1. La vicenda
L’avviso orale imponeva al proposto lo specifico divieto di possesso e uso di qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, di accesso ad internet, ricomprendendo tra gli strumenti vietati anche i telefoni cellulari.
Il Tribunale rigettava l’opposizione ed il proposto avversava il decreto sostenendo che nessun giudice avesse mai dichiarato la pericolosità sociale e che i divieti imposti fossero privi di collegamento con i reati commessi, peraltro risalenti nel tempo, non essendo sufficiente l’inquadramento del soggetto in una delle tre categorie di pericolosità c.d. generica di cui al cod, mis. prev., essendo necessaria una valutazione prognostica sulla base di elementi di fatto utili a fondare un giudizio di attualità della pericolosità sociale. Peraltro, il ricorrente eccepiva la violazione dell’art. 8 CEDU, per la omessa indicazione, nell’avviso, della durata minima e massima degli obblighi imposti dal Questore.
La Corte di Appello di Roma ha riqualificato l’impugnazione come ricorso per cassazione ed ha trasmesso gli atti alla Corte.
2. La valutazione della Corte di Cassazione
Il Supremo Collegio, in premessa, ha rilevato che il divieto di possedere determinati apparati (di comunicazione, di trasporto) o determinati oggetti e/o sostanze (pirotecniche, infiammabili, ecc.), con l’entrata in vigore del d. lgs. 159 del 2011 (c.d. Codice Antimafia), possa essere imposto, con l’avviso orale, alle persone riconducibili ad una delle categorie di pericolosità generica previste dall’art. 1, nonché ai sottoposti alla sorveglianza speciale, a condizione che essi siano già stati condannati con sentenza definitiva.
Si tratta di imposizioni che incidono in maniera significativa sui diritti fondamentali delle persone, soprattutto se si considera la loro natura accessoria rispetto alla misura di prevenzione.
Ed infatti, oltre l’avviso orale semplice (art. 3, commi 1, 2 e 3 d. lgs. 159/2011) – che non determina effetti diretti riduttivi delle libertà personali – la normativa attualmente vigente prevede altresì l’avviso orale c.d. aggravato, con il quale il Questore può imporre ulteriori divieti (“di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, armi a modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone, prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare Io sprigionarsi delle fiamme, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi”), che sono, con ogni evidenza, decisamente invasivi per la persona.
Nella vicenda da cui è scaturita l’ordinanza in parola, oggetto di vaglio è il divieto di accedere ad internet, anche mediante telefoni cellulari e di usare software o altri strumenti idonei alla cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi.
Al riguardo, viene dunque in rilievo una doverosa ottica di bilanciamento con taluni interessi di valore costituzionale – id est la libertà di comunicazione (art. 15 Cost.) e la libertà di espressione (art. 21 Cost.), anche nella dimensione passiva – enucleata espressamente dall’art. 10 CEDU e dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, rilevante quale parametro sovraordinato rispetto alla legge ordinaria, ai sensi dell’art. 117 Cost. – della “libertà di ricevere informazioni”.
In particolare, l’art. 15 Cost., nel sancire l’inviolabilità della corrispondenza e di “ogni altra forma di comunicazione“, prevede che “la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge“: la norma tutela, quindi, qualsiasi forma di corrispondenza e di comunicazione, che, nel contesto sociale odierno, comprende, com’è noto, anche le comunicazioni telefoniche, per messaggi – sms o tramite applicativi (whatsapp, telegram, etc..).
Peraltro, mentre l’art. 15 Cost. si riferisce alle “comunicazioni interpersonali“, dirette a destinatari già individuati, l’art. 21 Cost. protegge le comunicazioni alla generalità, con il precipitato logico che il divieto di possedere e utilizzare qualsiasi apparecchio di comunicazione risulta suscettibile di compromettere – sotto diversi profili – entrambe le libertà costituzionali richiamate.
Del resto, la libertà di manifestazione del pensiero, esercitabile anche mediante i moderni strumenti di “comunicazione” (quali il telefono cellulare, il computer, le applicazioni di ‘messaggistica’, i social network), va tutelata anche nella sua dimensione passiva.
Ed invero, il diritto scolpito nell’art. 21 Cost. è anch’esso tradizionalmente declinato nella triplice accezione della libertà di informare, della libertà di essere informati (o di ricevere informazioni) e della libertà di informarsi (o di ricercare informazioni): la libertà di informarsi, in sostanza, si nutre della libertà di informazione, e viceversa.
Nella formulazione dell’art. 10 della Convenzione Europea, a differenza di quanto accade con il nostro pendant costituzionale, la libertà di espressione comprende esplicitamente sia la libertà di opinione sia la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenze delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
La rilevanza dei moderni mezzi di comunicazione nella società odierna è stata sempre più sottolineata anche dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, con recente arresto reso nel caso Ramanaz Demír c. Turchia (Corte EDU, 9.2.2021), ha ravvisato una violazione dell’art. 10 CEDU in relazione al diritto di ricevere informazioni invocato da un cittadino turco detenuto, la cui richiesta di accedere ad Internet (in particolare, a siti web istituzionali), sotto il controllo delle autorità carcerarie, anche per assistere, in qualità di avvocato, i suoi clienti e preparare la propria difesa, era stata respinta dalle autorità nazionali.
Al riguardo, la Corte di Strasburgo, evidenziando l’importanza di internet anche come servizio pubblico funzionale al godimento di molteplici diritti umani, ha ritenuto insufficienti le giustificazioni dell’interferenza da parte dello Stato nazionale, non avendo le autorità fornito spiegazioni sufficienti sul perché l’accesso del ricorrente a siti istituzionali di giustizia non potesse considerarsi parte della sua formazione e riabilitazione, né sul pericolo che l’accoglimento della richiesta avrebbe determinato, trattandosi di una “navigazione” controllabile dall’amministrazione penitenziaria.
Analogamente in quattro sentenze del 23 giugno 2020 concernenti la Russia, la Corte europea ha innanzitutto sottolineato l’importanza di internet, che è diventato uno dei mezzi principali con cui le persone esercitano il loro diritto alla libertà di espressione e di informazione.
In considerazione di ciò, ha ribadito che l’articolo 10 CEDU, garantendo a tutti la libertà di ricevere e trasmettere informazioni e idee, si applica non solo al contenuto delle informazioni, ma anche ai mezzi di diffusione, poiché qualsiasi restrizione imposta a queste ultime interferisce necessariamente con tale libertà.
Occorre rilevare che la Corte di Strasburgo, nel formulare il c.d. test di legalità dell’interferenza, oltre all’aspetto ‘formale’ della legge, è sempre più attenta al profilo della “qualità della legge”, che deve essere accessibile e prevedibile, in modo che l’individuo possa adattare la propria condotta alle prescrizioni legali.
Sempre nella dimensione convenzionale, va rilevato che il test di necessità rappresenta la terza fase del controllo della Corte Edu: una volta verificata la legalità e la legittimità degli scopi perseguiti dall’interferenza statale, la Corte deve verificare che la limitazione della libertà – di espressione e di comunicazione – del ricorrente sia necessaria in una società democratica.
La necessità di una limitazione corrisponde, secondo la collaudata definizione della giurisprudenza europea, ad un bisogno sociale imperioso (“pressing social need“), e la restrizione deve essere proporzionata allo scopo legittimo perseguito.
La dimensione della comunicazione interpersonale, di contro, rientra nell’ambito del diritto al rispetto della corrispondenza, tutelato dall’art. 8 CEDU, ed è finalizzato a tutelare la riservatezza di ogni mezzo di comunicazione privata contro ogni ingerenza pubblica.
Sotto il profilo della legalità convenzionale, benché la misura limitativa possa essere giustificata dalla finalità – espressamente prevista sia dall’art. 8 che dall’art. 10 CEDU – della “prevenzione dei reati”, l’interferenza statale non appare essere fondata su una sufficiente base legale: la Corte di Strasburgo è sempre più attenta al profilo della “qualità della legge”, che deve essere accessibile e prevedibile ai sensi dell’art. 7 della Convenzione, tale per cui la persona possa adattare la propria condotta alle prescrizioni legali.
Sulla scorta di queste argomentazioni è stata, pertanto, sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, d. lgs. 159/2011 nella parte in cui non prevede durata minima e massima dei divieti imponibili con l’avviso orale del questore e nella parte in cui affida il potere di limitazione all’autorità amministrativa, per contrasto con gli artt. 3, 15, 21 e 117 Cost., in relazione agli artt. 8 e 10 Cedu.
Misure di prevenzione: anche l’avviso del Questore sotto la lente della Corte Costituzionale
Cass Pen. Sez. V, ord. N. 46076/21
Con l’ordinanza in commento, il Supremo Collegio ha valutato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all’art. 3 comma 4 d. lgs. n. 159/2011 (cod. mis. prev.), per contrasto con gli artt. 3, 15, 21 e 117 della Costituzione in relazione agli articoli 8 e 10 Cedu.
Indice
1. La vicenda
2. La valutazione della Corte di Cassazione
1. La vicenda
L’avviso orale imponeva al proposto lo specifico divieto di possesso e uso di qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, di accesso ad internet, ricomprendendo tra gli strumenti vietati anche i telefoni cellulari.
Il Tribunale rigettava l’opposizione ed il proposto avversava il decreto sostenendo che nessun giudice avesse mai dichiarato la pericolosità sociale e che i divieti imposti fossero privi di collegamento con i reati commessi, peraltro risalenti nel tempo, non essendo sufficiente l’inquadramento del soggetto in una delle tre categorie di pericolosità c.d. generica di cui al cod, mis. prev., essendo necessaria una valutazione prognostica sulla base di elementi di fatto utili a fondare un giudizio di attualità della pericolosità sociale. Peraltro, il ricorrente eccepiva la violazione dell’art. 8 CEDU, per la omessa indicazione, nell’avviso, della durata minima e massima degli obblighi imposti dal Questore.
La Corte di Appello di Roma ha riqualificato l’impugnazione come ricorso per cassazione ed ha trasmesso gli atti alla Corte.
2. La valutazione della Corte di Cassazione
Il Supremo Collegio, in premessa, ha rilevato che il divieto di possedere determinati apparati (di comunicazione, di trasporto) o determinati oggetti e/o sostanze (pirotecniche, infiammabili, ecc.), con l’entrata in vigore del d. lgs. 159 del 2011 (c.d. Codice Antimafia), possa essere imposto, con l’avviso orale, alle persone riconducibili ad una delle categorie di pericolosità generica previste dall’art. 1, nonché ai sottoposti alla sorveglianza speciale, a condizione che essi siano già stati condannati con sentenza definitiva.
Si tratta di imposizioni che incidono in maniera significativa sui diritti fondamentali delle persone, soprattutto se si considera la loro natura accessoria rispetto alla misura di prevenzione.
Ed infatti, oltre l’avviso orale semplice (art. 3, commi 1, 2 e 3 d. lgs. 159/2011) – che non determina effetti diretti riduttivi delle libertà personali – la normativa attualmente vigente prevede altresì l’avviso orale c.d. aggravato, con il quale il Questore può imporre ulteriori divieti (“di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, armi a modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone, prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare Io sprigionarsi delle fiamme, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi”), che sono, con ogni evidenza, decisamente invasivi per la persona.
Nella vicenda da cui è scaturita l’ordinanza in parola, oggetto di vaglio è il divieto di accedere ad internet, anche mediante telefoni cellulari e di usare software o altri strumenti idonei alla cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi.
Al riguardo, viene dunque in rilievo una doverosa ottica di bilanciamento con taluni interessi di valore costituzionale – id est la libertà di comunicazione (art. 15 Cost.) e la libertà di espressione (art. 21 Cost.), anche nella dimensione passiva – enucleata espressamente dall’art. 10 CEDU e dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, rilevante quale parametro sovraordinato rispetto alla legge ordinaria, ai sensi dell’art. 117 Cost. – della “libertà di ricevere informazioni”.
In particolare, l’art. 15 Cost., nel sancire l’inviolabilità della corrispondenza e di “ogni altra forma di comunicazione“, prevede che “la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge“: la norma tutela, quindi, qualsiasi forma di corrispondenza e di comunicazione, che, nel contesto sociale odierno, comprende, com’è noto, anche le comunicazioni telefoniche, per messaggi – sms o tramite applicativi (whatsapp, telegram, etc..).
Peraltro, mentre l’art. 15 Cost. si riferisce alle “comunicazioni interpersonali“, dirette a destinatari già individuati, l’art. 21 Cost. protegge le comunicazioni alla generalità, con il precipitato logico che il divieto di possedere e utilizzare qualsiasi apparecchio di comunicazione risulta suscettibile di compromettere – sotto diversi profili – entrambe le libertà costituzionali richiamate.
Del resto, la libertà di manifestazione del pensiero, esercitabile anche mediante i moderni strumenti di “comunicazione” (quali il telefono cellulare, il computer, le applicazioni di ‘messaggistica’, i social network), va tutelata anche nella sua dimensione passiva.
Ed invero, il diritto scolpito nell’art. 21 Cost. è anch’esso tradizionalmente declinato nella triplice accezione della libertà di informare, della libertà di essere informati (o di ricevere informazioni) e della libertà di informarsi (o di ricercare informazioni): la libertà di informarsi, in sostanza, si nutre della libertà di informazione, e viceversa.
Nella formulazione dell’art. 10 della Convenzione Europea, a differenza di quanto accade con il nostro pendant costituzionale, la libertà di espressione comprende esplicitamente sia la libertà di opinione sia la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenze delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
La rilevanza dei moderni mezzi di comunicazione nella società odierna è stata sempre più sottolineata anche dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, con recente arresto reso nel caso Ramanaz Demír c. Turchia (Corte EDU, 9.2.2021), ha ravvisato una violazione dell’art. 10 CEDU in relazione al diritto di ricevere informazioni invocato da un cittadino turco detenuto, la cui richiesta di accedere ad Internet (in particolare, a siti web istituzionali), sotto il controllo delle autorità carcerarie, anche per assistere, in qualità di avvocato, i suoi clienti e preparare la propria difesa, era stata respinta dalle autorità nazionali.
Al riguardo, la Corte di Strasburgo, evidenziando l’importanza di internet anche come servizio pubblico funzionale al godimento di molteplici diritti umani, ha ritenuto insufficienti le giustificazioni dell’interferenza da parte dello Stato nazionale, non avendo le autorità fornito spiegazioni sufficienti sul perché l’accesso del ricorrente a siti istituzionali di giustizia non potesse considerarsi parte della sua formazione e riabilitazione, né sul pericolo che l’accoglimento della richiesta avrebbe determinato, trattandosi di una “navigazione” controllabile dall’amministrazione penitenziaria.
Analogamente in quattro sentenze del 23 giugno 2020 concernenti la Russia, la Corte europea ha innanzitutto sottolineato l’importanza di internet, che è diventato uno dei mezzi principali con cui le persone esercitano il loro diritto alla libertà di espressione e di informazione.
In considerazione di ciò, ha ribadito che l’articolo 10 CEDU, garantendo a tutti la libertà di ricevere e trasmettere informazioni e idee, si applica non solo al contenuto delle informazioni, ma anche ai mezzi di diffusione, poiché qualsiasi restrizione imposta a queste ultime interferisce necessariamente con tale libertà.
Occorre rilevare che la Corte di Strasburgo, nel formulare il c.d. test di legalità dell’interferenza, oltre all’aspetto ‘formale’ della legge, è sempre più attenta al profilo della “qualità della legge”, che deve essere accessibile e prevedibile, in modo che l’individuo possa adattare la propria condotta alle prescrizioni legali.
Sempre nella dimensione convenzionale, va rilevato che il test di necessità rappresenta la terza fase del controllo della Corte Edu: una volta verificata la legalità e la legittimità degli scopi perseguiti dall’interferenza statale, la Corte deve verificare che la limitazione della libertà – di espressione e di comunicazione – del ricorrente sia necessaria in una società democratica.
La necessità di una limitazione corrisponde, secondo la collaudata definizione della giurisprudenza europea, ad un bisogno sociale imperioso (“pressing social need“), e la restrizione deve essere proporzionata allo scopo legittimo perseguito.
La dimensione della comunicazione interpersonale, di contro, rientra nell’ambito del diritto al rispetto della corrispondenza, tutelato dall’art. 8 CEDU, ed è finalizzato a tutelare la riservatezza di ogni mezzo di comunicazione privata contro ogni ingerenza pubblica.
Sotto il profilo della legalità convenzionale, benché la misura limitativa possa essere giustificata dalla finalità – espressamente prevista sia dall’art. 8 che dall’art. 10 CEDU – della “prevenzione dei reati”, l’interferenza statale non appare essere fondata su una sufficiente base legale: la Corte di Strasburgo è sempre più attenta al profilo della “qualità della legge”, che deve essere accessibile e prevedibile ai sensi dell’art. 7 della Convenzione, tale per cui la persona possa adattare la propria condotta alle prescrizioni legali.
Sulla scorta di queste argomentazioni è stata, pertanto, sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, d. lgs. 159/2011 nella parte in cui non prevede durata minima e massima dei divieti imponibili con l’avviso orale del questore e nella parte in cui affida il potere di limitazione all’autorità amministrativa, per contrasto con gli artt. 3, 15, 21 e 117 Cost., in relazione agli artt. 8 e 10 Cedu.
1. La vicenda
L’avviso orale imponeva al proposto lo specifico divieto di possesso e uso di qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, di accesso ad internet, ricomprendendo tra gli strumenti vietati anche i telefoni cellulari.
Il Tribunale rigettava l’opposizione ed il proposto avversava il decreto sostenendo che nessun giudice avesse mai dichiarato la pericolosità sociale e che i divieti imposti fossero privi di collegamento con i reati commessi, peraltro risalenti nel tempo, non essendo sufficiente l’inquadramento del soggetto in una delle tre categorie di pericolosità c.d. generica di cui al cod, mis. prev., essendo necessaria una valutazione prognostica sulla base di elementi di fatto utili a fondare un giudizio di attualità della pericolosità sociale. Peraltro, il ricorrente eccepiva la violazione dell’art. 8 CEDU, per la omessa indicazione, nell’avviso, della durata minima e massima degli obblighi imposti dal Questore.
La Corte di Appello di Roma ha riqualificato l’impugnazione come ricorso per cassazione ed ha trasmesso gli atti alla Corte.
2. La valutazione della Corte di Cassazione
Il Supremo Collegio, in premessa, ha rilevato che il divieto di possedere determinati apparati (di comunicazione, di trasporto) o determinati oggetti e/o sostanze (pirotecniche, infiammabili, ecc.), con l’entrata in vigore del d. lgs. 159 del 2011 (c.d. Codice Antimafia), possa essere imposto, con l’avviso orale, alle persone riconducibili ad una delle categorie di pericolosità generica previste dall’art. 1, nonché ai sottoposti alla sorveglianza speciale, a condizione che essi siano già stati condannati con sentenza definitiva.
Si tratta di imposizioni che incidono in maniera significativa sui diritti fondamentali delle persone, soprattutto se si considera la loro natura accessoria rispetto alla misura di prevenzione.
Ed infatti, oltre l’avviso orale semplice (art. 3, commi 1, 2 e 3 d. lgs. 159/2011) – che non determina effetti diretti riduttivi delle libertà personali – la normativa attualmente vigente prevede altresì l’avviso orale c.d. aggravato, con il quale il Questore può imporre ulteriori divieti (“di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, armi a modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone, prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare Io sprigionarsi delle fiamme, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi”), che sono, con ogni evidenza, decisamente invasivi per la persona.
Nella vicenda da cui è scaturita l’ordinanza in parola, oggetto di vaglio è il divieto di accedere ad internet, anche mediante telefoni cellulari e di usare software o altri strumenti idonei alla cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi.
Al riguardo, viene dunque in rilievo una doverosa ottica di bilanciamento con taluni interessi di valore costituzionale – id est la libertà di comunicazione (art. 15 Cost.) e la libertà di espressione (art. 21 Cost.), anche nella dimensione passiva – enucleata espressamente dall’art. 10 CEDU e dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, rilevante quale parametro sovraordinato rispetto alla legge ordinaria, ai sensi dell’art. 117 Cost. – della “libertà di ricevere informazioni”.
In particolare, l’art. 15 Cost., nel sancire l’inviolabilità della corrispondenza e di “ogni altra forma di comunicazione“, prevede che “la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge“: la norma tutela, quindi, qualsiasi forma di corrispondenza e di comunicazione, che, nel contesto sociale odierno, comprende, com’è noto, anche le comunicazioni telefoniche, per messaggi – sms o tramite applicativi (whatsapp, telegram, etc..).
Peraltro, mentre l’art. 15 Cost. si riferisce alle “comunicazioni interpersonali“, dirette a destinatari già individuati, l’art. 21 Cost. protegge le comunicazioni alla generalità, con il precipitato logico che il divieto di possedere e utilizzare qualsiasi apparecchio di comunicazione risulta suscettibile di compromettere – sotto diversi profili – entrambe le libertà costituzionali richiamate.
Del resto, la libertà di manifestazione del pensiero, esercitabile anche mediante i moderni strumenti di “comunicazione” (quali il telefono cellulare, il computer, le applicazioni di ‘messaggistica’, i social network), va tutelata anche nella sua dimensione passiva.
Ed invero, il diritto scolpito nell’art. 21 Cost. è anch’esso tradizionalmente declinato nella triplice accezione della libertà di informare, della libertà di essere informati (o di ricevere informazioni) e della libertà di informarsi (o di ricercare informazioni): la libertà di informarsi, in sostanza, si nutre della libertà di informazione, e viceversa.
Nella formulazione dell’art. 10 della Convenzione Europea, a differenza di quanto accade con il nostro pendant costituzionale, la libertà di espressione comprende esplicitamente sia la libertà di opinione sia la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenze delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
La rilevanza dei moderni mezzi di comunicazione nella società odierna è stata sempre più sottolineata anche dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, con recente arresto reso nel caso Ramanaz Demír c. Turchia (Corte EDU, 9.2.2021), ha ravvisato una violazione dell’art. 10 CEDU in relazione al diritto di ricevere informazioni invocato da un cittadino turco detenuto, la cui richiesta di accedere ad Internet (in particolare, a siti web istituzionali), sotto il controllo delle autorità carcerarie, anche per assistere, in qualità di avvocato, i suoi clienti e preparare la propria difesa, era stata respinta dalle autorità nazionali.
Al riguardo, la Corte di Strasburgo, evidenziando l’importanza di internet anche come servizio pubblico funzionale al godimento di molteplici diritti umani, ha ritenuto insufficienti le giustificazioni dell’interferenza da parte dello Stato nazionale, non avendo le autorità fornito spiegazioni sufficienti sul perché l’accesso del ricorrente a siti istituzionali di giustizia non potesse considerarsi parte della sua formazione e riabilitazione, né sul pericolo che l’accoglimento della richiesta avrebbe determinato, trattandosi di una “navigazione” controllabile dall’amministrazione penitenziaria.
Analogamente in quattro sentenze del 23 giugno 2020 concernenti la Russia, la Corte europea ha innanzitutto sottolineato l’importanza di internet, che è diventato uno dei mezzi principali con cui le persone esercitano il loro diritto alla libertà di espressione e di informazione.
In considerazione di ciò, ha ribadito che l’articolo 10 CEDU, garantendo a tutti la libertà di ricevere e trasmettere informazioni e idee, si applica non solo al contenuto delle informazioni, ma anche ai mezzi di diffusione, poiché qualsiasi restrizione imposta a queste ultime interferisce necessariamente con tale libertà.
Occorre rilevare che la Corte di Strasburgo, nel formulare il c.d. test di legalità dell’interferenza, oltre all’aspetto ‘formale’ della legge, è sempre più attenta al profilo della “qualità della legge”, che deve essere accessibile e prevedibile, in modo che l’individuo possa adattare la propria condotta alle prescrizioni legali.
Sempre nella dimensione convenzionale, va rilevato che il test di necessità rappresenta la terza fase del controllo della Corte Edu: una volta verificata la legalità e la legittimità degli scopi perseguiti dall’interferenza statale, la Corte deve verificare che la limitazione della libertà – di espressione e di comunicazione – del ricorrente sia necessaria in una società democratica.
La necessità di una limitazione corrisponde, secondo la collaudata definizione della giurisprudenza europea, ad un bisogno sociale imperioso (“pressing social need“), e la restrizione deve essere proporzionata allo scopo legittimo perseguito.
La dimensione della comunicazione interpersonale, di contro, rientra nell’ambito del diritto al rispetto della corrispondenza, tutelato dall’art. 8 CEDU, ed è finalizzato a tutelare la riservatezza di ogni mezzo di comunicazione privata contro ogni ingerenza pubblica.
Sotto il profilo della legalità convenzionale, benché la misura limitativa possa essere giustificata dalla finalità – espressamente prevista sia dall’art. 8 che dall’art. 10 CEDU – della “prevenzione dei reati”, l’interferenza statale non appare essere fondata su una sufficiente base legale: la Corte di Strasburgo è sempre più attenta al profilo della “qualità della legge”, che deve essere accessibile e prevedibile ai sensi dell’art. 7 della Convenzione, tale per cui la persona possa adattare la propria condotta alle prescrizioni legali.
Sulla scorta di queste argomentazioni è stata, pertanto, sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, d. lgs. 159/2011 nella parte in cui non prevede durata minima e massima dei divieti imponibili con l’avviso orale del questore e nella parte in cui affida il potere di limitazione all’autorità amministrativa, per contrasto con gli artt. 3, 15, 21 e 117 Cost., in relazione agli artt. 8 e 10 Cedu.
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