La “sopravvivenza” dei c.d. controlli difensivi dopo il Jobs Act

Cass. Civ., sez. lavoro, 22 settembre 2021, n. 25732

Di recente la Corte di Cassazione è intervenuta sulla piuttosto dibattuta questione relativa alla portata e alla “sopravvivenza” dei c.d. controlli difensivi all’esito delle modifiche apportate all’art. 4 St. Lav. dal D.lgs. 14 settembre 2015, n. 151.
La fattispecie – elaborata dalla giurisprudenza nella vigenza della vecchia formulazione dell’art. 4 per consentire controlli, da parte del datore di lavoro, finalizzati alla protezione del patrimonio aziendale da atti illeciti, anche al di fuori dei limiti statutari – sembrava essere ormai superata con la riforma del 2015, avendo il Legislatore inserito fra le finalità che legittimano l’installazione e l’utilizzo di sistemi di controllo a distanza, al comma 1 della norma, anche quelle relative alla tutela del patrimonio aziendale, in aggiunta a quelle imposte da ragioni organizzative e produttive ovvero di sicurezza sul lavoro già previste dalla disciplina previgente.
Il presente articolo, pertanto, passa in rassegna la sentenza del 22 settembre 2021, n. 25732, con la quale la Suprema Corte si è pronunciata in favore della sopravvivenza dei controlli difensivi indicando anche quali ne debbano essere i presupposti di legittimità.

Controlli difensivi jobs act

1. I controlli difensivi ante Jobs Act

La vecchia formulazione dell’art. 4 St. lav., a tutela della riservatezza e dignità dei lavoratori, sanciva un espresso divieto per il datore di lavoro di utilizzare “impianti audiovisivi e […] altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” stessi.
La norma, tuttavia, consentiva l’installazione di strumenti dai quali potesse derivare anche indirettamente un controllo a distanza dei lavoratori nel caso in cui ricorressero “esigenze organizzative e produttive” e/o legate alla “sicurezza sul lavoro”. In questi casi, però, era comunque necessaria la previa stipulazione di un accordo collettivo con le RSU o le RSA (o con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale in caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione o in più regioni) ovvero, in mancanza di accordo, la previa autorizzazione da parte dell’Ispettorato del lavoro. Ulteriore condizione richiesta per l’installazione di tali strumenti era la trasmissione di un’adeguata informativa al lavoratore circa le modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli nel rispetto di quanto disposto dal D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (c.d. Codice Privacy).
Dall’ambito di applicazione della norma erano esclusi i c.d. “controlli difensivi”, ossia i controlli aventi ad oggetto non l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal contratto, ma comportamenti  illeciti dei lavoratori e lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale. Divenne, dunque, necessario
verificare se l’esigenza di tutela del patrimonio aziendale potesse esonerare il datore di lavoro, intenzionato ad installare apparecchiature di controllo a distanza, dall’obbligo di raggiungere l’accordo sindacale (o di conseguire l’autorizzazione amministrativa).
Sul punto si è più volte espressa la giurisprudenza di legittimità statuendo che il datore di lavoro fosse legittimato a proteggere il proprio patrimonio e che tale diritto non potesse subire compressione neppure a fronte di eventuali lesioni provenienti dai propri dipendenti. Secondo l’orientamento maggioritario, dunque, tali controlli esulavano dall’ambito di applicazione del vecchio art. 4, co. 2, St. lav. e non richiedevano l’osservanza delle garanzie ivi previste a condizione che: (i) l’iniziativa datoriale avesse la finalità specifica di accertare determinati comportamenti illeciti del lavoratore; (ii) gli illeciti da accertare fossero lesivi del patrimonio o dell’immagine aziendale. Inoltre, i controlli così effettuati dovevano comunque garantire un adeguato bilanciamento tra le esigenze di salvaguardia della dignità e riservatezza del dipendente e quelle di protezione dei beni aziendali nel rispetto dei canoni di buona fede e correttezza ex art. 1175 c.c.(1)

2. La “sopravvivenza” dei c.d. controlli difensivi post Jobs Act

La nuova formulazione dell’art. 4 St. lav. ribadisce, seppur in maniera implicita, il divieto di controllo diretto ad accertare inadempimenti del lavoratore che attengano all’esecuzione della prestazione ove tale controllo non sia legittimato dalle esigenze indicate dalla norma stessa e prevede ora, tra tali esigenze, anche quelle relative alla “tutela del patrimonio aziendale”.
Tale innovazione ha comportato la nascita di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale vertente sulla sopravvivenza o meno dei controlli difensivi: per alcuni(2) questi devono oramai ritenersi completamente attratti nel campo di applicazione dell’art. 4 St. lav. (e quindi assoggettati alla disciplina che tale norma dispone in materia di modalità e limiti dei controlli a distanza), per altri(3), invece, gli stessi continuano a sopravvivere nel nostro ordinamento al di fuori dell’ambito di operatività della norma. Secondo tale ultimo orientamento, in particolare, i controlli difensivi attuati in deroga alla disciplina statutaria sarebbero legittimi in tutti quei casi in cui il controllo sia imposto dalla necessità eccezionale, non dilazionabile nel tempo e non realizzabile altrimenti, di fronteggiare condotte talmente gravi da attentare all’integrità del patrimonio o delle persone, riconducibile al principio generale della legittima difesa di cui agli artt. 2044 c.c. e 52 c.p.

2.1. La statuizione della Corte

Sulla questione è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza in commento, introducendo la distinzione fra controlli difensivi “in senso stretto” e “in senso lato”: i primi sono quelli ai quali il datore di lavoro dà corso “in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito” e finalizzati ad acquisire elementi per confermarlo o fugarlo del tutto; i secondi sono invece quelli posti in essere in via esplorativa, senza un sospetto precostituito in relazione ad una specifica condotta pregiudizievole del lavoratore(4).
Delle due tipologie, soltanto i controlli in senso stretto sono e restano ammessi anche se effettuati all’esterno del perimetro applicativo di cui all’art. 4; quelli in senso lato devono invece necessariamente essere realizzati nel rispetto dei limiti imposti dalla norma (sussistenza di un previo accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro).
Secondo gli Ermellini, infatti, “l’istituzionalizzazione della procedura richiesta dall’art. 4 per l’installazione dell’impianto di controllo sarebbe coerente con la necessità di consentire un controllo sindacale, e, nel caso amministrativo, su scelte che riguardano l’organizzazione dell’impresa; meno senso avrebbe l’applicazione della stessa procedura anche nel caso di eventi straordinari ed eccezionali costituiti dalla necessità di accertare e sanzionare gravi illeciti di un singolo lavoratore” (Cass. 25732/2021).
La sentenza sopra citata, però, termina precisando come il controllo posto in essere dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore, anche in presenza di un sospetto di attività illecita, non possa in ogni caso essere illimitato dovendosi comunque assicurare, nel rispetto della normativa europea e dell’art. 8 CEDU“un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, con un contemperamento che non può prescindere dalle circostanze del caso concreto”.
Per tali ragioni, il controllo difensivo in senso stretto, ai fini della sua legittimità, dovrà essere “mirato” ed attuato ex post, ossia a seguito del comportamento illecito di uno o più lavoratori del cui avvenuto compimento il datore abbia avuto il fondato sospetto.

3. Conclusioni

La recente sentenza, con cui la Suprema Corte si è pronunciata sulla portata e l’eventuale sopravvivenza dei c.d. controlli difensivi anche dopo la riforma della disciplina dei controlli a distanza ex art. 4 St. lav. attuata dal d.lgs. n. 151/2015, costituisce un precedente rilevante.
La fattispecie, elaborata dalla giurisprudenza durante la vigenza della vecchia formulazione dell’art. 4 St. lav. e che sembrava essere ormai superata con il Jobs Act, in realtà sopravvive nella veste del controllo difensivo “in senso stretto” e continua a sottrarsi alla disciplina garantista della norma statutaria.

controlli difensivi jobs act

1. I controlli difensivi ante Jobs Act

La vecchia formulazione dell’art. 4 St. lav., a tutela della riservatezza e dignità dei lavoratori, sanciva un espresso divieto per il datore di lavoro di utilizzare “impianti audiovisivi e […] altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” stessi.
La norma, tuttavia, consentiva l’installazione di strumenti dai quali potesse derivare anche indirettamente un controllo a distanza dei lavoratori nel caso in cui ricorressero “esigenze organizzative e produttive” e/o legate alla “sicurezza sul lavoro”. In questi casi, però, era comunque necessaria la previa stipulazione di un accordo collettivo con le RSU o le RSA (o con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale in caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione o in più regioni) ovvero, in mancanza di accordo, la previa autorizzazione da parte dell’Ispettorato del lavoro. Ulteriore condizione richiesta per l’installazione di tali strumenti era la trasmissione di un’adeguata informativa al lavoratore circa le modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli nel rispetto di quanto disposto dal D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (c.d. Codice Privacy).
Dall’ambito di applicazione della norma erano esclusi i c.d. “controlli difensivi”, ossia i controlli aventi ad oggetto non l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal contratto, ma comportamenti  illeciti dei lavoratori e lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale. Divenne, dunque, necessario
verificare se l’esigenza di tutela del patrimonio aziendale potesse esonerare il datore di lavoro, intenzionato ad installare apparecchiature di controllo a distanza, dall’obbligo di raggiungere l’accordo sindacale (o di conseguire l’autorizzazione amministrativa).
Sul punto si è più volte espressa la giurisprudenza di legittimità statuendo che il datore di lavoro fosse legittimato a proteggere il proprio patrimonio e che tale diritto non potesse subire compressione neppure a fronte di eventuali lesioni provenienti dai propri dipendenti. Secondo l’orientamento maggioritario, dunque, tali controlli esulavano dall’ambito di applicazione del vecchio art. 4, co. 2, St. lav. e non richiedevano l’osservanza delle garanzie ivi previste a condizione che: (i) l’iniziativa datoriale avesse la finalità specifica di accertare determinati comportamenti illeciti del lavoratore; (ii) gli illeciti da accertare fossero lesivi del patrimonio o dell’immagine aziendale. Inoltre, i controlli così effettuati dovevano comunque garantire un adeguato bilanciamento tra le esigenze di salvaguardia della dignità e riservatezza del dipendente e quelle di protezione dei beni aziendali nel rispetto dei canoni di buona fede e correttezza ex art. 1175 c.c.(1)

2. La “sopravvivenza” dei c.d. controlli difensivi post Jobs Act

La nuova formulazione dell’art. 4 St. lav. ribadisce, seppur in maniera implicita, il divieto di controllo diretto ad accertare inadempimenti del lavoratore che attengano all’esecuzione della prestazione ove tale controllo non sia legittimato dalle esigenze indicate dalla norma stessa e prevede ora, tra tali esigenze, anche quelle relative alla “tutela del patrimonio aziendale”.
Tale innovazione ha comportato la nascita di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale vertente sulla sopravvivenza o meno dei controlli difensivi: per alcuni(2) questi devono oramai ritenersi completamente attratti nel campo di applicazione dell’art. 4 St. lav. (e quindi assoggettati alla disciplina che tale norma dispone in materia di modalità e limiti dei controlli a distanza), per altri(3), invece, gli stessi continuano a sopravvivere nel nostro ordinamento al di fuori dell’ambito di operatività della norma. Secondo tale ultimo orientamento, in particolare, i controlli difensivi attuati in deroga alla disciplina statutaria sarebbero legittimi in tutti quei casi in cui il controllo sia imposto dalla necessità eccezionale, non dilazionabile nel tempo e non realizzabile altrimenti, di fronteggiare condotte talmente gravi da attentare all’integrità del patrimonio o delle persone, riconducibile al principio generale della legittima difesa di cui agli artt. 2044 c.c. e 52 c.p.

2.1. La statuizione della Corte

Sulla questione è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza in commento, introducendo la distinzione fra controlli difensivi “in senso stretto” e “in senso lato”: i primi sono quelli ai quali il datore di lavoro dà corso “in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito” e finalizzati ad acquisire elementi per confermarlo o fugarlo del tutto; i secondi sono invece quelli posti in essere in via esplorativa, senza un sospetto precostituito in relazione ad una specifica condotta pregiudizievole del lavoratore(4).
Delle due tipologie, soltanto i controlli in senso stretto sono e restano ammessi anche se effettuati all’esterno del perimetro applicativo di cui all’art. 4; quelli in senso lato devono invece necessariamente essere realizzati nel rispetto dei limiti imposti dalla norma (sussistenza di un previo accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro).
Secondo gli Ermellini, infatti, “l’istituzionalizzazione della procedura richiesta dall’art. 4 per l’installazione dell’impianto di controllo sarebbe coerente con la necessità di consentire un controllo sindacale, e, nel caso amministrativo, su scelte che riguardano l’organizzazione dell’impresa; meno senso avrebbe l’applicazione della stessa procedura anche nel caso di eventi straordinari ed eccezionali costituiti dalla necessità di accertare e sanzionare gravi illeciti di un singolo lavoratore” (Cass. 25732/2021).
La sentenza sopra citata, però, termina precisando come il controllo posto in essere dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore, anche in presenza di un sospetto di attività illecita, non possa in ogni caso essere illimitato dovendosi comunque assicurare, nel rispetto della normativa europea e dell’art. 8 CEDU“un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, con un contemperamento che non può prescindere dalle circostanze del caso concreto”.
Per tali ragioni, il controllo difensivo in senso stretto, ai fini della sua legittimità, dovrà essere “mirato” ed attuato ex post, ossia a seguito del comportamento illecito di uno o più lavoratori del cui avvenuto compimento il datore abbia avuto il fondato sospetto.

3. Conclusioni

La recente sentenza, con cui la Suprema Corte si è pronunciata sulla portata e l’eventuale sopravvivenza dei c.d. controlli difensivi anche dopo la riforma della disciplina dei controlli a distanza ex art. 4 St. lav. attuata dal d.lgs. n. 151/2015, costituisce un precedente rilevante.
La fattispecie, elaborata dalla giurisprudenza durante la vigenza della vecchia formulazione dell’art. 4 St. lav. e che sembrava essere ormai superata con il Jobs Act, in realtà sopravvive nella veste del controllo difensivo “in senso stretto” e continua a sottrarsi alla disciplina garantista della norma statutaria.

Bibliografia

¹ Cfr. ord. Cass. 28 maggio 2018, n. 13266; Cass. 2 maggio 2017, n. 10637; Cass. 27 maggio 2015, n. 10955.
² In giurisprudenza si veda Trib. Roma 16 settembre 2016, n. 93383, Trib. Roma 13 giugno 2018, n. 57668,
Trib. Padova 22 gennaio 2018, Trib. La Spezia 15 aprile 2019, Trib. Vicenza 28 ottobre 2019. In dottrina si veda in proposito A. SARTORI, Il controllo tecnologico sui lavoratori. La nuova disciplina italiana tra vincoli sovrannazionali e modelli comparati, Torino, 2020; M. MARAZZA, I controlli a distanza del lavoratore di natura “difensiva”, in P. TULLINI (a cura di), Controlli a distanza e tutela dei dati personali del lavoratore, Torino, 2017.
³ Per la legittimità dei controlli difensivi disposti in deroga alla disciplina statutaria a seguito di un “ragionevole sospetto della commissione di illeciti” si veda Trib. Teramo 7 luglio 2020; conformi: Trib. Roma 26 marzo 2019, App. Milano 24 febbraio 2020, Trib. Cassino 23 novembre 2020, tutte in DeJure. Per la legittimità dei controlli difensivi disposti in deroga alla disciplina statutaria per l’accertamento di “illeciti estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa” si veda invece Trib. La Spezia, 25 novembre 2016 in www.bollettinoadapt.it; conformi: Trib. Roma 24 marzo 2017, in DeJure; Trib. Torino 18 settembre 2018, in Riv. It. Dir. Lav., 2019, 1, 3, con nota di C. CRISCUOLO, Potere di controllo e computer aziendale. I dottrina si veda in proposito, V. MAIO, La nuova disciplina dei controlli a distanza sull’attività dei lavoratori e la modernità post panottica, in Arg. Dir. Lav., 2015, 6, 1186; M. MARAZZA, Dei poteri (del datore di lavoro), dei controlli (a distanza) e del trattamento dei dati (del lavoratore), in Arg. Dir. Lav., 2016, 3, 483; A. MARESCA, Controlli tecnologi e tutele del lavoratore del nuovo art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, in Riv. It. Dir. Lav., 2016, 4, 513; G. PROIA, Trattamento dei dati personali rapporti di lavoro e l’«impatto» della nuova disciplina dei controlli a distanza, in Riv. It. Dir. Lav., 2016, 4, 547.
⁴ Alla decisione in commento la Suprema Corte ha dato continuità con la sentenza Cass. 12 novembre 2021, n. 34092.