L’art. 724 primo comma c.p. sanziona il fatto di bestemmiare con invettive e parole oltraggiose e dunque punisce non la manifestazione di un pensiero ma una manifestazione pubblica di volgarità. Ne consegue che non può ricondursi la bestemmia alla manifestazione del pensiero e alla libertà costituzionalmente garantita di tale manifestazione (sia sotto il profilo dell’art. 21 che dell’art. 19 Cost.) la quale del resto trova il suo limite proprio nel divieto delle manifestazioni contrarie al buon costume (art. 21 ultimo comma Cost.). Cass. pen. Sezioni Unite 15 luglio 1992 n. 7979
Perché agli effetti della legge penale possa ritenersi sussistere il requisito della «pubblicità» del fatto è sufficiente ai sensi dell’art. 266 quarto comma n. 2 c.p. che il fatto sia commesso oltre che in luogo pubblico o aperto al pubblico in presenza di due persone le quali possono anche essere quelle previste nell’art. 331 c.p.p. (Fattispecie relativa al reato di bestemmia in cui l’espressione oltraggiosa verso la Divinità era stata pronunciata in luogo pubblico in presenza di due militari verbalizzanti; la Cassazione ha ritenuto infondata la tesi secondo cui per integrare il requisito della «pubblicità» sarebbe necessaria la presenza di una pluralità indeterminata di persone tra le quali non dovrebbero essere compresi i verbalizzanti ed ha enunciato il principio di cui in massima). Cass. pen. Sezioni Unite 15 luglio 1992 n. 7979
Ai fini della sussistenza del reato di bestemmia di cui all’art. 724 c.p. è assolutamente necessaria – per legittimità di contestazione e per attuazione di difesa – la concreta individuazione della bestemmia medesima. (Fattispecie relativa ad annullamento di sentenza di condanna per insussistenza del fatto poiché le risultanze processuali attestavano che l’imputato aveva pronunziato pubblicamente «bestemmie» contro Dio e la Divinità ma non specificavano le parole adoperate né offrivano elementi per ricostruirle o individuarle). Cass. pen. sez. III 26 febbraio 1986 n. 1692
È luogo aperto al pubblico l’edificio scolastico in quanto ad esso è consentito l’accesso a determinate condizioni alla categoria di persone che hanno diritto ad accedere per ragioni scolastiche o di servizio o di relazione con gli uffici in esso compresi. Non è tale invece l’ufficio di presidenza della scuola in quanto ad esso non si accede se non con un permesso specifico ed individuale che può essere rifiutato per ragioni varie e in particolare per motivi inerenti al servizio scolastico. Ne consegue che colui che bestemmi nell’ufficio di presidenza non risponde del reato previsto dall’art. 724 c.p. Cass. pen. sez. III 7 dicembre 1985 n. 11738
Ai fini della sussistenza del reato di bestemmia di cui all’art. 724 c.p. è necessario che il comportamento avvenga «pubblicamente» nel senso precisato dall’art. 266 quarto comma c.p. Infatti poiché l’azione che offende il comune senso religioso consiste nella pronuncia di invettive e parole oltraggiose contro la divinità e contro simboli o persone venerate nella religione è necessario perché si verifichi l’evento oltre il requisito del luogo pubblico o aperto al pubblico anche quello della vicinanza di più persone cioè l’effettiva possibilità che la bestemmia venga percepita. (Fattispecie relativa a ritenuta insussistenza del reato perché il fatto era avvenuto in presenza del solo vigile che procedeva alla contestazione di una contravvenzione). Cass. pen. sez. VI 4 aprile 1985 n. 3076