Il caso Ciontoli-Vannini alla luce della sentenza della Corte d’Assise d’Appello bis

Articolo a cura del Dott. Niccolò Zampaolo

Vannini

Indice

1. Introduzione
2. La spettacolarizzazione del processo
3. La ricostruzione giuridica del fatto
4. Le contraddizioni
5. L’elemento soggettivo del reato
6. La sentenza integrale
7. Conclusioni

1. Introduzione

La Corte d’Assise d’Appello di Roma, sezione seconda, ha depositato il 29 Ottobre scorso le motivazioni della sentenza di condanna nei confronti di Antonio Ciontoli e dei suoi familiari per l’omicidio volontario, commesso con dolo eventuale, del giovane Marco Vannini.
Quest’ultima sentenza si contrappone in particolare a quella della prima sezione della Corte d’Assise d’Appello, che invece aveva statuito la natura colposa dell’omicidio di Vannini. La prima sentenza d’appello riteneva infatti che Antonio Ciontoli non avrebbe voluto la morte del giovane fidanzato della figlia Martina: questo perché, rispetto al solo ferimento, il decesso avrebbe procurato conseguenze più gravose dal punto di vista della situazione lavorativa dell’omicida, militare di carriera.
Invece, nella visione proposta dalla nuova composizione collegiale di merito, sulla scia delle indicazioni proposte dalla Cassazione, questo assunto viene considerato del tutto illogico, per i motivi che si esporranno.

2. La spettacolarizzazione del processo

Preliminarmente, la Corte d’Assise d’Appello ritiene di spendere qualche parola sull’eco mediatica causata dal processo.
Il collegio riconosce la spettacolarizzazione del processo effettuata dai media, che hanno provocato una competizione fra la fazione colpevolista e quella che invece parteggia per gli imputati.
Di fatto, come osservato anche dalla difesa, “molte verità sono state distorte e molti fatti non risultano essere effettivamente avvenuti”. Tuttavia, “i difensori hanno evidentemente confuso tra la ripresa in diretta delle udienze e la distorsione che dalle loro risultanze è stata fatta nelle trasmissioni televisive”.
Infatti, “la vicenda in sé stessa, proprio per la personalità dei soggetti coinvolti, la giovane età della vittima, le circostanze ancora non del tutto chiarite in cui avvenne il ferimento del Vannini, può ritenersi di rilevante interesse pubblico, motivo per il quale può essere consentita la ripresa televisiva per esercizio del diritto di cronaca” .
Ma “se poi qualcuno distorcerà egualmente le notizie o propalerà accadimenti estranei al giudizio si assumerà la propria responsabilità”.

3. La ricostruzione giuridica del fatto

Si proceda ora alla ricostruzione degli eventi delittuosi, secondo la nuova composizione giudicante.
Quella notte vi era un fatto non occultabile: la vittima era stata attinta da un colpo sparato dalla Beretta di Antonio Ciontoli.
Perciò “se Marco Vannini non fosse morto avrebbe potuto raccontare come il fatto si era verificato e la sua morte, invece, avrebbe reso più disagevole l’accertamento delle responsabilità sostanziandosi in una soppressione di una fonte di prova”.
Non ha consistenza logica l’assunto secondo cui, se Ciontoli avesse avuto certezza della verificazione della morte, si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita, perché avrebbe eliminato l’unica persona in grado di dire come si erano svolti esattamente i fatti.
Del resto, “nessuno, a parte la famiglia Ciontoli, poteva riferire come effettivamente si fossero svolti i fatti di quella notte” e perciò, con la morte di Vannini, “in assenza delle dichiarazioni di questi, il Ciontoli sperava di poter accreditare la tesi dell’omicidio colposo, cosa che in effetti si è verificata”.
In sostanza, la seconda sezione afferma che la prima sezione della stessa Corte d’Assise d’Appello è stata irretita da ciò che il Ciontoli voleva far credere, e cioè che la morte del giovane fosse dovuta a una sua condotta di natura solo colposa.
In quest’ottica, “il decesso del Vannini ha giovato, fino ad un certo momento, alla posizione processuale degli odierni imputati”, anche per il comportamento assunto dagli altri componenti della famiglia Ciontoli, definito “incredibile”, al limite del depistamento delle indagini.
Nello specifico, la Corte allude “ai depistamenti (pulizia delle superfici delle pistole e del bossolo; pulitura delle tracce di sangue, soprattutto nel luogo dove assertivamente era avvenuto il ferimento; ripetute menzogne rivolte per circa 110 minuti ai soccorritori sia prima del loro intervento che al momento che dopo; all’accordo che tentano di raggiungere fra loro su quanto dichiarare”.
Tali condotte dei membri della famiglia avevano come obiettivo la possibilità in primis di far passare sotto silenzio l’accaduto ovvero di far credere a un incidente non voluto; ovvero ancora, in ultima analisi, di pervenire ad una ipotesi di omicidio colposo.

4. Le contraddizioni

Secondo il nuovo collegio romano, si devono distinguere due fasi dell’evento delittuoso. La prima è relativa al ferimento del Vannini; la seconda ha ad oggetto quanto verificatosi da tale momento in poi.
Fino al momento dello sparo, gli avvenimenti sono ricostruibili solo sulla base delle dichiarazioni degli imputati, senza riscontri oggettivi; mentre da quel punto in poi vi sono elementi fattuali di confronto.
In realtà, vi sono numerose contraddizioni nelle dichiarazioni dei Ciontoli-Pezzillo, specie confrontando le varie versioni mutate dagli stessi nell’arco del tempo e a seconda del contesto.
A titolo esemplificativo, si osservi che Antonio Ciontoli ha rilasciato quattro versioni diverse sul modo in cui è partito il colpo dalla pistola, con grosse differenze sostanziali: nelle prime ricostruzioni la pistola gli era caduta accidentalmente e da lì era partito il colpo. Successivamente ha invece affermato che non pensava che l’arma fosse carica e che, scarrellando per gioco, ha fatto partire il colpo.
Nella prima sentenza d’appello vi erano anche elementi che la nuova pronuncia ritiene inverosimili e male interpretati. Su tutti, ritenere assente con certezza Martina Ciontoli nel bagno nel momento in cui il fidanzato veniva colpito perché il risultato del tampone nella narice della stessa rilevava una sola particella di piombo, bario e antimonio (tipici di un colpo d’arma da fuoco), anziché almeno tre.
Incredibilmente, infatti, non è stato considerato che “i prelievi eseguiti a persone fisiche oltre le sei ore (8 ore nel caso di prelievi effettuati con gli swabs nelle narici e nelle orecchie) dal fatto reato non hanno alcun valore probatorio”. E dalla lesione subita da Vannini al tampone eseguito su Martina Ciontoli erano passate 9-10 ore.
A dire della Corte, perciò, la Ciontoli era presente nel bagno, giacché in un’intercettazione raccontava in prima persona al fratello Federico l’accadimento dello sparo: “Io ho visto lui quando papà gli ha puntato la pistola e gli ha detto <la vedi la…(incomprensibile)…ti sparo…>”.

5. L’elemento soggettivo del reato

La Corte d’Assise d’Appello afferma che non ha senso discutere ancora sulla qualificazione del fatto in termini di concorso degli altri familiari nell’omicidio mediante omissione, come invece han provato a fare i difensori.
Il giudice di merito, infatti, si deve attenere a quanto stabilito dalla Cassazione, che ha statuito che Martina e Federico Ciontoli e Maria Pezzillo avevano una posizione di garanzia ex art. 40 cpv. c.p. verso il ferito Vannini.
Quanto all’elemento soggettivo, la sentenza bis richiama i principi enunciati dalle Sezioni Unite con la sent. n. 38343 del 24.4.2014 (c.d. caso Thyssenkrupp), in tema di differenza fra dolo eventuale e colpa cosciente, e li fa propri, verificandone la presenza uno per uno.
In particolare, viene rilevato che i Ciontoli hanno tenuto una condotta anti-doverosa, in presenza di un ferito da arma da fuoco, anche alla luce delle loro personalità e pregresse esperienze. Viene, per esempio, accertato che Antonio Ciontoli era un militare professionista, ben conscio degli effetti potenzialmente nefasti di un colpo d’arma da fuoco, anche sotto l’aspetto probabilistico.
Finanche la durata e la ripetizione dell’azione delittuosa, mediante condotte volutamente omissive, e il comportamento successivo al fatto – di natura quasi omertosa – appaiono rilevanti al fine di stabilire la sussistenza del dolo eventuale.
Ma ciò che stabilisce davvero la presenza dell’elemento doloso è la finalità di tutte queste condotte: come già ribadito, Ciontoli “sperava di poter accreditare la tesi dell’omicidio colposo” e così salvare il proprio lavoro.
È perciò ravvisabile il dolo eventuale nella condotta di costui: egli non voleva direttamente la morte di Vannini, ma per conseguire il suo scopo la ha accettata.

6. Conclusioni

Se è chiaro che Antonio Ciontoli risponde di omicidio sotto il profilo del dolo eventuale, quale esecutore materiale, a che titolo rispondono gli altri concorrenti?
Il collegio afferma che deve essere affermata la responsabilità dei familiari “per concorso nel reato di omicidio volontario, sotto il profilo del dolo eventuale così come configurato dalla disciplina dell’art. 116 c.p.”, e cioè sulla base del c.d. concorso anomalo nel reato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata: i concorrenti rispondono del reato da loro non voluto solo nel caso in cui tale diverso fatto possa essere considerato uno sviluppo logicamente prevedibile del reato oggetto del programma criminoso (cfr. Corte Cost., sent. n. 42 del 13 Maggio 1965).
Infatti, per la Corte, l’evento morte non era voluto dai familiari di Antonio Ciontoli, ma era prevedibile e ciò nonostante essi hanno confidato sul carisma e sulle rassicurazioni del pater familias. Per tali motivi, dunque, oltre alla penale responsabilità di Antonio Ciontoli ex art. 575 c.p., la Corte d’Assise d’Appello dichiara Federico Ciontoli, Martina Ciontoli e Pezzillo Maria colpevoli in concorso ai sensi dell’art. 116 c.p., del reato di omicidio volontario.

6. La sentenza integrale.

Vannini

Indice

1. Introduzione
2. La spettacolarizzazione del processo
3. La ricostruzione giuridica del fatto
4. Le contraddizioni
5. L’elemento soggettivo del reato
6. La sentenza integrale
7. Conclusioni

1. Introduzione

La Corte d’Assise d’Appello di Roma, sezione seconda, ha depositato il 29 Ottobre scorso le motivazioni della sentenza di condanna nei confronti di Antonio Ciontoli e dei suoi familiari per l’omicidio volontario, commesso con dolo eventuale, del giovane Marco Vannini.
Quest’ultima sentenza si contrappone in particolare a quella della prima sezione della Corte d’Assise d’Appello, che invece aveva statuito la natura colposa dell’omicidio di Vannini. La prima sentenza d’appello riteneva infatti che Antonio Ciontoli non avrebbe voluto la morte del giovane fidanzato della figlia Martina: questo perché, rispetto al solo ferimento, il decesso avrebbe procurato conseguenze più gravose dal punto di vista della situazione lavorativa dell’omicida, militare di carriera.
Invece, nella visione proposta dalla nuova composizione collegiale di merito, sulla scia delle indicazioni proposte dalla Cassazione, questo assunto viene considerato del tutto illogico, per i motivi che si esporranno.

2. La spettacolarizzazione del processo

Preliminarmente, la Corte d’Assise d’Appello ritiene di spendere qualche parola sull’eco mediatica causata dal processo.
Il collegio riconosce la spettacolarizzazione del processo effettuata dai media, che hanno provocato una competizione fra la fazione colpevolista e quella che invece parteggia per gli imputati.
Di fatto, come osservato anche dalla difesa, “molte verità sono state distorte e molti fatti non risultano essere effettivamente avvenuti”. Tuttavia, “i difensori hanno evidentemente confuso tra la ripresa in diretta delle udienze e la distorsione che dalle loro risultanze è stata fatta nelle trasmissioni televisive”.
Infatti, “la vicenda in sé stessa, proprio per la personalità dei soggetti coinvolti, la giovane età della vittima, le circostanze ancora non del tutto chiarite in cui avvenne il ferimento del Vannini, può ritenersi di rilevante interesse pubblico, motivo per il quale può essere consentita la ripresa televisiva per esercizio del diritto di cronaca” .
Ma “se poi qualcuno distorcerà egualmente le notizie o propalerà accadimenti estranei al giudizio si assumerà la propria responsabilità”.

3. La ricostruzione giuridica del fatto

Si proceda ora alla ricostruzione degli eventi delittuosi, secondo la nuova composizione giudicante.
Quella notte vi era un fatto non occultabile: la vittima era stata attinta da un colpo sparato dalla Beretta di Antonio Ciontoli.
Perciò “se Marco Vannini non fosse morto avrebbe potuto raccontare come il fatto si era verificato e la sua morte, invece, avrebbe reso più disagevole l’accertamento delle responsabilità sostanziandosi in una soppressione di una fonte di prova”.
Non ha consistenza logica l’assunto secondo cui, se Ciontoli avesse avuto certezza della verificazione della morte, si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita, perché avrebbe eliminato l’unica persona in grado di dire come si erano svolti esattamente i fatti.
Del resto, “nessuno, a parte la famiglia Ciontoli, poteva riferire come effettivamente si fossero svolti i fatti di quella notte” e perciò, con la morte di Vannini, “in assenza delle dichiarazioni di questi, il Ciontoli sperava di poter accreditare la tesi dell’omicidio colposo, cosa che in effetti si è verificata”.
In sostanza, la seconda sezione afferma che la prima sezione della stessa Corte d’Assise d’Appello è stata irretita da ciò che il Ciontoli voleva far credere, e cioè che la morte del giovane fosse dovuta a una sua condotta di natura solo colposa.
In quest’ottica, “il decesso del Vannini ha giovato, fino ad un certo momento, alla posizione processuale degli odierni imputati”, anche per il comportamento assunto dagli altri componenti della famiglia Ciontoli, definito “incredibile”, al limite del depistamento delle indagini.
Nello specifico, la Corte allude “ai depistamenti (pulizia delle superfici delle pistole e del bossolo; pulitura delle tracce di sangue, soprattutto nel luogo dove assertivamente era avvenuto il ferimento; ripetute menzogne rivolte per circa 110 minuti ai soccorritori sia prima del loro intervento che al momento che dopo; all’accordo che tentano di raggiungere fra loro su quanto dichiarare”.
Tali condotte dei membri della famiglia avevano come obiettivo la possibilità in primis di far passare sotto silenzio l’accaduto ovvero di far credere a un incidente non voluto; ovvero ancora, in ultima analisi, di pervenire ad una ipotesi di omicidio colposo.

4. Le contraddizioni

Secondo il nuovo collegio romano, si devono distinguere due fasi dell’evento delittuoso. La prima è relativa al ferimento del Vannini; la seconda ha ad oggetto quanto verificatosi da tale momento in poi.
Fino al momento dello sparo, gli avvenimenti sono ricostruibili solo sulla base delle dichiarazioni degli imputati, senza riscontri oggettivi; mentre da quel punto in poi vi sono elementi fattuali di confronto.
In realtà, vi sono numerose contraddizioni nelle dichiarazioni dei Ciontoli-Pezzillo, specie confrontando le varie versioni mutate dagli stessi nell’arco del tempo e a seconda del contesto.
A titolo esemplificativo, si osservi che Antonio Ciontoli ha rilasciato quattro versioni diverse sul modo in cui è partito il colpo dalla pistola, con grosse differenze sostanziali: nelle prime ricostruzioni la pistola gli era caduta accidentalmente e da lì era partito il colpo. Successivamente ha invece affermato che non pensava che l’arma fosse carica e che, scarrellando per gioco, ha fatto partire il colpo.
Nella prima sentenza d’appello vi erano anche elementi che la nuova pronuncia ritiene inverosimili e male interpretati. Su tutti, ritenere assente con certezza Martina Ciontoli nel bagno nel momento in cui il fidanzato veniva colpito perché il risultato del tampone nella narice della stessa rilevava una sola particella di piombo, bario e antimonio (tipici di un colpo d’arma da fuoco), anziché almeno tre.
Incredibilmente, infatti, non è stato considerato che “i prelievi eseguiti a persone fisiche oltre le sei ore (8 ore nel caso di prelievi effettuati con gli swabs nelle narici e nelle orecchie) dal fatto reato non hanno alcun valore probatorio”. E dalla lesione subita da Vannini al tampone eseguito su Martina Ciontoli erano passate 9-10 ore.
A dire della Corte, perciò, la Ciontoli era presente nel bagno, giacché in un’intercettazione raccontava in prima persona al fratello Federico l’accadimento dello sparo: “Io ho visto lui quando papà gli ha puntato la pistola e gli ha detto <la vedi la…(incomprensibile)…ti sparo…>”.

5. L’elemento soggettivo del reato

La Corte d’Assise d’Appello afferma che non ha senso discutere ancora sulla qualificazione del fatto in termini di concorso degli altri familiari nell’omicidio mediante omissione, come invece han provato a fare i difensori.
Il giudice di merito, infatti, si deve attenere a quanto stabilito dalla Cassazione, che ha statuito che Martina e Federico Ciontoli e Maria Pezzillo avevano una posizione di garanzia ex art. 40 cpv. c.p. verso il ferito Vannini.
Quanto all’elemento soggettivo, la sentenza bis richiama i principi enunciati dalle Sezioni Unite con la sent. n. 38343 del 24.4.2014 (c.d. caso Thyssenkrupp), in tema di differenza fra dolo eventuale e colpa cosciente, e li fa propri, verificandone la presenza uno per uno.
In particolare, viene rilevato che i Ciontoli hanno tenuto una condotta anti-doverosa, in presenza di un ferito da arma da fuoco, anche alla luce delle loro personalità e pregresse esperienze. Viene, per esempio, accertato che Antonio Ciontoli era un militare professionista, ben conscio degli effetti potenzialmente nefasti di un colpo d’arma da fuoco, anche sotto l’aspetto probabilistico.
Finanche la durata e la ripetizione dell’azione delittuosa, mediante condotte volutamente omissive, e il comportamento successivo al fatto – di natura quasi omertosa – appaiono rilevanti al fine di stabilire la sussistenza del dolo eventuale.
Ma ciò che stabilisce davvero la presenza dell’elemento doloso è la finalità di tutte queste condotte: come già ribadito, Ciontoli “sperava di poter accreditare la tesi dell’omicidio colposo” e così salvare il proprio lavoro.
È perciò ravvisabile il dolo eventuale nella condotta di costui: egli non voleva direttamente la morte di Vannini, ma per conseguire il suo scopo la ha accettata.

6. Conclusioni

Se è chiaro che Antonio Ciontoli risponde di omicidio sotto il profilo del dolo eventuale, quale esecutore materiale, a che titolo rispondono gli altri concorrenti?
Il collegio afferma che deve essere affermata la responsabilità dei familiari “per concorso nel reato di omicidio volontario, sotto il profilo del dolo eventuale così come configurato dalla disciplina dell’art. 116 c.p.”, e cioè sulla base del c.d. concorso anomalo nel reato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata: i concorrenti rispondono del reato da loro non voluto solo nel caso in cui tale diverso fatto possa essere considerato uno sviluppo logicamente prevedibile del reato oggetto del programma criminoso (cfr. Corte Cost., sent. n. 42 del 13 Maggio 1965).
Infatti, per la Corte, l’evento morte non era voluto dai familiari di Antonio Ciontoli, ma era prevedibile e ciò nonostante essi hanno confidato sul carisma e sulle rassicurazioni del pater familias. Per tali motivi, dunque, oltre alla penale responsabilità di Antonio Ciontoli ex art. 575 c.p., la Corte d’Assise d’Appello dichiara Federico Ciontoli, Martina Ciontoli e Pezzillo Maria colpevoli in concorso ai sensi dell’art. 116 c.p., del reato di omicidio volontario.

6. La sentenza integrale.