Art. 81 – Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398 - aggiornato alla D. Lgs. 10 ottobre 2022, n.150)

Concorso formale. Reato continuato

Articolo 81 - codice penale

È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge (att. c.p.p. 137).
Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge (att. c.p.p. 137).
Nei casi preveduti da quest’articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti.
Fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave (1).

Articolo 81 - Codice Penale

È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge (att. c.p.p. 137).
Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge (att. c.p.p. 137).
Nei casi preveduti da quest’articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti.
Fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave (1).

Note

(1) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 5, comma 1, della L. 5 dicembre 2005, n. 251.

Massime

È configurabile il concorso tra i delitti di pornografia minorile e di atti sessuali con minorenne, rispettivamente previsti dagli artt. 600-ter, primo comma, n.1, e 609-quater cod. pen., in quanto contemplanti condotte materialmente e cronologicamente distinte, ove l’agente induca la persona offesa minorenne dapprima a compiere su di sé atti sessuali e poi a registrare e ad inviargli filmati di contenuto pedopornografico. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 31743 del 12 novembre 2020 (Cass. pen. n. 31743/2020)

In tema di circonvenzione di persone incapaci, nell’ipotesi in cui ad un unico atto di induzione conseguano plurime condotte appropriative, il momento di consumazione del delitto va individuato nell’ultima apprensione in ordine cronologico, diversamente, nell’ipotesi in cui la pluralità di condotte appropriative derivi da plurimi atti di induzione, ciascuno dei quali con un obiettivo di approfittamento, ancorchè originati dalla stessa circonvenibilità della vittima, il reato deve ritenersi reiterato e consumato al momento del conseguimento di ciascun singolo profitto. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 31425 del 10 novembre 2020 (Cass. pen. n. 31425/2020)

In tema di ricettazione, la pluralità dei delitti presupposto commessi in relazione al medesimo oggetto non determina pluralità di reati, limitandosi l’art. 648 cod. pen. a sanzionare la condotta di chi acquista, riceve od occulta cose provenienti da un qualsiasi delitto, e non essendo, tale pluralità dei delitti presupposto, rilevante ai fini dell’offensività della condotta. (Fattispecie in cui l’imputato, pur essendo stato trovato in possesso di una sola arma da guerra modificata, era stato condannato per due distinte ipotesi di ricettazione, l’una conseguente al reato di porto e detenzione illegale di armi e l’altra al delitto di alterazione di armi). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 29677 del 26 ottobre 2020 (Cass. pen. n. 29677/2020)

In tema di reato continuato, il giudizio circa la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche, anche se fondato solo su elementi di natura soggettiva, può essere riferito ai singoli episodi criminosi e non necessariamente esteso in via automatica ed in modo indistinto a tutti i reati uniti dal vincolo della continuazione. (Fattispecie relativa alla applicazione delle circostanze attenuanti generiche, da parte del giudice di rinvio, al solo reato più grave, in ragione dell’intensità del dolo dei reati satellite, in cui la Corte ha precisato che, dovendo limitarsi il controllo di legittimità alla sola tenuta argomentativa della motivazione, non è consentito sovrapporre una presunzione assoluta alla decisione di merito). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 19366 del 26 giugno 2020 (Cass. pen. n. 19366/2020)

Nel giudizio d’appello in sede di rinvio conseguente ad annullamento parziale disposto dalla Corte di cassazione, in caso di sopravvenienza, successivamente alla sentenza rescindente, di un’ordinanza applicativa, in sede esecutiva, del vincolo della continuazione tra un reato rispetto al quale la condanna è divenuta irrevocabile ed altro reato giudicato con titolo diverso, il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna dell’imputato per i reati oggetto del rinvio, in presenza di una specifica deduzione della parte, è tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti per l’estensione della continuazione anche al reato giudicato con titolo diverso e, nell’ipotesi affermativa, a pronunciarsi sui conseguenti effetti in punto di struttura del reato continuato e di dosimetria della pena. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 16766 del 3 giugno 2020 (Cass. pen. n. 16766/2020)

In tema di continuazione, l’omessa quantificazione degli aumenti di pena per ogni singolo reato unificato ex art. 81, secondo comma, cod. pen. costituisce causa di annullamento con rinvio della sentenza, non potendo trovare applicazione l’art. 620, lett. l), cod. proc. pen., come modificato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in quanto la determinazione di detti aumenti costituisce l’esito di una complessiva valutazione discrezionale di merito da condursi alla luce dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sottratta, come tale, alla cognizione della Corte di legittimità e rimessa unicamente al giudice di rinvio. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 14688 del 12 maggio 2020 (Cass. pen. n. 14688/2020)

In tema di continuazione tra reati in materia di stupefacenti, la necessità di valutare in modo non atomistico “mezzi, modalità e circostanze” di commissione dei singoli reati, ai fini del riconoscimento della lieve entità del fatto ex art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, consente di valorizzare le peculiarità delle singole condotte, la comunanza di elementi significativi e le loro eventuali reciproche correlazioni al fine di ricostruire una cornice complessiva in concreto idonea ad escludere un giudizio di lieve entità rispetto ai fatti contestati. (Nella specie, la Corte ha ritenuto correttamente motivata la sentenza impugnata in punto di esclusione della configurabilità dell’ipotesi di lieve entità in relazione ad una pluralità di condotte concentrate in un ristretto ambito temporale e geografico e connotate da identiche modalità di confezionamento della medesima tipologia di stupefacente – cocaina -, i cui notevoli quantitativi erano gestiti da una rete di soggetti che facevano capo, quale referente, all’imputato). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 13115 del 28 aprile 2020 (Cass. pen. n. 13115/2020)

La continuazione può essere ravvisata tra contravvenzioni solo se l’elemento soggettivo ad esse comune sia il dolo e non la colpa, essendo richiesto, per la sua configurabilità, l’unicità del disegno criminoso che consiste nella ideazione contemporanea di più azioni antigiuridiche programmate nelle loro linee essenziali. (Fattispecie di contravvenzioni in materia di sicurezza sul lavoro). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 45941 del 13 novembre 2019 (Cass. pen. n. 45941/2019)

In tema di determinazione della pena, è ammissibile il ricorso per cassazione contro la sentenza che non abbia specificato il “quantum” dei singoli aumenti inflitti a titolo di continuazione in relazione a ciascun reato satellite, a condizione che venga dedotto un interesse concreto ed attuale a sostegno della doglianza. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, che era incorsa in tale omissione, a fronte dell’interesse della parte ricorrente a conoscere la misura del trattamento sanzionatorio estranea alla disciplina di maggior rigore prevista, in ambito penitenziario, per i reati più gravi per i quali era stato giudicato). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 26011 del 12 giugno 2019 (Cass. pen. n. 26011/2019)

L’elevato arco di tempo all’interno del quale sono stati commessi più reati (nella specie, dieci anni) non esime il giudice dall’onere di verificare se la continuazione possa essere riconosciuta con riferimento a singoli gruppi di reati commessi, all’interno di tale arco, in epoca contigua, tenuto conto degli ulteriori indici rappresentati dalla similare tipologia, dalle singole causali e dalla contiguità spaziale. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’esigenza di tale verifica sussiste se e nei limiti in cui l’interessato abbia dedotto l’evenienza del medesimo disegno criminoso anche per singoli gruppi di reati, enucleandoli ed allegando gli indici rivelatori della corrispondente continuazione parziale). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7381 del 18 febbraio 2019 (Cass. pen. n. 7381/2019)

Non viola il principio di legalità della pena l’aumento a titolo di continuazione della pena detentiva – prevista per il reato base – in presenza di reati satellite di competenza del giudice di pace sanzionati in via alternativa con pena equiparata a quella detentiva ai sensi dell’art. 58, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito aveva aumentato, avuto riguardo al reato base di atti persecutori, la pena di un mese di reclusione a titolo di continuazione per tre episodi di lesioni lievi). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 49865 del 31 ottobre 2018 (Cass. pen. n. 49865/2018)

In tema di applicazione della continuazione in sede esecutiva, é legittima l’ordinanza che esclude la sussistenza del vincolo della continuazione in considerazione sia del notevole lasso di tempo intercorrente fra i vari fatti criminosi (se tale elemento non sia contrastato da positive e contrarie risultanze probatorie),sia dei frequenti periodi di detenzione subiti dal richiedente, verosimilmente interruttivi di qualunque progetto, non potendo concepirsi che un disegno delittuoso includa anche gli arresti, l’espiazione delle pene e le riprese del fantomatico progetto esecutivo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 44988 del 8 ottobre 2018 (Cass. pen. n. 44988/2018)

In tema di concorso di reati puniti con sanzioni eterogenee sia nel genere che nella specie per i quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione, l’aumento di pena per il reato “satellite” va effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per “moltiplicazione”, rispettando tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena prevista per il reato “satellite”, nel senso che l’aumento della pena detentiva del reato più grave dovrà essere ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’art. 135 cod.pen.

La continuazione, quale istituto di carattere generale, è applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 40983 del 24 settembre 2018 (Cass. pen. n. 40983/2018)

In tema di reato continuato, nel caso in cui il giudice, inflitta la pena nella misura minima edittale, l’abbia aumentata per la continuazione in modo esiguo, non è tenuto a giustificare con motivazione esplicita il suo operato, sia perché deve escludersi che abbia abusato del potere discrezionale conferitogli dall’art. 132 cod. pen., sia perché deve ritenersi che egli abbia implicitamente valutato gli elementi obbiettivi e subiettivi del reato risultanti dal contesto complessivo della sua decisione. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 24979 del 5 giugno 2018 (Cass. pen. n. 48352/2017)

In presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, e giudicati nel medesimo procedimento, non opera l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, configurando anche il reato continuato una ipotesi di comportamento abituale ostativa al riconoscimento del beneficio. (Nella specie, la Corte ha affermato il principio anche se per il reato di danneggiamento, contestato in concorrenza con quello di violenza privata, era intervenuta remissione di querela). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 48352 del 20 ottobre 2017 (Cass. pen. n. 48352/2017)

Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 28659 del 8 giugno 2017 (Cass. pen. n. 28659/2017)

Ai fini del trattamento sanzionatorio del reato continuato occorre applicare una sola pena, dello stesso genere e della stessa specie di quella del reato più grave, anche quando l’aumento apportato ai sensi dell’art. 81, comma secondo, cod. pen. abbia ad oggetto reati satellite appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee o di specie diversa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo l’aumento a titolo di continuazione con la pena della reclusione per un reato satellite di competenza del giudice di pace). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 26450 del 26 maggio 2017 (Cass. pen. n. 26450/2017)

Il giudice della cognizione può riconoscere d’ufficio la continuazione tra il reato rimesso alla sua cognizione e altro per cui l’imputato ha riportato in precedenza condanna divenuta definitiva, in quanto nel giudizio di cognizione non vige il principio della domanda in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio, sicché il giudice ha il potere di commisurare discrezionalmente la pena irroganda e, proprio a tal fine, se del caso, accertare (ovvero escludere) la continuazione con i reati per i quali l’imputato abbia già riportato condanne irrevocabili. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 17832 del 7 aprile 2017 (Cass. pen. n. 17832/2017)

Il giudice dell’esecuzione, nel procedere alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio per effetto dell’applicazione della disciplina del reato continuato, non può quantificare gli aumenti di pena per i reati-satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 6296 del 10 febbraio 2017 (Cass. pen. n. 3337/2017)

In tema di continuazione, qualora sia riconosciuta l’appartenenza di un soggetto a diversi sodalizi criminosi, è possibile ravvisare il vincolo della continuazione tra i reati associativi solo a seguito di una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, avuto riguardo ai profili della contiguità temporale, dei programmi operativi perseguiti e del tipo di compagine che concorre alla loro formazione, non essendo a tal fine sufficiente la valutazione della natura permanente del reato associativo e dell’omogeneità del titolo di reato e delle condotte criminose. (Fattispecie relativa all’esclusione del vincolo della continuazione tra il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e quello di associazione per delinquere di stampo mafioso, finalizzata alla consumazione sia di reati concernenti il traffico di sostanze stupefacenti che di reati diversi, in cui la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che aveva negato il riconoscimento del vincolo tra i due reati, rilevando che, nonostante la contiguità geografica e cronologica delle condotte e la loro tendenziale omogeneità, le modalità concrete di consumazione dei vari delitti erano sintomatiche di scelte di vita ispirate alla sistematica consumazione di illeciti, e non all’attuazione di un progetto criminoso unitario). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 3337 del 23 gennaio 2017 (Cass. pen. n. 3337/2017)

Nell’ipotesi in cui il sottoposto con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno guida un veicolo senza patente o con patente revocata si configura il concorso formale tra il reato previsto dall’art. 73 del D.Lgs. 6 settembre 2011 n. 159 e il delitto previsto dall’art. 75, comma secondo, del medesimo D.Lgs., in quanto le due fattispecie sono in rapporto di specialità reciproca tra loro. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1086 del 11 gennaio 2017 (Cass. pen. n. 1086/2017)

Non è configurabile il concorso formale tra il reato di bancarotta fraudolenta e quello di bancarotta impropria da operazioni dolose, di cui all’art. 223, comma secondo, n. 2 L. fall., che deve considerarsi assorbito nel primo quando l’azione diretta a causare il fallimento sia la stessa sussunta nel modello descrittivo della bancarotta fraudolenta. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 44103 del 18 ottobre 2016 (Cass. pen. n. 44103/2016)

In tema di reato continuato, il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo di quella stabilita per il reato più grave, previsto dall’art. 81, comma quarto, cod. pen. nei confronti dei soggetti ai quali è stata applicata la recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen., opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 31669 del 21 luglio 2016 (Cass. pen. n. 31669/2016)

In tema di violenza sessuale, il riconoscimento della circostanza attenuante della minore gravità del fatto non è impedito dalla commissione di una pluralità di episodi illeciti in danno di diverse persone offese, la cui libertà sessuale sia stata compressa in maniera non grave. (In applicazione del principio, la S.C. ha censurato la decisione di merito che aveva automaticamente escluso la diminuente in una fattispecie di “palpeggiamenti” di più alunne minorenni, osservando che il naturale aggravamento della intensità della lesione al bene protetto, connesso alla reiterazione di una singola condotta di modesta gravità, non si verifica quando i soggetti passivi della condotta siano sempre fra loro diversi e ciascuno indipendente dall’altro, dovendosi in tal caso valutare la gravità di ogni singolo episodio). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 25434 del 20 giugno 2016 (Cass. pen. n. 25434/2016)

In tema di reati contro la famiglia, la condotta di omesso versamento dell’assegno periodico di cui all’art. 12-sexies della legge 1 dicembre 1970, n. 898, se commessa in danno di più soggetti beneficiari, integra una pluralità di reati in concorso formale o, ricorrendone i presupposti, in continuazione tra loro. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 13418 del 4 aprile 2016 (Cass. pen. n. 13418/2016)

La continuazione, quale istituto di carattere generale, è applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee o di specie diversa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretto il riconoscimento della continuazione tra delitto punito con la pena della reclusione e contravvenzione punita con la pena dell’ammenda e, conseguentemente, la determinazione della pena complessiva mediante aumento dell’entità della reclusione). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 35999 del 4 settembre 2015 (Cass. pen. n. 35999/2015)

In tema di reato continuato, non è sufficiente per la legalità del calcolo determinare la pena nell’ambito quantitativo previsto dalla legge – pari al triplo della pena base – dovendo il giudice, nella motivazione, dare conto delle decisioni assunte su ogni aspetto dell’esercizio del suo potere discrezionale, ivi compresa la determinazione dell’aumento di pena per i singoli reati satellite. (Nella fattispecie la S.C. ha ritenuto correttamente assolto l’obbligo di motivazione nella giustificazione, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., dell’aumento stabilito a titolo di continuazione in misura inferiore all’aumento medio previsto dall’art. 81, comma secondo, cod. pen.). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 28139 del 2 luglio 2015 (Cass. pen. n. 28139/2015)

In tema di continuazione tra reati diversi, l’individuazione del reato ritenuto in concreto più grave incontra un limite invalicabile costituito dal fatto che la pena prescelta non può mai essere inferiore a quella irrogabile per un reato concorrente, sanzionato con pena edittale maggiore nel minimo, con la conseguenza che, in presenza di due reati puniti con pene edittali diverse nella misura massima e minima, il giudice potrà liberamente scegliere quale sia la violazione più grave, ma dovrà irrogare per essa una pena non inferiore a quella che avrebbe dovuto infliggere per l’altra violazione punita, a seguito del giudizio di comparazione, con pena edittale maggiore nel minimo. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 6828 del 17 febbraio 2015 (Cass. pen. n. 6828/2015)

In tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena relativi ai reati satellite, valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la decisione impugnata che aveva applicato un aumento di pena unitario in relazione a più reati). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 4707 del 2 febbraio 2015 (Cass. pen. n. 4707/2015)

In tema di reato continuato, il limite minimo per l’aumento previsto dall’art. 81, comma quarto, c.p., nei confronti dei soggetti per i quali sia stata ritenuta la contestata recidiva reiterata opera anche quando il giudice abbia considerato la stessa equivalente alle riconosciute attenuanti. Cassazione penale, Sez. Feriale, sentenza n. 53573 del 23 dicembre 2014 (Cass. pen. n. 53573/2014)

In tema di reato continuato, la mera inclinazione a reiterare violazioni della stessa specie, anche se dovuta ad una determinata scelta di vita, o ad un programma generico di attività delittuosa da sviluppare nel tempo secondo contingenti opportunità, non integra di per sè l’unitaria e anticipata ideazione di più condotte costituenti illecito penale, già insieme presenti alla mente del reo, che caratterizza l’istituto disciplinato dall’art. 81, secondo comma, cod. pen. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata che aveva escluso la continuazione tra i reati di tentato omicidio e di maltrattamenti commessi nei confronti di due diverse donne con le quali l’imputato intratteneva parallele relazioni sentimentali, entrambe caratterizzate da comportamenti vessatori e violenti). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 39222 del 24 settembre 2014 (Cass. pen. n. 39222/2014)

In tema di reato continuato, ai fini della determinazione della pena base, la violazione più grave deve essere individuata in concreto con riferimento alla pena da infliggere per ciascuna di esse, dopo la valutazione di ogni singola circostanza e secondo i criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., senza alcun riguardo alla valutazione compiuta dal legislatore, al titolo ed alle relative pene edittali. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 38581 del 19 settembre 2014 (Cass. pen. n. 38581/2014)

L’accertamento del vincolo della continuazione tra il reato giudicato ed altro precedente per il quale è intervenuta condanna con sentenza irrevocabile richiede al giudice la sola applicazione dell’aumento dovuto per la continuazione, mentre non possono essere applicate le circostanze attenuanti, il cui riconoscimento richiede l’esame dell’intera condotta antigiuridica del reo, ivi inclusa quella già considerata dal precedente giudicato, ostandovi la “res iudicata”. (In motivazione la Corte ha precisato che è corretto non operare distinzioni concernenti l’incidenza delle attenuanti e della diminuente già applicate in primo grado). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2907 del 22 gennaio 2014 (Cass. pen. n. 2907/2014)

In tema di reato continuato, se l’aumento che è possibile apportare ex art. 81cod. pen. può raggiungere il triplo della pena base, non è sufficiente per la legalità del calcolo determinare la pena nell’ambito quantitativo previsto dalla legge, dovendo il giudice, nella motivazione, dare conto delle decisioni assunte su ogni aspetto dell’esercizio del suo potere discrezionale, ivi compresa la determinazione dell’aumento di pena per la continuazione. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 51731 del 23 dicembre 2013 (Cass. pen. n. 49868/2013)

In tema di continuazione, l’arresto del soggetto, intervenuto dopo la commissione di un reato, non è, di per sé, idoneo ad escludere la sussistenza del medesimo disegno criminoso con i reati successivamente commessi, né, di conseguenza, è ostativo all’applicabilità del regime di cui all’art. 81 c.p.: è al giudice di merito che compete di verificare se, in concreto, l’arresto abbia costituito momento di frattura nella unicità del disegno criminoso e, quindi, ragione valida per escludere l’applicazione dell’istituto della continuazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 49868 del 11 dicembre 2013 (Cass. pen. n. 49868/2013)

In materia di reato continuato, al fine di stabilire la pena base, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche alla più grave delle violazioni deve essere effettuata senza che si possa tenere conto delle circostanze inerenti alle violazioni meno gravi, rilevando queste ulteriori attenuanti e aggravanti soltanto per determinare la misura dell’aumento da apportare alla pena base. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 49344 del 9 dicembre 2013 (Cass. pen. n. 49344/2013)

In tema di reato continuato, il limite minimo per l’aumento stabilito dall’art. 81, comma quarto, c.p. nei confronti dei soggetti per i quali sia stata ritenuta la contestata recidiva reiterata opera anche quando il giudice abbia considerato quest’ultima equivalente alle riconosciute circostanze attenuanti. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 48768 del 5 dicembre 2013 (Cass. pen. n. 48768/2013)

La contestuale applicazione dell’indulto non esime il giudice dell’esecuzione dal provvedere in ordine alla concorrente richiesta del condannato di riconoscimento della continuazione tra i reati per i quali sono state irrogate le pene ormai estinte. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 46975 del 25 novembre 2013 (Cass. pen. n. 46975/2013)

Il riconoscimento della continuazione tra più reati in sede esecutiva, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale, non comporta che la differenza così formatasi sia automaticamente imputata alla detenzione da eseguire, operando anche in detta eventualità il disposto dell’art. 657, comma quarto, cod. proc. pen., per cui a tal fine vanno computate solo custodia cautelare sofferta e pene espiate “sine titulo” dopo la commissione del reato, e dovendosi conseguentemente scindere il reato continuato nelle singole violazioni che lo compongono. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 45259 del 8 novembre 2013 (Cass. pen. n. 45259/2013)

Il dolo d’impeto o l’occasionalità di una delle condotte sono incompatibili con il riconoscimento della continuazione con altri episodi delittuosi.

L’unicità del movente rileva ai fini della continuazione solo se il proposito criminoso risulti connotato da specificità e concretezza. (Fattispecie in cui è stata esclusa rilevanza, ai fini del riconoscimento della continuazione fra più delitti di omicidio, alla generica ideazione dell’imputato di sopprimere i componenti delle famiglie avverse). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 35639 del 27 agosto 2013 (Cass. pen. n. 35639/2013)

In tema di reati concernenti la prostituzione, la disciplina del reato continuato è compatibile con il riconoscimento dell’aggravante speciale di aver favorito la prostituzione di più persone nel caso in cui alla cessazione di plurimi episodi di contemporaneo favoreggiamento di più persone dedite alla prostituzione segua la commissione di altre condotte analoghe. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 35561 del 27 agosto 2013 (Cass. pen. n. 35561/2013)

In tema di reato continuato, la detenzione in carcere o altra misura limitativa della libertà personale, subita dal condannato tra i reati separatamente giudicati, non è di per sé idonea ad escludere l’identità del disegno criminoso e non esime il giudice dalla verifica in concreto di quegli elementi (quali ad esempio la distanza cronologica, le modalità esecutive, le abitudini di vita, la tipologia dei reati, l’omogeneità delle violazioni, etc.) che possono rivelare la preordinazione di fondo che unisce le singole violazioni. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 32475 del 25 luglio 2013 (Cass. pen. n. 32475/2013)

In tema di misure alternative, in presenza di una condanna per più reati in continuazione nell’ambito dei quali vi sia un reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, il condannato ha diritto alla scissione del vincolo e a far considerare imputata la pena presofferta al reato ostativo, tenendo conto di quella che è la sanzione in concreto inflitta, anche se si tratta di un mero aumento in continuazione. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che un condannato per vari reati avvinti dalla continuazione, fra i quali un’ipotesi di violenza sessuale di cui all’art. 609 octies cod. pen. per la quale era stata irrogata la pena, ex art. 81 cpv. cod. pen. di mesi quattro di reclusione, legittimamente aveva richiesto, dopo aver scontato quattro mesi di reclusione, di poter ritenere espiata la pena per il reato ostativo). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 26701 del 19 giugno 2013 (Cass. pen. n. 26701/2013)

In tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all’eventuale giudizio di comparazione fra di esse.

In tema di concorso di reati puniti con sanzioni omogenee sia nel genere che nella specie per i quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione, l’individuazione del concreto trattamento sanzionatorio per il reato ritenuto dal giudice più grave non può comportare l’irrogazione di una pena inferiore nel minimo a quella prevista per uno dei reati satellite. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 25939 del 13 giugno 2013 (Cass. pen. n. 25939/2013)

Tra i reati di guida in stato di alterazione per assunzione di sostanze stupefacenti e di guida senza patente contestualmente accertati non è configurabile concorso formale ai sensi del comma primo dell’art. 81 cod. pen . Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 21281 del 17 maggio 2013 (Cass. pen. n. 18794/2013)

La richiesta di riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra più reati oggetto di sentenze di applicazione della pena, è subordinata alla previa indicazione della entità della pena e alla acquisizione del consenso, o del dissenso, del P.M. (Nella specie la Corte ha ritenuto illegittimo il provvedimento del giudice che accolga la richiesta del condannato e, tuttavia, ridetermini autonomamente la pena secondo le regole generali). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 18794 del 29 aprile 2013 (Cass. pen. n. 18794/2013)

Il limite di aumento minimo per la continuazione, pari ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, previsto dall’art. 81, comma quarto, cod. pen., si applica nei soli casi in cui l’imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva emessa precedentemente al momento della commissione dei reati per i quali si procede e non anche quando egli sia ritenuto recidivo reiterato in relazione agli stessi reati uniti dal vincolo della continuazione del cui trattamento sanzionatorio si discute. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 18773 del 29 aprile 2013 (Cass. pen. n. 18773/2013)

Nel caso di condanna per reato continuato, nel commisurare la durata della pena accessoria a quella principale deve farsi riferimento alla pena base inflitta per la violazione più grave, come determinata tenendo conto del bilanciamento tra circostanze, e non a quella complessiva, comprensiva cioè dell’aumento per la continuazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 14375 del 26 marzo 2013 (Cass. pen. n. 14375/2013)

L’elevato arco di tempo all’interno del quale sono stati commessi più reati (nella specie quindici anni) non esime il giudice dall’onere di verificare se la continuazione possa essere riconosciuta con riferimento a singoli gruppi di reato connessi, all’interno di tale arco, in epoca contigua, tenuto conto degli ulteriori indici rappresentati dalla similare tipologia, dalle singole causali e dalla contiguità spaziale. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 14348 del 26 marzo 2013 (Cass. pen. n. 14348/2013)

In tema di reato continuato, l’identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguità spazio temporale ed il nesso funzionale tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei reati ed emerga, invece, l’occasionalità di quelli compiuti successivamente rispetto a quello cronologicamente anteriori. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 44214 del 14 novembre 2012 (Cass. pen. n. 44214/2012)

In tema di reato continuato la valutazione del giudice circa la identità del disegno criminoso costituisce il solo criterio per la unificazione fittizia “quoad poenam” della pluralità degli illeciti commessi dall’agente con una molteplicità di azioni, restandone escluso ogni fattore di carattere temporale. Pertanto al giudice del merito non è inibita l’applicazione del trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 81, comma secondo, c.p. quando sia stata già pronunciata una sentenza irrevocabile di condanna, o una sentenza ad essa equiparabile, come quella di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., nei confronti dell’imputato per fatto anche meno grave di quello sottoposto al suo giudizio. In siffatta ipotesi la pena complessiva va determinata sulla base di quella da infliggersi per il reato più grave sottoposto al giudizio in corso e va apportato l’aumento ritenuto equo in riferimento al reato meno grave già giudicato. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 20326 del 28 maggio 2012 (Cass. pen. n. 20326/2012)

In tema di reato continuato, il giudizio comparativo fra circostanze trova applicazione con riguardo al fatto considerato come violazione più grave sicché, determinata la pena base e operati sulla stessa l’eventuale riduzione o l’eventuale aumento per le circostanze ritenute prevalenti, l’aumento di pena “ex” art. 81 cpv c.p. deve essere dosato anche tenendo conto delle circostanze riguardanti ciascuno dei reati-satellite. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 47249 del 20 dicembre 2011 (Cass. pen. n. 47249/2011)

Il principio secondo cui l’identità del disegno criminoso del reato continuato viene meno per fatti imprevedibili come la detenzione o la condanna non si può automaticamente applicare a contesti delinquenziali, come quelli determinati dalle associazioni mafiose, nei quali detenzioni e condanne definitive sono accettate come prevedibili eventualità, sicché, in tali casi, il vincolo della continuazione non è incompatibile con un reato permanente, ontologicamente unico, come quello di appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso, quando il segmento della condotta associativa successiva ad un evento interruttivo – costituito da fasi di detenzione o da condanne – trovi la sua spinta psicologica nel pregresso accordo per il sodalizio. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 38486 del 25 ottobre 2011 (Cass. pen. n. 38486/2011)

Ritenuta la continuazione tra più reati, il giudice può riconoscere le attenuanti generiche solo per alcuni di essi, con la conseguenza che le attenuanti generiche riconosciute solo per il reato più grave non si estendono a quelli satellite. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 34782 del 26 settembre 2011 (Cass. pen. n. 34782/2011)

In tema di reato continuato, il limite minimo per l’aumento stabilito dalla legge nei confronti dei soggetti per i quali sia stata ritenuta la contestata recidiva reiterata, opera anche quando il giudice abbia considerato la stessa recidiva equivalente alle riconosciute attenuanti, non procedendo pertanto all’aggravamento della pena correlato alla suddetta circostanza. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 25082 del 22 giugno 2011 (Cass. pen. n. 25082/2011)

L’accertamento circa l’esistenza di un medesimo disegno criminoso tra più reati, tra i quali si asserisca il vincolo di continuazione, deve essere riferito al momento dell’ideazione e deliberazione del primo dei reati in senso cronologico, a nulla rilevando che questo abbia avuto una reiterazione in più episodi nel corso di un ampio arco di tempo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 13611 del 5 aprile 2011 (Cass. pen. n. 13611/2011)

Non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al rafforzamento del medesimo, non erano programmabili “ab origine” perché legati a circostanze ed eventi contingenti ed occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione stessa. (Fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso diretto al riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra il reato di associazione di tipo mafioso ed un duplice omicidio commesso da un associato, disattendendo la tesi secondo cui, per ritenere configurabile la continuazione, sarebbe stato sufficiente il solo rapporto di strumentalità del predetto reato fine alla funzionalità della cosca). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 13609 del 5 aprile 2011 (Cass. pen. n. 13609/2011)

Il giudice della cognizione che, in sede di applicazione della continuazione, individui il reato più grave in quello al suo esame e i reati-satellite in quelli già definitivamente giudicati, non è vincolato, nella rideterminazione della complessiva pena, dalla misura stabilita dalla sentenza irrevocabile relativa ai reati-satellite. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5832 del 16 febbraio 2011 (Cass. pen. n. 5832/2011)

Non vi è compatibilità tra recidiva e continuazione, con la conseguenza che non può tenersi conto della recidiva una volta ritenuta la continuazione tra il reato per cui sia pronunciata sentenza passata in giudicato, valutato come più grave e, pertanto, considerato reato base, e quello successivo, oggetto di ulteriore giudizio, in quanto i reati ritenuti in continuazione costituiscono momenti di un’unica condotta illecita, caratterizzata dalla reiterazione di diversi episodi delittuosi, consumati in attuazione di un medesimo disegno criminoso, con la conseguenza che non è possibile ritenere la recidiva per gli episodi successivi al primo. Tra i due istituti esiste, pertanto, assoluta antitesi, valorizzando la recidiva la speciale proclività a delinquere, espressa dalla reiterazione di reati consumati in piena autonomia rispetto a vicende pregresse ed elidendo la continuazione proprio la predetta autonomia, collegando ed unificando i diversi episodi criminosi. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5761 del 15 febbraio 2011 (Cass. pen. n. 5761/2011)

In sede di esecuzione, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione tra più reati che hanno formato oggetto di giudizio abbreviato, la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito opera necessariamente prima del criterio moderatore del cumulo materiale previsto dall’art. 78 c.p., in forza del quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 733 del 14 gennaio 2011 (Cass. pen. n. 733/2011)

In tema di continuazione tra reati commessi da soggetti cui sia stata applicata la recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, c.p., per pena stabilita per il reato più grave, sulla quale deve essere applicato l’aumento di pena non inferiore ad un terzo, deve intendersi la pena già aumentata per effetto della recidiva stessa, fermo restando che il suddetto limite minimo va riferito all’aumento complessivo per la continuazione e non a quello applicato per ciascuno dei reati satelliti. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 44366 del 16 dicembre 2010 (Cass. pen. n. 44366/2010)

La permanenza è interrotta dalla sentenza di condanna, anche se non irrevocabile, onde dal giorno della pronuncia è configurabile un nuovo reato. (Fattispecie relativa alla contravvenzione di abusiva occupazione del demanio marittimo). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 35419 del 1 ottobre 2010 (Cass. pen. n. 35419/2010)

In tema di reato continuato, per la determinazione della violazione più grave il giudice deve fare riferimento alla pena edittale prevista per ciascuno dei reati, con la conseguenza che più grave deve essere considerata la violazione punita più severamente dalla legge. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 34382 del 23 settembre 2010 (Cass. pen. n. 34382/2010)

In tema di riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, lo “status” di tossicodipendente può essere preso in considerazione per giustificare l’unicità del disegno criminoso con riferimento ai reati che siano collegati e dipendenti dallo stato di tossicodipendenza, sempre che sussistano anche le altre condizioni per la sussistenza della continuazione. (In motivazione la S.C. ha affermato che la modificazione dell’art. 671, comma primo, c. p. p. introdotta dalla L. n. 49 del 21 febbraio 2006 deve essere interpretata alla luce della volontà del legislatore, volta ad attenuare le conseguenze della condotta sanzionata nel caso di tossicodipendenti). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 33518 del 13 settembre 2010 (Cass. pen. n. 33518/2010)

Non dà luogo a nullità, per assenza di previsione di legge, l’omessa specificazione, nell’applicazione della pena per reato continuato, degli aumenti correlati ad ogni singolo reato, una volta che sia stato individuato il reato più grave. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 32586 del 1 settembre 2010 (Cass. pen. n. 32586/2010)

Il riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra i reati oggetto di condanne emesse all’esito di distinti giudizi abbreviati comporta, previa individuazione del reato più grave, la determinazione della pena base nella sua entità precedente all’applicazione della diminuente per il rito abbreviato, l’applicazione dell’aumento per la continuazione su detta pena base e infine il computo sull’intero in tal modo ottenuto della diminuente per il rito abbreviato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 20007 del 26 maggio 2010 (Cass. pen. n. 20007/2010)

In caso di applicazione di pena patteggiata in misura inferiore ai due anni di reclusione, allorché sia stata contestata la recidiva reiterata prevista dall’art. 99, comma quarto, c.p., in relazione a reato in continuazione con altro già giudicato, e le parti, nell’accordo raggiunto a norma dell’art. 444 c.p.p., non abbiano fatto alcun riferimento alla recidiva, né per ritenerla, né per escluderla, né il giudice, in sede di verifica di legalità, abbia valutato se tale omissione corrisponda a una mera dimenticanza o a una volontaria obliterazione frutto dell’intesa pattizia, è obbligatorio l’aumento in misura non inferiore a un terzo previsto dall’art. 81, comma quarto, c.p. a titolo di continuazione. (Nella specie era stata applicata la pena di un mese di reclusione come aumento rispetto a una pena per la violazione più grave, già giudicata, di un anno e venti giorni di reclusione). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 16766 del 3 maggio 2010 ) Cass. pen. n. 16766/2010)

Il riconoscimento in sede di cognizione della continuazione con uno stesso reato associativo di due gruppi distinti, per sentenze di condanna, di reati fine, impone al giudice dell’esecuzione di affermare l’esistenza della continuazione tra i reati fine facenti parte di due distinti gruppi. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 16632 del 30 aprile 2010 (Cass. pen. n. 16632/2010)

Il disconoscimento in sede di cognizione della continuazione tra un reato associativo, oggetto di separata condanna, e altro reato oggetto di altra condanna impedisce al giudice dell’esecuzione di riconoscere il vincolo di continuazione tra quel reato associativo e altri reati già unificati per continuazione con quelli per i quali il giudice della cognizione ha negato il detto vincolo in riferimento al reato associativo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 16235 del 26 aprile 2010 (Cass. pen. n. 16235/2010)

Ai fini del riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, l’onere di allegazione gravante sul condannato deve ritenersi soddisfatto anche con la semplice indicazione o produzione delle sentenze relative ai reati di cui si richiede l’unificazione, senza che egli debba adempiere l’ulteriore onere di specificare le ragioni da cui è desumibile l’esistenza di un medesimo disegno criminoso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 14188 del 14 aprile 2010 (Cass. pen. n. 14188/2010)

In tema di continuazione, l’analogia dei singoli reati, l’unitarietà del contesto, l’identità della spinta a delinquere, e la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, singolarmente considerate, non costituiscono indizi necessari di una programmazione e deliberazione unitaria, e, però, ciascuno di questi fattori, aggiunto ad un altro, incrementa la possibilità dell’accertamento dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso, in proporzione logica corrispondente all’aumento delle circostanze indiziarie favorevoli. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 12905 del 7 aprile 2010 (Cass. pen. n. 12905/2010)

Non è configurabile la continuazione tra il reato di cessione di sostanze stupefacenti e quello di cui deve rispondere il cedente ai sensi dell’art. 586 c.p. per la morte dell’acquirente seguita all’assunzione della droga ceduta. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10022 del 11 marzo 2010 (Cass. pen. n. 10022/2010)

L’intervento di una causa estintiva della pena inflitta per uno dei reati non fa venir meno l’interesse dell’imputato alla dichiarazione in sede esecutiva della continuazione tra gli stessi. (La Corte ha precisato che lo scopo può essere quello di ottenere lo scomputo della detenzione presofferta. Nella specie, la pena detentiva inflitta per uno dei reati da riunire sotto il vincolo della continuazione si era estinta per esito positivo dell’affidamento in prova). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8242 del 2 marzo 2010 (Cass. pen. n. 8242/2010)

È legittima la decisione con cui il giudice di merito, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigetti l’istanza di applicazione della continuazione – tra reati di detenzione e vendita di sostanze stupefacenti susseguitisi per dieci anni – fondata sul medesimo titolo di reato, sulla comune non eccessiva gravità dei fatti e sulla non grande distanza temporale tra essi intercorrenti, in quanto ciò non è sufficiente ad integrare l’unicità del disegno criminoso con la conseguenza che le singole manifestazioni della volontà violatrice della norma o delle norme esprimono l’attuazione, sia pure dilazionata nel tempo, di un’unica, pregnante, irripetuta determinazione intellettiva. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 49476 del 23 dicembre 2009 (Cass. pen. n. 49476/2009)

Il riconoscimento della continuazione fra gruppi di reati ideati preventivamente ed in maniera unitaria non si estende automaticamente anche agli ulteriori reati collegati solo occasionalmente ad uno dei gruppi di reati in continuazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 48125 del 17 dicembre 2009 (Cass. pen. n. 48125/2009)

L’omessa pronuncia, nella sentenza di condanna, in ordine alla sussistenza della continuazione, in assenza della relativa richiesta, non integra l’espressa esclusione del vincolo ostativa alla valutazione della medesima questione in sede esecutiva. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 43241 del 12 novembre 2009 (Cass. pen. n. 43241/2009)

L’istituto del cumulo giuridico delle pene, previsto per il caso della continuazione fra reati, non è applicabile in via analogica al concorso materiale di violazioni amministrative, le cui sanzioni pertanto devono essere applicate autonomamente e per l’intero. (Fattispecie in cui la Corte ha considerato legittimo il cumulo materiale tra sanzioni amministrative accessorie nel caso di condanna per reati previsti dal Cod. strada ritenuti in continuazione tra loro). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 25933 del 19 giugno 2009 (Cass. pen. n. 25933/2009)

In tema di reati concernenti la prostituzione, l’aumento di pena per la continuazione è compatibile con l’aggravante speciale di aver favorito la prostituzione di più persone nel caso in cui alla cessazione di plurimi episodi di contemporaneo favoreggiamento di più persone dedite alla prostituzione segua la commissione di altre condotte analoghe. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 15057 del 8 aprile 2009 (Cass. pen. n. 15057/2009)

Il condannato ha interesse al riconoscimento in sede esecutiva del vincolo di continuazione anche se non ne derivano immediate e concrete conseguenze sull’entità della pena da espiare. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 9825 del 4 marzo 2009 (Cass. pen. n. 9825/2009)

In tema di reato continuato, nel determinare la pena complessiva, il giudice non solo deve individuare il reato più grave, stabilendo la pena base applicabile per tale reato, ma deve anche calcolare l’aumento di pena per la continuazione in modo distinto per i singoli reati satelliti anziché unitariamente. (Fattispecie nella quale è stata esclusa la violazione del divieto di “reformatio in peius” da parte del giudice d’appello che, nel calcolare l’aumento per i reati in continuazione, aveva frazionato l’aumento per ciascun reato satellite anzichè determinarlo globalmente in maniera unitaria). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 4209 del 29 gennaio 2009 (Cass. pen. n. 4209/2009)

In tema di reato continuato, il limite minimo di aumento, pari ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, se i fatti sono stati commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva reiterata, ha riferimento all’aumento complessivo per la continuazione e non alla misura di ciascun aumento successivo al primo. Cassazione penale, sentenza n. 37482 del 2 ottobre 2008 (Cass. pen. n. 37482/2008)

È manifestamente infondata, in riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, comma quarto, c.p. aggiunto dalla legge n. 251 del 2005 nella parte in cui prevede che se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, comma quarto, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave in quanto detto aumento trova la sua giustificazione nella sostanziale diversità delle situazioni regolate, avendo il legislatore facoltà di comminare le pene con aumenti differenziati in misura precostituita in ragione della minore o maggiore proclività a delinquere del reo, quest’ultima espressa dalla recidiva reiterata, ed è del tutto ragionevole oltre che conforme al principio dell’emenda di cui all’art. 27 Cost., considerato che una pena non commisurata adeguatamente al valore dell’illecito, identificato anche in base alla propensione a delinquere che il reo esprime, sarebbe frustranea rispetto alla rieducazione del condannato. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 30630 del 22 luglio 2008 (Cass. pen. n. 30630/2008)

In tema di reato continuato, il giudice non è tenuto ad indicare, al fine della determinazione della pena base, il reato ritenuto più grave nell’ipotesi di pari gravità e di eguale intensità dolosa. Ne consegue che in tal caso non è richiesta la determinazione degli aumenti per ogni singolo reato satellite, atteso che l’aumento complessivo rende agevole, in considerazione della pari gravità, l’individuazione dell’aumento operato per ciascuna ipotesi di reato. (Fattispecie relativa ad una pluralità di episodi di spaccio di sostanze stupefacenti per i quali è prevista la medesima pena edittale nel minimo e nel massimo ). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 27052 del 3 luglio 2008 (Cass. pen. n. 27052/2008)

È escluso il concorso formale tra i delitti di omicidio e di violenza sessuale contestualmente commessa, quest’ultima restando assorbita nel primo « sub specie» di circostanza aggravante di cui all’art. 576, comma primo, n. 5, c.p., senza che neppure sia richiesta alcuna connessione di tipo finalistico tra i due reati. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 12680 del 25 marzo 2008 (Cass. pen. n. 2095/2008)

La disciplina della continuazione attiene a un istituto di diritto sostanziale e, come tale, soggiace, in caso di sopravvenienza di disposizioni diverse, alle regole di cui all’art. 2 c.p. e non a quelle del diritto processuale, espresse nella formula tempus regit actum a nulla rilevando che la sua applicazione avvenga in sede esecutiva. Ne consegue che, una volta ritenuta l’unicità del disegno criminoso tra fatti commessi tutti in data anteriore all’entrata in vigore dell’art. 5 della legge 5 dicembre 2005 n. 251 (modifiche al c.p. in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione, di usura e recidiva), secondo il quale l’aumento della quantità di pena per i reati satelliti in caso di più violazioni commesse da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva reiterata non può essere comunque inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave, il giudice dell’esecuzione deve applicare la più favorevole disciplina previgente che non fissa alcun limite minimo di aumento della pena per le violazioni meno gravi. (Nella specie, il giudice di merito aveva applicato la più severa normativa sopravvenuta, pervenendo a una pena finale coincidente con il cumulo materiale delle pene inflitte per i vari reati in continuazione, in quanto il criterio di calcolo fissato dal citato art. 5 avrebbe condotto a una pena complessivamente superiore e quindi irrogata in violazione dell’art. 671, comma secondo, c.p.p.). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2095 del 15 gennaio 2008 (Cass. pen. n. 2095/2008)

In tema di continuazione, la violazione più grave va individuata, in astratto, in base alla pena edittale ma con riguardo al reato ritenuto in concreto per rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e dell’eventuale giudizio di comparazione fra di esse. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto errata la valutazione del giudice che aveva considerato più grave il reato di detenzione di cocaina e meno grave la detenzione di hascisch nonostante il riconoscimento, per la detenzione della droga «pesante» della circostanza della lieve entità del fatto). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 47144 del 20 dicembre 2007 (Cass. pen. n. 47144/2007)

In caso di reato continuato, ai fini dell’applicazione dell’indulto (nella specie di quello elargito con legge 31 luglio 2006 n. 241), il giudice dell’esecuzione è vincolato alla qualificazione dei reati operata nel provvedimento irrevocabile e alle circostanze formalmente ritenute dal giudice della cognizione. (Nella specie, la Corte ha ritenuto erronea l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che, sul rilievo della ritenuta continuazione, in sede di cognizione, tra reati ostativi e reati non ostativi alla concessione dell’indulto, aveva illegittimamente esteso l’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152 del 1991 a reati in materia di armi, per i quali la pena era condonabile, senza che nel giudizio tale circostanza fosse mai stata contestata all’imputato). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 46994 del 18 dicembre 2007 (Cass. pen. n. 46994/2007)

Ai fini della continuazione, l’identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguità spazio-temporale e il nesso funzionale riscontrabile tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei distinti reati, ponendo invece in risalto l’occasionalità di uno dei due. (Fattispecie nella quale è stata esclusa la continuazione e riconosciuta, invece, l’aggravante del nesso teleologico di cui all’art. 61, comma primo, n. 2, c.p., tra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, anteriormente commesso in via del tutto occasionale, e il reato di cui all’art. 337 c.p., posto in essere successivamente al fine di assicurarsi l’impunità del primo). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 35805 del 28 settembre 2007 (Cass. pen. n. 35805/2007)

In tema di continuazione, la valutazione circa la sussistenza dell’unicità del disegno criminoso costituisce questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito: essa è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretta da adeguata motivazione. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 25094 del 28 giugno 2007 (Cass. pen. n. 25094/2007)

Nel caso in cui sia proposta richiesta concordata di applicazione della pena, con riconoscimento del cumulo giuridico per effetto della continuazione tra i reati contestati, il giudice, nell’accogliere la richiesta, non è tenuto a motivare le ragioni di fatto poste a fondamento dell’unicità del disegno criminoso prospettato concordemente dalle parti. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 20562 del 25 maggio 2007 (Cass. pen. n. 20562/2007)

In materia di reato continuato, poiché l’unicità del disegno criminoso è di ordine intellettivo, quando le singole azioni siano riconducibili ad un unico programma la continuazione è configurabile anche tra un fatto per il quale sia intervenuta condanna irrevocabile ed altri commessi successivamente, dal momento che la controspinta psicologica derivante dall’arresto o dalla condanna non necessariamente interrompe la persistenza del disegno criminoso già concepito ed in parte attuato.

In tema di continuazione, l’arresto del soggetto, intervenuto dopo la commissione di un reato, non è di per sé idoneo ad escludere la sussistenza del medesimo disegno criminoso con i reati successivamente commessi, né, di conseguenza, è ostativo all’applicabilità del regime di cui all’art. 81 c.p. Al giudice di merito compete pertanto verificare se, in concreto, l’arresto abbia costituito momento di frattura nella unicità del disegno criminoso e, quindi, ragione valida per escludere l’applicazione dell’istituto della continuazione. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 20169 del 24 maggio 2007 (Cass. pen. n. 20169/2007)

In tema di applicazione della disciplina del reato continuato in sede esecutiva, l’interesse del condannato alla riconsiderazione dei fatti giudicati agli effetti dell’art. 671 c.p.p. sussiste anche se non determina immediate e concrete conseguenze rispetto all’entità delle pene da espiare. L’interesse è da ravvisare nella finalità di potere imputare, ove ne sussistano i presupposti, ad altra condanna la pena di fatto espiata oltre la misura rideterminata ai sensi dell’art. 671 c.p.p., di escludere o limitare gli effetti penali della condanna in tema di recidiva e di dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato. (Fattispecie in cui il provvedimento di cumulo di pene concorrenti comprendeva una condanna ad anni trenta di reclusione, costituente, ai sensi dell’art. 187 disp. att. c.p.p., la violazione più grave da assumere come base, in conseguenza del riconoscimento dell’unitarietà del disegno criminoso, per gli ulteriori aumenti di pena, peraltro soggetti al criterio moderatore previsto dall’art. 78 c.p.). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4692 del 6 febbraio 2007 (Cass. pen. n. 4692/2007)

In tema di continuazione, il principio della valutazione in astratto, per rapporto alla pena edittale comminata, del reato più grave, non è vincolante per il giudice della cognizione nell’ipotesi in cui egli si trovi a valutare un unico reato — che ritenga in concreto più grave — e che debba essere riunito dal vincolo della continuazione ad altri reati, oggetto di sentenze passate in giudicato, che il giudice procedente ritenga meno gravi quantunque in astratto puniti con pene edittali più elevate. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 41575 del 19 dicembre 2006 (Cass. pen. n. 41575/2006)

In tema di reato continuato, l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità e la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, anche in caso di riconoscimento in sede esecutiva, da indici esteriori che siano significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere. Tali indici hanno un carattere sintomatico e non direttamente dimostrativo, per cui l’accertamento, che in tale fase è officioso e non comporta oneri probatori, deve assumere il carattere di effettiva dimostrazione logica, non potendo essere affidato a semplici congetture o presunzioni. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 35797 del 25 ottobre 2006 (Cass. pen. n. 35797/2006)

In tema di continuazione, attesa l’ampiezza dei poteri cognitivi riconosciuti in via eccezionale al giudice dell’esecuzione, è legittimo che, nel determinare la pena complessiva conseguente all’applicazione della continuazione, il giudice possa, una volta individuata la violazione più grave, quantificare l’aumento per ciascun reato satellite anche in misura superiore alla pena originariamente inflitta per quel reato, sempre che non venga superata la somma delle pene inflitte con ciascuna sentenza o decreto. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 31429 del 21 settembre 2006 (Cass. pen. n. 31429/2006)

Non è applicabile nel giudizio di legittimità la legge penale più favorevole, conseguente alla riduzione dei minimi edittali della pena della reclusione prevista per il reato di cui all’articolo 73, comma primo, D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (cfr. D.L. 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, con cui si è fissato in sei anni, al posto dell’originaria misura di otto anni, il limite minimo della pena detentiva) allorquando (come nella specie) la pena per il reato suddetto sia stata applicata solo a titolo di continuazione, come aumento della pena prevista per il reato più grave (nella specie, quello di cui all’articolo 74 D.P.R. n. 309 del 1990). Ciò in quanto nel reato continuato, ai fini del computo della pena, non assume concreta rilevanza la pena stabilita per i reati-satellite, essendo l’aumento di pena per questi determinato solo in relazione alla pena del reato più grave e sulla base di una valutazione di equità, che tiene conto della gravità del reato secondo i parametri di cui all’articolo 133 c.p. e che non necessita di apposita motivazione. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 22824 del 3 luglio 2006 (Cass. pen. n. 22824/2006)

In tema di reato continuato, l’omogeneità delle violazioni, sebbene sia indicativa di una particolare attitudine del soggetto a commettere azioni criminose della stessa indole, non consente da sola di ritenere che i reati siano frutto di determinazioni volitive risalenti ad un’unica deliberazione di fondo. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 21496 del 21 giugno 2006 (Cass. pen. n. 21496/2006)

La novella dell’art. 671, primo comma, c.p.p. ad opera dell’art. 4 vicies D.L. n. 272 del 2005, convertito con L. n. 49 del 2006, con la previsione che tra gli elementi che incidono sull’applicazione della continuazione in fase esecutiva vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza, comporta l’immediata applicazione della nuova norma che ha natura sostanziale, ancorché introdotta nel codice di rito. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio per un nuovo esame il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione aveva rigettato l’istanza diretta al riconoscimento del vincolo della continuazione ritenendo che lo stato di tossicodipendenza del condannato non fosse elemento sufficiente per l’affermazione del nesso della continuazione). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 20044 del 13 giugno 2006 (Cass. pen. n. 20044/2006)

L’unicità del disegno criminoso può essere riconosciuta anche tra reati non omogenei, in quanto la continuazione dei reati ha fondamento prevalentemente psicologico, essendo sufficiente che i diversi reati siano unificati dalla presenza di un elemento finalistico, ossia dall’unicità dello scopo che l’agente si è prefissato, il quale è rinvenibile anche dal contesto logico-temporale di commissione dei reati. (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile il riconoscimento del vincolo della continuazione tra il reato di inosservanza dell’ordine di espulsione dal territorio dello Stato e quello di omessa assistenza a persona investita). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 12357 del 6 aprile 2006 (Cass. pen. n. 12357/2006)

In sede di applicazione della continuazione ex art. 671 c.p.p. il giudice dell’esecuzione è tenuto ad individuare il reato più grave e ad operare l’aumento di pena per la ritenuta continuazione con gli altri reati per i quali vi è stata condanna con separate sentenze alla luce dei criteri stabiliti dall’art. 133 c.p., pertanto nel caso che il reato più grave così individuato sia diverso da quelli per i quali è già stata ritenuta la continuazione in sede di condanna si deve escludere la formazione del giudicato in relazione alla cosiddetta continuazione esterna, cioè relativa a reati giudicati in diversi procedimenti, ed il giudice dell’esecuzione deve autonomamente rideterminare gli aumenti di pena ex novo nel rispetto dei criteri stabiliti dall’art. 133 c.p. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 11587 del 3 aprile 2006 (Cass. pen. n. 11587/2006)

Quando la distruzione di un documento viene commessa dopo la sottrazione dello stesso, è configurabile un concorso materiale di reati, essendo distinte e diverse le due condotte di furto e falso per soppressione. (In motivazione la Corte ha precisato che diverso è il caso della condotta sostanzialmente unitaria, idonea a dar luogo ad un concorso formale: in siffatta ipotesi è decisiva la indagine sul fine perseguito dall’agente dimodochè deve escludersi il reato di furto quando l’unico scopo della azione sia la eliminazione della prova). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 851 del 12 gennaio 2006 (Cass. pen. n. 851/2006)

In tema di reato continuato, non è motivo di nullità l’omessa specificazione dell’aumento di pena per ogni singolo reato, una volta individuato il reato più grave, in quanto nel corso dell’esecuzione il cumulo giuridico delle pene irrogate è scindibile ai fini della fruizione dei benefici penitenziari, per quanto riguarda i reati che non ne impediscono la concessione, sempre che il condannato abbia espiato la pena relativa ai delitti ostativi. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 47165 del 23 dicembre 2005 (Cass. pen. n. 47165/2005)

Il divieto della reformatio in peius in caso di reato continuato, investe ogni componente che concorre alla determinazione della pena complessiva, per cui detto divieto deve ritenersi violato, quando appellante sia il solo imputato, non solo se la pena base sia indicata in misura superiore a quella precedentemente stabilita ma anche se sia indicato in misura superiore alla precedente l’aumento di pena per taluno dei reati ritenuti in continuazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 33007 del 7 settembre 2005 (Cass. pen. n. 33007/2005)

Nel procedimento di esecuzione, quando riconosca il vincolo della continuazione tra reati considerati in piú sentenze o decreti di condanna, il giudice è soggetto nella determinazione della pena al limite indicato nell’art. 671, comma secondo, c.p.p. (consistente nella somma di tutte le pene inflitte con i provvedimenti considerati), ma non a quello fissato all’art. 81, comma secondo, c.p. (il triplo della pena relativa alla violazione piú grave), trovandosi le due norme in concorso apparente (con prevalenza della prima sulla seconda in applicazione del principio di specialità enunciato all’art. 15 c.p.), e dovendosi evitare che, già raggiunto il limite del triplo per una determinata fattispecie concreta, si determini impunità per ulteriori reati dei quali, in successive occasioni, debba essere riconosciuta la pertinenza al medesimo disegno criminoso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 24823 del 5 luglio 2005 (Cass. pen. n. 22588/2005)

L’assenza di contiguità temporale tra le condotte di detenzione e cessione di sostanza stupefacente impedisce l’assorbimento dell’una condotta nell’altra, con la conseguenza che le due condotte danno luogo a più violazioni della stessa disposizione di legge e quindi a distinti reati, eventualmente legati dal vincolo della continuazione criminosa, ed ambedue previsti dalla norma a più fattispecie tra loro alternative di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990. (Fattispecie in cui uno stesso soggetto aveva ceduto a terzi la sostanza stupefacente almeno due giorni dopo da quando aveva iniziato a detenerla). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 22588 del 16 giugno 2005 (Cass. pen. n. 22588/2005)

L’unicità del disegno criminoso non è ravvisabile con riferimento a reati colposi nei quali l’imputato non abbia agito nonostante la previsione dell’evento: ne consegue che non è configurabile l’ipotesi della continuazione tra il delitto di omicidio colposo e la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 16693 del 4 maggio 2005 (Cass. pen. n. 16693/2005)

Il divieto di reformatio in peius, pur operando anche con riguardo alle singole componenti della pena complessiva, inflitta in primo grado per piú reati uniti sotto il vincolo della continuazione, presuppone, tuttavia, che non venga meno, a seguito del giudizio d’appello, l’unità ontologica della ritenuta continuazione, nella sua struttura costituita dal reato già individuato come piú grave e dai reati satelliti. Qualora, invece, tale condizione venga meno, come nel caso in cui per il reato ritenuto piú grave intervenga a seguito di annullamento con rinvio l’assoluzione, l’unica esigenza che il giudice di rinvio è tenuto a salvaguardare è quella di garantire all’imputato l’irrogazione di una pena nel suo complesso inferiore a quella già inflitta. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 16542 del 3 maggio 2005 (Cass. pen. n. 16542/2005)

La continuazione può essere ravvisata tra contravvenzioni solo se l’elemento soggettivo ad esse comune sia il dolo e non la colpa, atteso che la richiesta unicità del disegno criminoso è di natura intellettiva, e consiste nella ideazione contemporanea di piú azioni antigiuridiche programmate nelle loro linee essenziali. (Nella fattispecie, relativa al concorso tra la guida in stato di ebbrezza e il rifiuto di consentire agli organi della Polizia Stradale l’eccertamento dello stato di alterazione, la Corte ha confermato la sentenza del giudice di pace che aveva escluso l’ipotesi di continuazione definendo la guida in stato di ebbrezza causata da imprudenza e negligenza). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 1285 del 19 gennaio 2005 (Cass. pen. n. 1285/2005)

In tema di applicazione della pena nel reato continuato, la distinta applicazione dei singoli aumenti di pena per i diversi reati satelliti, sebbene non sia vietata ed anzi sia utile perchè rende meglio evidenti le ragioni che concorrono a formare l’aumento complessivo e rende piú speditamente applicabili vari istituti penali, quali eventuali cause estintive dei reati o delle pene, tuttavia non è prevista nè richiesta dalla legge; sicchè l’indicazione, in materia unitaria e complessiva, dell’aumento di pena per i reati satellite non provoca nullità od irregolarità di alcun genere. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 47420 del 7 dicembre 2004 (Cass. pen. n. 47420/2004)

Il vincolo della continuazione è compatibile con l’aggravante del nesso teleologico, in quanto il primo agisce sul piano della riconducibilità di più reati ad un comune programma criminoso, mentre il secondo è connotato dalla strumentalità di un reato rispetto ad un altro, alla cui esecuzione o al cui occultamento è preordinato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 46270 del 29 novembre 2004 (Cass. pen. n. 46270/2004)

In tema di trattamento sanzionatorio del reato continuato, la pena destinata a costituire la base sulla quale operare gli aumenti fino al triplo per i reati satellite — anche se puniti con una sanzione di genere diverso — è esclusivamente quella prevista per la violazione piú grave, infatti nell’aumento sulla pena base restano assorbite le pene previste per i reati satellite, in quanto la continuazione determina la perdita dell’autonomia sanzionatoria dei reati meno gravi. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 44414 del 16 novembre 2004 (Cass. pen. n. 28514/2004)

Una volta ritenuta la continuazione tra più reati, la determinazione della pena deve essere operata individuando la pena per la violazione più grave e procedendo all’aumento fino al triplo di questa indipendentemente dal fatto che per i reati minori siano previste pene di specie e natura diverse. (Fattispecie in cui è stata eliminata la pena della multa inflitta per i reati di detenzione e porto illegale di arma, riconosciuti in continuazione con quello di tentato omicidio). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 28514 del 24 giugno 2004 (Cass. pen. n. 28514/2004)

Nell’applicazione in fase esecutiva degli istituti del concorso formale o della continuazione, il giudice, una volta individuata la violazione più grave, deve ad essa collegare la stessa pena già fissata nella sede cognitiva, procedendo ad una nuova determinazione del trattamento sanzionatorio, secondo il criterio del cumulo giuridico, con riguardo esclusivo ai reati satellite. (Nella specie il giudice dell’esecuzione, individuato il reato base della nuova fattispecie di delitto continuato, aveva per esso computato una pena più alta di quella inflitta nel giudizio di cognizione). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 24597 del 28 maggio 2004 (Cass. pen. n. 24597/2004)

La unicità del disegno criminoso, necessaria per la configurabilità del reato continuato e per l’applicazione della continuazione in fase esecutiva, non può identificarsi con la generale tendenza a porre in essere determinati reati o comunque con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, atteso che le singole violazioni devono costituire parte integrante di un unico programma deliberato nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine, richiedendosi, in proposito, la progettazione «ab origine» di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali. Deve, dunque, escludersi che una tale progettazione possa essere presunta sulla sola base del medesimo rapporto di contrasto esistente tra i soggetti passivi e l’autore degli illeciti, come pure sulla base dell’identità o dell’analogia dei singoli reati o di un generico contesto delittuoso, ovvero ancora della unicità della motivazione o del fine ultimo perseguito, occorrendo invece che il requisito in questione trovi dimostrazione in specifici elementi atti a far fondatamente ritenere che tutti gli episodi siano frutto realmente di una originaria ideazione e determinazione volitiva. (Nella specie è stata esclusa l’unicità del disegno criminoso non solamente sulla base dello iato temporale fra i due gruppi di episodi di rapina contestati, ma anche, e soprattutto, in considerazione delle particolari modalità di svolgimento delle condotte delittuose che risultavano differenti). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 18037 del 19 aprile 2004 (Cass. pen. n. 18037/2004)

Qualora un reato continuato sia attribuito ad un soggetto che era ancora minorenne all’inizio dell’attività criminosa poi protrattasi con ulteriori reati aventi distinta autonomia, ma unificati dall’identità del disegno criminoso, è possibile operare una scissione delle condotte del soggetto e distinguere, pertanto, tra episodi realizzati in data antecedente ed episodi realizzati in data successiva al raggiungimento della maggiore età, attribuendo la competenza a conoscere i primi al Tribunale per i minorenni ed attribuendo la competenza a conoscere i secondi al Tribunale ordinario. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 18033 del 19 aprile 2004 (Cass. pen. n. 18033/2004)

Il problema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reati-fine non va impostato in termini di compatibilità strutturale, in quanto nulla si oppone a che, sin dall’inizio, nel programma criminoso dell’associazione, si concepiscano uno o più reati-fine individuati nelle loro linee essenziali, di guisa che tra questi reati e quello associativo si possa ravvisare una identità di disegno criminoso. Ne consegue che tale problema si risolve in una quaestio facti la cui soluzione è rimessa di volta in volta all’apprezzamento del giudice di merito. (Fattispecie relativa a contestazione c.d. «a catena» tra reati di narcotraffico contestati con le prime due ordinanze di custodia cautelare e associazione di tipo mafioso contestata con una terza, in cui la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza impugnata per vizio di motivazione). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 15889 del 2 aprile 2004 (Cass. pen. n. 15889/2004)

Rientra nei poteri del giudice d’appello accertare se sussistano i presupposti per l’applicazione della disciplina della continuazione anche in mancanza di una specifica doglianza nei motivi di impugnazione. Tale accertamento è peraltro doveroso quando i procedimenti relativi ai reati per i quali è prospettabile il vincolo della continuazione siano riuniti davanti allo stesso giudice e vi sia stata esplicita richiesta in tal senso da parte dell’imputato nel corso del dibattimento. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 36352 del 22 settembre 2003 (Cass. pen. n. 36352/2003)

La detenzione di sostanze stupefacenti di specie diverse, in quanto ricomprese in differenti tabelle, integra due autonome ipotesi di reato tra le quali è possibile ravvisare la continuazione, trattandosi di distinte azioni tipiche a diversa oggettività giuridica, con differente trattamento sanzionatorio, non alternative tra loro né inquadrabili in un rapporto di assorbimento tra un maius (assorbente) ed un minus (assorbito), come potrebbe essere tra trasporto e detenzione o tra importazione e detenzione (nella specie si trattava di detenzione di cocaina e marijuana). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 35637 del 17 settembre 2003 (Cass. pen. n. 35637/2003)

Nell’ipotesi di continuazione tra più reati ritenuta in sede di esecuzione, il giudice è vincolato dal giudicato solo per quanto concerne l’individuazione del reato più grave, dovendo egli procedere alla determinazione della pena attraverso un aumento di quella prevista per tale reato (ancorché nei limiti di cui agli artt. 81 c.p. e 671 c.p.p., nonché previo ragguaglio tra le pene di genere diverso ai sensi dell’art. 135 c.p.), senza che, al suddetto fine, rilevi il trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i c.d. reati satellite, o l’eventuale diversa natura di essa rispetto a quello relativo alla violazione più grave. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 32277 del 31 luglio 2003 (Cass. pen. n. 32277/2003)

In tema di contrabbando di tabacco lavorato estero, nella previsione di cui all’art. 2 della legge n. 50 del 1994 — concernente l’ipotesi della introduzione, acquisto o detenzione nello Stato di tabacco lavorato estero in quantità superiore ai quindici chili che costituisce ipotesi autonoma di reato e non circostanza aggravante di quella prevista dall’art. 282 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (contrabbando doganale), con la quale può concorrere ai sensi dell’art. 81 c.p. —, l’espressione «ferme restando le sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni in materia doganale» non deve essere intesa nel senso che tali sanzioni debbano essere comunque applicate. Qualora, infatti, entrambi i reati concorrano ai sensi dell’art. 81 c.p. deve applicarsi solo la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, cioè la pena della reclusione prevista per l’art. 2 L. n. 50 del 1994, aumentata ex art. 81 c.p., e non anche la multa prevista dagli artt. 282 ss. del D.P.R. n. 43 del 1973. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 41461 del 11 dicembre 2002 (Cass. pen. n. 41461/2002)

In tema di reato concernente le armi da guerra, è configurabile il concorso formale tra il reato di detenzione di cui all’art. 2 della L. n. 895 del 1967 e quello di “raccolta” di armi di cui all’art. 1 della stessa legge (per la cui individuazione è necessario fare riferimento al concetto di “raccolta” come determinato dall’art. 10, comma 6, della L. n. 110 del 1975, concernente le armi comuni da sparo ed estensibile anche alle armi da guerra, in assenza di espressa previsione normativa), nell’ipotesi in cui il numero delle armi detenute sia superiore a tre, nessuna delle quali o solo taluna di esse sia stata denunciata all’autorità di pubblica sicurezza e non sussista la licenza di collezione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 12276 del 28 marzo 2002 (Cass. pen. n. 12276/2001)

L’unificazione ex art. 81 c.p. di nuova condanna con fatti già giudicati in precedenza impone una nuova valutazione delle condizioni di cui agli artt. 163 e segg. c.p., in relazione al rinnovo della prognosi di non recidività richiesta per la concessione della sospensione condizionale della pena. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 23386 del 8 giugno 2001 (Cass. pen. n. 23386/2001)

Attesa la possibilità di riconoscimento della continuazione fra reato da giudicare e reato già giudicato, anche quando il primo sia più grave del secondo (dovendosi in tal caso determinare la pena complessiva sulla base di quella da infliggere per il reato più grave, aumentata nella misura ritenuta equa in riferimento al reato meno grave già giudicato), deve escludersi la violazione del divieto di reformatio in pejus qualora, avendo il giudice di primo grado stabilito, per una pluralità di reati, soltanto la pena complessiva, il giudice d’appello individui fra detti reati quello più grave e determini autonomamente la relativa pena base, sulla quale operi, quindi, l’aumento anche per il reato meno grave già giudicato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 14080 del 6 aprile 2001 (Cass. pen. n. 14080/2001)

In tema di reato continuato, il giudice dell’esecuzione non può prescindere dal riconoscimento della continuazione operato dal giudice della cognizione con riguardo ad altri episodi analoghi, giudicati separatamente e con un’unica sentenza, e può escludere l’esistenza del vincolo in questione solo previa dimostrazione dell’esistenza di specifiche e significative circostanze che ragionevolmente facciano ritenere gli ulteriori fatti, oggetto della richiesta presentata ai sensi dell’art. 671 c.p.p., non riconducibili al disegno criminoso delineato in sede di cognizione. (Nella specie, la Corte di cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza con la quale il giudice della esecuzione aveva respinto la richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato senza considerare che i fatti oggetto della richiesta presentata in sede di esecuzione si collocavano in un lasso di tempo, in tutto o in parte, uguale a quello intercorrente tra altri analoghi episodi criminosi già unificati nel vincolo della continuazione dal giudice della cognizione). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 11240 del 21 marzo 2001 (Cass. pen. n. 11240/2001)

L’istituto della continuazione non è applicabile tra reati dolosi e reati colposi, in quanto l’unicità del disegno criminoso attiene ad un momento psicologico (dolo) che non può sussistere nei reati colposi nei quali l’evento non è voluto. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 8164 del 27 febbraio 2001 (Cass. pen. n. 8164/2001)

Il giudice d’appello cui sia espressamente richiesta l’applicazione della continuazione con altri fatti già coperti da giudicato, non può rimettere la decisione al giudice dell’esecuzione, né può sottrarsi alla decisione affermando che la precedente sentenza, in quanto emessa a seguito di patteggiamento, sarebbe inidonea a consentire l’accertamento del nesso di continuazione fra i diversi fatti, ma deve provvedere sulla richiesta, atteso che il giudice dell’esecuzione non potrebbe disporre, in concreto, di elementi diversi o più perspicui di quelli già noti al giudice della cognizione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6843 del 20 febbraio 2001 (Cass. pen. n. 6843/2001)

In tema di continuazione, qualora il giudizio relativo al reato satellite sia stato celebrato con il rito abbreviato, l’aumento di pena inflitto ex art. 81 c.p.p., è soggetto alla riduzione premiale di cui all’art. 442 c.p.p. ed in particolare nell’ipotesi in cui venga ritenuta la continuazione con altro fatto già giudicato con il predetto rito e detto fatto sia considerato meno grave, l’imputato ha diritto a che l’incremento sulla pena base tenga conto della diminuente de qua. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 11847 del 20 novembre 2000 (Cass. pen. n. 11847/2000)

In caso di applicazione della pena su richiesta delle parti, avuto riguardo alla peculiarità e natura premiale del rito, oggetto di valutazione da parte del giudice, ai fini della verifica della congruità della pena, è il risultato finale dell’accordo e pertanto, quanto all’aumento di pena per la continuazione, non vi è necessità di una specifica motivazione nel senso della esplicita indicazione dell’aumento sulla pena base, ma è sufficiente la valutazione della pena finale, purché non illegale. (Fattispecie in cui, rispetto alla contestazione della continuazione già contenuta nel capo di imputazione, è stato ritenuto sufficiente che la pena complessiva finale risultasse superiore al minimo edittale, potendosi ritenere che il giudice avesse implicitamente valutato la legalità e congruità della pena concordata tenendo conto dell’aumento, evidentemente già incluso nella pena finale oggetto del patteggiamento, per la detta continuazione). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 43822 del 8 novembre 2000 (Cass. pen. n. 43822/2000)

La preclusione di cui all’art. 649 c.p.p. non può essere invocata in caso si configuri un’ipotesi di concorso formale di reati, in quanto la fattispecie può essere riesaminata sotto il profilo di una diversa violazione di legge derivante dallo stesso fatto con il limite, peraltro, che nel diverso giudizio non sia stata dichiarata l’insussistenza del fatto o la mancata commissione di esso da parte dell’imputato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10790 del 20 ottobre 2000 (Cass. pen. n. 10790/2000)

Nel caso di continuazione tra reati puniti con sola pena detentiva e con pena congiunta e ritenuto reato più grave quello punito con la sola pena detentiva ed è legittimo l’aumento di pena della sola pena detentiva. (Fattispecie di concorso dei reati di cui agli artt. 73 e 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 in cui è stato considerato reato più grave quello di cui all’art. 74). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 2230 del 10 maggio 2000 (Cass. pen. n. 2230/2000)

Anche nei confronti del minorenne, per la configurazione dell’unicità del disegno criminoso non è sufficiente l’omogeneità dei reati commessi e neanche la loro contiguità temporale, ma è necessaria la possibilità di ricondurre le singole violazioni a un unico progetto, nel quale ciascuna sia compresa, sin dall’inizio, nelle sue componenti essenziali, sicché, fin da quando si commette il primo reato, siano già delineate le successive violazioni in base a un programma di massima. (Nell’affermare il principio di cui sopra, la S.C. ha, peraltro, sottolineato la circostanza che, nei singoli casi concreti, la diversa capacità di progettazione del minore rispetto all’adulto può incidere sulla verifica dell’unitarietà del disegno criminoso, da eseguire sulla base di elementi di fatto di univoca connotazione, quali non possono considerarsi esclusivamente la tipologia dei reati e la loro contiguità temporale). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 710 del 4 maggio 2000 (Cass. pen. n. 710/2000)

In tema di concorso di reati, allorché la condotta punita viene espressa dalla norma incriminatrice quale rapporto tra il soggetto attivo e l’oggetto materiale, come nel caso di detenzione di armi e banconote false, è configurabile il concorso formale di reati ex articolo 81, primo comma, c.p., purché l’azione abbia per oggetto una pluralità di cose aventi una propria specificità ed autonomia. Ne consegue che la simultanea detenzione di più armi o di più banconote false o di diverse quantità di droga eterogenea, se non è frazionabile in modo da determinare una pluralità di azioni unificabili sotto il vincolo della continuazione a norma dell’articolo 81 cpv. c.p., genera comunque una pluralità di violazioni della stessa disposizione unificabili ai sensi del primo comma della citata norma. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1353 del 18 aprile 2000 (Cass. pen. n. 2934/2000)

In tema di riconoscimento della continuazione, l’onere di provare i fatti dai quali dipende l’applicazione dell’istituto è da ritenersi soddisfatto non solo con la produzione della copia della sentenza rilevante ai fini del richiesto riconoscimento ma anche con la semplice indicazione degli estremi di essa, ben potendo in tale ipotesi l’acquisizione del documento essere disposta dal giudice, come si ricava tra l’altro dalla esplicita previsione dell’art. 186 disp. att. c.p.p., che, pur riguardando l’applicazione della continuazione in sede di esecuzione, esprime un principio che ha valore generale. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2934 del 9 marzo 2000 (Cass. pen. n. 2934/2000)

Il cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato continuato è scindibile ai fini della fruizione dei benefici penitenziari allorché il condannato abbia espiato per intero la pena relativa ai reati ostativi. Tuttavia, allorché il reato ostativo non coincida con la violazione più grave, ma sia solo un reato satellite, lo scioglimento del cumulo formatosi per effetto della continuazione non può non determinare il ripristino per esso della pena edittale prevista, calcolata nel minimo, e quindi con esclusione di qualsiasi riferimento alla pena inflitta in concreto a titolo di aumento per la continuazione, giacché tale riferimento non ha più ragione di essere, una volta che si sia operato lo scioglimento del vincolo giuridico dovuto alla continuazione. (Nella specie, in relazione a condanna a pena, diminuita per il rito abbreviato, a tre anni e otto mesi di reclusione per traffico di stupefacenti e associazione per delinquere finalizzata allo spaccio, unico reato, quest’ultimo, ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, per il quale era stato applicato l’aumento di un anno di reclusione sulla pena stabilita per il primo reato, indicato come il più grave, era stata avanzata istanza di affidamento in prova al servizio sociale, previa imputazione della custodia cautelare sofferta all’aumento di pena per il reato satellite. Nell’enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha annullato con rinvio il provvedimento impugnato perché il tribunale di sorveglianza accertasse l’avvenuta espiazione, da parte del condannato, della pena edittale minima prevista per il reato associativo, diminuita di un terzo per il rito abbreviato). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 990 del 8 marzo 2000 (Cass. pen. n. 990/2000)

Quando si chieda l’applicazione della continuazione in fase esecutiva di ordine a più condanne, delle quali quella più grave sia stata pronunciata per più reati già uniti dal vincolo della continuazione nel giudizio di cognizione, deve essere assunta come base la pena inflitta, in tale giudizio, per la violazione più grave, prescindendosi dall’aumento per i reati satelliti, che dovrà essere ex novo determinato dal giudice dell’esecuzione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6557 del 3 febbraio 2000 (Cass. pen. n. 6557/2000)

Può essere emendata ex art. 619 c.p.p. la sentenza di patteggiamento che ha recepito l’accordo tra le parti relativo alla sussistenza della continuazione tra i reati di omicidio colposo e guida senza patente, allorché, essendo stata contestata all’imputato la realizzazione delle due condotte in unico contesto, è ravvisabile, anziché la continuazione, non configurabile tra reati colposi, il concorso formale. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 4437 del 22 gennaio 2000 (Cass. pen. n. 4437/2000)

Nel corso dell’esecuzione il cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato continuato è scindibile, ai fini della fruizione dei benefici penitenziari, in ordine ai reati che di questi non impediscono la concessione e sempre che il condannato abbia espiato la pena relativa ai delitti ostativi. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 14 del 5 ottobre 1999 (Cass. pen. n. 14/1999)

La disciplina dell’art. 81 c.p. è applicabile in via generale, e quindi anche nel campo dei reati tributari, in ipotesi di continuazione sia eterogenea che omogenea, in quanto legge generale che, nella previsione del cumulo giuridico delle pene, non deroga alla legge speciale precedente. L’art. 8 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, soltanto nel caso di più violazioni omogenee affida alla discrezionalità del giudice l’applicazione, se più favorevole in concreto, dello specifico criterio di computo della pena finale in esso previsto. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 10539 del 8 settembre 1999 (Cass. pen. n. 1429/1999)

In tema di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, il giudice, nell’ipotesi di reato continuato, per stabilire la sostituibilità della sanzione deve fare riferimento alla pena determinata in concreto per il reato più grave, comprendendo nel calcolo così effettuato la diminuente premiale e non considerando, per contro, né l’ordine di applicazione degli aumenti e delle diminuzioni di pena derivanti dalla continuazione tra i reati né gli aumenti di pena determinati dalla continuazione. Detta disciplina si allinea al favor che informa l’istituto della continuazione alle finalità deflattive dei riti speciali nonché a quelle di contenere l’applicazione della pena detentiva. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1429 del 6 maggio 1999 (Cass. pen. n. 1429/1999)

In tema di continuazione, ai fini del calcolo delle pene la violazione più grave va individuata in quella punita più severamente, sicché nel concorso tra delitti e contravvenzioni, violazione più grave va considerata quella costituente delitto, e ciò anche nel caso in cui la contravvenzione sia punita edittalmente con una pena di maggiore quantità rispetto a quella prevista per il delitto; il discorso quantitativo serve, infatti, solo come integratore allorquando si tratti di pene di uguale specie. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 228 del 3 marzo 1999 (Cass. pen. n. 228/1999)

Il reato continuato finanziario, previsto dall’art. 8 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, e quello comune, di cui all’art. 81 c.p., pur con le loro specifiche caratteristiche, sono concettualmente identici, per cui al primo si applicano tutte quelle disposizioni, non espressamente derogate, previste dal codice penale per il reato continuato comune. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 8794 del 28 luglio 1998 (Cass. pen. n. 8794/1998)

La configurazione del reato continuato come un unicum deve essere esclusa allorché la fictio juris comporti conseguenze sfavorevoli al condannato, atteso che la continuazione è un istituto ispirato al favor rei, salve le eccezioni stabilite dalla legge. Pertanto, in tema di revoca dell’indulto condizionato, qualora sia stata irrogata una pena unica in ordine a più delitti unificati dalla continuazione, compiuti prima e dopo la data di entrata in vigore del provvedimento di clemenza, il giudice dell’esecuzione deve chiarire la portata del giudicato e individuare, nell’ambito dei plurimi episodi unificati, quello più grave e la pena per esso inflitta; e se, per nessuno dei fatti delittuosi commessi successivamente alla predetta data, dovesse ritenersi inflitta una pena detentiva che raggiunga il limite previsto per la revoca, il concesso indulto non sarebbe comunque revocabile. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2624 del 13 giugno 1998 (Cass. pen. n. 2624/1998)

In tema di reato continuato la valutazione del giudice circa la identità del disegno criminoso costituisce il solo criterio per la unificazione fittizia quoad poenam della pluralità degli illeciti commessi dall’agente con una molteplicità di azioni, restandone escluso ogni fattore di carattere temporale. Pertanto, al giudice del merito non è inibita l’applicazione del trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 81, primo e secondo comma, c.p. quando sia stata già pronunciata una sentenza irrevocabile di condanna nei confronti dell’imputato per fatto anche meno grave di quello sottoposto al suo giudizio. In siffatta ipotesi la pena complessiva va determinata sulla base di quella da infliggersi per il reato più grave sottoposto al giudizio in corso e va apportato l’aumento ritenuto equo in riferimento al reato meno grave già giudicato. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 2107 del 20 febbraio 1998 (Cass. pen. n. 2107/1998)

In tema di indulto (nella specie applicato ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1990 n. 394), ove nel termine previsto sia commesso un reato punibile, di per sé, nel minimo, con pena comportante la revoca del beneficio, quest’ultima opera pur quando, essendosi affermata la continuazione fra il detto reato ed altri commessi in precedenza, fra i quali è stata individuata la violazione più grave, l’aumento di pena per il reato suscettibile di dar luogo alla revoca sia stato quantificato in misura inferiore a quella indicata dalla legge per l’operatività della revoca stessa. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6396 del 11 dicembre 1997 (Cass. pen. n. 6396/1997)

In ottemperanza alla regola dettata dall’art. 2 del D.P.R. 23 dicembre 1990 n. 294, secondo cui sono condonate per intero le pene accessorie temporanee conseguenti a condanne per le quali sia applicato, anche solo in parte, l’indulto, ed avuto riguardo al principio per il quale allo scioglimento del vincolo della continuazione può darsi luogo solo quando da esso derivi un vantaggio per l’interessato, deve ritenersi che, in caso di applicazione dell’indulto limitata, ratione temporis commissi delicti, ad alcuni soltanto degli episodi criminosi uniti per continuazione, i quali tutti, peraltro, comportino l’applicazione di pene accessorie, queste ultime vadano comunque interamente condonate. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6441 del 2 dicembre 1997 (Cass. pen. n. 6441/19979

In caso di pluralità di reati in ordine ai quali può trovare applicazione una pena di identica specie, ove l’uno sia punito con pena più elevata nel massimo e l’altro con pena più elevata nel minimo, non è possibile irrogare una pena inferiore alla pena base minima prevista per uno dei reati unificati. (In proposito la Corte ha osservato come la sentenza 92/4901 delle Sezioni Unite vada così correttamente interpretata, anche sulla base della ordinanza n. 97/11 della Corte costituzionale). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 4503 del 2 dicembre 1997 (Cass. pen. n. 5521/1997)

L’unicità del disegno criminoso non è esclusa dalla natura contravvenzionale di alcuni reati (sempre che siano posti in essere con dolo) e va desunta di regola da elementi presuntivi e indiziari, tenendo conto, tra l’altro, delle modalità della condotta, della sistematicità e delle abitudini programmate di vita, della tipologia dei reati, del bene protetto, dell’omogeneità, e non, delle violazioni, della causale, delle condizioni di tempo e di luogo, o non trascurando il valore non decisivo, ma comunque sintomatico, della brevità dell’intervallo cronologico, specie se fra alcuni fatti in esso compresi il vincolo della continuazione sia stato già definitivamente riconosciuto dal giudice della cognizione o da quello dell’esecuzione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5521 del 28 novembre 1997 (Cass. pen. n. 5521/1997)

Ai fini della configurabilità della continuazione dei reati, — venuto meno con la riforma del 1974 il requisito dell’omogeneità delle violazioni, ha acquistato rilevanza decisiva l’identità del disegno criminoso, inteso come ideazione e violazione di uno scopo unitario che esalta un programma complessivo, nel quale si collocano le singole azioni, commesse poi, di volta in volta, con singole determinazioni. Ciò implica che lo scopo sia sufficientemente specifico, che la rappresentazione dell’agente ricomprenda tutta la serie degli illeciti facenti parte del programma, concepito nelle sue linee generali ed essenziali, che il programma criminoso sia cioè prefigurato fin dalla consumazione del primo reato, che si assume rientrare, insieme agli altri illeciti, nella continuazione. Nella fattispecie la Corte ha precisato che non appare configurabile il nesso della continuazione tra il delitto di associazione di tipo mafioso e quelli programmati o comunque effettivamente commessi. L’associazione, invero, è contraddistinta dall’accordo programmatico per la commissione di delitti, per il controllo di attività economiche e per la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti, con il ricorso a metodi tipicamente mafiosi (forza intimidatrice, condizione di assoggettamento e di omertà); per aversi reato continuato, invece, non è sufficiente un generico piano di attività delinquenziale, ma occorre che tutte le azioni ed omissioni siano comprese, fin dal primo momento e nei loro elementi essenziali ed individualizzanti, nell’originario disegno criminoso; deve sussistere, in sostanza, uno stesso momento genetico-ideativo che accomuna il delitto associativo a quelli eseguiti in sua realizzazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3650 del 24 ottobre 1997 (Cass. pen. n. 3650/1997)

Nel caso in cui in un giudizio in corso sia stata riconosciuta la continuazione tra i reati sub iudice e reati già giudicati con sentenza irrevocabile ed il giudice abbia ritenuto meno gravi i primi, alla pena inflitta con la sentenza irrevocabile si aggiunge la frazione di pena in aumento per la continuazione per i reati accertati nel giudizio in corso. In tal caso il giudice non può applicare alla condanna già passata in giudicato la diminuzione della pena per un rito di un procedimento diverso né può riconsiderare e rideterminare ex art. 133 c.p. l’entità di quella pena definitiva, per il principio della intangibilità della stessa. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7089 del 18 luglio 1997 (Cass. pen. n. 7089/1997)

In tema di reato continuato la valutazione del giudice circa l’identità del disegno criminoso costituisce il solo criterio da adottare, nonché l’istituto della continuazione può essere applicato anche quando sia stata già pronunciata una sentenza irrevocabile di condanna per fatto anche meno grave di quello sottoposto al suo giudizio. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 6496 del 5 luglio 1997 (Cass. pen. n. 6496/1997)

Il giudice dell’esecuzione, in sede di applicazione del reato continuato, non può infliggere una pena di specie diversa da quella inflitta dal giudice della cognizione, neanche se quest’ultima sia parzialmente o totalmente derivante da sostituzione a norma della legge n. 689 del 1981. (Nella specie, il giudice dell’esecuzione, ritenuta la continuazione tra più condanne per vari episodi di emissione di assegni a vuoto, dei quali uno punito con un mese di reclusione, sostituito con corrispondente sanzione pecuniaria, ma complessivamente puniti con lire 10.950.000 di multa, aveva rideterminato la pena in sei mesi di reclusione e lire 1.000.000 di multa). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3085 del 26 giugno 1997 (Cass. pen. n. 3085/1997)

Una volta ritenuta la continuazione tra più reati, il trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i reati satelliti non esplica più alcuna efficacia, dovendosi solo aumentare la pena prevista per la violazione più grave, senza che rilevi la qualità della pena per essi comminata. A tale criterio deve attenersi anche il giudice dell’esecuzione il quale, nella rideterminazione della pena in seguito all’applicazione della continuazione in executivis, non è vincolato dal giudicato se non nell’individuazione del reato più grave, che deve avvenire a norma dell’art. 187 att. c.p.p., e deve solo rispettare i limiti di cui al comma primo dell’art. 81 c.p. e al comma secondo dell’art. 671 c.p.p. (Fattispecie, nella quale il giudice dell’esecuzione, ritenuta la continuazione tra vari episodi di emissione di assegni a vuoto definiti con cinque sentenze di condanna, delle quali quattro a pena pecuniaria e una a tre mesi di reclusione, aveva rideterminato la pena complessiva in mesi cinque di reclusione. La S.C., nell’enunciare il principio di cui in massima, ha ritenuto corretto l’operato del giudice di merito). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1663 del 31 maggio 1997 (Cass. pen. n. 1663/1997)

Nel caso di reato continuato, ai fini della determinazione della pena base, la violazione più grave deve essere individuata con riferimento alla pena da infliggere in concreto per ciascuna di esse, dopo la valutazione di ogni singola circostanza e l’eventuale giudizio di comparazione di cui all’art. 69 c.p., secondo i criteri indicati nell’art. 133 c.p., senza alcun riguardo al titolo ed alle relative pene edittali. Tuttavia l’individuazione del reato ritenuto in concreto più grave incontra un limite invalicabile costituito dal fatto che la pena prescelta non può mai essere inferiore a quella che sarebbe stata irrogabile per un reato concorrente, sanzionato con pena edittale maggiore nel minimo: ne consegue che, in presenza di due reati puniti con pene edittali diverse nella misura massima e minima, il giudice potrà liberamente scegliere quale sia la violazione più grave, ma dovrà irrogare per essa una pena non inferiore a quella che avrebbe dovuto infliggere per l’altra violazione punita, a seguito del giudizio di comparazione, con pena edittale maggiore nel minimo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4322 del 10 maggio 1997 (Cass. pen. n. 4322/1997)

In tema di trattamento sanzionatorio del reato continuato, al fine della individuazione, per il calcolo della pena, del reato più grave, si deve tenere conto, in caso di concorso di pene dello stesso genere e specie, della pena edittale massima e, a parità di massimo, del maggiore minimo. Una deroga a tale regola è imposta in quelle ipotesi in cui il minimo della pena edittale contemplata per un determinato reato sia superiore al minimo della pena edittale contemplata per un altro reato in continuazione, anche se punito, quest’ultimo, con maggiore rigore nel massimo; in tale ipotesi, va applicato il principio secondo cui non può infliggersi, in ogni caso, una pena inferiore al minimo edittale previsto per uno dei reati unificati dall’identità del disegno criminoso, sicché, ove il giudice ritenga di applicare la pena nel minimo di legge, è obbligato ad individuare il reato più grave in quello per il quale la pena minima sia di maggiore entità prescindendo dal massimo edittale, mentre, ove ritenga di applicare la pena non nel minimo legale, per considerare più grave anche uno dei reati puniti, nel minimo, con pena inferiore a quella prevista per gli altri reati, purché — però — la pena base non vada mai in concreto, al di sotto del minimo edittale previsto per uno qualsiasi dei reati in continuazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4087 del 8 maggio 1997 (Cass. pen. n. 4087/1997)

La detenzione di sostanze stupefacenti diverse, nella specie cocaina ed hashish, integra due autonome ipotesi di reato tra le quali è possibile ravvisare la continuazione, trattandosi di distinte azioni tipiche a diversa oggettività giuridica, con differente trattamento sanzionatorio, non alternative tra loro né inquadrabili in un rapporto di assorbimento tra un maius (assorbente) ed un minus (assorbito), come potrebbe essere tra trasporto e detenzione o tra importazione e detenzione. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 3208 del 7 aprile 1997 (Cass. pen. n. 3208/1997)

L’aspetto soggettivo del reato continuato è costituito dall’elemento intellettivo e cioè dalla previsione di una sequenza ordinata di azioni criminose rispondenti a determinate finalità dell’agente e dall’elemento volitivo consistente nel coagulo a livello delle facoltà volitive del progetto criminoso, con una specifica volizione volta per volta. Consistendo, pertanto, la continuazione in un atteggiamento psicologico, al quale sul piano probatorio debbono corrispondere condotte oggettive compatibili con il disegno programmato, la sua esistenza non può essere negata od ammessa in base a considerazioni astratte o generiche, ma deve essere accertata o esclusa caso per caso in relazione alle modalità concrete oggettive e soggettive di commissione, desumibili dalle sentenze, dei reati dei quali si chiede la unificazione. (Nella fattispecie, la Corte ha censurato la sentenza di merito che aveva escluso la continuazione tra i reati commessi da un carabiniere sostenendo che l’ideazione del programma criminoso era incompatibile con la qualifica). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 597 del 4 aprile 1997 (Cass. pen. n. 597/1997)

In tema di fungibilità della pena con riferimento al reato continuato, il favor libertatis ne impone la scissione qualora la sua considerazione come reato unico comporti effetti sfavorevoli per l’imputato o il condannato, con la conseguenza che, se alcune delle violazioni siano state commesse prima dell’espiazione di pena senza titolo, la fungibilità ha luogo sull’aliquota di sanzione del relativo frammento di continuazione. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che, qualora la parte di pena inflitta a titolo di aumento per la continuazione per taluno dei reati satelliti non sia desumibile dalla sentenza irrevocabile, è compito del giudice dell’esecuzione determinarla, interpretando la decisione e rendendone espliciti i contenuti e i limiti, ovvero ricavando dagli atti gli elementi necessari non esplicitamente espressi in sentenza, ivi compreso il tempus commissi delicti e, in ogni caso, attenendosi al principio in dubio pro reo). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 523 del 27 febbraio 1997 (Cass. pen. n. 523/1997)

In tema di reato continuato, ai fini dell’individuazione della violazione più grave, da prendere come base per il calcolo della pena da applicare su concorde richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., occorre riferirsi alla pena astrattamente prevista dalla legge per ciascun reato, di guisa che la violazione punita più severamente va identificata — nel concorso fra delitto (nella specie, di minaccia grave) e contravvenzione (nella specie, di porto illegale di strumento atto ad offendere) — nella violazione costituente delitto, senza che rilevi affatto la specie delle pene. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 747 del 3 febbraio 1997 (Cass. pen. n. 747/1997)

Nella quantificazione della pena, in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, il giudice deve far riferimento, per l’individuazione del reato più grave, alla pena edittale massima prevista per ciascuno di essi e ritenere in ogni caso il delitto reato più grave rispetto alla contravvenzione indipendentemente dal fatto che il primo sia punito con la sola multa e la seconda con pena congiunta e dall’eventualità che, operando la continuazione sulla pena base stabilita per il delitto, sia comminata una pena pecuniaria inferiore della pena minima prevista per la contravvenzione. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 4181 del 31 gennaio 1997 (Cass. pen. n. 4181/1997)

Ai fini della configurabilità del reato continuato, occorre la prova certa che le singole violazioni furono tutte deliberate e volute, almeno a grandi linee, ma pur sempre con una precisa definizione di contorni e circostanze operative, fin dal momento in cui l’agente decise di dare inizio alla sua attività illecita, programmandone la durata, la portata e l’esecuzione, delineandosi, quando tale condizione ricorra, una figura criminosa nuova — connotata dalla unicità dell’elemento soggettivo e dalla pluralità di quello oggettivo — che, in quanto rivelatrice di una minore pericolosità sociale, unico essendo stato l’impulso psichico criminoso del soggetto, giustifica un trattamento sanzionatorio più mite di quello conseguente al rigido cumulo materiale delle pene. (Nella fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che, servendosi dei pochi dati ricavabili dalle sentenze indicate dall’interessato, aveva escluso, con apprezzamento definito dalla stessa Suprema Corte insindacabile, l’esistenza di un progetto delinquenziale dotato del grado di concretezza e precisione richiesto dall’art. 81 c.p.). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6248 del 13 gennaio 1997 (Cass. pen. n. 6248/1997)

In tema di reato continuato, corrisponde alla norma di carattere programmatico contenuta nell’art. 1 D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 (disposizioni sul processo penale a carico di minorenni) — che prescrive come le norme processuali debbano applicarsi in modo adeguato alla personalità del minore — affermare che la programmata attuazione da parte del minorenne di plurime condotte devianti — strumento, sia pure patologico, di realizzazione della propria personalità — possa inquadrarsi unitariamente in una sorta di scelta esistenziale, e possa, in presenza di altri elementi significativi (medesima tipologia di reati e prossimità temporale degli stessi) considerarsi alla stregua di un vero e proprio progetto, o disegno, criminoso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5239 del 10 dicembre 1996 (Cass. pen. n. 5239/1996)

In caso di pluralità di delitti tentati, tutti volti alla produzione del medesimo evento, la configurabilità del vincolo della continuazione non è, in linea di principio, esclusa, dovendosi però verificare, al fine della sua riconoscibilità in concreto, se, indipendentemente dall’essere stati o meno caratterizzati i singoli episodi dalla presenza di dolo diretto o di dolo eventuale, l’agente, nel porre in essere il primo tentativo, si sia o meno rappresentato la possibilità di un suo fallimento ed abbia quindi già programmato, in vista di tale ipotesi, i tentativi successivi. (Fattispecie in tema di pluralità di tentativi di omicidio in danno della stessa persona). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6329 del 28 novembre 1996 (Cass. pen. n. 6329/1996)

In tema di reato continuato, il dato cronologico — e cioè il breve lasso di tempo intercorso tra le diverse azioni — quale elemento di valutazione ai fini della sussistenza del requisito della unicità del disegno criminoso, non può da solo assurgere a dato probatorio definitivo ma può solo considerarsi un principio di prova positiva. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5148 del 6 novembre 1996 (Cass. pen. n. 5148/1996)

Non esiste incompatibilità fra gli istituti della recidiva e della continuazione, sicché, sussistendone le condizioni, vanno applicati entrambi, praticando sul reato base, se del caso, l’aumento di pena per la recidiva e, quindi, quello per la continuazione. (Alla stregua di tale principio la Corte ha ritenuto la legittimità della sentenza che aveva riconosciuto l’esistenza della continuazione fra un reato già oggetto di condanna irrevocabile ed un altro commesso successivamente alla formazione di detto giudicato). Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 9148 del 17 ottobre 1996 (Cass. pen. n. 9148/1996)

Ai fini dell’applicazione della continuazione, posto che la pena, sia detentiva che pecuniaria, è da considerare più o meno afflittiva innanzi tutto in funzione della sua entità, ne deriva che il criterio principale per determinare quella di maggiore gravità non può che essere quello riferito alla misura edittale della pena stessa, e non alla sua natura, la quale ultima può costituire un criterio suppletivo, solo nel caso in cui le singole violazioni prevedano pene di eguale entità. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4181 del 26 settembre 1996 (Cass. pen. n. 8041/1996)

In tema di reati fallimentari, poiché la legge limita la considerazione unitaria della bancarotta alla sfera interna di ciascuno degli artt. 216 e 217 legge fallimentare, deve ritenersi possibile il concorso cosiddetto «esterno» tra la bancarotta fraudolenta e la bancarotta semplice, che costituiscono due fattispecie di reato fra loro completamente autonome. Pertanto, sulla base di tale principio, può ammettersi la continuazione tra fatti di bancarotta fraudolenta e fatti di bancarotta semplice. (La S.C., nel rigettare il ricorso, ha osservato che ci sono certamente ipotesi — non ricorrenti nella specie, va valutata l’autonomia delle singole condotte — nelle quali si può escludere il concorso, ogni qualvolta le fattispecie materiali di singole ipotesi di bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta si identifichino o comunque siano le une riconducibili alle altre, come la specie al genere, ma si tratta di una valutazione di fatto che il giudice di merito può operare qualora i dati probatori a sua disposizione dimostrino una commistione di condotte criminose tali da identificare più comportamenti in una sola condotta). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 8041 del 16 agosto 1996 (Cass. pen. n. 8041/1996)

Nel caso di cumulo di pena riguardante delitti unificati per la continuazione, tra i quali sia compreso un reato ostativo all’applicazione di una misura alternativa ai sensi dell’art. 4 bis della L. 26 luglio 1975 n. 354 (cosiddetto ordinamento penitenziario), non può procedersi — diversamente da quanto avviene per l’applicazione dell’amnistia o dell’indulto — allo scioglimento del cumulo ai fini della concessione di detta misura, né può considerarsi espiata per prima la pena inflitta per il reato che non consente l’applicazione della misura alternativa alla detenzione, dal momento che il vigente ordinamento, considerato nel suo complesso, non prevede in alcun modo un possibile ordine di espiazione di pene detentive della medesima specie in cumulata esecuzione, vigendo il principio dell’unitarietà dell’esecuzione della pena. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3577 del 6 agosto 1996 (Cass. pen. n. 3577/1996)

La continuazione può essere applicata per la prima volta in sede di legittimità, qualora venga richiesta allegando, una sentenza passata in giudicato dopo la pronuncia della decisione impugnata, in quanto non si è modificato il quadro normativo al riguardo nel vigore del nuovo codice di rito, giacché la disciplina contemplata dall’art. 671 c.p.p. in sede esecutiva ha carattere sussidiario ed incontra alcune limitazioni (artt. 187 e 188 att. c.p.p. e 671 c.p.p.) insussistenti in sede cognitiva. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, la S.C. ha osservato che «tuttavia l’omesso passaggio in giudicato della sentenza prodotta e l’assenza di ogni allegazione tale da consentire l’accertamento dell’unicità del disegno criminoso inducono a ritenere infondato detto motivo, fatta salva la possibilità di più idonea dimostrazione in sede esecutiva). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 7316 del 20 luglio 1996 (Cass. pen. n. 7316/1996)

In tema di reato continuato (art. 81 cpv., c.p.), perché possa ravvisarsi il medesimo disegno criminoso è necessario che le singole violazioni siano state deliberate — quanto meno nelle linee essenziali — sin dal momento dell’esecuzione della prima violazione. Ne consegue che l’unicità del disegno criminoso non può essere confusa con l’inclinazione a commettere reati sotto la spinta di bisogni quali quelli connessi allo stato di tossicodipendenza. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1146 del 13 maggio 1996 (Cass. pen. n. 1146/1996)

Presupposto normativo per l’applicazione, anche in executivis, della disciplina del reato continuato a plurime sentenze di condanna, è la preesistenza di un programma delinquenziale, ancorché genericamente ideato, del quale le varie violazioni di legge siano momenti volitivi che ne costituiscono esecuzione, concetto nel quale si illustra quella unicità del disegno criminoso cui fa riferimento l’art. 81 cpv. c.p. In tal senso, non legittimano la presunzione di unicità del disegno criminoso né l’omogeneità delle varie violazioni (es.: furti aggravati, tentati o consumati) della legge penale, né la permanenza di un proposito criminoso riconducibile allo stato di tossicodipendenza ed al correlativo bisogno di procurarsi, con proventi illeciti, i mezzi economici necessari all’acquisto della droga, in quanto tali elementi, di per sé, sono indicativi del solo movente dei delitti commessi, ma non costituiscono prova della originaria ideazione e deliberazione di tutte le violazioni nei loro caratteri essenziali, sintomatiche dell’istituto della continuazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1119 del 19 marzo 1996 (Cass. pen. n. 1119/1996)

Ai fini dell’accertamento della sussistenza della continuazione, non bisogna avere riguardo agli intenti perseguiti dall’autore delle diverse azioni delittuose, ma è invece necessario che le singole violazioni di legge siano tutte rapportabili ad un unico atto volitivo, ossia che tali violazioni siano state tutte previste e deliberate come momenti di attuazione di un programma preventivo ideato ed elaborato nelle sue linee essenziali. L’identità del movente è insufficiente a configurare la medesimezza del disegno criminoso, che non va confuso con il generico proposito di commettere reati o con la scelta di una condotta di vita fondata sul delitto. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 785 del 12 marzo 1996 (Cass. pen. n. 785/1996)

Il giudice dell’esecuzione ha il potere-dovere di interpretare il giudicato e di renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando dalla sentenza irrevocabile tutti gli elementi, anche non chiaramente espressi, che siano necessari per finalità esecutive e, in particolare, per l’applicazione di cause estintive e per la revoca dei benefici condizionati. (Fattispecie relativa ad omessa indicazione esplicita, da parte del giudice della cognizione, dell’episodio ritenuto più grave tra più violazioni della legge sul controllo degli stupefacenti, costituenti reato continuato: circostanza rilevante ai fini della revoca dell’indulto a norma del D.P.R. 16 dicembre 1986 n. 865). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 36 del 21 febbraio 1996 (Cass. pen. n. 36/1996)

Venuto meno in appello alcuno dei reati unificati dal vincolo della continuazione in primo grado, ove detta continuazione ancora permanga, il giudice di appello deve procedere ad una nuova determinazione della pena; ma in tal caso, pur rispettando il generale principio del divieto della reformatio in peius, può irrogare per i reati residui una pena maggiore di quella originariamente fissata ai fini dell’aumento ai sensi dell’art. 81 c.p. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 11718 del 30 novembre 1995 (Cass. pen. n. 11718/1995)

In sede di giudizio di rinvio la determinazione della pena, sia per il reato ritenuto più grave (e diverso da quello ritenuto tale nella sentenza annullata), sia per la continuazione, non è vincolata dalle valutazioni del giudice della pronuncia cassata, salvo il limite del divieto della reformatio in peius nei casi in cui l’annullamento non concerna la fissazione della pena stessa. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 11653 del 30 novembre 1995 (Cass. pen. n. 11653/1995)

In tema di trattamento sanzionatorio del reato continuato, vige il principio secondo cui non può infliggersi in nessun caso una pena inferiore al minimo edittale previsto per uno dei reati uniti in continuazione. Pertanto, ove il giudice ritenga di applicare la pena nel minimo di legge, deve individuare il reato più grave in quello per il quale la pena minima sia di maggiore entità, prescindendo dal massimo edittale. (Fattispecie nella quale il giudice aveva ritenuto il falso in atto pubblico più grave dell’abuso d’ufficio ex art. 323, comma 2, c.p., così pervenendo all’aberrante soluzione che la pena applicata per i reati in continuazione, pari a mesi sei di reclusione, era di gran lunga inferiore a quella che sarebbe stata irrogata se fosse stato commesso soltanto l’abuso di ufficio). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2699 del 30 novembre 1995 (Cass. pen. n. 2699/1995)

In tema di reato continuato (art. 81, cpv., c.p.), la ratio della disciplina va ravvisata — con riferimento all’aspetto intellettivo — nella previsione di una scoprenza di azioni criminose rispondenti a determinate finalità dell’agente; e — con riferimento all’aspetto della volontà — in una deliberazione di massima richiedente, di volta in volta, in sede attuativa, una specifica volizione. Ne consegue che l’unicità del disegno criminoso può ravvisarsi anche nella commissione di fatti tra loro distanziati nel tempo. (Nella fattispecie la corte ha annullato con rinvio la sentenza della corte d’appello che aveva escluso la continuazione in materia di favoreggiamento della prostituzione in quanto il tempo trascorso tra gli episodi incriminanti (quattro anni) imponeva di ritenere non compresi, i fatti successivi, fin dall’inizio nel disegno criminoso). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 11503 del 28 novembre 1995 (Cass. pen. n. 11503/1995)

Qualora il soggetto detenga o porti più armi, e tale condotta sia accertata in un unico contesto, egli deve rispondere di un solo reato e non già di un reato continuato, mentre il numero delle armi e delle munizioni potranno essere prese in considerazione solo ai fini della determinazione della pena, salvo che le armi superino il numero di cui all’art. 10, comma 10, L. 110/75, e concorra così tale ulteriore reato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10683 del 27 ottobre 1995 (Cass. pen. n. 10683/1995)

Colui il quale ha interesse al riconoscimento del vincolo della continuazione ha l’onere della specifica allegazione degli elementi certamente induttivi della preesistenza di quella preventiva deliberazione che include, nelle loro linee essenziali, i singoli episodi. Tale onere, in sede d’impugnazioni non totalmente devolutive nelle quali si iscrivono l’appello ed il ricorso per cassazione, si coniuga con l’obbligo della specifica indicazione degli elementi in fatto, delle ragioni di diritto poste a fondamento delle singole richieste e che si intendono come speculari agli errori in iudicando ed in procedendo dai quali si assume essere viziata la decisione impugnata. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10077 del 3 ottobre 1995 (Cass. pen. n. 10077/1995)

Nell’ipotesi di reato continuato, il giudice ha l’obbligo di stabilire se e quali circostanze ricorrono in relazione a ciascuna delle violazioni da unificare ai sensi dell’art. 81, c.p., e ciò non solo al fine di dosare l’aumento di pena da irrogare per la continuazione, ma anche di consentire il recupero dell’autonomia dei singoli reati quando sia necessario, come nel caso di scioglimento del cumulo giuridico ed applicazione di cause estintive delle pene cumulate. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10075 del 3 ottobre 1995 (Cass. pen. n. 10075/1995)

L’istanza di applicazione del vincolo della continuazione fra reati che formano oggetto del procedimento in corso e reati ad esso esterni, già accertati con sentenze divenute irrevocabili, può essere presentata per la prima volta davanti alla Corte di cassazione solo quando il giudicato per i reati esterni sia intervenuto dopo che nel procedimento in corso sia stata pronunciata la sentenza da parte del giudice di appello. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 9955 del 29 settembre 1995 (Cass. pen. n. 4030/1995)

La permanenza di un reato che avvicini per sua natura nel tempo altre violazioni della legge penale non è condizione decisiva ai fini dell’applicazione dell’istituto della continuazione, quando comunque poi non emerga la preordinazione di fondo iniziale che contempli tutte le successive condotte criminose, assemblandole in un medesimo disegno criminoso unificatore. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4030 del 3 agosto 1995 (Cass. pen. n. 4030/1995)

In tema di continuazione, ove il reato più grave sia un delitto per il quale sia stata applicata la pena della reclusione e della multa e reati meno gravi siano contravvenzioni per le quali andrebbero applicate arresto e ammenda, se si riconosce l’identità del disegno criminoso, la pena unica progressiva da applicare per tutti i reati deve consistere in reclusione e multa, senza con ciò violare il principio di legalità della pena, questa essendo prevista in maniera specifica dall’art. 81 c.p., per tutti i reati legati dal vincolo della continuazione, restando in tale aumento sostituite le pene, anche di specie diversa, originariamente previste per i reati singoli, meno gravi. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7871 del 13 luglio 1995 (Cass. pen. n. 7871/1995)

Non legittimano la presunzione di unicità del disegno criminoso né l’omogeneità delle varie violazioni della legge penale, né la permanenza di un proposto criminoso riconducibile allo stato di tossicodipendenza ed al correlativo bisogno di procurarsi con proventi illeciti, i mezzi economici necessari all’acquisto della droga, in quanto tali fatti, di per sé, sono indicativi del solo movente dei delitti commessi, ma non costituiscono prova dell’originaria ideazione e delibazione di tutte le violazioni nei loro elementi essenziali, caratteristiche dell’istituto della continuazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1657 del 28 aprile 1995 (Cass. pen. n. 1657/1995)

Il giudice dell’esecuzione, quando debba procedere, ai fini di cui all’art. 671 c.p.p., alla rideterminazione del più favorevole trattamento punitivo conseguente al riconoscimento della continuazione in ordine a reati separatamente giudicati con sentenze irrevocabili, è vincolato, nell’individuazione della violazione di maggior gravità, al disposto di cui all’art. 187 att. c.p.p., in base al quale detta individuazione deve essere effettuata con riferimento alla pena più elevata inflitta in concreto, la cui misura non può essere in nessun caso modificata, in senso peggiorativo o migliorativo, essendo consentito allo stesso giudice soltanto operare, nell’ambito dell’aumento da apportare ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p., una diminuzione delle pene irrogate per i reati satelliti (già considerati tali con le sentenze di condanna, ovvero tali divenuti in sede di applicazione del procedimento di cui all’art. 671 c.p.p.). (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha censurato la pronuncia del giudice dell’esecuzione il quale, una volta individuata la violazione più grave, in applicazione del criterio stabilito dall’art. 187 att. c.p.p., aveva poi provveduto a rettificare in aumento la pena inflitta per detta violazione dal giudice di cognizione, avendo rilevato che la stessa era stata determinata in misura inferiore al minimo consentito). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1413 del 12 aprile 1995 (Cass. pen. n. 1413/1995)

Il decorso del tempo e l’interruzione dell’attività illecita in conseguenza dell’arresto, non sono in astratto ostativi al riconoscimento di un unico disegno criminoso preesistente ai vari reati, ma soltanto in concreto possono costituire valide ragioni, che devono essere dedotte dal giudice di merito, di esclusione della unicità di detto disegno. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 3530 del 4 aprile 1995 (Cass. pen. n. 3530/1995)

Nel caso di cumulo di pene riguardante delitti unificati per la continuazione, tra i quali sia compreso un reato ostativo all’applicazione di un beneficio, ai sensi dell’art. 4 bis ord. pen., non può procedersi allo scioglimento del cumulo ai fini della concessione di detto beneficio, né può considerarsi espiata per la prima la pena inflitta per il reato che non ne consente l’applicazione. La norma suddetta, infatti, fa riferimento ad una pericolosità soggettiva del detenuto, attestata dalla condanna per un determinato reato, e ad essa collega la esclusione del beneficio, senza possibilità di distinguere in caso di pene concorrenti e di attribuire, quindi al periodo pregresso l’espiazione di quella parte di pena collegabile al reato per cui vige il divieto di concedibilità. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 918 del 29 marzo 1995 (Cass. pen. n. 802/1995)

In tema di riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, incombe all’interessato indicare i reati ai quali il nesso della continuazione si riferisce, senza che si debba ritenere sussistente a suo carico l’onere di provare l’unitarietà del disegno criminoso, spettando al giudice dell’esecuzione individuare i dati sostanziali di possibile collegamento, con approfondita disamina dei casi giudiziari acquisendo di ufficio le copie delle sentenze o dei decreti irrevocabili (art. 186 att. c.p.) se non già allegate alla richiesta prevista dall’art. 671, comma 1, c.p.p., che può provenire dal condannato o dal pubblico ministero. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 802 del 29 marzo 1995 (Cass. pen. n. 802/1995)

Sussiste ipotesi di concorso formale, ex art. 81, comma 1, c.p., fra il reato di resistenza a P.U., di cui all’art. 337 c.p. ed il reato di tentato omicidio, stante la diversità dei beni giuridici tutelati da tali norme, e le differenze qualitative e quantitative della esercitata violenza contro il pubblico ufficiale; pertanto non può ritenersi operante alcuna preclusione processuale a giudicare separatamente, in distinti processi, le plurime violazioni di legge ancorché riferite ad una condotta unitaria. Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbe, infatti, soltanto quel minimo di violenza, al limite delle percosse e non già quegli atti che esorbitando tale limite, e pur finalizzati alla resistenza, attentino alla vita od alla incolumità del pubblico ufficiale. Ne consegue che, accertata la sussistenza di una condotta criminosa che, benché unitaria, abbia leso beni aventi distinta oggettività giuridica, deve ritenersi sussistere un concorso formale eterogeneo di reati. Ne consegue altresì che non vi è alcuna preclusione processuale, derivante dal principio del ne bis in idem, quando vi sia stato un processo, e si sia formato il giudicato, solo in relazione ad un reato compatibile con altro reato non giudicato, non essendovi la medesimezza del fatto, richiesta dall’art. 649 c.p.p., perché vi sia divieto di un secondo giudizio. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3354 del 28 marzo 1995 (Cass. pen. n. 3354/1995)

L’elemento soggettivo costituito dallo stato di tossicodipendenza, in assenza di altre specifiche e più puntuali risultanze, non è sufficiente ad integrare il presupposto essenziale per l’applicazione della disciplina della continuazione; invero l’unicità del disegno criminoso non può identificarsi con la generale inclinazione a commettere reati sotto la spinta di fatti e circostanze occasionali più o meno collegati tra loro, ovvero, come nell’ipotesi in argomento, di bisogni e necessità di ordine contingente, e neanche con la tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole; le singole violazioni devono viceversa costituire parte integrante dello stesso programma, deliberato fin dall’inizio nelle sue linee essenziali, a cui si aggiunge, di volta in volta, l’elemento volitivo necessario per l’attuazione del programma stesso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 524 del 27 marzo 1995 (Cass. pen. n. 524/1995)

In materia di reato continuato, poiché l’unicità del disegno criminoso è costituita da una unità di ordine intellettivo, quando le singole azioni siano riconducibili ad un unico programma la continuazione è configurabile anche tra un fatto per il quale sia intervenuta condanna irrevocabile ed altri commessi successivamente dal momento che la controspinta psicologica derivante dall’arresto o dalla condanna non necessariamente interrompe la persistenza del disegno criminoso già concepito ed in parte attuato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2802 del 16 marzo 1995 (Cass. pen. n. 2772/1995)

In tema di individuazione della pena in caso di reato continuato, quando il reato più grave sia punito con la sola pena detentiva ed il reato satellite sia invece punito congiuntamente con pena detentiva e pena pecuniaria, la pena complessiva da infliggere per la continuazione deve consistere soltanto in un congruo aumento della pena detentiva poiché il tenore letterale dell’art. 81 c.p. è chiaro e deve essere interpretato secondo il senso fatto palese dal significato proprio delle parole usate dal legislatore e dalla loro connessione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2772 del 16 marzo 1995 (Cass. pen. n. 2772/1995)

Il giudice competente a provvedere sull’esecuzione a carico di un soggetto raggiunto da più condanne emesse da organi diversi è quello che ha pronunciato la sentenza divenuta irrevocabile per ultima, anche nel caso in cui questa non sia, allo stato, suscettibile di esecuzione, e ciò in quanto in sede esecutiva la posizione del condannato deve essere unitariamente considerata tenendosi conto di tutte le pene irrogategli a prescindere dall’eseguibilità delle medesime. (Nella specie, in cui si verteva sulla richiesta di applicazione della continuazione ex art. 671 c.p.p., la condanna divenuta irrevocabile per ultima non risultava eseguibile perché condizionalmente sospesa, e sulla base di tale argomento il giudice che l’aveva irrogata aveva declinato la propria competenza a decidere sull’istanza dell’interessato). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5888 del 27 febbraio 1995 (Cass. pen. n. 5888/1995)

L’identità del disegno criminoso ai sensi dell’art. 81 c.p. non può essere presunta e l’imputato ha un onere di allegazione di sentenze, di prove e di argomentazioni tali da dimostrare l’unicità del disegno criminoso in cui devono essere ricomprese le diverse azioni od omissioni fin dal primo momento. La valutazione della sussistenza di tale unicità è compito del giudice di merito, la cui decisione sul punto, se congruamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5518 del 30 gennaio 1995 (Cass. pen. n. 5518/1995)

Nell’offesa arrecata con un unico atto ad un corpo amministrativo o politico e ai singoli membri del medesimo ricorre l’ipotesi del concorso formale, per cui in tal caso il soggetto agente deve rispondere sia del reato previsto dall’art. 341 sia di quello di cui all’art. 342 c.p. L’unica condotta criminosa ha carattere plurioffensivo, ledendo sia il bene giuridico della pubblica amministrazione sia l’onere o il prestigio personale del pubblico ufficiale, per cui l’indagine in ordine all’elemento soggettivo si risolve nell’accertamento della consapevolezza, nell’agente, della potenzialità oltraggiosa della frase pronunciata e della volontà di rivolgerla al soggetto passivo del reato. Ne consegue che, qualora il fraseggio oltraggioso, potenzialmente lesivo del corpo politico, amministrativo o giudiziario, sia inidoneo a concretare l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 342 c.p., perché non pronunciato al cospetto dell’organo medesimo, ma alla presenza di taluno soltanto dei suoi componenti, residuerà il solo delitto dell’art. 341 c.p., ad escludere il quale nell’accertamento — della consapevolezza dell’agente che le parole oltraggiose risultano oggettivamente pronunciate in presenza del pubblico ufficiale e in un contesto che necessariamente lo coinvolge — non è lecito addurre la sussistenza della sola intenzione di offendere il corpo nel suo complesso e non anche il singolo suo componente, giacché il vilipendio dell’ente collegiale necessariamente comprende, senza assorbirlo, l’offesa del soggetto che di esso è parte costitutiva. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 798 del 24 gennaio 1995 (Cass. pen. n. 798/1995)

In materia di reati concernenti sostanze stupefacenti, quanto alla possibilità di concorso fra le ipotesi di acquisto e di tentativo di importazione, l’art. 73, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 elenca una serie di condotte tipiche, con la previsione della detenzione in funzione di chiusura rispetto agli altri comportamenti illeciti descritti, tutti puniti allo stesso modo e costituenti, perciò, ipotesi criminose equivalenti che si pongono in rapporto di alternatività formale; le diverse condotte dalle norme previste perdono la loro individualità se costituiscono manifestazione del potere di disposizione della medesima sostanza; tale assorbimento — con conseguente esclusione del concorso di reati — è subordinato al duplice presupposto che si tratti della stessa sostanza stupefacente e che le condotte siano state poste in essere contestualmente, ossia indirizzate ad un unico fine e senza apprezzabile soluzione di continuità; quando, invece, le differenti azioni tipiche (detenzione, vendita, offerta in vendita, cessione ecc.) siano distinte sul piano ontologico, cronologico, psicologico e funzionale, esse costituiscono più violazioni della stessa disposizione di legge e, quindi, distinti reati, eventualmente unificati nel vincolo della continuazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11360 del 10 novembre 1994 (Cass. pen. n. 11360/1994)

In tema di reato continuato, una volta ritenuta la continuazione tra più reati, le sanzioni originariamente previste per le violazioni minori non esplicano più alcuna efficacia, dovendosi solo aumentare la pena prevista per la violazione più grave a prescindere del tutto da quella comminata per i reati satelliti. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10333 del 28 settembre 1994 (Cass. pen. n. 10333/1994)

In tema di reato continuato, l’art. 81 c.p. non pone alcuna distinzione tra delitti e contravvenzioni. La norma infatti si riferisce ai reati in genere e tali sono sia gli uni che le altre. La unicità di trattamento sanzionatorio rientra nella previsione della norma stessa, alla sola condizione che l’elemento soggettivo comune sia il dolo e non la colpa. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 9994 del 20 settembre 1994 (Cass. pen. n. 9994/1994)

L’unicità del disegno criminoso, costituente l’indispensabile condizione per la configurabilità della continuazione, non può identificarsi con la generica inclinazione a commettere reati sotto la spinta di fatti e circostanze occasionali più o meno collegati tra loro, ovvero di bisogni e necessità di ordine contingente, e neanche con la tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole, dovendo le singole violazioni costituire parte integrante di un unico programma, deliberato fin dall’inizio nelle linee essenziali, per conseguire un determinato fine, a cui si aggiungerà, di volta in volta, l’elemento volitivo necessario per l’attuazione del programma stesso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1253 del 23 agosto 1994 (Cass. pen. n. 1253/1994)

L’unicità del disegno criminoso di cui all’art. 81 cpv. postula che i singoli fatti reato, ai fini della esistenza del vincolo della continuazione, siano tutti previsti e deliberati sin dall’origine nelle loro linee essenziali non essendo sufficiente che i singoli episodi siano riconducibili, anziché ad un unico momento volitivo, ad un programma di attività delinquenziale; conseguentemente non può affermarsi la configurabilità della suddetta unicità per azioni determinate da eventi imprevisti in quanto l’impressione dello stimolo reattivo confligge con quella originaria predeterminazione delle condotte delittuose che la disciplina in materia postula come necessario. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha respinto il ricorso avverso un provvedimento emesso dal giudice dell’esecuzione il quale aveva rigettato la richiesta di applicazione della continuazione con riferimento a condanne inflitte rispettivamente per furti di autovetture e per una rapina impropria di un autoveicolo, avendo il giudice di merito rilevato l’occasionalità della violenza alle persone). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1240 del 5 luglio 1994 (Cass. pen. n. 1240/1994)

In tema di custodia cautelare, il reato più grave, contestato in continuazione con altri reati, costituisce soltanto il punto di riferimento per il computo dei termini di durata della misura, di talché quel reato non elimina, ad altri effetti, processuali e sostanziali, l’autonoma rilevanza degli altri reati: tale principio vale anche in materia di equa riparazione per ingiusta detenzione, per quel che concerne l’individuazione del periodo di detenzione in relazione ai singoli reati. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 1572 del 19 maggio 1994 (Cass. pen. n. 1572/1994)

Poiché non può escludersi in linea generale che una persona si proponga di commettere due o più reati anche a distanza di tempo, il solo dato cronologico relativo all’intervallo tra le diverse violazioni non è da solo elemento sufficiente per escludere la sussisteenza del nesso della continuazione; né l’esclusione dell’identità del disegno criminoso può desumersi dalle modalità delle diverse azioni delittuose, che sono semplicemente indici rivelatori della personalità del delinquente e, quindi, estranee all’elemento intellettivo richiesto per la configurabilità del vincolo della continuazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1745 del 18 maggio 1994 (Cass. pen. n. 5394/1994)

In caso di applicazione della pena su richiesta delle parti per una pluralità di reati, per uno dei quali, nel giudizio di legittimità, viene dichiarato che l’azione penale non poteva essere iniziata per mancanza di una condizione di procedibilità, non può essere disposto l’annullamento senza rinvio limitatamente al reato oppure ai reati colpiti dalla declaratoria di improcedibilità con contestuale eliminazione della pena relativa, bensì l’annullamento senza rinvio dell’intera sentenza impugnata, con conseguente trasmissione degli atti al P.M. per l’ulteriore corso: ciò in quanto l’eliminazione di uno o più reati, modificando il quadro processuale valutato dalle parti in sede di richiesta della pena, determina la caducazione del «patteggiamento» nella sua interezza. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5394 del 10 maggio 1994 (Cass. pen. n. 5394/1994)

In tema di applicazione alla disciplina del reato continuato in sede di esecuzione, l’unicità del disegno criminoso, costituente l’indispensabile condizione per la configurabilità della continuazione, non può identificarsi con la generale inclinazione a commettere reati sotto la spinta di fatti e circostanze occasionali più o meno collegati tra loro, ovvero di bisogni e necessità di ordine contingente, e neanche con la tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole, determinata o accentuata da talune condizioni psicofisiche (nella specie tossicodipendenza), dovendo le singole violazioni costituire parte integrante di un unico programma, deliberato fin dall’inizio nelle linee essenziali, per conseguire un determinato fine, a cui si aggiungerà, di volta in volta, l’elemento volitivo necessario per l’attuazione del programma stesso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 415 del 6 maggio 1994 (Cass. pen. n. 415/1994)

Per la ravvisabilità della continuazione, non è sufficiente che i diversi reati da unificare a tale titolo siano stati accertati in un unico momento, attesa la equivocità sintomatica del momento temporale se non accompagnato da altre significative circostanze, dalle quali evincere la esistenza di una previa determinazione volitiva a commettere reati inquadrati in un medesimo disegno criminoso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4838 del 28 aprile 1994 (Cass. pen. n. 4838/1994)

Legittimamente può essere negato il riconoscimento del vincolo della continuazione in considerazione del notevole lasso di tempo intercorrente fra i vari fatti criminosi (se tale elemento non sia contrastato da positive e contrarie risultanze probatorie) e dei frequenti periodi di detenzione subiti dal richiedente, sicuramente interruttivi di qualunque progetto, non potendo concepirsi che un disegno delittuoso includa anche gli arresti, l’espiazione delle pene e le riprese del fantomatico progetto esecutivo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 403 del 16 marzo 1994 (Cass. pen. n. 403/1994)

Nella determinazione, in sede esecutiva, della pena per più reati continuati giudicati con più sentenze, deve essere assunta come pena-base quella inflitta per il reato singolo considerato come violazione più grave. Ne discende che è illegittimo assumere come pena-base sulla quale operare l’aumento per la continuazione quella complessiva inflitta con una delle sentenze, comprensiva, a sua volta, di una pena-base e di un aumento a titolo di continuazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 544 del 11 marzo 1994 (Cass. pen. n. 544/1994)

L’onere di prospettare, da parte del condannato, fatti specifici sui quali si fonda la richiesta di applicazione in sede esecutiva dell’istituto della continuazione consente al giudice di individuare elementi rivelatori dell’identità del disegno criminoso unificatore, che ben può persistere anche dopo condanne non definite o irrevocabili o dopo lo stato di detenzione, e però è ben distinto dalla ripetizione o dall’abitualità di determinati comportamenti, anche se cronologicamente vicini, o dall’instaurazione di un sistema di vita, che di per sé possono anche essere indici di riferimento neutri non automaticamente rapportabili al referente legislativo previsto dall’art. 81, secondo comma, c.p. (In motivazione la Suprema Corte ha elencato, tra gli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso, la distanza cronologica tra i fatti criminosi, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di luogo, precisando che, anche dall’esame di uno soltanto di essi — purché pregnante, sì da diventare idoneo, nel caso singolo, ad essere privilegiato in direzione del riconoscimento o del diniego del vincolo di continuazione — il giudice accerta se sussista la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge confluenti nell’ambito di una previsione originaria unitaria riconducibile, o meno, all’ideazione complessiva iniziale). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 396 del 11 marzo 1994 (Cass. pen. n. 396/1994)

La vicinanza e la lontananza temporale tra le violazioni che formano oggetto di esame, per stabilire se siano espressione di un medesimo disegno criminoso, non possono valutarsi sullo stesso piano. È evidente, infatti, che se un breve lasso di tempo tra la consumazione di due fatti criminosi può costituire un principio di prova indiretta dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso che li unifica, disegno che potrà ritenersi accertato sempre che concorrano altri indizi a chiudere il cerchio dimostrativo, la lontananza temporale tra i reati di per sé costituisce oggettivamente un indizio negativo nella direzione di ritenere sussistente il vincolo della continuazione, per la regola di esperienza che connota psicologicamente la condotta umana improntata di norma all’azione o all’omissione come conseguenza dell’immediatezza dell’ideazione e della violazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 395 del 11 marzo 1994 (Cass. pen. n. 395/1994)

Le cause estintive del reato, per amnistia impropria, o della pena, non incidono sulla persistenza dell’interesse del condannato a chiedere e ad ottenere l’applicazione, in sede di esecuzione, della disciplina del concorso formale o del reato continuato, non solo al fine, in certe ipotesi, di imputare ad altra condanna la pena di fatto eseguita oltre la misura rideterminata ai sensi dell’art. 671 c.p.p., ma, segnatamente, al fine di escludere o di limitare gli effetti penali delle condanne. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4891 del 8 marzo 1994 (Cass. pen. n. 4891/1994)

Il provvedimento di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato è provvedimento di esclusiva competenza del giudice dell’esecuzione; ed anche in tal caso, ai fini della individuazione del giudice competente, vale la regola generale secondo cui — in presenza di una pluralità di provvedimenti emessi da giudici diversi — la competenza spetta al giudice che ha adottato l’ultimo provvedimento. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4321 del 7 gennaio 1994 (Cass. pen. n. 4321/1994)

In tema di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., il procedimento che il giudice deve seguire nel determinare in concreto la pena da applicare comporta che i vari reati da unificare ex art. 81 cpv. c.p. siano valutati nella loro entità e consistenza alla luce di tutti gli elementi di giudizio, ivi comprese le circostanze ad esse inerenti. Tale preventiva valutazione è necessaria non solo perché le circostanze che attengono ai singoli reati devono essere valutate in relazione ai reati stessi, ma anche perché ove sia configurabile l’unicità del disegno criminoso, il giudice deve accertare qual è il reato più grave onde determinare la pena base sulla quale apportare l’aumento previsto dall’art. 81 c.p. (Nella specie, è stata annullata con rinvio l’impugnata sentenza che, ex art. 444 c.p.p., aveva applicato la pena sulla base di un calcolo che aveva operato l’aumento per la continuazione prima della diminuzione per le attenuanti generiche). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11401 del 14 dicembre 1993 (Cass. pen. n. 11401/1993)

Il medesimo disegno criminoso che deve caratterizzare i reati ai sensi dell’art. 81, secondo comma, c.p., consiste in un’iniziale programmazione e deliberazione, anche se generica, di una serie di reati per realizzare un preciso ed unico scopo di fondo; la continuazione è costituita dal rapporto dei reati che si compiono con l’originario unico piano criminoso di cui, anche se non specificamente previsti fin dall’inizio, devono costituire svolgimento in vista del conseguimento dello scopo perseguito. La commissione dei reati «in un limitato arco di tempo» e la «identica tendenza violenta e antigiuridica» non bastano perciò, di per sé, ad integrare la continuazione fra più reati. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4122 del 24 novembre 1993 (Cass. pen. n. 3476/1993)

In tema di continuazione, l’identità del disegno criminoso viene meno quando tra l’uno e l’altro fatto-reato intervengano circostanze — quali il processo, la custodia cautelare, la sentenza di condanna — tali da modificare l’originario progetto. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3476 del 16 ottobre 1993 (Cass. pen. n. 3476/1993)

La volontà di commettere più reati per scelta delinquenziale, dovuta alla generica deliberazione di persistere nella condotta delittuosa, non ha nulla a che vedere con l’unicità del disegno criminoso tra due o più reati. Questa, consistendo in un progetto delinquenziale unitario, nell’ambito del quale la consumazione dei reati sia stata ideata e programmata, con riguardo ai mezzi e alle modalità di esecuzione, anche in un arco di tempo non necessariamente breve, non può essere confusa con l’abitudine a commettere un determinato tipo di reato. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 8897 del 28 settembre 1993 (Cass. pen. n. 8019/1993)

Agli effetti della disciplina dettata dall’art. 81 c.p. per violazione più grave si deve intendere quella che, in concreto, presenti maggiore gravità e sia quindi passibile della pena più grave. Peraltro nel concorso di violazioni punite con pene eterogenee deve ritenersi più grave la violazione punita con pena detentiva, mentre, d’altro canto, ove il giudice ritenga, in concreto, più grave una violazione punita meno severamente di altra concorrente, la sua valutazione non potrà valicare i limiti di applicazione dell’istituto della continuazione, che è diretto a mitigare il rigore del cumulo materiale delle pene, sino a far conseguire al reo una pena inferiore a quella minima prevista per un singolo reato. (La Cassazione ha in particolare rilevato che il criterio della gravità «in concreto» ha trovato una sostanziale consacrazione nell’art. 187 delle norme di attuazione del codice di procedura penale, il quale enuncia un principio che non vi è ragione di considerare limitato alla materia dell’esecuzione). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8019 del 24 agosto 1993 (Cass. pen. n. 8019/1993)

Allorché da una sola azione realizzata dal reo derivano diverse violazioni della legge penale, una delle quali risulta non essere punibile per la sussistenza di causa di giustificazione, non ne deriva necessariamente ed automaticamente la non punibilità della diversa violazione di legge non direttamente scriminata. Questa sarà o meno ritenuta non punibile soltanto nell’ipotesi che anche per essa sussistano gli elementi di fatto e di diritto necessari per l’applicabilità della causa di giustificazione e non perché realizzata dal reo, insieme alla violazione scriminata, con una sola azione od omissione in concorso formale di reati, la cui disciplina unitaria attiene soltanto al calcolo della pena e non riguarda la punibilità dei singoli reati, che a tale fine rimangono distinti. (Nella specie il ricorrente assumeva che essendo stato assolto dal reato di cui all’art. 392 c.p. in quanto non punibile per aver agito in continenti ed in virtù del principio vim vi repellere licet, avrebbe dovuto esser assolto anche dalla contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. commessa in concorso formale con il detto delitto; la Cassazione ha ritenuto infondato tale assunto ed ha enunciato il principio di cui in massima). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7575 del 3 agosto 1993 (Cass. pen. n. 7575/1993)

Non può essere riconosciuta la continuazione fra il reato di omicidio e quelli concernenti il porto e la detenzione illegali dell’arma nel caso di concorso anomalo nel reato contro la vita. Infatti, il concorso anomalo del reato più grave non è inquadrabile in unica deliberazione criminosa, che comprenda contestualmente la consumazione di altri reati, proprio perché l’evento maggiore non è oggetto di preventiva previsione e volizione (se così fosse, si avrebbero forme di dolo diretto, alternativo o eventuale), ma di sola prevedibilità che ne esclude, comunque, la configurabilità nella mente dell’agente come parte di più ampio progetto operativo, ideato e deliberato per una successiva e conforme esecuzione. L’art. 116 c.p., del resto, espressamente disciplina il caso di reato diverso da quello «voluto», e, cioè di reato non voluto, e quindi non deliberato, che non può essere stato oggetto, conseguentemente, di preventivo ed unitario disegno criminoso, coevamente comprendente anche altri reati. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7262 del 24 luglio 1993 (Cass. pen. n. 7262/1993)

Nel caso di cumulo di pena riguardante delitti unificati per la continuazione, tra i quali sia compreso un reato ostativo all’applicazione di una misura alternativa ai sensi dell’art. 4 bis ord. pen., come modificato dall’art. 15 legge n. 356 del 1992, non può procedersi — diversamente da quanto avviene per l’applicazione dell’amnistia o dell’indulto — allo scioglimento del cumulo ai fini della concessione di detta misura, né può considerarsi espiata per prima la pena inflitta per il reato che non consente la misura alternativa. La norma suddetta, infatti, fa riferimento alla pericolosità soggettiva del detenuto, «certificata» dalla condanna per un determinato reato e ad essa collega la esclusione di vari benefici, senza possibilità di distinguere, in caso di pene concorrenti, e di attribuire, quindi, ad un periodo pregresso l’espiazione di quella parte di pena collegabile al reato per cui vige il divieto di concedibilità. (Sulla scorta del principio di cui in massima la Cassazione ha ritenuto corretto l’operato del tribunale di sorveglianza che aveva escluso la possibilità di scioglimento del cumulo di pena concernente reati unificati per continuazione, comprensivo, appunto, anche di reati elencati nel succitato art. 4 bis ord. pen., nei confronti di un condannato che non aveva prestato opera di collaborazione a norma dell’art. 58 ter del predetto ordinamento). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2903 del 24 luglio 1993 (Cass. pen. n. 2903/1993)

L’ipotesi del concorso formale omogeneo si realizza solo allorché con un’unica azione si determinano due o più eventi tipici simili. (Fattispecie relativa alla detenzione di due carabine in cui si è esclusa la ricorrenza del concorso formale omogeneo). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7116 del 21 luglio 1993 (Cass. pen. n. 5826/1993)

Ai fini della configurabilità del reato continuato, il solo riferimento alla omogeneità delle imputazioni ascritte e all’ambito temporale, pochi mesi, in cui i singoli reati sono stati consumati non può fare presumere, in mancanza di altri e più sostanziali elementi, che i reati stessi siano frutto di determinazioni volitive, risalenti ad una unica deliberazione di fondo, consistente nel fatto che i singoli episodi siano tutti previsti, programmati e deliberati, fin dall’origine, come momenti di attuazione di un programma unitario. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 5826 del 10 giugno 1993 (Cass. pen. n. 5826/1993)

La rilevanza giuridica del «medesimo disegno criminoso» di cui al secondo comma dell’art. 81, cpv., c.p. trova la sua ragion d’essere nel minor disvalore sociale di più reati che non scaturiscano da altrettanti progetti, ma da uno solo, che avvinca tutte le singole violazioni della legge penale. Di conseguenza esso può essere ravvisato solo se la decisione di commettere i vari reati sia stata presa dall’agente in un momento precedente la consumazione del primo e si sia estesa a tutti gli altri, già programmati, sia pure nelle loro linee generali. Pertanto non possono rientrare nella previsione della norma in questione tutti quei fatti costituenti reato che si trovino, rispetto al primo, in un rapporto di mera occasionalità, ovvero siano, con il primo, espressione di una abitualità o addirittura di un costume di vita. Siffatta occasionalità si riscontra ogni volta che il reato successivo venga commesso per effetto dell’insorgenza di fattori del tutto estranei, per loro natura, all’iniziale disegno criminoso. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5216 del 20 maggio 1993 (Cass. pen. n. 5216/1993)

In tema di reato continuato, per l’individuazione della violazione più grave, il giudice deve tener conto anche di tutte le circostanze, aggravanti e attenuanti, ravvisabili nel caso concreto, e operare gli aumenti o le diminuzioni di pena che, entro i limiti previsti dalla legge, ritiene opportuni. (Nella specie è stato ritenuto corretto l’operato del giudice di merito che aveva dapprima calcolato le diminuzioni sulla pena-base dovuta alla concessione delle attenuanti e poi aveva stabilito il quantum di aumento a titolo di continuazione). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1153 del 11 maggio 1993 (Cass. pen. n. 1153/1993)

In tema di continuazione, richiedendosi, ai fini della riconoscibilità del medesimo disegno criminoso, la progettazione ab origine di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali, deve escludersi che una tale progettazione possa essere presunta sulla sola base del medesimo rapporto di contrasto esistente tra i soggetti passivi e l’autore degli illeciti, come pure sulla base dell’identità o dell’analogia dei singoli reati o di un generico contesto delittuoso, ovvero ancora della unicità della motivazione o del fine ultimo perseguito, occorrendo invece che il requisito in questione trovi dimostrazione in specifici elementi atti a far fondatamente ritenere che tutti gli episodi siano frutto realmente di una originaria ideazione e determinazione volitiva. (Nella specie, in applicazione di tali principi, è stata ritenuta legittima l’esclusione della continuazione in un caso in cui i vari reati, costituiti da tentati omicidi e violazioni delle norme in materia di armi, erano stati commessi nel quadro di un sanguinoso e atavico contrasto fra gruppi familiari diversi). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 574 del 14 aprile 1993 (Cass. pen. n. 574/1993)

Il giudice del merito deve stabilire con precisione la cronologia degli episodi criminosi avvinti in continuazione, in considerazione delle implicazioni che la data del commesso reato può comportare. (Fattispecie relativa ad ipotesi di favoreggiamento reale: la Suprema Corte ha annullato la sentenza in punto di cessazione della continuazione, per verificare se questa si fosse esaurita prima dell’entrata in vigore della L. 13 settembre 1982, n. 646, che ha aggravato il trattamento sanzionatorio degli artt. 378 e 379 c.p.). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 2128 del 4 marzo 1993 (Cass. pen. n. 2128/1993)

Ai fini del riconoscimento della continuazione è necessario che i vari episodi criminosi siano oggetto di un’unica complessa, generica e preventiva deliberazione, seguita da una deliberazione specifica per ogni singola azione criminosa. L’accertamento dell’unicità del disegno criminoso così individuata è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, che deve valutare il tempo intercorso tra i vari episodi criminosi, il titolo del reato, le modalità di esecuzione ed ogni altro elemento di prova da cui possa essere desunto che i vari reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso.

In tema di continuazione, per la configurazione del medesimo disegno criminoso è sufficiente che l’agente abbia ideato di commettere più reati, con determinate modalità ed in determinate circostanze, mentre non è necessario che siano state individuate nel disegno criminoso anche le persone in danno delle quali commettere i reati. Inoltre, essendo il nesso della continuazione costituito dall’intenzione del reo di commettere più reati determinati, lo stesso non può essere ritenuto necessariamente escluso dall’arresto (o dalla condanna) intervenuta tra un episodio criminoso e l’altro, perché la controspinta psicologica costituita dall’arresto (o dalla condanna) non è inconciliabile con la persistenza del medesimo disegno criminoso già ideato ed in corso di esecuzione da parte del reo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 404 del 4 marzo 1993 (Cass. pen. n. 404/1993)

I vari reati di ricettazione commessi dall’agente possono essere compresi in un unico disegno criminoso se sono stati programmati come un tutto unico, a nulla rilevando il momento di consumazione dei rispettivi reati presupposti. Infatti, tale momento non incide in alcun modo sul collegamento funzionale fra le varie ricettazioni, che realizzano lo scopo essenziale del generico programma di acquisire cose provenienti da reati, la cui consumazione è prevedibile prima del loro verificarsi. (Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio, il medesimo disegno criminoso era stato escluso in base alla considerazione che le cose ricettate erano state rubate in un periodo posteriore a quello in cui erano state commesse le ricettazioni oggetto del presente giudizio). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 1674 del 23 febbraio 1993 (Cass. pen. n. 1674/1993)

Il vincolo della continuazione è incompatibile con la commissione di un reato permanente ontologicamente unico, come l’associazione per delinquere, anche se interrotto da evenienze precedenti. La segmentazione del reato associativo operata a cagione di situazioni oggettivamente determinatesi quali la materiale necessità di chiudere l’iniziale contestazione con la sentenza di primo grado e, quindi, di definire temporaneamente il fatto portato in giudizio, consente di ritenere il protrarsi della illecita condotta, che trova la sua spinta psicologica nel pregresso accordo per il sodalizio, come l’attuazione di un unico disegno criminoso ai sensi dell’art. 81 c.p.p. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1291 del 10 febbraio 1993 (Cass. pen. n. 2280/1993)

È possibile riconoscere il nesso della continuazione fra reati già giudicati ed altri da giudicare, a condizione che: 1) quest’ultimo sia stato commesso prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna alla quale si intende collegarlo; 2) il reato oggetto di pronuncia definitiva sia più grave rispetto a quello in esame, perché solo in tal caso è possibile mantenere ferma la pena già irrogata come pena base. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 2280 del 28 gennaio 1993 (Cass. pen. n. 2280/1993)

Agli effetti penali il reato continuato è considerato reato unico e la pena legale non è solo quella comminata dalle singole fattispecie penali, bensì quella che risulta dall’applicazione delle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio. (Alla stregua del suesposto principio, la Suprema Corte ha ritenuto legittima la revoca dell’indulto elargito con il D.P.R. n. 865 del 1986, a seguito della condanna per reati commessi nel quinquennio, riportata dal beneficiario a due anni di reclusione risultanti da più reati in continuazione). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4404 del 15 gennaio 1993 (Cass. pen. n. 4404/1993)

Non è concettualmente incompatibile o giuridicamente impossibile ipotizzare il nesso della continuazione tra reato associativo e reati programmati che siano stati poi effettivamente commessi, a condizione però che questi ultimi siano stati previsti e deliberati fin dalla costituzione del vincolo associativo, non potendosi confondere o identificare, proprio per la concretezza che lo distingue, il disegno criminoso unico, necessario alla configurazione del reato continuato, con il programma dell’associazione criminosa che si connota, invece, per la sua astrattezza e genericità. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2225 del 11 dicembre 1992 (Cass. pen. n. 2225/1992)

Ai fini del riconoscimento o meno del vincolo della continuazione, sotto il profilo della unicità del disegno criminoso, fra reati fallimentari, quando questi siano riferiti a più fallimenti, non può attribuirsi rilievo alle date in cui questi ultimi sono stati dichiarati, dovendosi invece aver riguardo alle epoche in cui sono state poste in essere le condotte che hanno dato luogo ai fallimenti medesimi. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4268 del 4 dicembre 1992 (Cass. pen. n. 4268/1992)

In tema di reato continuato, una volta ritenuta dal giudice di merito la contravvenzione più grave del delitto, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso dell’imputato che miri ad ottenere un’inversione di gravità dei reati, perché il suo eventuale accoglimento comporterebbe una reformatio in peius della sentenza, essendo la condanna per delitto più grave di quella per contravvenzione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10587 del 3 novembre 1992 (Cass. pen. n. 10587/1992)

Quando ricorrano i presupposti per ritenere la continuazione nel reato, l’art. 81, cpv., c.p., può trovare applicazione anche in riferimento a reati per i quali siano previste rispettivamente la pena detentiva per il reato più grave ed una pena della stessa specie, congiuntamente alla pena pecuniaria, per il reato meno grave. In tal caso, la pena sarà determinata mediante l’aumento, nella misura prescritta, della pena inflitta per il reato meno grave, con l’aggiunta della sola pena pecuniaria prevista, insieme alla pena detentiva, per la violazione più lieve. Operando in tal modo non si determina alcuna violazione del principio di legalità, posto che nella pena complessiva risultante dal meccanismo di cui all’art. 81, cpv., c.p., non perdono la propria individualità le pene separatamente comminate per i singoli reati in concorso. (Nella specie, concorrendo la simulazione di reato (art. 367 c.p.) e di appropriazione indebita (art. 646 c.p.), il giudice aveva applicato, su richiesta delle parti, la pena della reclusione senza pena pecuniaria. La Corte di cassazione ha annullato con rinvio la sentenza impugnata dal Procuratore generale della Repubblica). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9920 del 17 ottobre 1992 (Cass. pen. n. 1505/1992)

Il giudice dell’esecuzione, richiesto dell’applicazione della disciplina del reato continuato ai sensi dell’art. 671 c.p.p., deve verificare se i reati esaminati sono collegati da un rapporto di immediata e diretta connessione psicologica e teleologica ad un disegno criminoso unitario, che ha presieduto alla loro esecuzione. Non è a tal fine, di per sé, decisiva, in difetto di ulteriori e più pregnanti elementi, la brevità dell’intervallo cronologico tra i diversi episodi criminosi, che rappresenta solo un dato estrinseco e formale. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1505 del 16 ottobre 1992 (Cass. pen. n. 3349/1992)

In caso di patteggiamento il giudice, oltre a valutare la congruità della pena indicata dalle parti, in una con la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e l’applicazione e la comparazione delle prospettate circostanze, sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129 c.p.p., nessun’altra iniziativa può prendere «sua sponte», neppure applicando ex officio, ove ricorrano i presupposti, la sospensione condizionale della pena, la cui richiesta deve formare oggetto di preventiva valutazione delle parti che devono raggiungere l’accordo anche al riguardo; accordo solo a seguito del quale il giudice ha il potere-dovere di valutare l’esistenza delle condizioni, sostanziali e formali, che legittimano il beneficio. Analogamente il giudice non può applicare ex officio neppure la continuazione quando la relativa questione non sia stata oggetto di patteggiamento e quindi di consensuale prospettazione delle parti. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3349 del 15 ottobre 1992 (Cass. pen. n. 1258/1992)

Per l’accertamento della sussistenza della continuazione non bisogna avere riguardo agli intenti perseguiti dall’autore delle diverse azioni delittuose, giacché l’identità del movente è insufficiente a rivelare la medesimezza del disegno criminoso, il quale non va poi confuso con il generico proposito di commettere reati o con la scelta di una condotta di vita fondata sul delitto, essendo invece necessario che le singole violazioni di legge siano tutte rapportabili ad un atto psichico unico, ossia siano state previste e deliberate come momenti di attuazione di un programma preventivamente ideato ed elaborato nelle sue linee generali ed essenziali. Pertanto, l’unicità dell’ideazione deve escludersi quando il colpevole abbia agito, sia pure in base allo stesso movente, preordinando di volta in volta le attività da compiere in vista del soddisfacimento di contingenti esigenze personali e materiali. Tali presupposti interpretativi non hanno subito modificazione con la disposizione dell’art. 671 c.p.p., la quale si inserisce nel processo di espansione applicativa dell’istituto della continuazione al di là dei confini del giudizio di cognizione, senza, però, intaccare le regole che presiedono alla sua disciplina. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1258 del 28 luglio 1992 (Cass. pen. n. 2763/1992)

In tema di reato continuato, l’identità del disegno criminoso necessaria per la riduzione ad unità delle diverse violazioni non è ravvisabile in mere circostanze inerenti alla persona del colpevole, quali la capacità o la tendenza a delinquere e neppure in un generico programma di attività delinquenziale riconducibile ad un sistema o abitudine di vita delinquenziale correlata al bisogno economico perché, ai fini di cui all’art. 81, secondo comma, c.p., è essenziale che i singoli reati siano tutti previsti, programmati e deliberati, sin dall’origine, come momenti di attuazione di un programma unitario. (Nella fattispecie, la Corte ha affermato la correttezza della decisione dei giudici di merito con la quale è stata esclusa l’esistenza della continuazione perché, sotto il profilo temporale e dell’indole dei reati, non era stato fornito alcun elemento tale da far ritenere che l’imputato, il quale aveva commesso i reati stessi nell’arco di molti anni, con periodi di intervallo non minori di un anno, avesse agito nell’ambito di un unico disegno criminoso per aver deliberato sin dal primo atto le singole azioni delittuose). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2763 del 27 luglio 1992 (Cass. pen. n. 8381/1992)

È configurabile la continuazione fra il reato associativo ed i cosiddetti reati fine a condizione che venga accertato essere stati questi ultimi inseriti nel programma della serie indeterminata di reati prevista dagli associati al momento della costituzione del vincolo associativo ovvero della successiva adesione ad esso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8381 del 24 luglio 1992 (Cass. pen. n. 8169/1992)

Qualora due o più reati debbano unificarsi con il vincolo della continuazione, il giudice è tenuto ad esaminare se e quali circostanze (aggravanti o attenuanti) ricorrano in relazione ad ogni singolo reato, non solo per stabilire quale sia in concreto la violazione più grave, ma anche: a) per esattamente definire la fisionomia di ciascuna di esse; b) per graduare l’aumento di pena previsto dall’art. 81 c.p.; c) per consentire l’eventuale applicazione presente o futura di determinate cause estintive del reato, sia, infine, per non ledere l’evidente interesse dell’imputato a vedersi escludere, relativamente alle meno gravi violazioni, le aggravanti insussistenti o riconoscere le attenuanti che gli competano o possano essergli concesse. Ne consegue che l’esame delle circostanze nel reato continuato conduce necessariamente o alla esclusione delle aggravanti o al riconoscimento o concessione delle attenuanti in riferimento, non solo al reato più grave, ma anche in relazione a ciascuno degli illeciti meno gravi per i quali la sanzione viene delimitata, al fine di ovviare al rigore del cumulo materiale della pena, con il diverso criterio dell’aumento della pena base. Solo per il reato più grave, pertanto, e per quelle sole circostanze che lo concernono, l’esclusione, il riconoscimento o la concessione d’una circostanza possono ricevere effettiva applicazione mentre per gli illeciti meno gravi le relative circostanze restano inefficaci, salva la loro limitata funzione, quoad poenam, di concorrere a determinare in maggiore o minore misura l’aumento di pena prevista dall’art. 81 c.p. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8169 del 22 luglio 1992 (Cass. pen. n. 8169/1992)

In tema di continuazione tra delitto e contravvenzione, reato più grave è sempre il delitto, occorrendo rifarsi alle valutazioni operate dal legislatore nel momento di posizione delle norme incriminatrici. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7899 del 9 luglio 1992 (Cass. pen. n. 7899/1992)

Nel reato continuato la diminuzione per le circostanze attenuanti generiche deve essere applicata alla più grave delle violazioni al fine di stabilire la pena base, mentre delle circostanze attenuanti inerenti alle violazioni meno gravi si deve tenere conto soltanto per determinare la misura dell’aumento da apportare alla pena base. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 7818 del 8 luglio 1992 (Cass. pen. n. 7818/1992)

Il nesso della continuazione, essendo legato ad una intenzione del reo, che opera sul piano fenomenico, non può considerarsi necessariamente interrotto da un elemento del tutto formale, quale è quello rappresentato dalla sentenza di condanna o dall’arresto intervenuto nella successione dei diversi episodi, perché la controspinta psicologica costituita dalla condanna e/o dall’arresto non è necessariamente inconciliabile con la persistenza dell’unicità del disegno criminoso. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 7811 del 8 luglio 1992 (Cass. pen. n. 7811/1992)

L’appartenenza a una banda armata o a qualunque associazione sovversiva è elemento che, di per sé solo, non consente né di ritenere, né di escludere l’unicità del disegno criminoso che non può identificarsi nell’unicità di motivazione o nell’unicità del fine ultimo propostosi dal sodalizio criminoso. E invero, per la configurabilità del requisito dell’unicità del disegno criminoso, condizione necessaria è l’identità dell’origine ideativa e volitiva delle plurime azioni delittuose, nel senso che esse debbano essere comprese in un programma di attività criminosa, concepito sin dall’inizio nelle sue linee generali ed essenziali e preordinato al raggiungimento di un determinato fine.

L’identità del disegno criminoso ex art. 81 c.p. non può essere presunta e l’imputato ha un onere di allegazione che non viene assolto con la mera indicazione e produzione di sentenze, necessitando il corredo di prove e di argomentazioni tali da dimostrare l’unicità del disegno criminoso in cui devono essere ricomprese le diverse azioni od omissioni fin dal primo momento.

L’indagine che si impone alla riflessione del giudice chiamato a delibare una istanza di applicazione della disciplina della continuazione deve concentrarsi su tre essenziali problemi: dapprima, verificare la credibilità intrinseca, sotto i profili della logica e della congruità, dell’asserita esistenza di un unico, originario programma delittuoso; indi, analizzare i singoli comportamenti incriminati per individuare le particolari, specifiche finalità che appaiono perseguite dall’agente; infine, verificare se detti comportamenti criminosi, per le loro particolari modalità, per le circostanze in cui si sono manifestati, per lo spirito che li ha informati, per le finalità che li ha contraddistinti, possono considerarsi, valutata anche la natura dei beni aggrediti, come l’esecuzione, diluita nel tempo, del prospettato, originario unico disegno criminoso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1721 del 25 giugno 1992 (Cass. pen. n. 1721/1992)

In tema di continuazione, l’identità del disegno criminoso, prevista come condizione necessaria ed ineludibile per l’unificazione di più reati ai sensi dell’art. 81, cpv., c.p., richiede che tutte le condotte, integratrici delle diverse violazioni, siano state deliberate, almeno nelle loro componenti essenziali sin da quando si è commessa la prima violazione, perché soltanto in tal caso può escludersi una successione di risoluzioni criminose, conseguente all’improvvisa o non prevista insorgenza di sopravvenute situazioni. (Nella specie l’imputato, armatosi, si era posto alla ricerca di un pastore autore di reiterati pascoli abusivi ai suoi danni e, sorpresolo al pascolo in compagnia di un figlio, aveva esploso al loro indirizzo sei colpi di fucile, uccidendoli. Subito dopo, avendo scorto un altro piccolo figlio del pastore, che si avvicinava ai cadaveri piangendo, lo aveva afferrato per la gola e sollevato in aria, sino a quando, privo di sensi, non parve morto. La Corte di cassazione ha ritenuto corretta l’esclusione della continuazione tra il duplice omicidio e il tentato omicidio operata dal giudice di merito, il quale aveva valutato come indicativo dell’assenza di un originario programma delittuoso, idoneo a comprendere anche la soppressione del bambino, il fatto che nessun colpo di fucile fosse stato esploso al suo indirizzo). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5144 del 4 maggio 1992 (Cass. pen. n. 5144/1992)

In tema di continuazione, ai fini dell’individuazione della violazione più grave da prendere come base per il calcolo delle pene, occorre riferirsi alle valutazioni astratte compiute dal legislatore, ossia occorre aver riguardo alla pena prevista dalla legge per ciascun reato, di tal che la violazione più grave va individuata in quella punita dalla legge più severamente. Non essendovi, poi, dubbio che nel sistema del nostro codice la distinzione tra delitti e contravvenzioni è poggiata sulla ritenuta maggiore gravità dei fatti illeciti considerati quali delitti, deve ritenersi che nel concorso tra delitti e contravvenzioni violazione più grave debba esser considerata quella costituente delitto, e ciò anche nel caso in cui la contravvenzione sia punita edittalmente con una pena di maggiore quantità rispetto a quella prevista per il delitto, il discorso quantitativo servendo come integratore solo allorquando si tratti di pene di egual specie, al fine di decidere la maggior gravità dell’una o dell’altra violazione.

Una volta ritenuta la continuazione tra più reati, il trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i reati satelliti non esplica più alcuna efficacia, dovendosi solo aumentare la pena prevista per la violazione più grave, senza che rilevi la qualità della pena prevista per i reati satelliti. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 4901 del 30 aprile 1992 (Cass. pen. n. 4901/1992)

La prova dell’identità del disegno criminoso di cui all’art. 81 c.p., deve essere tanto più rigorosa quanto più distanti fra loro nel tempo sono le condotte antigiuridiche. Quando, poi, una certa attività illecita, commessa in un determinato ambito cronologico, sia stata materialmente interrotta con l’arresto, la reiterazione dell’azione criminosa, subito dopo che l’agente sia stato posto in libertà, può costituire prova della abitualità e della tendenza a delinquere dello stesso e non già del protrarsi immutato del disegno criminoso, in specie quando il soggetto agente sia un tossicodipendente che spaccia piccole quantità di droga per procurarsi direttamente la dose necessaria per il proprio fabbisogno e che, dopo il periodo di detenzione, commetta analoghe violazioni, che possono essere frutto di autonoma decisione, originata dal periodo di astinenza. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 3440 del 25 marzo 1992 (Cass. pen. n. 3440/1992)

Ai fini della configurabilità del vincolo della continuazione è necessario che le varie azioni od omissioni costitutive dei singoli episodi siano comprese, fin dal primo momento, nei loro elementi essenziali. Il riconoscimento del detto vincolo fra reati associativi e singoli delitti commessi in attuazione del programma criminoso intorno al quale è stata costituita l’associazione è quindi possibile solo quando risulti che l’agente, contestualmente alla costituzione della societas scelerum, ovvero alla propria adesione ad essa, avesse già concepito un disegno chiaro e definito dei singoli delitti immediatamente, realizzabili, nell’ambito dell’accordo associativo. (Fattispecie in cui è stata esclusa la continuazione fra associazione con finalità di terrorismo e di eversione e singoli delitti commessi in attuazione del generico programma criminoso). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 660 del 16 marzo 1992 (Cass. pen. n. 320/1992)

Deve essere esclusa la configurabilità della continuazione quando il secondo delitto risulti frutto accidentale di necessità maturatesi nel corso dell’attuazione del programma criminoso, e la continuazione non può essere riconosciuta in presenza di azioni che risultino maturate in situazioni nuove, di per sé capaci di dar luogo a distinti impulsi a delinquere. Purtuttavia esistono casi in cui l’ulteriore attività si rende necessaria proprio in conseguenza di un’azione precedente, alla quale si collega tanto strettamente da far apparire come un tutto unico inscindibile sia l’azione realizzatrice il delitto principale che quella posta successivamente in essere dal soggetto attivo nel tentativo di sottrarsi alle conseguenze di detta azione, nel tentativo di assicurarsene l’impunita sanzione. In detti casi, le violazioni ulteriori potranno bensì apparire connotate da maggiore gravità, tanto da rendere applicabile la circostanza di cui all’art. 61 n. 2 c.p., ma è innegabile che esse sono sorrette dalla medesima volontà unitaria che sorregge la violazione principale, anche nei casi in cui tale volontà sia sorta in modo improvviso, e l’agente, nell’emozione del momento, non abbia distintamente previsto quali sarebbero state le proprie mosse ulteriori, una volta raggiunto l’obiettivo avuto di mira sul momento. (Fattispecie di ritenuta continuazione tra il delitto di omicidio volontario e soppressione di cadavere). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 320 del 15 gennaio 1992 (Cass. pen. n. 320/1992)

In tema di continuazione, se l’aumento di pena per i reati in continuazione sia stato specificato in quantità correlative a ciascuno di essi ed il giudice dell’impugnazione dichiari estinto o assorbito taluno di detti reati, si ha l’automatica eliminazione delle quantità di pena, corrispondenti alle figure criminose dichiarate estinte o assorbite. Nel caso in cui il suddetto aumento sia stato fissato unitariamente, il giudice dell’impugnazione è tenuto a compiere una nuova valutazione della misura dell’aumento di pena per la continuazione. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 11408 del 14 novembre 1991 (Cass. pen. n. 11408/1991)

Anche dopo la completa espiazione delle pene inflitte, sussiste sempre l’interesse del condannato a chiedere e ottenere l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, sia al fine di imputare eventualmente ad altra condanna la pena di fatto sofferta oltre la misura complessiva rideterminata ai sensi dell’art. 671 c.p.p., sia al fine di escludere o limitare gli effetti penali delle condanne. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3286 del 28 ottobre 1991 (Cass. pen. n. 3286/1991)

In tema di disciplina sanzionatoria del concorso formale di reati e del reato continuato, mentre possono essere unificate pene di specie diversa (reclusione e arresto, multa e ammenda), poiché, per una sorta di finzione giuridica, la pena di specie meno grave viene assimilata a quella di specie più grave, non possono essere unificate pene di genere diverso (reclusione e multa, arresto e ammenda). Ne consegue che, in tutti i casi nei quali, nel computo della pena debbano rientrare pene detentive e pene pecuniarie, la pena da infliggere per il reato più grave, dev’essere aumentata con una maggiorazione per i reati meno gravi, puniti con la reclusione o l’arresto, cui va, poi, aggiunta la multa o l’ammenda, anche in misura inferiore al minimo edittale. (Fattispecie relativa a concorso di resistenza continuata e porto di coltello di genere proibito, reati per i quali il giudice di merito aveva correttamente praticato, alla pena della reclusione prevista per il delitto, un aumento «per moltiplicazione», invece di irrogare l’arresto comminato per la contravvenzione, e poi aveva aggiunto, come aumento «per addizione», l’ammenda, prevista nella pena edittale dello stesso reato contravvenzionale). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10271 del 11 ottobre 1991 (Cass. pen. n. 10271/1991)

Una volta introdotta la possibilità di applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato in sede esecutiva, deve riconoscersi al giudice dell’esecuzione il potere – dovere di rideterminazione completa delle pene in aumento — ovviamente, nel rispetto dei limiti imposti dagli artt. 81 c.p. e 671 del nuovo codice di procedura penale — in una rappresentazione globale del numero e dell’importanza di tutte le violazioni legate dal vincolo della continuazione e della rideterminazione fra esse del reato più grave, alla stregua del criterio dettato dalla disposizione di attuazione di cui all’art. 187 D.L.G. 28 luglio 1989, n. 271, superando e travolgendo così la valutazione frammentaria e parziale avvenuta in sede di cognizione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2721 del 31 luglio 1991 (Cass. pen. n. 2721/1991)

Nell’applicazione della continuazione tra reati che, a loro volta, siano continuati con altri, l’aumento va applicato sulla pena determinata in concreto per la violazione più grave fra tutti i reati che singolarmente compongono due o più gruppi di reati continuati. Non è infatti configurabile la continuazione tra i reati satelliti di un gruppo ed i reati unificati di un altro gruppo: per ragioni di ordine logico e giuridico la ritenuta identità del disegno criminoso non può non investire tutti i reati. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5580 del 27 maggio 1991 (Cass. pen. n. 354/1991)

Ai fini della configurabilità della continuazione dei reati, venuto meno con la riforma del 1974, il requisito dell’omogeneità delle violazioni, rilevanza decisiva ha acquistato l’identità del disegno criminoso, che si orienta ancora più nettamente in senso soggettivo, come ideazione, volizione di uno scopo unitario che dà senso ad un programma complessivo, nel quale si collocano le singole azioni od omissioni, di volta in volta poi commesse con singole determinazioni, sul piano volitivo. Ciò esige, che lo scopo sia sufficientemente specifico, che la rappresentazione dell’agente ricomprenda tutta la serie degli illeciti, che si inquadrano nel programma, concepito nelle sue linee generali ed essenziali, sicché una divergenza essenziale esclude l’illecito o gli illeciti dal disegno criminoso e quindi dalla continuazione; ed infine, che il programma criminoso sia prefigurato fin dalla consumazione del primo reato, che si assume rientrare nella continuazione, dei quali i singoli reati costituiscono i momenti di attuazione. L’accentuazione del ruolo del medesimo disegno criminoso, nonché il suo carattere soggettivo – psichico — da cui deriva l’esigenza di una più rigorosa prova della sua presenza — riduce l’importanza dell’elemento oggettivo, costituito dall’elemento cronologico e cioè dalla vicinanza o dalla lontananza, sul piano temporale dei diversi illeciti. L’accertamento del disegno criminoso, così individuato sul piano normativo e concettuale, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamenti di fatto. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 354 del 2 aprile 1991 (Cass. pen. n. 354/1991)

Per quanto astrattamente configurabile, l’unicità del disegno criminoso tra fatti già oggetto di sentenza irrevocabile e fatti ancora da giudicare va provata, specie quando il lasso di tempo intercorso tra di essi sia tale da far propendere a configurarli come autonome ricadute nel delitto piuttosto che come manifestazioni reiterate di un medesimo atteggiamento antidoveroso originario. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3008 del 8 marzo 1991 (Cass. pen. n. 3008/1991)

La continuazione è da escludere tra reati contravvenzionali colposi; quando però è dimostrato che le più violazioni hanno assunto tutte forma dolosa, l’istituto in questione è applicabile anche ai reati contravvenzionali. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 2702 del 1 marzo 1991 (Cass. pen. n. 1065/1991)

Deve escludersi l’applicabilità dell’istituto del reato continuato fra un reato di minore gravità deciso con sentenza irrevocabile ed altro reato più grave ancora oggetto di giudizio, perché in tal caso, allo scopo di applicare la continuazione, sarebbe necessario aprire un nuovo giudizio di merito che dovrebbe riaffrontare il tema della valutazione della gravità del reato secondo i parametri dell’art. 133 c.p. realizzando così un giudizio su fatti giudicati non solo sul piano formale, ma anche sostanziale, il che non può essere consentito sulla base del principio di cui all’art. 90 c.p.p. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1065 del 30 gennaio 1991 (Cass. pen. n. 1065/1991)

La possibilità per il giudice di merito di calcolare gli aumenti di pena, per i reati ritenuti in continuazione di quello più grave, anziché in modo unitario, in quantità correlative a ciascuno di tali reati entro il limite massimo complessivamente previsto dalla legge, costituisce per il giudice una semplice facoltà e non un obbligo dato che la legge, coerentemente alla teoria del cumulo giuridico cui essa si ispira, si riferisce ad un aumento unitario, quale che sia il numero dei reati ritenuti in continuazione e senza pregiudicare l’autonoma loro individualità a tutti gli altri effetti. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 403 del 16 gennaio 1991 (Cass. pen. n. 403/1991)

In tema di reato continuato l’espressione «la più grave delle violazioni» non può essere limitata alla sola ipotesi in cui le più violazioni lesive del medesimo bene-interesse si differenziano per il titolo del reato, ma deve comprendere tutti gli elementi, nessuno escluso che rendono una violazione più grave dell’altra. Di tal che la detta espressione deve riferirsi non solo al delitto consumato di fronte a quello tentato ma anche al reato aggravato nei confronti di quello semplice ed a quest’ultimo rispetto a quello attenuato. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 10757 del 27 luglio 1990 (Cass. pen. n. 10757/1990)

L’irrogazione di una pena o di un aumento di pena per la continuazione, in misura intermedia tra minimo e massimo implica per ciò stesso un corretto uso del potere discrezionale del giudice e, escludendo ogni abuso, non abbisogna di specifica motivazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10408 del 17 luglio 1990 (Cass. pen. n. 10408/1990)

La valutazione in ordine alla sussistenza, in relazione alle concrete fattispecie, dell’unicità del disegno criminoso è compito del giudice di merito, la cui decisione sul punto, se congruamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 10366 del 16 luglio 1990 (Cass. pen. n. 10366/1990)

Essendo essenziale connotazione del reato continuato l’esistenza di una previa programmazione nell’ambito della quale siano state previste e deliberate, sia pure in modo generico, le varie violazioni costituenti contenuto ed esplicazione di quel programma, possono in esso essere ricompresi anche i reati che siano riconducibili a circostanze prevedibili che l’agente abbia preso in considerazione quali condizioni per l’eventuale commissione di quei reati, ma non i reati d’impeto in senso proprio, che sono quelli caratterizzati dalla repentinità della decisione e dalla sua immediata esecuzione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3114 del 3 marzo 1990 (Cass. pen. n. 3114/1990)

Nel reato continuato la pena è unica e pertanto le aggravanti ed attenuanti concernenti i reati satelliti rimangono prive di efficacia perché, per l’inscindibilità dell’aumento fino al triplo per la continuazione, non è possibile stabilire le porzioni di pena che si riferiscono agli illeciti meno gravi sui quali si dovrebbero operare gli aumenti o le diminuzioni delle rispettive circostanze. Tale inefficacia, tuttavia, non riguarda l’ipotesi in cui le dette circostanze siano rilevanti ed influenti nella determinazione della durata del tempo necessario alla prescrizione, in quanto poiché in relazione a ciò la legge nulla dice se non in ordine alla decorrenza del termine della prescrizione, per il principio del favor rei il reato continuato, in tale ipotesi, va scisso e considerato come una pluralità di reati. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3921 del 17 marzo 1989 (Cass. pen. n. 3921/1989)

Nell’ipotesi di reati che prevedano pene pecuniarie proporzionali il regime della continuazione non è applicabile, sia tra loro che con altri reati. Nella specie si trattava di reati contravvenzionali speciali e di reati di diritto comune. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1310 del 5 febbraio 1986 (Cass. pen. n. 1310/1986)

L’istituto della continuazione è fondato su una finzione giuridica determinata dal favor rei, per la quale più reati concorrenti vengono considerati come unico, allo scopo di attenuare il rigore del cumulo materiale delle pene. Pertanto il giudice nell’applicare l’aumento della pena base fino al triplo, non può mai infliggere una pena in misura uguale o superiore a quella che sarebbe stata applicabile per effetto del cumulo materiale. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 464 del 21 gennaio 1982 (Cass. pen. n. 464/1982)

In tema di prescrizione la inscindibilità del reato continuato è operativa soltanto in relazione alla decorrenza del termine iniziale e non già in riferimento alla durata del tempo necessario a prescrivere, quest’ultima, invero, con riferimento ai singoli reati che compongono la continuazione e che sono da considerare come distinte ed autonome violazioni.

Nel vigente sistema normativo il reato continuato che comprende anche l’ipotesi di violazione di diverse disposizioni di legge, lungi dall’essere un reato unico, costituisce la risultante di reati plurimi aventi distinta autonomia e unificati, solo per determinati effetti giuridici, dall’elemento ideativo agli stessi comune, ossia dall’identità del disegno criminoso. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 10928 del 10 dicembre 1981 (Cass. pen. n. 10928/1981)

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