Il reato di danneggiamento di dati informatici previsto dall’art. 635 bis c.p. deve ritenersi integrato anche quando la manomissione ed alterazione dello stato di un computer sono rimediabili soltanto attraverso un intervento recuperatorio postumo comunque non reintegrativo dell’originaria configurazione dell’ambiente di lavoro. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la sussistenza del reato in un caso in cui era stato cancellato mediante l’apposito comando e dunque senza determinare la definitiva rimozione dei dati un rilevante numero di le poi recuperati grazie all’intervento di un tecnico informatico specializzato). Cass. pen. sez. V 5 marzo 2012 n. 8555
Antecedentemente all’entrata in vigore della L. 23 dicembre 1993 n. 547 (in tema di criminalità informatica) che ha introdotto in materia una speciale ipotesi criminosa la condotta consistente nella cancellazione di dati dalla memoria di un computer in modo tale da renderne necessaria la creazione di nuovi configurava un’ipotesi di danneggiamento ai sensi dell’art. 635 c.p. in quanto mediante la distruzione di un bene immateriale produceva l’effetto di rendere inservibile l’elaboratore. (Nell’affermare detto principio la Corte ha precisato che tra il delitto di cui all’art. 635 c.p. e l’analoga speciale fattispecie criminosa prevista dall’art. 9 L. n. 547/93 – che ha introdotto l’art. 635 bis c.p. sul danneggiamento di sistemi informatici e telematici – esiste un rapporto di successione di leggi nel tempo disciplinato dall’art. 2 c.p.). Cass. pen. Sezioni Unite 13 febbraio 1997 n. 1282