Il fine di lucro richiesto in materia di gioco d’azzardo ricorre ogni qual volta il giocatore partecipi al gioco anche per conseguire vantaggi economicamente rilevanti e va identificato in relazione al giocatore e non all’organizzatore o gestore del gioco il quale ricava ordinariamente un utile dall’organizzazione o gestione professionale del gioco sia esso o meno d’azzardo. Cass. pen. sez. III 18 dicembre 2003 n. 48489
La tenuità della posta non esclude il fine di lucro necessario per la configurabilità del gioco d’azzardo ai sensi dell’art. 721 c.p. anche se il detto fine deve necessariamente essere interpretato come fine di trarre un guadagno economicamente apprezzabile. Pertanto il fine di lucro deve essere escluso quando la posta sia talmente tenue da indurre a ritenere non sussistente lo scopo di conseguire un guadagno economicamente apprezzabile. Tale ipotesi ricorre nel caso in cui la vincita consista nella ripetizione di qualche partita o in una consumazione che hanno notoriamente un valore del tutto irrilevante. Cass. pen. sez. III 15 giugno 1998 n. 7144
La cosiddetta «sanatoria» di cui all’art. 110 comma settimo bis R.D. n. 773 del 1931 come introdotta dall’art. 39 comma settimo bis D.L. n. 269 del 2003 e successive modiche riguardante gli apparecchi a congegno di cui alla lett. b) comma settimo R.D. cit. non si applica ai giochi d’azzardo come definiti dall’art. 721 c.p. Cass. pen. sez. III 5 dicembre 2007 n. 45229
Per la integrazione del reato di cui all’art. 110 comma 5 T.U.L.P.S. (R.D. 18 giugno 1931 n. 773 come modificato dall’art. 37 della legge 23 dicembre 2000 n. 388) utilizzo di apparecchi e congegni automatici semiautomatici ed elettronici di genere vietato in locali pubblici non è necessario l’accertamento del fine di lucro atteso che la previsione normativa prescinde da tale elemento diversamente da quanto avviene per la previsione del comma 4 dello stesso articolo 110. Cass. pen. sez. III 2 dicembre 2002 n. 40514
Ai sensi dell’art. 110 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773 come modificato dall’art. 37 della legge 23 dicembre 2000 n. 388 costituiscono apparecchi e congegni di trattenimento o abilità quelli caratterizzati dalla preponderanza dell’abilità e trattenimento rispetto all’alea da un costo della partita non superiore ad un euro da una durata della stessa non inferiore a 12 secondi da un premio a natura non direttamente economica consistente nel prolungamento o nella ripetizione della partita per non più di dieci volte; costituiscono parimenti apparecchi di abilità quelli qualificati dall’abilità sica mentale o strategica del giocatore da un costo della partita non superiore ad un euro da un premio consistente in piccola oggettistica non convertibile e di valore non superiore a dieci volte il valore della partita erogato direttamente ed immediatamente dall’apparecchio: Conseguentemente integra il reato di cui al citato art. 110 l’uso in un pubblico esercizio di apparecchi che non rispondono alle caratteristiche descritte. Cass. pen. sez. III 18 novembre 2002 n. 38647
A seguito delle modiche apportate all’art. 110 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773 dall’art. 37 della legge 23 dicembre 2000 n. 388 vanno individuate tre diverse categorie di apparecchi automatici semiautomatici ed elettronici: a) gli apparecchi o congegni per il gioco di azzardo di cui al comma quarto del citato articolo; b) gli apparecchi e congegni di trattenimento o di abilità ex comma 5; c) gli apparecchi di abilità come definiti dal comma 6 dello stesso art. 110. In particolare costituiscono apparecchi o congegni per il gioco d’azzardo quelli caratterizzati dall’alea avendo insita la scommessa o consentendo vincite puramente aleatorie e da un premio economicamente rilevante ovvero che consentono la vincita di un qualsiasi premio in danaro o in natura diverso dal prolungamento o dalla ripetizione della partita oltre le dieci volte. Cass. pen. sez. III 18 novembre 2002 n. 38647
La nozione di giuoco d’azzardo di cui all’art. 110 del Tulps (R.D. 18 giugno 1931 n. 773) come da ultimo modificato dall’art. 37 della legge 23 dicembre 2000 n. 3888 è diversa da quella prevista dall’art. 721 c.p. stante l’autonomia delle due fattispecie penali e l’assenza nell’art. 110 citato del fine di lucro previsto dalla disposizione codicistica. Cass. pen. sez. III 18 ottobre 2002 n. 35078
Con la modica dell’art. 110 Tulps (R.D. 18 giugno 1931 n. 773) operata con l’art. 37 della legge 23 dicembre 2000 n. 388 risulta introdotta una ulteriore categoria di apparecchi di abilità nei quali il giocatore può esprimere la propria abilità sica mentale o strategica con costo contenuto della partita non superiore ad un euro e la possibilità di erogare direttamente ed immediatamente dopo la conclusione della partita premi non convertibili di valore complessivo non superiore a dieci volte il costo della partita così ribadendosi l’autonomia delle nozioni di giuoco di abilità e d’azzardo della norma di cui all’art. 110 citato rispetto a quella dell’art. 721 c.p. Cass. pen. sez. III 18 ottobre 2002 n. 35078
La previsione di cui all’art. 110 del Tulps (R.D. 18 giugno 1931 n. 773 come modificato da ultimo dall’art. 37 della legge 23 dicembre 2000 n. 388 delinea una nozione autonoma degli apparecchi e congegni automatici semiautomatici ed elettronici per il giuoco d’azzardo atteso che la norma speciale è rivolta a prevenire non soltanto il giuoco d’azzardo sanzionato dal codice penale agli artt. 718 e 721 bensì qualsiasi attività di gioco che non si risolva in un mero trattenimento sia pure incentivato dalla possibilità di prolungamento o ripetizione con limiti della partita ma si connetta al possibile conseguimento di una utilità di tipo diverso così come specificamente delineata dallo stesso art. 110. Cass. pen. sez. III 18 ottobre 2002 n. 35080
In tema di gioco d’azzardo anche a seguito delle modiche introdotte dalla legge 23 dicembre 2000 n. 388 all’art. 110 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773 per la distinzione tra macchine e congegni per il gioco d’azzardo e quelli di trattenimento o di abilità il divieto stabilito dalla norma incriminatrice riguarda gli apparecchi che avendo insita la scommessa consentono di realizzare un vantaggio economico eccedente i limiti ivi previsti in quanto si richiede pur sempre l’esistenza del fine di lucro secondo la definizione di cui all’art. 721 c.p. Cass. pen. sez. III 21 novembre 2001 n. 41667
Anche gli apparecchi o congegni automatici basati sulla scommessa o sulla pura alea di cui all’art. 110 quarto comma T.U.P.S. postulano la natura lucrativa della vincita ovvero il rilevante valore economico del premio conseguibile in tal modo correlando la previsione contravvenzionale in esame e la locuzione «gioco d’azzardo» ivi contemplata ai principi codicistici stabiliti dall’art. 721 c.p. alla cui stregua coessenziale al concetto di «gioco d’azzardo» è accanto all’aleatorietà dell’esito l’esistenza di un fine di lucro. Cass. pen. sez. I 4 dicembre 1999 n. 5897
Il conquin derivato dal piantico “ramino” si bilancia tra abilità – esperienza capacità intuito tempestività delle decisioni da parte del giocatore – ed alea. Tuttavia è quest’ultima ad assumere un ruolo prevalente sia pure minimo poiché la vincita dipende in definitiva dalle carte prelevate nel c.d. “pozzo” o “pozzetto”; tale carattere è poi particolarmente evidente quando – come nella specie – le poste siano elevate (quattro milioni): è pur vero che la rilevanza delle medesime costituisce una circostanza aggravante ma tale elemento – ove esistente – esclude in punto di fatto che il gioco possa essere considerato non d’azzardo poiché rivela in modo indiscutibile la presenza dell’altro elemento di questo tipo di gioco (oltre la menzionata alea) e cioè il fine di lucro. Cass. pen. sez. III 24 novembre 1997 n. 10674