito ampliare l’oggetto della contestazione “aperta” di un reato abituale direttamente in dibattimento soltanto quando i nuovi fatti emergano dal confronto in contraddittorio tra le parti, e dunque nel rispetto delle garanzie difensive, e non se, come nel caso di specie, la nuova condotta di reato sia stata denunciata ex novo dalle persone offese al di fuori dell’ambito processuale in corso.

Inoltre, si evidenzia l’assenza di rischi di incorrere nel futuro nella violazione del principio di ne bis in idem qualora si procedesse ad una nuova contestazione estranea al dibattimento in atto, poiché non vi sarebbe identità tra il fatto oggetto del giudicato e la nuova contestazione.

Infine, si censura la motivazione sotto il profilo della valutazione di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza relativi alla nuova condotta contestata all’imputato e della verifica delle esigenze cautelari.

Quanto al primo aspetto, si è ignorato che la vicenda deve essere letta in una chiave logica di rapporti di vicinato conflittuali con reciproche denunce e che non vi è stato riscontro del denunciato utilizzo di una pistola ad aria compressa per compiere le nuove minacce, poichè l’arma è stata ritrovata dai carabinieri intervenuti soltanto all’interno dell’abitazione, non rilevando tracce di sparo all’esterno, dove si è denunciato essere avvenuto il fatto.

Sul punto delle esigenze cautelari, impropriamente si sarebbe richiamato il comportamento di mancata presentazione dell’imputato in seguito all’invito ex articolo 375 c.p.p. mentre nulla si è detto sulla possibilità di contenere la cautela con la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari, plausibile nonostante il vicinato, dal momento che le persone offese e l’imputato vivono in due fabbricati comunque distinti sebbene confinanti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
  1. Anzitutto, deve essere affrontata la questione relativa alla possibilità di configurare e contestare come un’unica ipotesi di reato l’ulteriore condotta criminosa commessa dal ricorrente nell’ambito dell’unico contesto delittuoso individuato negli atti persecutori che hanno avuto inizio, ai danni delle persone offese, dall’anno 2017 e sono andati avanti continuativamente e abitualmente sino al momento della richiesta di rinvio a giudizio, attraverso numerosi ed allarmanti atti di molestie e minacce sia fisiche (getto di rifiuti, intralcio al passaggio delle autovetture delle vittime, pedinamenti, aggressioni, esplosione di colpi con armi ad aria compressa al loro indirizzo) che verbali (minacce ripetute anche di morte), atti resi ancora più preoccupanti per le circostanze di luogo (le abitazioni confinanti si trovano in una zona isolata). Il reato è stato contestato con condotta “in atto”.

2.1. Quanto alla sussistenza della gravità indiziaria, l’ennesima azione di minaccia grave da parte del ricorrente, portata avanti con esplosione di colpi d’armi ad aria compressa, poi effettivamente trovate in casa e sequestrate dalla polizia giudiziaria, è stata in parte commessa anche in presenza dei carabinieri intervenuti (che hanno assistito ad alcune minacce ed ingiurie verbali rivolte alle persone offese), sicchè la denuncia delle vittime risulta del tutto confortata da tali elementi di fatto; le osservazioni del ricorrente al riguardo non hanno pregio poichè ribaltano la piana valenza di un riscontro alle dichiarazioni delle persone offese (il ritrovamento delle armi in casa dell’imputato), ritenendolo immotivatamente una smentita: ed invece, non vi è dubbio che la prima parte della condotta si sia potuta svolgere con la minaccia armata e, successivamente, messe da parte le armi, si sia protratta l’azione in presenza dei carabinieri senza l’utilizzo delle armi ad aria compressa riposte in casa.

2.2. Risolta la censura relativa all’assenza di gravi indizi di colpevolezza della nuova condotta espressiva del reato, deve ora trattarsi della possibilità formale di procedere alla contestazione nella fattispecie in esame.

Ebbene, correttamente il Riesame ha richiamato la giurisprudenza secondo cui, nel delitto previsto dall’articolo 612-bis c.p., che è reato abituale e si consuma al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, il termine finale di consumazione, in mancanza di una specifica contestazione, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l’accertamento processuale, cosicchè, nell’ipotesi di contestazione aperta (come è quella sottoposta all’esame oggi del Collegio), è possibile estendere il giudizio di penale responsabilità dell’imputato anche a fatti non espressamente indicati nel capo di imputazione e, tuttavia, accertati nel corso del giudizio sino alla sentenza di primo grado (Sez. 5, n. 6742 del 13/12/2018, dep. 2019, D., Rv. 275490).

Tale impostazione – sebbene di recente apparentemente contraddetta da una pronuncia difforme (Sez. 5, n. 54376 del 2/10/2019, S., Rv. 277255) – appare la logica conseguenza della pacifica opzione interpretativa secondo cui, nel delitto previsto dell’articolo 612-bis c.p., che ha natura abituale di evento, l’evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, in quanto dalla reiterazione degli atti deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, solo alla fine della sequenza, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme previste dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 51718 del 5/11/2014, T., Rv. 262636; Sez. 5, n. 54920 del 8/6/2016, G., Rv. 269081), sicchè ciò che rileva non e’ la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento (Sez. 5, n. 7899 del 14/1/2019, P., Rv. 275381).

La possibilita’ formale di procedere alla contestazione di una nuova manifestazione della condotta del reato di atti persecutori sino alla pronuncia della sentenza di primo grado è stata espressamente enunciata anche da Sez. 5, n. 22210 del 3/4/2017, C., Rv. 270241, che ha affermato come, nel delitto previsto dall’articolo 612-bis c.p., che è reato abituale e si consuma al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, il termine finale di consumazione, in mancanza di una specifica contestazione, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l’accertamento processuale, cosicchè non si configura violazione del principio del “ne bis in idem” in caso di nuova condanna per fatti successivi alla data della prima pronuncia.

Anche sotto il profilo della prospettiva di un futuro, possibile, rilievo del criterio preclusivo volto ad evitare un doppio giudizio le censure del ricorrente si rivelano quanto meno insufficienti, alla luce della giurisprudenza citata.

Il Collegio intende aderire al principio enunciato da Sez. 5, n. 6742 del 2019, cit., ribadendolo con alcune precisazioni, mentre non può essere seguita, nel caso di specie, la logica da cui muove l’arresto successivo di questa stessa Quinta Sezione, sebbene ispirato dall’attenzione e dal rigore interpretativo dinanzi ad una fattispecie tipica complessa.

Invero, la sentenza n. 54376 del 2019 ha escluso l’applicabilità al delitto di atti persecutori di cui all’articolo 612-bis c.p., che ha natura di reato abituale, e cioè a condotta plurima, del principio, proprio dei reati permanenti, secondo il quale, nell’ipotesi di contestazione aperta, il giudizio di penale responsabilità dell’imputato può estendersi, senza necessità di modifica dell’imputazione originaria, agli sviluppi della fattispecie emersi dall’istruttoria dibattimentale. Da ciò ha fatto derivare la conseguenza che le condotte persecutorie diverse e ulteriori rispetto a quelle descritte nell’imputazione devono formare oggetto di specifica contestazione, sia quando servono a perfezionare o ad integrare l’imputazione originaria, sia – e a maggior ragione – quando costituiscono una serie autonoma, unificabile alla precedente con il vincolo della continuazione e, nel caso deciso, ha escluso che la contestazione in sede cautelare di determinate condotte persecutorie, commesse dall’indagato nell’anno 2018, fosse preclusa dalla condanna di primo grado, riportata dal medesimo, nel 2019, per il delitto omogeneo in danno della stessa vittima, contestato con la formula “dal 2016 ad oggi”.

Deve, tuttavia, evidenziarsi che l’impostazione della pronuncia appena citata è influenzata, in parte, dal raffronto paradigmatico e astratto tra reato abituale e reato permanente; per altra parte, dalla funzionalizzazione dell’affermazione di principio a sciogliere i dubbi di una fattispecie complessa quale quella in concreta decisa, opposta a quella oggi all’esame del Collegio (poichè le contestazioni ulteriori, in quel caso, pur ricomprese nell’alveo temporale chiuso dalla condanna di primo grado, non erano state contestate nel corso del dibattimento, ma in fase cautelare ed in un separato e diverso procedimento).

Ed invece, deve essere valorizzato il dato peculiare della tipicità normativa che caratterizza il reato di atti persecutori: il delitto di cui all’articolo 612-bis c.p., infatti, ha natura, si, di reato abituale ma anche di reato di evento (o di danno), come è stato più volte pacificamente ribadito (cfr. Sez. 5, n. 7899 del 2019 cit.; Sez. 3, n. 23485 del 7/3/2014, U., Rv. 260083; Sez. 3, n. 9222 del 16/1/2015, G., Rv. 262517), sicchè è a tale struttura complessa che bisogna guardare per poter esplorare la possibilità di ampliare i confini della contestazione di un reato già consumato e in relazione al quale è iniziata la fase dibattimentale dopo l’esercizio dell’azione penale.

A tal riguardo, deve essere evidenziato che l’evento o meglio gli eventi alternativi (ciascuno dei quali è idoneo a realizzare il reato (cfr. Sez. 5, n. 29782 del 19/5/2011, L., Rv. 250399; Sez. 5, n. 34015 del 22/6/2010, De Guglielmo, Rv. 248412), che disegnano la tipicità oggettiva della fattispecie di stalking si realizzano “per accumulo” di condotte reiterate, le quali integrano minacce e molestie verso taluno, tanto da provocargli un grave stato d’ansia o di paura, ovvero da ingenerare fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto ovvero ancora da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.

Orbene, tale evento “per accumulo” rimane unico, ed unico si configura anche il reato, pur se, come nel caso di specie, di seguito al suo perfezionamento, la condotta prosegua e arrivi ad ulteriore, definitiva consumazione, aggravandone le conseguenze, e cioè amplificando la dimensione dell’evento dannoso generato e già (nella gran parte) realizzatosi.

Ciò perchè, in un caso come quello di specie, in cui evidentemente la condotta del ricorrente si inscrive nella medesima logica persecutoria e nel medesimo contesto di reato già delineato dall’imputazione in relazione alla quale è in corso il processo, non può dirsi che essa sia manifestazione di una nuova e diversa “campagna persecutoria” contro le vittime, bensì piuttosto costituisce l’apoteosi di quella già in atto (e come tale contestata dal pubblico ministero).

Il reato, pertanto, contestato come condotta “aperta” e in atto, ingloba in se’ gli ulteriori frammenti di condotta che contribuiscono alla sua definitiva consumazione nelle forme finali unitariamente offensive, frutto della reiterazione criminosa.

Può, pertanto, sinteticamente enunciarsi il seguente principio di diritto: il delitto previsto dall’articolo 612-bis c.p. è reato abituale di evento “per accumulo”, che si consuma al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, pur potendosi essere già perfezionato nel momento in cui uno degli eventi previsti dalla norma si sia realizzato, sicchè il termine finale di consumazione, in presenza di una contestazione “aperta”, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l’accertamento processuale, consentendo l’ampliamento dell’ambito dell’imputazione alle ulteriori condotte eventualmente realizzate successivamente all’esercizio dell’azione penale.

2.3. Quanto alla violazione del principio di terzietà ed imparzialità per il giudice del dibattimento che emetta la misura cautelare nei confronti dell’imputato, valga rammentare le affermazioni costanti di questa Corte di legittimità secondo cui l’esercizio del potere cautelare in corso di giudizio non determina una situazione di incompatibilità rilevabile neppure come motivo di ricusazione, poichè il giudice è titolare della competenza accessoria cautelare che si radica in ragione di quella principale del giudizio sul merito (Sez. 1, n. 38657 del 22/9/2004, Assinata, Rv. 229537; Sez. 2, n. 17401 del 24/3/2009, Russo, Rv. 244345; Sez. 6, n. 11 del 29/12/2015, dep. 2016, Gammuto, Rv. 265466).

Del resto, la giurisprudenza costituzionale ha da tempo chiarito come, affinchè insorga l’incompatibilità dl giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, è necessario che ogni eventuale, precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento, essendo del tutto ragionevole che, all’interno di ciascuna delle fasi, resti comunque preservata “l’esigenza di continuità e di globalità” per non incorrere in irrazionali ed irragionevoli frammentazioni del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere (sentenze n. 131 del 1996 e n. 153 del 2012 Corte Cost.). Egualmente non vi sono ragioni per escludere la possibilità di ampliare la contestazione in dibattimento pur in presenza di una nuova azione espressiva del delitto abituale che non sia emersa direttamente dall’esame di una delle prove acquisite o nel corso della sua acquisizione, ma venga portata nel processo da una delle parti.

Anche in tal caso, infatti, in relazione ad essa, potrà operare la garanzia del contraddittorio in atto tra accusa e difesa e dinanzi al giudice terzo, secondo le ordinarie regole processuali previste.

Del resto, il motivo al riguardo, così come formulato, si presenta generico poichè neppure cita quali siano le violazioni del contraddittorio in cui si sia incorsi, sostenendo una preclusione tout court all’ingresso nella contestazione di un nuovo e successivo passaggio delittuoso con le modalità realizzatesi in concreto.

2.4. Un’ultima considerazione deve riservarsi alla censura rivolta alla verifica delle esigenze cautelari quanto all’inevitabilità del ricorso alla custodia in carcere.

Ebbene, il Riesame ha utilizzato una motivazione convincente dal punto di vista logico e del richiamo agli elementi concreti della condotta posta in essere dal ricorrente, dai quali si è desunta la necessità di attivare la misura di massimo rigore e non altra meno afflittiva (quale gli invocati arresti domiciliari) per soddisfare le sempre più evidenti esigenze di evitare la reiterazione del reato.

L’imputato ha mostrato un’ossessività crescente nei confronti delle vittime così come si è evidenziata l’inutilità dell’intervento diretto persino delle forze di polizia per sciogliere la sua carica aggressiva e minacciosa verso costoro; infine, la reiterazione criminosa anche dopo l’audizione delle persone offese nel processo ha reso ancora più allarmante il rischio cautelare, espressivo di una personalità minata dal livore e dall’astio nei riguardi dei vicini, visti come spettro di un nemico da contrastare compulsivamente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 28 Reg. Esec. c.p.p..

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla  legge.