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Cassazione: non può essere punito chi occupa una casa per dare un tetto ai propri figli
Con la sentenza n. 46054 del 16 dicembre 2021 i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno riconosciuto la particolare tenuità del fatto proprio in ragione dello stato di necessità della famiglia.
La vicenda trae origine dall’occupazione abusiva, da parte di una famiglia, di un intero alloggio popolare. Gli occupanti, a seguito dei primi due gradi di giudizio, venivano condannati alla pena di euro 500 di multa, in relazione al reato di occupazione abusiva.
Per questo, i ricorrenti, adivano ricorso per Cassazione sulla base di due presupposti, ovvero:
Entrambe le motivazioni del ricorso sono risultate, per i giudici della Cassazione, fondate. Gli Ermellini hanno, infatti, censurato l’assenza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto oltre a censurare l’insufficiente motivazione in ragione dello stato di necessità.
Il principio ribadito nel giudizio di ultimo grado ripete quanto già indicato in una precedente sentenza della Suprema Corte secondo cui “l’abusiva occupazione di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al pericolo di danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione ovvero di altri diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost., sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo. Ne consegue che la stessa può essere invocata solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa” (cfr. Cass. n. 10694/2020).
A parere della Suprema Corte, per denegare le invocate scriminanti, i giudici di appello hanno fatto sommario riferimento all’insufficienza delle precarie condizioni economiche dei ricorrenti e alla complessiva inidoneità del compendio probatorio raccolto a provare lo stato di necessità.
Ritenendo, quindi, le motivazione a sostegno del diniego insufficienti, hanno deciso per l’annullamento della sentenza con relativo rinvio alla competente Corte d’Appello per l’esercizio di un nuovo giudizio.
La vicenda trae origine dall’occupazione abusiva, da parte di una famiglia, di un intero alloggio popolare. Gli occupanti, a seguito dei primi due gradi di giudizio, venivano condannati alla pena di euro 500 di multa, in relazione al reato di occupazione abusiva.
Per questo, i ricorrenti, adivano ricorso per Cassazione sulla base di due presupposti, ovvero:
Entrambe le motivazioni del ricorso sono risultate, per i giudici della Cassazione, fondate. Gli Ermellini hanno, infatti, censurato l’assenza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto oltre a censurare l’insufficiente motivazione in ragione dello stato di necessità.
Il principio ribadito nel giudizio di ultimo grado ripete quanto già indicato in una precedente sentenza della Suprema Corte secondo cui “l’abusiva occupazione di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al pericolo di danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione ovvero di altri diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost., sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo. Ne consegue che la stessa può essere invocata solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa” (cfr. Cass. n. 10694/2020).
A parere della Suprema Corte, per denegare le invocate scriminanti, i giudici di appello hanno fatto sommario riferimento all’insufficienza delle precarie condizioni economiche dei ricorrenti e alla complessiva inidoneità del compendio probatorio raccolto a provare lo stato di necessità.
Ritenendo, quindi, le motivazione a sostegno del diniego insufficienti, hanno deciso per l’annullamento della sentenza con relativo rinvio alla competente Corte d’Appello per l’esercizio di un nuovo giudizio.
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