Il decreto 231/01 non si applica alle imprese individuali

(Tribunale     di     Ravenna,     sentenza     n.     1056     depositata     il      7.6.2021)

La giurisprudenza di merito è intervenuta in materia di responsabilità degli enti segnatamente sul perimetro applicativo del d. lgs. 231/2001 alle imprese individuali.

Imprese individuali

Con il recentissimo arresto, il Tribunale di Ravenna, prende le mosse dall’art. 1 d.lgs. 231/2001, il quale delinea il novero soggettivo dei destinatari della normativa che disciplina la responsabilità degli enti da reato.
A mente della citata norma, com’è noto, le disposizioni del decreto in parola si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.
Ancora, il Giudice romagnolo fa riferimento all’art. 12 delle c.d. Preleggi, in forza del quale dovrebbe preferirsi una interpretazione letterale ogni qual volta il tessuto normativo sia talmente chiaro da consentire di non stravolgerne la ratio.
Già sotto tale profilo, secondo la pronuncia in commento, dovrebbe ritenersi che le imprese individuali siano estranee al campo applicativo della disciplina relativa agli “enti”.
Ed invero, in disparte la definizione di “società” o di “associazioni anche prive di personalità giuridica” – cui pacificamente non può essere associata l’impresa individuale – il termine “ente” designa una categoria non definita dal punto di vista normativo, a differenza di quanto accade appunto per quelle di società (art. 2247 c.c.) e associazione (artt. 14 ss. c.c.).
Ecco, dunque, che in un’ottica di sistema, il Tribunale di Ravenna correttamente richiama la Relazione di accompagnamento al decreto 231/2001, per affermare che la scelta del sostantivo “ente” deve essere letta – stante l’impossibilita  di  formulare  un  elenco  tassativo  di  soggetti  –  in  sinergia  con  la espressa indicazione di soggetti nominati, quali le “società” o le “associazioni anche prive di personalità giuridica”, in modo tale da indirizzare l’interprete verso la considerazione di enti che, seppur sprovvisti di personalità giuridica, possano comunque ottenerla.
In altri termini, può sostenersi come il discrimine debba individuarsi in tutti quei soggetti giuridici meta-individuali che siano tuttavia autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici, costituendo i destinatari degli atti compiuti dalla persona fisica che agisca nel loro interesse o a loro vantaggio, ma da questa senz’altro distinti.
In un quadro di particolare difficoltà interpretativa è chiaro come la giurisprudenza si muova a tentoni, nonostante il tessuto normativo di riferimento non sia più così recente.
La Corte di Cassazione, nella prima pronuncia in subiecta materia, ha affermato che la disciplina prevista dal d. lgs. 231/2001 non si applica alle imprese individuali, di contro riferendosi ai soli enti collettivi.
A tale conclusione la Suprema Corte addiveniva valorizzando in primo luogo la ratio legis, quindi il dato testuale e da ultimo, il principio del divieto di analogia in malam partem, scolpito nell’art. 25 della nostra Carta Costituzionale oltre che nell’art. 2 c.p. e nell’art. 14 delle “preleggi”.
Su altro versante si collocano quelle pronunce, invero isolate, secondo cui la disciplina sulla responsabilità da reato degli enti trovi ingresso anche nell’ambito delle imprese individuali, che devono ritenersi incluse nella nozione di ente fornito di personalità giuridica utilizzata dall’art. 1, comma secondo, del decreto 231.
Con la sentenza in commento, il Tribunale aderisce all’orientamento maggioritario di legittimità, “dovendosi dunque escludere che l’impresa individuale (scilicet: l’imprenditore individuale) sia destinataria della disciplina prevista dal d.lgs. 231/2001, poiché essa si applica ai soli soggetti meta- individuali”.
In   sostanza,   prosegue   il   dictum   in   parola,    “nellimpresa    individuale, imprenditore ed attività coincidono e non ricorre quella duplicità di centri di imputazione necessaria ai fini che occupano”.
Considerata, pertanto, l’identità ontologica tra persona fisica ed ente, con l’applicazione del decreto 231/01 all’impresa individuale si finirebbe per dar luogo ad una doppia punizione del medesimo soggetto per il medesimo fatto, con violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, censurato sia in sede  interna sia dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Ed infatti, la persona fisica sarebbe processata e punita sia quale autore materiale del reato sia in qualità di titolare dell’impresa che con lui, alfine, si immedesima.
Del resto, si osserva conclusivamente, la ratio del testo normativo di riferimento è volta a sanzionare quei soggetti collettivi che non abbiano adottato e/o attuato un efficace modello di organizzazione, ciò che, di per sé è solo, è sufficiente a non ravvisare una “colpa di organizzazione” nell’ambito dell’impresa individuale, proprio in ragione di quella sostanziale coincidenza tra persona fisica ed attività imprenditoriale.
Il citato arresto di merito si pone in perfetta continuità con altro precedente, con cui il GIP del Tribunale di Milano ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di una società unipersonale.
Nell’occasione, il GIP ha infatti stabilito che la mancanza di un autonomo centro di interessi, proprio di una società unipersonale, determina l’impossibilità di scindere la responsabilità amministrativa in capo all’ente da quella penale in capo alla persona fisica.
In particolare, è stato affermato che deve essere dichiarato “il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste tutte le volte in cui l’ente giuridico, in relazione al reato presupposto fondante la responsabilità amministrativa della persona giuridica, non è necessario e infungibile, trattandosi di contegno pacificamente riferibile a persone fisiche che lo avrebbero potuto realizzare senza alcuno schema societario. In tali ipotesi, infatti, viene a mancare la ratio di fondo della normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche la quale immagina contegni personalmente devianti tenuti da persone fisiche nell’interesse di strutture organizzative di un certo rilievo di complessità quale centro di imputazioni di rapporti giuridici distinto da chi ha materialmente operato.”
Si tratta, con ogni evidenza, di puntualizzazioni di non poco momento che abbracciano una interpretazione sostanzialistica – e garantistica – della disciplina in parola.

imprese individuali

Con il recentissimo arresto, il Tribunale di Ravenna, prende le mosse dall’art. 1 d.lgs. 231/2001, il quale delinea il novero soggettivo dei destinatari della normativa che disciplina la responsabilità degli enti da reato.
A mente della citata norma, com’è noto, le disposizioni del decreto in parola si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.
Ancora, il Giudice romagnolo fa riferimento all’art. 12 delle c.d. Preleggi, in forza del quale dovrebbe preferirsi una interpretazione letterale ogni qual volta il tessuto normativo sia talmente chiaro da consentire di non stravolgerne la ratio.
Già sotto tale profilo, secondo la pronuncia in commento, dovrebbe ritenersi che le imprese individuali siano estranee al campo applicativo della disciplina relativa agli “enti”.
Ed invero, in disparte la definizione di “società” o di “associazioni anche prive di personalità giuridica” – cui pacificamente non può essere associata l’impresa individuale – il termine “ente” designa una categoria non definita dal punto di vista normativo, a differenza di quanto accade appunto per quelle di società (art. 2247 c.c.) e associazione (artt. 14 ss. c.c.).
Ecco, dunque, che in un’ottica di sistema, il Tribunale di Ravenna correttamente richiama la Relazione di accompagnamento al decreto 231/2001, per affermare che la scelta del sostantivo “ente” deve essere letta – stante l’impossibilita  di  formulare  un  elenco  tassativo  di  soggetti  –  in  sinergia  con  la espressa indicazione di soggetti nominati, quali le “società” o le “associazioni anche prive di personalità giuridica”, in modo tale da indirizzare l’interprete verso la considerazione di enti che, seppur sprovvisti di personalità giuridica, possano comunque ottenerla.
In altri termini, può sostenersi come il discrimine debba individuarsi in tutti quei soggetti giuridici meta-individuali che siano tuttavia autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici, costituendo i destinatari degli atti compiuti dalla persona fisica che agisca nel loro interesse o a loro vantaggio, ma da questa senz’altro distinti.
In un quadro di particolare difficoltà interpretativa è chiaro come la giurisprudenza si muova a tentoni, nonostante il tessuto normativo di riferimento non sia più così recente.
La Corte di Cassazione, nella prima pronuncia in subiecta materia, ha affermato che la disciplina prevista dal d. lgs. 231/2001 non si applica alle imprese individuali, di contro riferendosi ai soli enti collettivi.
A tale conclusione la Suprema Corte addiveniva valorizzando in primo luogo la ratio legis, quindi il dato testuale e da ultimo, il principio del divieto di analogia in malam partem, scolpito nell’art. 25 della nostra Carta Costituzionale oltre che nell’art. 2 c.p. e nell’art. 14 delle “preleggi”.
Su altro versante si collocano quelle pronunce, invero isolate, secondo cui la disciplina sulla responsabilità da reato degli enti trovi ingresso anche nell’ambito delle imprese individuali, che devono ritenersi incluse nella nozione di ente fornito di personalità giuridica utilizzata dall’art. 1, comma secondo, del decreto 231.
Con la sentenza in commento, il Tribunale aderisce all’orientamento maggioritario di legittimità, “dovendosi dunque escludere che l’impresa individuale (scilicet: l’imprenditore individuale) sia destinataria della disciplina prevista dal d.lgs. 231/2001, poiché essa si applica ai soli soggetti meta- individuali”.
In   sostanza,   prosegue   il   dictum   in   parola,    “nellimpresa    individuale, imprenditore ed attività coincidono e non ricorre quella duplicità di centri di imputazione necessaria ai fini che occupano”.
Considerata, pertanto, l’identità ontologica tra persona fisica ed ente, con l’applicazione del decreto 231/01 all’impresa individuale si finirebbe per dar luogo ad una doppia punizione del medesimo soggetto per il medesimo fatto, con violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, censurato sia in sede  interna sia dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Ed infatti, la persona fisica sarebbe processata e punita sia quale autore materiale del reato sia in qualità di titolare dell’impresa che con lui, alfine, si immedesima.
Del resto, si osserva conclusivamente, la ratio del testo normativo di riferimento è volta a sanzionare quei soggetti collettivi che non abbiano adottato e/o attuato un efficace modello di organizzazione, ciò che, di per sé è solo, è sufficiente a non ravvisare una “colpa di organizzazione” nell’ambito dell’impresa individuale, proprio in ragione di quella sostanziale coincidenza tra persona fisica ed attività imprenditoriale.
Il citato arresto di merito si pone in perfetta continuità con altro precedente, con cui il GIP del Tribunale di Milano ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di una società unipersonale.
Nell’occasione, il GIP ha infatti stabilito che la mancanza di un autonomo centro di interessi, proprio di una società unipersonale, determina l’impossibilità di scindere la responsabilità amministrativa in capo all’ente da quella penale in capo alla persona fisica.
In particolare, è stato affermato che deve essere dichiarato “il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste tutte le volte in cui l’ente giuridico, in relazione al reato presupposto fondante la responsabilità amministrativa della persona giuridica, non è necessario e infungibile, trattandosi di contegno pacificamente riferibile a persone fisiche che lo avrebbero potuto realizzare senza alcuno schema societario. In tali ipotesi, infatti, viene a mancare la ratio di fondo della normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche la quale immagina contegni personalmente devianti tenuti da persone fisiche nell’interesse di strutture organizzative di un certo rilievo di complessità quale centro di imputazioni di rapporti giuridici distinto da chi ha materialmente operato.”
Si tratta, con ogni evidenza, di puntualizzazioni di non poco momento che abbracciano una interpretazione sostanzialistica – e garantistica – della disciplina in parola.