Il termine per presentare querela decorre da quando il titolare ha conoscenza certa del fatto reato (Cass. Pen. sez. II, 05/07/2019 n. 37584)

La Suprema Corte, con sentenza n. 37584 del 2019, ha precisato la portata applicativa dell’art. 124 del codice penale con particolare riguardo alla decorrenza del termine per la presentazione della querela;(1) tale disposizione, al comma I, statuisce che, “salvo che la legge disponga altrimenti, il diritto di querela non può essere esercitato decorsi tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato”.

Dal tenore letterale della norma si evince chiaramente che, ai fini del computo del termine, rileva unicamente il momento in cui la persona offesa è venuta a conoscenza della commissione di un fatto reato nei suoi confronti rispetto al momento in cui si è effettivamente consumata la condotta criminosa.

La sentenza in commento si inserisce nell’ambito di un ampio filone giurisprudenziale teso a dare un’interpretazione chiara e univoca del dettato normativo al fine di individuare con precisione il dies a quo del termine per la proposizione della querela.

Sentenza cassazione termini querela 05/07/2019 n. 37584

Indice

1. I fatti di causa
2. I motivi dell’impugnazione
3. La decisione della Suprema Corte
4. Massima
5. La sentenza integrale

1. I fatti di causa

Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Firenze ha confermato la decisione del Tribunale di Arezzo che, in data 22/05/2014, ha dichiarato l’imputato D.L.S. colpevole del reato di truffa in concorso, condannandolo alla pena di otto mesi di reclusione.

Secondo il capo d’imputazione, il D.L., in concorso con altro soggetto, decantando lo stato di piena efficienza e l’assenza di difetti dell’autovettura Mazda6 tg. (OMISSIS) la permutava con altro veicolo presso la concessionaria Selezione Auto s.r.l. di F.d.C., pur essendo a conoscenza della presenza di importanti danni meccanici, certificati dall’officina Motorauto s.p.a. in data (OMISSIS), procurandosi così un ingiusto profitto con corrispondente danno per la persona offesa.

2. I motivi dell’impugnazione

Avverso la sentenza d’Appello, emessa in data 19/03/2018, è stato proposto ricorso per cassazione sulla base dei seguenti motivi:

  • Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla tardività di proposizione della querela;
  • Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ricorrenza degli elementi costitutivi del reato di truffa;
  • Violazione di legge in merito alla specie di pena applicata;
  • Violazione di legge in merito all’operato trattamento sanzionatorio;
  • Inosservanza o errata applicazione dell’art. 164 c.p. .

3. La decisione della Suprema Corte

La seconda sezione della Suprema Corte ha ritenuto fondato solo uno dei cinque motivi di doglianza indicati nel ricorso, quello relativo all’inosservanza o errata applicazione dell’istituto della sospensione condizionale della pena previsto dall’art. 164 c.p. e, pertanto, ha dichiarato l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente a tale beneficio, disponendo il rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto.

Tuttavia, il principio di diritto espresso dalla Corte in detta pronuncia, scaturisce dal rigetto del primo motivo di ricorso mediante il quale è stata eccepita la tardività della querela.

Secondo la tesi difensiva, il termine di tre mesi previsto dalla legge per la presentazione della querela, sarebbe da ricondurre alla data in cui l’auto in parola veniva consegnata, in conto vendita, alla concessionaria Selezione Auto s.r.l.; da quel momento, a giudizio del ricorrente, la persona offesa sarebbe già stata nelle condizioni di conoscere ogni elemento utile per la cognizione del fatto reato.

Di diverso avviso, la Corte, sul punto, ha dato rilievo alla tesi secondo la quale il titolare della concessionaria avrebbe realmente appreso dei gravi difetti meccanici della “Mazda” solo dopo aver rivenduto l’automobile ricevuta in conto vendita dall’imputato e ha ritenuto, di conseguenza, che l’istanza punitiva fosse stata sporta tempestivamente perché presentata entro il termine di tre mesi dall’effettiva scoperta dei danni.

Tale decisione non stupisce particolarmente poiché si pone perfettamente in linea con numerose pronunce dei giudici di legittimità sull’argomento; tra le più significative, ad esempio, la sentenza n. 3315/2000, V sezione penale, statuisce che “ai fini della decorrenza del termine perentorio della querela occorre che l’offeso abbia avuto conoscenza precisa, certa e diretta del fatto delittuoso, in maniera da possedere tutti gli elementi di valutazione onde determinarsi. Invero, per notizia del fatto che costituisce reato, indicata dal comma primo dell’art.124 c.p., è da intendere la conoscenza certa del fatto, non solo sotto il profilo oggettivo ma anche sotto quello soggettivo, concernente la identificazione dell’autore del reato che è indispensabile perché la persona offesa dal reato, anche intuitu personae, possa fare quella scelta che la legge rimette alla sua discrezione”. Rilevante, sul punto, anche la sentenza n. 25986/2009, Cass. Sez. III, secondo la quale “il termine per la proposizione della querela decorre, per la parte lesa che sia già in possesso di elementi oggettivi per l’identificazione dell’autore del reato, non già dal momento in cui la stessa decide di pervenire a detta, concreta, identificazione, bensì dal momento in cui la stessa sia in grado di attivarsi onde giungere a tale conoscenza (fattispecie di ritenuta tardività di querela presentata oltre un anno dopo il fatto nonostante la parte lesa fosse in grado, già in precedenza, di localizzare la casa ove si era consumata la pretesa violenza a suo danno)”.

il Supremo Collegio, infine, consolidando gli orientamenti precedenti, ha sostenuto di recente che “deve ritenersi tempestiva la proposizione della querela quando vi sia incertezza se la conoscenza precisa, certa e diretta del fatto, in tutti i suoi elementi costitutivi, da parte della persona offesa sia avvenuta entro oppure oltre il termine previsto per esercitare utilmente il relativo diritto, dovendo la decadenza ex art. 124 cod. pen. essere accertata secondo criteri rigorosi e non sulla base di supposizioni prive di adeguato supporto probatorio (Cass. pen, sez. VI, 8 giugno 2015 n.24380)”.

4. Massima

Il termine per la presentazione della querela decorre dal momento in cui il titolare ha conoscenza certa, sulla base di elementi seri e concreti, del fatto reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto proposta nei termini la querela per truffa presentata dal titolare di una concessionaria di auto che, ricevuta in conto vendita un’autovettura, l’aveva poi rivenduta e, in quell’occasione, aveva appreso dei gravi difetti meccanici dell’autovettura medesima ed avanzato istanza di punizione.

5. La sentenza integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino – Presidente

Dott. MANTOVANO Alfredo – Consigliere

Dott. PELLEGRINO Andr – rel. Consigliere

Dott. PACILLI G. A.R. – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di:

(OMISSIS), n. a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall’avv. (OMISSIS), di fiducia;

avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, seconda sezione penale, n. 1059/2015, in data 19/03/2018;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere, Dott. Andrea Pellegrino;

udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Pratola Gianluigi, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio limitatamente al beneficio della sospensione condizionale della pena;

udita la discussione del difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso riportandosi ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 19/03/2018, la Corte di appello di Firenze, confermava la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Arezzo in data 22/05/2014 appellata da (OMISSIS), con la quale lo stesso era stato condannato alla pena di mesi otto di arresto (rectius, reclusione) per il reato di truffa in concorso.

In base all’accusa, il (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS), decantando lo stato di piena efficienza e l’assenza di difetti dell’autovettura Mazda 6 tg. (OMISSIS), la permutava con altro veicolo presso la concessionaria (OMISSIS) s.r.l. (OMISSIS), pur essendo a conoscenza della presenza di importanti danni meccanici, certificati dall’officina (OMISSIS) s.p.a. in data (OMISSIS), procurandosi cosi’ un ingiusto profitto con corrispondente danno per la persona offesa.

2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di (OMISSIS), veniva proposto ricorso per cassazione per lamentare:

– violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla tardivita’ di proposizione dell’atto di querela (primo motivo);

– violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ricorrenza degli elementi costitutivi del reato di truffa (secondo motivo);

– violazione di legge in merito alla specie di pena applicata (terzo motivo);

– violazione di legge in merito all’operato trattamento sanzionatorio (quarto motivo);

– inosservanza od errata applicazione dell’articolo 164 c.p. (quinto motivo).

2.1. In relazione al primo motivo, si evidenzia come l’auto in parola, di proprieta’ di (OMISSIS), venne consegnata alla concessionaria (OMISSIS) s.r.l. in conto vendita in data (OMISSIS), momento dal quale quest’ultima venne messa in condizione di conoscere ogni elemento utile per la cognizione del fatto di reato: di tal che la querela, sporta in data (OMISSIS), era intervenuta ben oltre i tre mesi dalla “notizia” del fatto. In ogni caso, la Corte territoriale ha dato rilievo al momento in cui la persona offesa, (OMISSIS), avrebbe a suo dire preso conoscenza dell’esistenza del preventivo con clausola di esonero di responsabilita’, momento molto successivo a quello della consegna del veicolo ((OMISSIS)), senza valutare le censure proposte in sede di gravame in ordine all’attendibilita’ dello stesso (OMISSIS).

In realta’, sulla base delle previsioni contrattuali, la (OMISSIS) fu messa nelle condizioni di identificare gli elementi oggettivi del reato (presenza di vizi nella cosa venduta e paventata omissione nella comunicazione degli stessi da parte della venditrice) fin dalla stipula del contratto; a questo va aggiunto che “chi” ha ricevuto il veicolo in conto vendita e’ un professionista del settore con diversi anni di esperienza in materia.

2.2. In relazione al secondo motivo, si evidenzia come, in relazione all’elemento oggettivo del reato di truffa, non si comprende quale sia stato l’atto compiuto da (OMISSIS) in concorso con la coimputata, tenuto conto che la non conoscenza del preventivo con postilla annessa datato (OMISSIS) della (OMISSIS), da parte della persona offesa, e’ circostanza riferita solo da quest’ultima.

Inoltre, il contrasto delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in merito alle modalita’ di pagamento del prezzo d’acquisto dell’autovettura in oggetto non e’ circostanza del tutto irrilevante. Anche in relazione all’elemento soggettivo del reato, la condotta del (OMISSIS) appare esente da responsabilita’. Le previsioni del punto 5 delle condizioni di vendita (secondo sui “nel caso di vetture lasciate in vendita presso la Ditta (OMISSIS), si intende che queste debbano essere in perfette condizioni: meccaniche, di carrozzeria e non precedentemente sinistrate. La Ditta venditrice si riserva di comunicare all’acquirente o mandante entro 10 giorni, dopo prove di collaudo, se le vetture non sono in perfette condizioni. In questo caso l’acquirente o mandante si impegna a pagare le spese che si dovranno sostenere per la sistemazione delle vetture stesse”) esclude ogni genere di dubbio sulla condotta del ricorrente, essendo illogico e contraddittorio pensare che chi voglia intenzionalmente raggirare un venditore “nascondendo” un vizio del veicolo, sottoscriva o faccia sottoscrivere una clausola che esponga lo stesso veicolo a dei controlli e a delle verifiche che evidenzino, poi, quegli stessi vizi.

2.3. In relazione al terzo motivo, si censura la specie della sanzione applicata, essendo in presenza di delitto punito con pena detentiva della reclusione e non di contravvenzione punita con la pena detentiva dell’arresto. La censura mossa in grado di appello era stata rigettata dalla Corte territoriale in quanto ritenuta un mero errore materiale e maggiormente afflittiva per il reo.

2.4. In relazione al quarto motivo, si censura la sentenza impugnata che, nell’evocare in capo al reo un comportamento del tutto subdolo, ha confermato una pena del tutto eccessiva rispetto alla reale gravita’ del fatto.

2.5. In relazione al quinto motivo, si censura l’omesso riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena ritenendo che la mancanza di precedenti non costituisca argomento sufficiente per la formulazione di un giudizio prognostico positivo sull’astensione in futuro dalla commissione di ulteriori reati, omettendo tuttavia di valutare gli altri elementi di cui all’articolo 133 c.p., e segnatamente l’intensita’ del dolo o il grado della colpa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato nei limiti di cui in dispositivo.

2. Il primo motivo e’ aspecifico.

Il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si e’ per lo piu’ limitato a riprodurre le stesse questioni gia’ devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese, con motivazione del tutto coerente e adeguata che non e’ stata in alcun modo sottoposta ad autonoma e argomentata confutazione. E’ ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.

La mancanza di specificita’ del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericita’, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non puo’ ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’ che conduce, a norma dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), alla inammissibilita’ della impugnazione (in tal senso, Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo non mass.; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/02/2002, Palma, Rv. 221693).

Fermo quanto precede, rileva il Collegio come la Corte territoriale abbia ampiamente chiarito le ragioni per le quali la querela non potesse considerarsi come tardivamente proposta.

Invero, si ricorda al riguardo come, sulla base del consolidato insegnamento giurisprudenziale a cui si intende dar corso, il termine per la presentazione della querela decorre dal momento in cui il titolare ha conoscenza certa, sulla base di elementi seri, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva, conoscenza che puo’ essere acquisita in modo completo soltanto se e quando il soggetto passivo abbia contezza dell’autore e possa, quindi, liberamente determinarsi; pertanto, nel caso in cui siano svolti tempestivi accertamenti, indispensabili per la individuazione del soggetto attivo, il termine di cui all’articolo 124 c.p. decorre, non dal momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del fatto oggettivo del reato, ne’ da quello in cui, sulla base di semplici sospetti, indirizza le indagini verso una determinata persona, ma dall’esito di tali indagini (cfr., Sez. 5, n. 33466 del 09/07/2008, Ladogana, Rv. 241395).

Si afferma al riguardo come il (OMISSIS), titolare della concessionaria e persona offesa, avesse concretamente saputo “… dei problemi e dei guasti dell’autovettura che acquistava dal (OMISSIS) soltanto alcuni mesi dopo, ovvero al momento in cui suddetta autovettura, nuovamente oggetto di un contratto di vendita, veniva utilizzata dalla nuova acquirente (OMISSIS) che, poi, immediatamente, si lamentava col (OMISSIS) per l’accensione della spia dell’olio, proprio al momento del ritiro dell’autovettura e, riscontrato il problema anche nei giorni immediatamente successivi, riportava l’auto alla concessionaria. La querela veniva quindi effettuata dal (OMISSIS) solo in epoca successiva alla scoperta dei danni… ossia in data (OMISSIS), in particolare dopo essersi recato presso l’officina (OMISSIS) s.p.a. che aveva effettuato la riparazione della Mazda, di cui alla copia della fattura fornita dal (OMISSIS) al momento della consegna al (OMISSIS) del veicolo in permuta con pagamento della differenza prezzo…”.

Con queste argomentate conclusioni che comprovano la tempestivita’ della querela sporta, il ricorrente omette di misurarsi preferendo inammissibilmente insistere nella propria censura nei medesimi termini fatti valere in sede di gravame.

3. Evocativa di non consentita censura in fatto, generico e comunque manifestamente infondato e’ il secondo motivo.

Al riguardo, va premesso come non sia compito della Suprema Corte scegliere la ricostruzione dei fatti maggiormente plausibile. L’equilibrio del sistema si caratterizza, infatti, nel senso che, se al giudice di legittimita’ e’ affidato il privilegio di dire l’ultima e definitiva parola sulla controversia, e’ altrettanto vero che tale privilegio trova, nell’ordinamento, il proprio contrappeso nel rispetto dell’accertamento di fatto, il quale e’ riservato al giudice del merito; onde la soluzione legale e giusta della controversia deve essere il risultato finale della somma dei compiti propri dei due tipi di giudicanti. Per questo, le censure di merito agli apprezzamenti singoli e complessivi sul materiale probatorio costituiscono motivi diversi da quelli consentiti (articolo 606 c.p.p., comma 3). E debbono essere considerate censure di merito, come tali inammissibili nel giudizio di legittimita’, tutte quelle che attengono a “vizi” diversi dalla mancanza di motivazione, dalla sua “manifesta illogicita’”, dalla sua contraddittorieta’ (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo. Inammissibili sono pertanto tutte le doglianze che “attaccano” la “persuasivita’”, l'”inadeguatezza”, la mancanza di “rigore” o di “puntualita’”, la stessa “illogicita’” quando non “manifesta”, cosi’ come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento: tutto cio’ e’ “fatto”, riservato al giudice del merito.

Invero, allorquando il giudice del merito ha espresso il proprio apprezzamento, la ricostruzione del fatto e’ definita, e le sole censure possibili nel giudizio di legittimita’ sono quelle dei soli tre tassativi vizi indicati dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), ciascuno dotato di peculiare oggetto e struttura (sicche’ e’ altro costante insegnamento di questa Suprema Corte che la deduzione alternativa di vizi, invece assolutamente differenti, e’ per se’ indice di genericita’ del motivo di ricorso e, in definitiva, “segno” della natura di merito della doglianza che ad essi solo strumentalmente tenta di agganciarsi).

In particolare, la motivazione della Corte d’appello non puo’ essere definita “apparente” o “tautologica”, perche’ da’ conto puntuale delle censure e deduzioni difensive, le esamina analiticamente e le disattende con specifiche argomentazioni, previ richiami puntuali a risultanze probatorie non palesemente incongrue agli assunti che i Giudici di merito ne hanno tratto.

3.1. Cio’ considerato, evidenzia il Collegio come la Corte d’appello di Firenze, con motivazione del tutto congrua e priva di vizi logico-giuridici, abbia chiaramente evidenziato che:

– il (OMISSIS) non avesse alcun obbligo di verificare le condizioni dell’autovettura restituita, a pena di decadenza;

– la mancata celere verificazione delle effettive condizioni del mezzo (pattuita solo a livello di mera possibilita’, e non certo come un onere obbligatorio per la concessionaria acquirente) era dipesa non solo dalla pregressa conoscenza con i coniugi (OMISSIS), gia’ clienti del (OMISSIS), ma soprattutto dal fatto che, gli stessi, al fine di rafforzare quanto affermato in punto di perfette condizioni dell’auto, avevano accompagnato la restituzione della medesima con una fattura emessa dall’officina (OMISSIS) s.p.a. in data (OMISSIS), che segnalava l’esecuzione di diversi lavori, circostanza che induceva in errore il (OMISSIS) e gli faceva credere che l’auto consegnata in permuta dal (OMISSIS) al momento dell’acquisto di una nuova autovettura, fosse stata appena revisionata ed ogni anomalia aggiustata, prospettandosi cosi’ la sua sicura affidabilita’;

– il (OMISSIS), all’atto della consegna della vettura, ometteva di produrre il preventivo datato (OMISSIS) su cui figurava un appunto scritto a mano ed aggiunto un data (OMISSIS) con la seguente dicitura “vettura con ingranaggio pompa olio e albero motore danneggiato, perdita olio da paraolio albero piu’ presenza di materiale ferroso sull’olio madre. Il cliente ritira la vettura (consapevole dei rischi) sotto la sua responsabilita’”: appunto il cui contenuto veniva celato al (OMISSIS), risultando essere stato aggiunto verosimilmente dal riparatore in calce al preventivo, come detto, in data (OMISSIS) all’atto del ritiro dell’auto da parte del (OMISSIS), attestante un’importante riparazione non effettuata per scelta e volonta’ del cliente che, informato della cosa, si era assunto la responsabilita’ della circolazione ritenuta pericolosa dell’auto.

Questa condotta, posta in essere con artifizi e raggiri, configura certamente un comportamento truffaldino da parte dell’imputato, avendo indotto in errore il (OMISSIS) che, sulla base del malizioso “silenzio” serbato da controparte, si e’ erroneamente convinto dell’esistenza di una situazione complessivamente a lui favorevole ma non corrispondente alla realta’ ed ha finito per versare all’imputato una somma (corrispondente al proprio ingiusto danno e all’altrui profitto) che, senza quella condotta di controparte, non avrebbe corrisposto.

Per il resto, rimane solo da evidenziare un profilo di assoluta genericita’ del motivo di ricorso, caratterizzato esclusivamente da affermazioni apodittiche nelle quali si lamenta la mancata presa in considerazione o la conseguente illogica valutazione di elementi di prova dei quali si sollecita, in chiave esclusivamente innocentista, una non consentita lettura alternativa (cfr., Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004, Elia, Rv. 229369).

4. Aspecifico e manifestamente infondato e’ il terzo motivo.

La Corte territoriale ha chiarito che il riferimento operato dal primo giudice alla pena dell’arresto in luogo della reclusione, quale species di pena da comminarsi, fosse da ritenersi un mero errore materiale riverberatosi a vantaggio dell’imputato, atteso che da tale svista del Tribunale, e’ derivata anche la mancata comminazione della pena pecuniaria, prevista dall’articolo 640 c.p..

Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto di non dover determinare alcuna statuizione in tal senso, anche in presenza di specifico motivo di gravame della difesa, in considerazione del fatto che l’intervento correttivo sarebbe di maggiore afflizione del reo.

Il giudice di secondo grado ha fatto corretta applicazione dei consolidati insegnamento giurisprudenziali in materia.

Si e’ affermato al riguardo che, in tema di determinazione di pena, ove il giudice abbia inflitto una pena in contrasto con la previsione di legge ma in senso favorevole all’imputato, si realizza un errore al quale la Corte di cassazione, in difetto di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, non puo’ porre riparo ne’ con le formalita’ di cui agli articoli 130 e 619 c.p.p., perche’ si versa in ipotesi di errore di giudizio e non di errore materiale del computo aritmetico della pena, ne’ in osservanza all’articolo 1 c.p. ed in forza del compito istituzionale proprio della Corte di cassazione di correggere le deviazioni da tale disposizione, cio’ in quanto la possibilita’ di correggere in sede di legittimita’ la illegalita’ della pena, nella specie o nella quantita’, e’ limitata all’ipotesi in cui l’errore sia avvenuto a danno e non in vantaggio dell’imputato, essendo anche in detta sede non superabile il limite del divieto della “reformatio in peius” (Sez. 6, n. 49858 del 20/11/2013, G., Rv. 257672; nello stesso senso, Sez. 5, n. 44897 del 30/09/2015, Galiza Lima, Rv. 265529, secondo cui nel giudizio di legittimita’, l’illegalita’ “ab origine” della pena, inflitta in senso favorevole all’imputato, puo’ essere corretta dalla Corte di cassazione solo in presenza di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, essendo limitato il potere di intervento d’ufficio, in sede di legittimita’, ai soli casi nei quali l’errore sia avvenuto in danno dell’imputato: fattispecie in cui la Corte, sulla base di tale principio, ha applicato, in assenza di specifico motivo di ricorso, la pena della multa, in luogo della reclusione irrogata dal giudice di merito per un reato di competenza del giudice di pace).

5. Manifestamente infondato e’ il quarto motivo.

L’indicazione in motivazione – con riferimento alla determinazione dell’entita’ della pena – degli elementi negativi ritenuti di dominante rilievo non rende necessario l’esame dettagliato degli ulteriori elementi rappresentati solo genericamente nel ricorso (Sez. U, n. 5519 del 21/04/1979, Pelosi, Rv. 142252).

E’ quindi sufficiente, in considerazione dell’entita’ della pena determinata nella sentenza impugnata, il richiamo, tra i criteri di valutazione previsti dall’articolo 133 c.p., unicamente alla capacita’ a delinquere dell’imputato, desunta dai precedenti penali, e alla gravita’ dei fatti per le particolari modalita’ di commissione (scrivono i giudici di appello: “… la pena inflitta, ai sensi dell’articolo 133 c.p., e’ congrua all’entita’ del fatto commesso e al danno patrimoniale arrecato alla persona offesa, alla luce della condotta indubbiamente subdola del (OMISSIS), il quale, evidentemente per non affrontare le spese della prospettata riparazione, decideva di rivendere la macchina al concessionario dove l’aveva acquistata, omettendo l’informazione sul danni ed anzi garantendogli l’ottimo funzionamento del mezzo, per acquistarne un’altra…”).

Allorche’ la pena, come nel caso in esame, non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, l’obbligo motivazionale previsto dall’articolo 125 c.p.p., comma 3, deve ritenersi assolto anche attraverso espressioni che manifestino sinteticamente il giudizio di congruita’ della pena o richiamino sommariamente i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’articolo 133 c.p. (cfr., Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, Pacchiarotti, Rv. 255825; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596; Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo, Rv. 241189; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri, Rv. 237402).

Ed e’ principio consolidato della giurisprudenza di legittimita’ che, in tal caso, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua ed e’ sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464).

6. Fondato e’, invece, il quinto motivo.

Scrivono i giudici di appello: “non sussistono elementi positivi, non bastando da solo quello della sostanziale incensuratezza dell’imputato, per concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, non essendo possibile effettuare una prognosi positiva in relazione all’astensione della commissione di nuovi reati”. La valutazione compiuta dai giudici di merito e’ pienamente censurabile ed impone una pronuncia di annullamento.

Nella fattispecie, il giudizio prognostico e’ stato ancorato da un lato ad un elemento del tutto favorevole all’imputato (l’incensuratezza) che non avrebbe dovuto introdurre alcuna “pregiudiziale sfavorevole” quand’anche in un’ottica di “un’insufficienza” del dato e, dall’altro, alla mancanza di (altri) elementi favorevoli, che parimenti non andavano “ricercati”, dovendo il giudizio reiettivo fondarsi esclusivamente su ben precisi elementi sfavorevoli, nella fattispecie rimasti del tutto inesplorati: da questa tautologia deriva la sostanziale mancanza di motivazione sulla richiesta di riconoscimento del beneficio e l’obbligo di annullamento della sentenza impugnata sul punto.

Involgendo la questione valutazioni di merito – circa la gravita’ del reato e la capacita’ a delinquere valutate nella prospettiva della possibilita’ di commettere ulteriori reati – non surrogabili in sede di legittimita’, ritiene il Collegio di aderire all’orientamento di gran lunga prevalente espresso dalla giurisprudenza di legittimita’ secondo cui debba disporsi a tal fine rinvio al giudice di appello competente per una nuova delibazione sul punto. In questo senso il riscontro giurisprudenziale e’ ampio e consta di vari precedenti negli ultimi decenni (in tal senso, v. Sez. 2, n. 46981 del 12/10/2016, Grigoroi e altro, Rv. 268402; Sez. 6, n. 26539 del 09/06/2015, Ciancio, Rv. 263917; Sez. 5, n. 41006 del 13/05/2015, Fall, Rv. 264823; Sez. 3, n. 19082 del 17/04/2012, Vitale, Rv. 252651; Sez. 1, n. 16679 del 01/03/2013, Corlando, Rv. 254570, secondo cui il giudizio di legittimita’ si caratterizza per i limiti posti al potere di conoscere del merito della regiudicanda, e, quindi, di quegli aspetti che necessariamente rilevano nelle valutazioni in punto di sospendibilita’ condizionale della pena anche con riferimento al giudizio prognostico indicato nell’articolo 164 c.p.; Sez. 3, n. 19082 del 17/4/2012, Vitale, Rv. 252651, che pone in evidenza egualmente la necessita’ di annullare con rinvio per operare le necessarie valutazioni di merito anche in riferimento al giudizio prognostico ex articolo 164 c.p.; ed in tempi piu’ risalenti, Sez. 4, n. 11237 del 24/05/1991, Carlino, Rv. 188630).

7. Alla pronuncia di annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena consegue il rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto: il giudice del rinvio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto.


(1) La querela è l’atto con il quale la persona offesa, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, manifesta la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato nei confronti del presunto autore dell’illecito; costituisce, oltre che una notitia criminis, anche una condizione di procedibilità nei soli casi in cui la legge penale subordina la punibilità del reato alla volontà dell’offeso (reati cd. procedibili a querela).

sentenza cassazione termini querela 05/07/2019 n. 37584

Indice

1. I fatti di causa
2. I motivi dell’impugnazione
3. La decisione della Suprema Corte
4. Massima
5. La sentenza integrale

1. I fatti di causa

Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Firenze ha confermato la decisione del Tribunale di Arezzo che, in data 22/05/2014, ha dichiarato l’imputato D.L.S. colpevole del reato di truffa in concorso, condannandolo alla pena di otto mesi di reclusione.

Secondo il capo d’imputazione, il D.L., in concorso con altro soggetto, decantando lo stato di piena efficienza e l’assenza di difetti dell’autovettura Mazda6 tg. (OMISSIS) la permutava con altro veicolo presso la concessionaria Selezione Auto s.r.l. di F.d.C., pur essendo a conoscenza della presenza di importanti danni meccanici, certificati dall’officina Motorauto s.p.a. in data (OMISSIS), procurandosi così un ingiusto profitto con corrispondente danno per la persona offesa.

2. I motivi dell’impugnazione

Avverso la sentenza d’Appello, emessa in data 19/03/2018, è stato proposto ricorso per cassazione sulla base dei seguenti motivi:

  • Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla tardività di proposizione della querela;
  • Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ricorrenza degli elementi costitutivi del reato di truffa;
  • Violazione di legge in merito alla specie di pena applicata;
  • Violazione di legge in merito all’operato trattamento sanzionatorio;
  • Inosservanza o errata applicazione dell’art. 164 c.p. .

3. La decisione della Suprema Corte

La seconda sezione della Suprema Corte ha ritenuto fondato solo uno dei cinque motivi di doglianza indicati nel ricorso, quello relativo all’inosservanza o errata applicazione dell’istituto della sospensione condizionale della pena previsto dall’art. 164 c.p. e, pertanto, ha dichiarato l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente a tale beneficio, disponendo il rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto.

Tuttavia, il principio di diritto espresso dalla Corte in detta pronuncia, scaturisce dal rigetto del primo motivo di ricorso mediante il quale è stata eccepita la tardività della querela.

Secondo la tesi difensiva, il termine di tre mesi previsto dalla legge per la presentazione della querela, sarebbe da ricondurre alla data in cui l’auto in parola veniva consegnata, in conto vendita, alla concessionaria Selezione Auto s.r.l.; da quel momento, a giudizio del ricorrente, la persona offesa sarebbe già stata nelle condizioni di conoscere ogni elemento utile per la cognizione del fatto reato.

Di diverso avviso, la Corte, sul punto, ha dato rilievo alla tesi secondo la quale il titolare della concessionaria avrebbe realmente appreso dei gravi difetti meccanici della “Mazda” solo dopo aver rivenduto l’automobile ricevuta in conto vendita dall’imputato e ha ritenuto, di conseguenza, che l’istanza punitiva fosse stata sporta tempestivamente perché presentata entro il termine di tre mesi dall’effettiva scoperta dei danni.

Tale decisione non stupisce particolarmente poiché si pone perfettamente in linea con numerose pronunce dei giudici di legittimità sull’argomento; tra le più significative, ad esempio, la sentenza n. 3315/2000, V sezione penale, statuisce che “ai fini della decorrenza del termine perentorio della querela occorre che l’offeso abbia avuto conoscenza precisa, certa e diretta del fatto delittuoso, in maniera da possedere tutti gli elementi di valutazione onde determinarsi. Invero, per notizia del fatto che costituisce reato, indicata dal comma primo dell’art.124 c.p., è da intendere la conoscenza certa del fatto, non solo sotto il profilo oggettivo ma anche sotto quello soggettivo, concernente la identificazione dell’autore del reato che è indispensabile perché la persona offesa dal reato, anche intuitu personae, possa fare quella scelta che la legge rimette alla sua discrezione”. Rilevante, sul punto, anche la sentenza n. 25986/2009, Cass. Sez. III, secondo la quale “il termine per la proposizione della querela decorre, per la parte lesa che sia già in possesso di elementi oggettivi per l’identificazione dell’autore del reato, non già dal momento in cui la stessa decide di pervenire a detta, concreta, identificazione, bensì dal momento in cui la stessa sia in grado di attivarsi onde giungere a tale conoscenza (fattispecie di ritenuta tardività di querela presentata oltre un anno dopo il fatto nonostante la parte lesa fosse in grado, già in precedenza, di localizzare la casa ove si era consumata la pretesa violenza a suo danno)”.

il Supremo Collegio, infine, consolidando gli orientamenti precedenti, ha sostenuto di recente che “deve ritenersi tempestiva la proposizione della querela quando vi sia incertezza se la conoscenza precisa, certa e diretta del fatto, in tutti i suoi elementi costitutivi, da parte della persona offesa sia avvenuta entro oppure oltre il termine previsto per esercitare utilmente il relativo diritto, dovendo la decadenza ex art. 124 cod. pen. essere accertata secondo criteri rigorosi e non sulla base di supposizioni prive di adeguato supporto probatorio (Cass. pen, sez. VI, 8 giugno 2015 n.24380)”.

4. Massima

Il termine per la presentazione della querela decorre dal momento in cui il titolare ha conoscenza certa, sulla base di elementi seri e concreti, del fatto reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto proposta nei termini la querela per truffa presentata dal titolare di una concessionaria di auto che, ricevuta in conto vendita un’autovettura, l’aveva poi rivenduta e, in quell’occasione, aveva appreso dei gravi difetti meccanici dell’autovettura medesima ed avanzato istanza di punizione.

5. La sentenza integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino – Presidente

Dott. MANTOVANO Alfredo – Consigliere

Dott. PELLEGRINO Andr – rel. Consigliere

Dott. PACILLI G. A.R. – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di:

(OMISSIS), n. a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall’avv. (OMISSIS), di fiducia;

avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, seconda sezione penale, n. 1059/2015, in data 19/03/2018;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere, Dott. Andrea Pellegrino;

udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Pratola Gianluigi, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio limitatamente al beneficio della sospensione condizionale della pena;

udita la discussione del difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso riportandosi ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 19/03/2018, la Corte di appello di Firenze, confermava la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Arezzo in data 22/05/2014 appellata da (OMISSIS), con la quale lo stesso era stato condannato alla pena di mesi otto di arresto (rectius, reclusione) per il reato di truffa in concorso.

In base all’accusa, il (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS), decantando lo stato di piena efficienza e l’assenza di difetti dell’autovettura Mazda 6 tg. (OMISSIS), la permutava con altro veicolo presso la concessionaria (OMISSIS) s.r.l. (OMISSIS), pur essendo a conoscenza della presenza di importanti danni meccanici, certificati dall’officina (OMISSIS) s.p.a. in data (OMISSIS), procurandosi cosi’ un ingiusto profitto con corrispondente danno per la persona offesa.

2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di (OMISSIS), veniva proposto ricorso per cassazione per lamentare:

– violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla tardivita’ di proposizione dell’atto di querela (primo motivo);

– violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ricorrenza degli elementi costitutivi del reato di truffa (secondo motivo);

– violazione di legge in merito alla specie di pena applicata (terzo motivo);

– violazione di legge in merito all’operato trattamento sanzionatorio (quarto motivo);

– inosservanza od errata applicazione dell’articolo 164 c.p. (quinto motivo).

2.1. In relazione al primo motivo, si evidenzia come l’auto in parola, di proprieta’ di (OMISSIS), venne consegnata alla concessionaria (OMISSIS) s.r.l. in conto vendita in data (OMISSIS), momento dal quale quest’ultima venne messa in condizione di conoscere ogni elemento utile per la cognizione del fatto di reato: di tal che la querela, sporta in data (OMISSIS), era intervenuta ben oltre i tre mesi dalla “notizia” del fatto. In ogni caso, la Corte territoriale ha dato rilievo al momento in cui la persona offesa, (OMISSIS), avrebbe a suo dire preso conoscenza dell’esistenza del preventivo con clausola di esonero di responsabilita’, momento molto successivo a quello della consegna del veicolo ((OMISSIS)), senza valutare le censure proposte in sede di gravame in ordine all’attendibilita’ dello stesso (OMISSIS).

In realta’, sulla base delle previsioni contrattuali, la (OMISSIS) fu messa nelle condizioni di identificare gli elementi oggettivi del reato (presenza di vizi nella cosa venduta e paventata omissione nella comunicazione degli stessi da parte della venditrice) fin dalla stipula del contratto; a questo va aggiunto che “chi” ha ricevuto il veicolo in conto vendita e’ un professionista del settore con diversi anni di esperienza in materia.

2.2. In relazione al secondo motivo, si evidenzia come, in relazione all’elemento oggettivo del reato di truffa, non si comprende quale sia stato l’atto compiuto da (OMISSIS) in concorso con la coimputata, tenuto conto che la non conoscenza del preventivo con postilla annessa datato (OMISSIS) della (OMISSIS), da parte della persona offesa, e’ circostanza riferita solo da quest’ultima.

Inoltre, il contrasto delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in merito alle modalita’ di pagamento del prezzo d’acquisto dell’autovettura in oggetto non e’ circostanza del tutto irrilevante. Anche in relazione all’elemento soggettivo del reato, la condotta del (OMISSIS) appare esente da responsabilita’. Le previsioni del punto 5 delle condizioni di vendita (secondo sui “nel caso di vetture lasciate in vendita presso la Ditta (OMISSIS), si intende che queste debbano essere in perfette condizioni: meccaniche, di carrozzeria e non precedentemente sinistrate. La Ditta venditrice si riserva di comunicare all’acquirente o mandante entro 10 giorni, dopo prove di collaudo, se le vetture non sono in perfette condizioni. In questo caso l’acquirente o mandante si impegna a pagare le spese che si dovranno sostenere per la sistemazione delle vetture stesse”) esclude ogni genere di dubbio sulla condotta del ricorrente, essendo illogico e contraddittorio pensare che chi voglia intenzionalmente raggirare un venditore “nascondendo” un vizio del veicolo, sottoscriva o faccia sottoscrivere una clausola che esponga lo stesso veicolo a dei controlli e a delle verifiche che evidenzino, poi, quegli stessi vizi.

2.3. In relazione al terzo motivo, si censura la specie della sanzione applicata, essendo in presenza di delitto punito con pena detentiva della reclusione e non di contravvenzione punita con la pena detentiva dell’arresto. La censura mossa in grado di appello era stata rigettata dalla Corte territoriale in quanto ritenuta un mero errore materiale e maggiormente afflittiva per il reo.

2.4. In relazione al quarto motivo, si censura la sentenza impugnata che, nell’evocare in capo al reo un comportamento del tutto subdolo, ha confermato una pena del tutto eccessiva rispetto alla reale gravita’ del fatto.

2.5. In relazione al quinto motivo, si censura l’omesso riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena ritenendo che la mancanza di precedenti non costituisca argomento sufficiente per la formulazione di un giudizio prognostico positivo sull’astensione in futuro dalla commissione di ulteriori reati, omettendo tuttavia di valutare gli altri elementi di cui all’articolo 133 c.p., e segnatamente l’intensita’ del dolo o il grado della colpa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato nei limiti di cui in dispositivo.

2. Il primo motivo e’ aspecifico.

Il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si e’ per lo piu’ limitato a riprodurre le stesse questioni gia’ devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese, con motivazione del tutto coerente e adeguata che non e’ stata in alcun modo sottoposta ad autonoma e argomentata confutazione. E’ ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.

La mancanza di specificita’ del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericita’, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non puo’ ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’ che conduce, a norma dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), alla inammissibilita’ della impugnazione (in tal senso, Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo non mass.; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/02/2002, Palma, Rv. 221693).

Fermo quanto precede, rileva il Collegio come la Corte territoriale abbia ampiamente chiarito le ragioni per le quali la querela non potesse considerarsi come tardivamente proposta.

Invero, si ricorda al riguardo come, sulla base del consolidato insegnamento giurisprudenziale a cui si intende dar corso, il termine per la presentazione della querela decorre dal momento in cui il titolare ha conoscenza certa, sulla base di elementi seri, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva, conoscenza che puo’ essere acquisita in modo completo soltanto se e quando il soggetto passivo abbia contezza dell’autore e possa, quindi, liberamente determinarsi; pertanto, nel caso in cui siano svolti tempestivi accertamenti, indispensabili per la individuazione del soggetto attivo, il termine di cui all’articolo 124 c.p. decorre, non dal momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del fatto oggettivo del reato, ne’ da quello in cui, sulla base di semplici sospetti, indirizza le indagini verso una determinata persona, ma dall’esito di tali indagini (cfr., Sez. 5, n. 33466 del 09/07/2008, Ladogana, Rv. 241395).

Si afferma al riguardo come il (OMISSIS), titolare della concessionaria e persona offesa, avesse concretamente saputo “… dei problemi e dei guasti dell’autovettura che acquistava dal (OMISSIS) soltanto alcuni mesi dopo, ovvero al momento in cui suddetta autovettura, nuovamente oggetto di un contratto di vendita, veniva utilizzata dalla nuova acquirente (OMISSIS) che, poi, immediatamente, si lamentava col (OMISSIS) per l’accensione della spia dell’olio, proprio al momento del ritiro dell’autovettura e, riscontrato il problema anche nei giorni immediatamente successivi, riportava l’auto alla concessionaria. La querela veniva quindi effettuata dal (OMISSIS) solo in epoca successiva alla scoperta dei danni… ossia in data (OMISSIS), in particolare dopo essersi recato presso l’officina (OMISSIS) s.p.a. che aveva effettuato la riparazione della Mazda, di cui alla copia della fattura fornita dal (OMISSIS) al momento della consegna al (OMISSIS) del veicolo in permuta con pagamento della differenza prezzo…”.

Con queste argomentate conclusioni che comprovano la tempestivita’ della querela sporta, il ricorrente omette di misurarsi preferendo inammissibilmente insistere nella propria censura nei medesimi termini fatti valere in sede di gravame.

3. Evocativa di non consentita censura in fatto, generico e comunque manifestamente infondato e’ il secondo motivo.

Al riguardo, va premesso come non sia compito della Suprema Corte scegliere la ricostruzione dei fatti maggiormente plausibile. L’equilibrio del sistema si caratterizza, infatti, nel senso che, se al giudice di legittimita’ e’ affidato il privilegio di dire l’ultima e definitiva parola sulla controversia, e’ altrettanto vero che tale privilegio trova, nell’ordinamento, il proprio contrappeso nel rispetto dell’accertamento di fatto, il quale e’ riservato al giudice del merito; onde la soluzione legale e giusta della controversia deve essere il risultato finale della somma dei compiti propri dei due tipi di giudicanti. Per questo, le censure di merito agli apprezzamenti singoli e complessivi sul materiale probatorio costituiscono motivi diversi da quelli consentiti (articolo 606 c.p.p., comma 3). E debbono essere considerate censure di merito, come tali inammissibili nel giudizio di legittimita’, tutte quelle che attengono a “vizi” diversi dalla mancanza di motivazione, dalla sua “manifesta illogicita’”, dalla sua contraddittorieta’ (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo. Inammissibili sono pertanto tutte le doglianze che “attaccano” la “persuasivita’”, l'”inadeguatezza”, la mancanza di “rigore” o di “puntualita’”, la stessa “illogicita’” quando non “manifesta”, cosi’ come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento: tutto cio’ e’ “fatto”, riservato al giudice del merito.

Invero, allorquando il giudice del merito ha espresso il proprio apprezzamento, la ricostruzione del fatto e’ definita, e le sole censure possibili nel giudizio di legittimita’ sono quelle dei soli tre tassativi vizi indicati dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), ciascuno dotato di peculiare oggetto e struttura (sicche’ e’ altro costante insegnamento di questa Suprema Corte che la deduzione alternativa di vizi, invece assolutamente differenti, e’ per se’ indice di genericita’ del motivo di ricorso e, in definitiva, “segno” della natura di merito della doglianza che ad essi solo strumentalmente tenta di agganciarsi).

In particolare, la motivazione della Corte d’appello non puo’ essere definita “apparente” o “tautologica”, perche’ da’ conto puntuale delle censure e deduzioni difensive, le esamina analiticamente e le disattende con specifiche argomentazioni, previ richiami puntuali a risultanze probatorie non palesemente incongrue agli assunti che i Giudici di merito ne hanno tratto.

3.1. Cio’ considerato, evidenzia il Collegio come la Corte d’appello di Firenze, con motivazione del tutto congrua e priva di vizi logico-giuridici, abbia chiaramente evidenziato che:

– il (OMISSIS) non avesse alcun obbligo di verificare le condizioni dell’autovettura restituita, a pena di decadenza;

– la mancata celere verificazione delle effettive condizioni del mezzo (pattuita solo a livello di mera possibilita’, e non certo come un onere obbligatorio per la concessionaria acquirente) era dipesa non solo dalla pregressa conoscenza con i coniugi (OMISSIS), gia’ clienti del (OMISSIS), ma soprattutto dal fatto che, gli stessi, al fine di rafforzare quanto affermato in punto di perfette condizioni dell’auto, avevano accompagnato la restituzione della medesima con una fattura emessa dall’officina (OMISSIS) s.p.a. in data (OMISSIS), che segnalava l’esecuzione di diversi lavori, circostanza che induceva in errore il (OMISSIS) e gli faceva credere che l’auto consegnata in permuta dal (OMISSIS) al momento dell’acquisto di una nuova autovettura, fosse stata appena revisionata ed ogni anomalia aggiustata, prospettandosi cosi’ la sua sicura affidabilita’;

– il (OMISSIS), all’atto della consegna della vettura, ometteva di produrre il preventivo datato (OMISSIS) su cui figurava un appunto scritto a mano ed aggiunto un data (OMISSIS) con la seguente dicitura “vettura con ingranaggio pompa olio e albero motore danneggiato, perdita olio da paraolio albero piu’ presenza di materiale ferroso sull’olio madre. Il cliente ritira la vettura (consapevole dei rischi) sotto la sua responsabilita’”: appunto il cui contenuto veniva celato al (OMISSIS), risultando essere stato aggiunto verosimilmente dal riparatore in calce al preventivo, come detto, in data (OMISSIS) all’atto del ritiro dell’auto da parte del (OMISSIS), attestante un’importante riparazione non effettuata per scelta e volonta’ del cliente che, informato della cosa, si era assunto la responsabilita’ della circolazione ritenuta pericolosa dell’auto.

Questa condotta, posta in essere con artifizi e raggiri, configura certamente un comportamento truffaldino da parte dell’imputato, avendo indotto in errore il (OMISSIS) che, sulla base del malizioso “silenzio” serbato da controparte, si e’ erroneamente convinto dell’esistenza di una situazione complessivamente a lui favorevole ma non corrispondente alla realta’ ed ha finito per versare all’imputato una somma (corrispondente al proprio ingiusto danno e all’altrui profitto) che, senza quella condotta di controparte, non avrebbe corrisposto.

Per il resto, rimane solo da evidenziare un profilo di assoluta genericita’ del motivo di ricorso, caratterizzato esclusivamente da affermazioni apodittiche nelle quali si lamenta la mancata presa in considerazione o la conseguente illogica valutazione di elementi di prova dei quali si sollecita, in chiave esclusivamente innocentista, una non consentita lettura alternativa (cfr., Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004, Elia, Rv. 229369).

4. Aspecifico e manifestamente infondato e’ il terzo motivo.

La Corte territoriale ha chiarito che il riferimento operato dal primo giudice alla pena dell’arresto in luogo della reclusione, quale species di pena da comminarsi, fosse da ritenersi un mero errore materiale riverberatosi a vantaggio dell’imputato, atteso che da tale svista del Tribunale, e’ derivata anche la mancata comminazione della pena pecuniaria, prevista dall’articolo 640 c.p..

Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto di non dover determinare alcuna statuizione in tal senso, anche in presenza di specifico motivo di gravame della difesa, in considerazione del fatto che l’intervento correttivo sarebbe di maggiore afflizione del reo.

Il giudice di secondo grado ha fatto corretta applicazione dei consolidati insegnamento giurisprudenziali in materia.

Si e’ affermato al riguardo che, in tema di determinazione di pena, ove il giudice abbia inflitto una pena in contrasto con la previsione di legge ma in senso favorevole all’imputato, si realizza un errore al quale la Corte di cassazione, in difetto di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, non puo’ porre riparo ne’ con le formalita’ di cui agli articoli 130 e 619 c.p.p., perche’ si versa in ipotesi di errore di giudizio e non di errore materiale del computo aritmetico della pena, ne’ in osservanza all’articolo 1 c.p. ed in forza del compito istituzionale proprio della Corte di cassazione di correggere le deviazioni da tale disposizione, cio’ in quanto la possibilita’ di correggere in sede di legittimita’ la illegalita’ della pena, nella specie o nella quantita’, e’ limitata all’ipotesi in cui l’errore sia avvenuto a danno e non in vantaggio dell’imputato, essendo anche in detta sede non superabile il limite del divieto della “reformatio in peius” (Sez. 6, n. 49858 del 20/11/2013, G., Rv. 257672; nello stesso senso, Sez. 5, n. 44897 del 30/09/2015, Galiza Lima, Rv. 265529, secondo cui nel giudizio di legittimita’, l’illegalita’ “ab origine” della pena, inflitta in senso favorevole all’imputato, puo’ essere corretta dalla Corte di cassazione solo in presenza di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, essendo limitato il potere di intervento d’ufficio, in sede di legittimita’, ai soli casi nei quali l’errore sia avvenuto in danno dell’imputato: fattispecie in cui la Corte, sulla base di tale principio, ha applicato, in assenza di specifico motivo di ricorso, la pena della multa, in luogo della reclusione irrogata dal giudice di merito per un reato di competenza del giudice di pace).

5. Manifestamente infondato e’ il quarto motivo.

L’indicazione in motivazione – con riferimento alla determinazione dell’entita’ della pena – degli elementi negativi ritenuti di dominante rilievo non rende necessario l’esame dettagliato degli ulteriori elementi rappresentati solo genericamente nel ricorso (Sez. U, n. 5519 del 21/04/1979, Pelosi, Rv. 142252).

E’ quindi sufficiente, in considerazione dell’entita’ della pena determinata nella sentenza impugnata, il richiamo, tra i criteri di valutazione previsti dall’articolo 133 c.p., unicamente alla capacita’ a delinquere dell’imputato, desunta dai precedenti penali, e alla gravita’ dei fatti per le particolari modalita’ di commissione (scrivono i giudici di appello: “… la pena inflitta, ai sensi dell’articolo 133 c.p., e’ congrua all’entita’ del fatto commesso e al danno patrimoniale arrecato alla persona offesa, alla luce della condotta indubbiamente subdola del (OMISSIS), il quale, evidentemente per non affrontare le spese della prospettata riparazione, decideva di rivendere la macchina al concessionario dove l’aveva acquistata, omettendo l’informazione sul danni ed anzi garantendogli l’ottimo funzionamento del mezzo, per acquistarne un’altra…”).

Allorche’ la pena, come nel caso in esame, non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, l’obbligo motivazionale previsto dall’articolo 125 c.p.p., comma 3, deve ritenersi assolto anche attraverso espressioni che manifestino sinteticamente il giudizio di congruita’ della pena o richiamino sommariamente i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’articolo 133 c.p. (cfr., Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, Pacchiarotti, Rv. 255825; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596; Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo, Rv. 241189; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri, Rv. 237402).

Ed e’ principio consolidato della giurisprudenza di legittimita’ che, in tal caso, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua ed e’ sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464).

6. Fondato e’, invece, il quinto motivo.

Scrivono i giudici di appello: “non sussistono elementi positivi, non bastando da solo quello della sostanziale incensuratezza dell’imputato, per concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, non essendo possibile effettuare una prognosi positiva in relazione all’astensione della commissione di nuovi reati”. La valutazione compiuta dai giudici di merito e’ pienamente censurabile ed impone una pronuncia di annullamento.

Nella fattispecie, il giudizio prognostico e’ stato ancorato da un lato ad un elemento del tutto favorevole all’imputato (l’incensuratezza) che non avrebbe dovuto introdurre alcuna “pregiudiziale sfavorevole” quand’anche in un’ottica di “un’insufficienza” del dato e, dall’altro, alla mancanza di (altri) elementi favorevoli, che parimenti non andavano “ricercati”, dovendo il giudizio reiettivo fondarsi esclusivamente su ben precisi elementi sfavorevoli, nella fattispecie rimasti del tutto inesplorati: da questa tautologia deriva la sostanziale mancanza di motivazione sulla richiesta di riconoscimento del beneficio e l’obbligo di annullamento della sentenza impugnata sul punto.

Involgendo la questione valutazioni di merito – circa la gravita’ del reato e la capacita’ a delinquere valutate nella prospettiva della possibilita’ di commettere ulteriori reati – non surrogabili in sede di legittimita’, ritiene il Collegio di aderire all’orientamento di gran lunga prevalente espresso dalla giurisprudenza di legittimita’ secondo cui debba disporsi a tal fine rinvio al giudice di appello competente per una nuova delibazione sul punto. In questo senso il riscontro giurisprudenziale e’ ampio e consta di vari precedenti negli ultimi decenni (in tal senso, v. Sez. 2, n. 46981 del 12/10/2016, Grigoroi e altro, Rv. 268402; Sez. 6, n. 26539 del 09/06/2015, Ciancio, Rv. 263917; Sez. 5, n. 41006 del 13/05/2015, Fall, Rv. 264823; Sez. 3, n. 19082 del 17/04/2012, Vitale, Rv. 252651; Sez. 1, n. 16679 del 01/03/2013, Corlando, Rv. 254570, secondo cui il giudizio di legittimita’ si caratterizza per i limiti posti al potere di conoscere del merito della regiudicanda, e, quindi, di quegli aspetti che necessariamente rilevano nelle valutazioni in punto di sospendibilita’ condizionale della pena anche con riferimento al giudizio prognostico indicato nell’articolo 164 c.p.; Sez. 3, n. 19082 del 17/4/2012, Vitale, Rv. 252651, che pone in evidenza egualmente la necessita’ di annullare con rinvio per operare le necessarie valutazioni di merito anche in riferimento al giudizio prognostico ex articolo 164 c.p.; ed in tempi piu’ risalenti, Sez. 4, n. 11237 del 24/05/1991, Carlino, Rv. 188630).

7. Alla pronuncia di annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena consegue il rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto: il giudice del rinvio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto.


(1) La querela è l’atto con il quale la persona offesa, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, manifesta la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato nei confronti del presunto autore dell’illecito; costituisce, oltre che una notitia criminis, anche una condizione di procedibilità nei soli casi in cui la legge penale subordina la punibilità del reato alla volontà dell’offeso (reati cd. procedibili a querela).