In sede esecutiva, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato e sanzionati, per effetto della diminuente ex art. 442, comma 2, terzo periodo, cod. proc. pen. – nel testo vigente sino all’aprile 2019 – con la pena di anni trenta di reclusione in sostituzione dell’ergastolo, la diminuente per il rito può essere calcolata sulla pena complessiva solo se la specie di pena resta immutata rispetto a quella applicata in sede di cognizione, mentre tale sistema di calcolo non è applicabile se comporta la sostituzione della reclusione con l’ergastolo, trovando applicazione in tal caso la regola generale sul limite dell’aumento della pena principale di cui all’art. 78 cod. pen. e non quella speciale di cui all’art. 73, secondo comma, cod. pen. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 13756 del 6 maggio 2020 (Cass. pen. n. 13756/2020)
In tema di esecuzione di concorrenti pene detentive temporanee, ai fini dell’applicazione della regola di cui all’art. 73, comma secondo, cod. pen. o del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., è legittimo il provvedimento del giudice dell’esecuzione che, nel valutare l’entità delle pene inflitte con più sentenze di condanna e l’eventuale superamento della soglia di ventiquattro anni di reclusione prevista dall’art. 73, comma secondo, cod. pen., non considera la porzione di pena estinta per effetto dell’applicazione dell’indulto. (In motivazione la Corte ha aggiunto che la non computabilità della pena oggetto di condono non costituisce effetto penale della condanna escluso dall’ambito di operatività dell’indulto ai sensi dell’art. 174 cod. pen.). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 41641 del 10 ottobre 2019 (Cass. pen. n. 41641/2019)
All’ergastolo determinato come cumulo giuridico in sostituzione di pene detentive temporanee, ai sensi dell’art. 73, comma 2, cod. pen., non si applica, nel caso di ulteriore cumulo con titoli di condanna a pena detentiva temporanea superiore ad anni cinque, l’isolamento diurno previsto dall’art. 72, comma 2, cod. pen., giacché quest’ultima disposizione, nel fare riferimento ai delitti che “importano” la pena dell’ergastolo, ha riguardo soltanto all’ergastolo come pena direttamente prevista. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 38052 del 31 luglio 2017 (Cass. pen. n. 38052/2017)
Il limite massimo di trenta anni di reclusione, previsto per il caso di concorso di reati che importano pene detentive temporanee, non si applica nella ipotesi in cui concorrano più delitti per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, valendo nella specie la regola dell’applicazione dell’ergastolo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6560 del 22 febbraio 2011 (Cass. pen. n. 6560/2011)
In tema di cumulo di pene concorrenti, nel caso in cui debba farsi luogo ad applicazione della disciplina della continuazione in sede esecutiva ex art. 671 c.p.p. con riferimento ad alcune delle pene detentive temporanee concorrenti, la riduzione di pena che ne deriva deve essere operata con riguardo al cumulo materiale ex art. 73 c.p. e non al cumulo giuridico previsto dall’art. 78 stesso codice; invero il cumulo materiale, derivante dalla somma aritmetica delle pene da espiare, comprende anche le pene unificate ex art. 71 cpv. c.p. e, come tale, precede necessariamente il cumulo giuridico ex art. 78 citato, e, dunque, il limite massimo di pena previsto da tale ultimo articolo è operante solo se il cumulo materiale prevede una pena unica superiore a trent’anni di reclusione. (Fattispecie relativa alla richiesta di un condannato volta ad ottenere la riduzione di pena, risultante dall’applicazione della continuazione ex art. 671 c.p.p., dal tetto massimo di trenta anni ex art. 78 c.p. anziché dalla somma aritmetica delle pene). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1585 del 25 maggio 1994 (Cass. pen. n. 1585/1994)
Le pene della stessa specie, concorrenti a norma dell’art. 73 c.p., si considerano pena unica ad ogni effetto giuridico. Ne consegue che non è consentita l’imputazione della parziale detenzione sofferta a quello, tra i reati concorrenti, che sia ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, in quanto l’espiazione è modalità esecutiva, e non causa di estinzione della pena, e l’unico suo effetto è la riduzione della pena ancora da espiare. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4486 del 7 gennaio 1994 (Cass. pen. n. 4486/1994)
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 73 c.p. (che prevede che quando concorrono più delitti per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, si applica l’ergastolo) sollevata sul rilievo che tale norma contrasterebbe con i principi di legalità della pena e del fine rieducativo cui la stessa deve tendere, rispettivamente garantiti, il primo, dal combinato disposto degli artt. 25, comma secondo, Cost. e 1 c.p. e, il secondo, dall’art. 27, comma terzo, Cost. Non vi è infatti contrasto con il principio di legalità in quanto la pena legale non è soltanto quella prevista per le singole fattispecie penali, bensì quella risultante dall’applicazione delle varie disposizioni di legge che attraverso meccanismi diversi — quale, tra gli altri, il cumulo giuridico di pene — incidono sul trattamento sanzionatorio. Egualmente insussistente è la violazione del disposto dell’art. 27 Cost., che si assume deriverebbe dal fatto che la comminazione della pena perpetua renderebbe impossibile la rieducazione del condannato, giacché nel nostro ordinamento non vige il principio dell’inderogabilità dell’integrale attuazione della pena, sicché anche i condannati all’ergastolo, trascorso un periodo di non molto superiore a quelli previsti per coloro che siano in espiazione delle pene temporanee di più lunga durata, hanno diritto a che, verificandosi le condizioni poste dalle norme sull’ordinamento penitenziario, si valuti se la quantità di pena già espiata abbia positivamente assolto al suo fine rieducativo, con la rinuncia, condizionata o definitiva, da parte dello Stato alla sua ulteriore pretesa punitiva. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1074 del 19 aprile 1991 (Cass. pen. n. 1074/1991)