Ed invero, con ordinanza del 2 Febbraio 2021, iscritta al n. 109 del registro ordinanze 2021, il Magistrato di Sorveglianza di Siena sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies o.p., sulla scorta della mancata applicazione provvisoria della detenzione domiciliare speciale, di converso consentita dall’art. 47 ter, comma 1 quater della medesima legge.
In primo luogo, al fine di meglio comprendere la quaestio iuris, occorre richiamare il dato letterale della disposizione di interesse, art. 47 quinquies o.p., rubricato Detenzione domiciliare speciale:
“1. Quando non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 47-ter, le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo, secondo le modalità di cui al comma 1-bis.
1-bis. Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis, l’espiazione di almeno un terzo della pena o di almeno quindici anni, prevista dal comma 1 del presente articolo, può avvenire presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri ovvero, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga, nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all’assistenza dei figli. In caso di impossibilità di espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, la stessa può essere espiata nelle case famiglia protette, ove istituite.
2. Per la condannata nei cui confronti è disposta la detenzione domiciliare speciale, nessun onere grava sull’amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica della condannata che si trovi in detenzione domiciliare speciale.
3. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare speciale, fissa le modalità di attuazione, secondo quanto stabilito dall’articolo 284, comma 2, del codice di procedura penale, precisa il periodo di tempo che la persona può trascorrere all’esterno del proprio domicilio, detta le prescrizioni relative agli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la misura. Si applica l’articolo 284, comma 4, del codice di procedura penale.
4. All’atto della scarcerazione è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto deve seguire nei rapporti con il servizio sociale.
5. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita; riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto.
6. La detenzione domiciliare speciale è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura.
7. La detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre.
8. Al compimento del decimo anno di età del figlio, su domanda del soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare speciale, il tribunale di sorveglianza può:
a) disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l’applicazione della semilibertà di cui all’articolo 50, commi 2, 3 e 5;
b) disporre l’ammissione all’assistenza all’esterno dei figli minori di cui all’articolo 21-bis, tenuto conto del comportamento dell’interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte dal servizio sociale, ai sensi del comma 5, nonché della durata della misura e dell’entità della pena residua”.
Così evidenziato il disposto della norma, giova rilevare che già ripetutamente la Consulta si è trovata dinanzi a pronunce relative a siffatta norma, sulla scorta della sempre più pregnante attenzione del Giudice delle Leggi ai temi afferenti i diritti umani e, ancor più nello specifico, i diritti dei minori, con i suoi corollari del diritto alla genitorialità e della tutela dell’infanzia.
In tale contesto di apertura e di messa a regime costituzionale, si innesta la peculiare ordinanza di rimessione, con la quale ci si è chiesti se il Magistrato di Sorveglianza possa applicare in via provvisoria e urgente la misura invocata all’art. 47-quinquies o.p., quindi anteriormente rispetto all’udienza che si celebra come da rito dinanzi al Tribunale di Sorveglianza qualora sia rappresentato un potenziale pregiudizio del figlio minore della madre in espiazione di pena definitiva.
Ebbene, questi gli antefatti relativi alla lacuna sollevata dal Magistrato remittente che evidentemente rappresentava una negativa peculiarità della disciplina delle detenzione domiciliare speciale rispetto alle altre misure alternative previste dalla legge penitenziaria.
I profili di incostituzionalità valorizzati dal giudice a quo possono essere circoscritti ai seguenti:
– in primis, si ravvisa un contrasto con l’art. 3 Cost., risultando priva di giustificazione la disparità di trattamento riservata ai soggetti richiedenti la detenzione domiciliare speciale rispetto agli altri detenuti, evidentemente maggiormente tutelati. Sul punto, infatti, si inserisce la primaria e fondamentale rilevanza del diritto alla tutela dell’infanzia, (1) come da sempre statuito anche in seno alla giurisprudenza costituzionale. Il minore, invero, è un soggetto maggiormente debole e meritevole di protezione, da cui ne deve conseguire un pieno diritto al mantenimento di un rapporto quanto più possibile “normale” con la madre o il padre, in una fase nevralgica del suo sviluppo.
Tanto è vero che, a mero titolo di comparazione, l’art. 47 ter comma 1 lett. a e b) della medesima legge prevede la possibilità di applicazione provvisoria per genitori di prole di tenera età. Nonostante la diversità delle fattispecie regolate, connessa alla differente entità della pena da espiare, le due misure alternative perseguono la stessa finalità, cioè quella di evitare, fin dove possibile, che l’interesse del bambino sia compromesso dalla perdita delle cure parentali, determinata dalla permanenza in carcere del genitore, danno riflesso noto come “carcerizzazione dell’infante”;
– ulteriore profilo di criticità intacca l’art. 30 della Costituzione, nella puntuale e specifica tutela dei figli, atteso che la norma prevede che si individuino le modalità di assistenza degli stessi;
– ancora, la norma viene considerata in disaccordo con l’art. 31 Cost., ovvero con la tutela della famiglia e dei diritti dei minori, già presi in considerazione nella sentenza n. 187/2019 con cui la Consulta ha ribadito “la speciale rilevanza dell’interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori”;
– altresì, l’ordinanza di rimessione ha evidenziato contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., poiché la disciplina dell’art. 47-quinquies determina una violazione della normativa internazionale che sancisce la tutela del “superiore interesse del fanciullo”;
– da ultimo, emerge violazione dell’art. 27, comma 3, Cost., atteso che la norma in parola si scontra con il principio di umanità dell’esecuzione della pena, che si traduce nel diritto del condannato di attendere i tempi di decisione dell’organo collegiale, senza subire grave pregiudizio derivante dagli stessi.
D’altro canto, l’Avvocatura dello Stato, nei propri scritti difensivi, ha affermato come la mancata previsione dell’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare speciale trovi ragion d’essere nell’assenza di un massimo di pena per l’accesso alla misura, in quanto concedibile anche quando la pena risulta superiore ai 4 anni di reclusione. Di talché, è ragionevole che il legislatore abbia escluso la cognizione monocratica e sommaria del Magistrato di Sorveglianza, esigendo, di converso, quella collegiale e piena del Tribunale.
Ed ancora, secondo i difensori del Ministero, la concessione della misura extramuraria in via anticipata richiede l’avvenuta espiazione di un terzo della pena, per cui il minore potrebbe già aver trascorso lungo tempo lontano dal genitore: ciò renderebbe meno urgente l’applicazione della misura stessa.
Detta prospettazione è stata disattesa dalla Corte Costituzionale, la quale ha accolto le argomentazioni del Giudice rimettente e si è pronunciata in termini di illegittimità dell’art. 47-quinquies o.p. “nella parte in cui non prevede che, ove vi sia un grave pregiudizio per il minore derivante dalla protrazione dello stato di detenzione del genitore, l’istanza di detenzione domiciliare può essere proposta al magistrato di sorveglianza, che può disporre l’applicazione provvisoria della misura, nel qual caso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 47, comma 4, della medesima legge“.
Si tratta di una pronuncia il cui vaglio estensivo (sentenza c.d. additiva) conduce alla implementazione del già articolato sottosistema del diritto processuale penitenziario, comportando così un aumento dei procedimenti sommari di competenza del Giudice monocratico, alla luce del periculum di verificazione di un grave e attuale pregiudizio alla posizione dell’interessato che, nelle more della decisione del Tribunale competente, vedrebbe vulnerato – se non compromesso – il diritto preminente del minore.
Illegittimo negare la detenzione domiciliare provvisoria alle madri se sussiste grave pregiudizio per il minore: nota a Corte Cost. n. 30/2022.
Lo scorso 3 Febbraio, la Corte Costituzionale si è pronunciata sull’annosa vicenda che riguarda la detenzione speciale per le condannate madri, disciplina prevista ai sensi della normativa penitenziaria e ha così dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, commi 1, 3 e 7, della Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che, ove vi sia un grave pregiudizio per il minore derivante dalla protrazione dello stato di detenzione del genitore, l’istanza di detenzione domiciliare possa essere proposta al magistrato di sorveglianza, che può disporre l’applicazione provvisoria della misura, nel qual caso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 47, comma 4, della medesima legge.
Ed invero, con ordinanza del 2 Febbraio 2021, iscritta al n. 109 del registro ordinanze 2021, il Magistrato di Sorveglianza di Siena sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies o.p., sulla scorta della mancata applicazione provvisoria della detenzione domiciliare speciale, di converso consentita dall’art. 47 ter, comma 1 quater della medesima legge.
In primo luogo, al fine di meglio comprendere la quaestio iuris, occorre richiamare il dato letterale della disposizione di interesse, art. 47 quinquies o.p., rubricato Detenzione domiciliare speciale:
“1. Quando non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 47-ter, le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo, secondo le modalità di cui al comma 1-bis.
1-bis. Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis, l’espiazione di almeno un terzo della pena o di almeno quindici anni, prevista dal comma 1 del presente articolo, può avvenire presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri ovvero, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga, nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all’assistenza dei figli. In caso di impossibilità di espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, la stessa può essere espiata nelle case famiglia protette, ove istituite.
2. Per la condannata nei cui confronti è disposta la detenzione domiciliare speciale, nessun onere grava sull’amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica della condannata che si trovi in detenzione domiciliare speciale.
3. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare speciale, fissa le modalità di attuazione, secondo quanto stabilito dall’articolo 284, comma 2, del codice di procedura penale, precisa il periodo di tempo che la persona può trascorrere all’esterno del proprio domicilio, detta le prescrizioni relative agli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la misura. Si applica l’articolo 284, comma 4, del codice di procedura penale.
4. All’atto della scarcerazione è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto deve seguire nei rapporti con il servizio sociale.
5. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita; riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto.
6. La detenzione domiciliare speciale è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura.
7. La detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre.
8. Al compimento del decimo anno di età del figlio, su domanda del soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare speciale, il tribunale di sorveglianza può:
a) disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l’applicazione della semilibertà di cui all’articolo 50, commi 2, 3 e 5;
b) disporre l’ammissione all’assistenza all’esterno dei figli minori di cui all’articolo 21-bis, tenuto conto del comportamento dell’interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte dal servizio sociale, ai sensi del comma 5, nonché della durata della misura e dell’entità della pena residua”.
Così evidenziato il disposto della norma, giova rilevare che già ripetutamente la Consulta si è trovata dinanzi a pronunce relative a siffatta norma, sulla scorta della sempre più pregnante attenzione del Giudice delle Leggi ai temi afferenti i diritti umani e, ancor più nello specifico, i diritti dei minori, con i suoi corollari del diritto alla genitorialità e della tutela dell’infanzia.
In tale contesto di apertura e di messa a regime costituzionale, si innesta la peculiare ordinanza di rimessione, con la quale ci si è chiesti se il Magistrato di Sorveglianza possa applicare in via provvisoria e urgente la misura invocata all’art. 47-quinquies o.p., quindi anteriormente rispetto all’udienza che si celebra come da rito dinanzi al Tribunale di Sorveglianza qualora sia rappresentato un potenziale pregiudizio del figlio minore della madre in espiazione di pena definitiva.
Ebbene, questi gli antefatti relativi alla lacuna sollevata dal Magistrato remittente che evidentemente rappresentava una negativa peculiarità della disciplina delle detenzione domiciliare speciale rispetto alle altre misure alternative previste dalla legge penitenziaria.
I profili di incostituzionalità valorizzati dal giudice a quo possono essere circoscritti ai seguenti:
– in primis, si ravvisa un contrasto con l’art. 3 Cost., risultando priva di giustificazione la disparità di trattamento riservata ai soggetti richiedenti la detenzione domiciliare speciale rispetto agli altri detenuti, evidentemente maggiormente tutelati. Sul punto, infatti, si inserisce la primaria e fondamentale rilevanza del diritto alla tutela dell’infanzia, (1) come da sempre statuito anche in seno alla giurisprudenza costituzionale. Il minore, invero, è un soggetto maggiormente debole e meritevole di protezione, da cui ne deve conseguire un pieno diritto al mantenimento di un rapporto quanto più possibile “normale” con la madre o il padre, in una fase nevralgica del suo sviluppo.
Tanto è vero che, a mero titolo di comparazione, l’art. 47 ter comma 1 lett. a e b) della medesima legge prevede la possibilità di applicazione provvisoria per genitori di prole di tenera età. Nonostante la diversità delle fattispecie regolate, connessa alla differente entità della pena da espiare, le due misure alternative perseguono la stessa finalità, cioè quella di evitare, fin dove possibile, che l’interesse del bambino sia compromesso dalla perdita delle cure parentali, determinata dalla permanenza in carcere del genitore, danno riflesso noto come “carcerizzazione dell’infante”;
– ulteriore profilo di criticità intacca l’art. 30 della Costituzione, nella puntuale e specifica tutela dei figli, atteso che la norma prevede che si individuino le modalità di assistenza degli stessi;
– ancora, la norma viene considerata in disaccordo con l’art. 31 Cost., ovvero con la tutela della famiglia e dei diritti dei minori, già presi in considerazione nella sentenza n. 187/2019 con cui la Consulta ha ribadito “la speciale rilevanza dell’interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori”;
– altresì, l’ordinanza di rimessione ha evidenziato contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., poiché la disciplina dell’art. 47-quinquies determina una violazione della normativa internazionale che sancisce la tutela del “superiore interesse del fanciullo”;
– da ultimo, emerge violazione dell’art. 27, comma 3, Cost., atteso che la norma in parola si scontra con il principio di umanità dell’esecuzione della pena, che si traduce nel diritto del condannato di attendere i tempi di decisione dell’organo collegiale, senza subire grave pregiudizio derivante dagli stessi.
D’altro canto, l’Avvocatura dello Stato, nei propri scritti difensivi, ha affermato come la mancata previsione dell’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare speciale trovi ragion d’essere nell’assenza di un massimo di pena per l’accesso alla misura, in quanto concedibile anche quando la pena risulta superiore ai 4 anni di reclusione. Di talché, è ragionevole che il legislatore abbia escluso la cognizione monocratica e sommaria del Magistrato di Sorveglianza, esigendo, di converso, quella collegiale e piena del Tribunale.
Ed ancora, secondo i difensori del Ministero, la concessione della misura extramuraria in via anticipata richiede l’avvenuta espiazione di un terzo della pena, per cui il minore potrebbe già aver trascorso lungo tempo lontano dal genitore: ciò renderebbe meno urgente l’applicazione della misura stessa.
Detta prospettazione è stata disattesa dalla Corte Costituzionale, la quale ha accolto le argomentazioni del Giudice rimettente e si è pronunciata in termini di illegittimità dell’art. 47-quinquies o.p. “nella parte in cui non prevede che, ove vi sia un grave pregiudizio per il minore derivante dalla protrazione dello stato di detenzione del genitore, l’istanza di detenzione domiciliare può essere proposta al magistrato di sorveglianza, che può disporre l’applicazione provvisoria della misura, nel qual caso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 47, comma 4, della medesima legge“.
Si tratta di una pronuncia il cui vaglio estensivo (sentenza c.d. additiva) conduce alla implementazione del già articolato sottosistema del diritto processuale penitenziario, comportando così un aumento dei procedimenti sommari di competenza del Giudice monocratico, alla luce del periculum di verificazione di un grave e attuale pregiudizio alla posizione dell’interessato che, nelle more della decisione del Tribunale competente, vedrebbe vulnerato – se non compromesso – il diritto preminente del minore.
Ed invero, con ordinanza del 2 Febbraio 2021, iscritta al n. 109 del registro ordinanze 2021, il Magistrato di Sorveglianza di Siena sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies o.p., sulla scorta della mancata applicazione provvisoria della detenzione domiciliare speciale, di converso consentita dall’art. 47 ter, comma 1 quater della medesima legge.
In primo luogo, al fine di meglio comprendere la quaestio iuris, occorre richiamare il dato letterale della disposizione di interesse, art. 47 quinquies o.p., rubricato Detenzione domiciliare speciale:
“1. Quando non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 47-ter, le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo, secondo le modalità di cui al comma 1-bis.
1-bis. Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis, l’espiazione di almeno un terzo della pena o di almeno quindici anni, prevista dal comma 1 del presente articolo, può avvenire presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri ovvero, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga, nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all’assistenza dei figli. In caso di impossibilità di espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, la stessa può essere espiata nelle case famiglia protette, ove istituite.
2. Per la condannata nei cui confronti è disposta la detenzione domiciliare speciale, nessun onere grava sull’amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica della condannata che si trovi in detenzione domiciliare speciale.
3. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare speciale, fissa le modalità di attuazione, secondo quanto stabilito dall’articolo 284, comma 2, del codice di procedura penale, precisa il periodo di tempo che la persona può trascorrere all’esterno del proprio domicilio, detta le prescrizioni relative agli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la misura. Si applica l’articolo 284, comma 4, del codice di procedura penale.
4. All’atto della scarcerazione è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto deve seguire nei rapporti con il servizio sociale.
5. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita; riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto.
6. La detenzione domiciliare speciale è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura.
7. La detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre.
8. Al compimento del decimo anno di età del figlio, su domanda del soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare speciale, il tribunale di sorveglianza può:
a) disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l’applicazione della semilibertà di cui all’articolo 50, commi 2, 3 e 5;
b) disporre l’ammissione all’assistenza all’esterno dei figli minori di cui all’articolo 21-bis, tenuto conto del comportamento dell’interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte dal servizio sociale, ai sensi del comma 5, nonché della durata della misura e dell’entità della pena residua”.
Così evidenziato il disposto della norma, giova rilevare che già ripetutamente la Consulta si è trovata dinanzi a pronunce relative a siffatta norma, sulla scorta della sempre più pregnante attenzione del Giudice delle Leggi ai temi afferenti i diritti umani e, ancor più nello specifico, i diritti dei minori, con i suoi corollari del diritto alla genitorialità e della tutela dell’infanzia.
In tale contesto di apertura e di messa a regime costituzionale, si innesta la peculiare ordinanza di rimessione, con la quale ci si è chiesti se il Magistrato di Sorveglianza possa applicare in via provvisoria e urgente la misura invocata all’art. 47-quinquies o.p., quindi anteriormente rispetto all’udienza che si celebra come da rito dinanzi al Tribunale di Sorveglianza qualora sia rappresentato un potenziale pregiudizio del figlio minore della madre in espiazione di pena definitiva.
Ebbene, questi gli antefatti relativi alla lacuna sollevata dal Magistrato remittente che evidentemente rappresentava una negativa peculiarità della disciplina delle detenzione domiciliare speciale rispetto alle altre misure alternative previste dalla legge penitenziaria.
I profili di incostituzionalità valorizzati dal giudice a quo possono essere circoscritti ai seguenti:
– in primis, si ravvisa un contrasto con l’art. 3 Cost., risultando priva di giustificazione la disparità di trattamento riservata ai soggetti richiedenti la detenzione domiciliare speciale rispetto agli altri detenuti, evidentemente maggiormente tutelati. Sul punto, infatti, si inserisce la primaria e fondamentale rilevanza del diritto alla tutela dell’infanzia, (1) come da sempre statuito anche in seno alla giurisprudenza costituzionale. Il minore, invero, è un soggetto maggiormente debole e meritevole di protezione, da cui ne deve conseguire un pieno diritto al mantenimento di un rapporto quanto più possibile “normale” con la madre o il padre, in una fase nevralgica del suo sviluppo.
Tanto è vero che, a mero titolo di comparazione, l’art. 47 ter comma 1 lett. a e b) della medesima legge prevede la possibilità di applicazione provvisoria per genitori di prole di tenera età. Nonostante la diversità delle fattispecie regolate, connessa alla differente entità della pena da espiare, le due misure alternative perseguono la stessa finalità, cioè quella di evitare, fin dove possibile, che l’interesse del bambino sia compromesso dalla perdita delle cure parentali, determinata dalla permanenza in carcere del genitore, danno riflesso noto come “carcerizzazione dell’infante”;
– ulteriore profilo di criticità intacca l’art. 30 della Costituzione, nella puntuale e specifica tutela dei figli, atteso che la norma prevede che si individuino le modalità di assistenza degli stessi;
– ancora, la norma viene considerata in disaccordo con l’art. 31 Cost., ovvero con la tutela della famiglia e dei diritti dei minori, già presi in considerazione nella sentenza n. 187/2019 con cui la Consulta ha ribadito “la speciale rilevanza dell’interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori”;
– altresì, l’ordinanza di rimessione ha evidenziato contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., poiché la disciplina dell’art. 47-quinquies determina una violazione della normativa internazionale che sancisce la tutela del “superiore interesse del fanciullo”;
– da ultimo, emerge violazione dell’art. 27, comma 3, Cost., atteso che la norma in parola si scontra con il principio di umanità dell’esecuzione della pena, che si traduce nel diritto del condannato di attendere i tempi di decisione dell’organo collegiale, senza subire grave pregiudizio derivante dagli stessi.
D’altro canto, l’Avvocatura dello Stato, nei propri scritti difensivi, ha affermato come la mancata previsione dell’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare speciale trovi ragion d’essere nell’assenza di un massimo di pena per l’accesso alla misura, in quanto concedibile anche quando la pena risulta superiore ai 4 anni di reclusione. Di talché, è ragionevole che il legislatore abbia escluso la cognizione monocratica e sommaria del Magistrato di Sorveglianza, esigendo, di converso, quella collegiale e piena del Tribunale.
Ed ancora, secondo i difensori del Ministero, la concessione della misura extramuraria in via anticipata richiede l’avvenuta espiazione di un terzo della pena, per cui il minore potrebbe già aver trascorso lungo tempo lontano dal genitore: ciò renderebbe meno urgente l’applicazione della misura stessa.
Detta prospettazione è stata disattesa dalla Corte Costituzionale, la quale ha accolto le argomentazioni del Giudice rimettente e si è pronunciata in termini di illegittimità dell’art. 47-quinquies o.p. “nella parte in cui non prevede che, ove vi sia un grave pregiudizio per il minore derivante dalla protrazione dello stato di detenzione del genitore, l’istanza di detenzione domiciliare può essere proposta al magistrato di sorveglianza, che può disporre l’applicazione provvisoria della misura, nel qual caso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 47, comma 4, della medesima legge“.
Si tratta di una pronuncia il cui vaglio estensivo (sentenza c.d. additiva) conduce alla implementazione del già articolato sottosistema del diritto processuale penitenziario, comportando così un aumento dei procedimenti sommari di competenza del Giudice monocratico, alla luce del periculum di verificazione di un grave e attuale pregiudizio alla posizione dell’interessato che, nelle more della decisione del Tribunale competente, vedrebbe vulnerato – se non compromesso – il diritto preminente del minore.
Note
(1) Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° 1469 del 2000 su “madri e bambini in carcere” e attuativo dei principi della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, fondante “l’interesse superiore del fanciullo”, che deve ricevere una considerazione preminente ed anche attuazione dei principi delle Convenzioni europee (tra queste la convenzione europea di Strasburgo del 25 gennaio 1996 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003).
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