In tema di riduzione in schiavitù, ai fini della configurabilità del requisito dello stato di soggezione della persona offesa, rilevante per l’integrazione del reato, non è necessaria la totale privazione della libertà personale della medesima, ma soltanto una significativa compromissione della sua capacità di autodeterminazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la sussistenza del reato – rilevando come fosse irrilevante un minimo margine di autodeterminazione residuato alle vittime, cui era comunque impossibile sottrarsi al condizionamento degli imputati – in relazione alla condizione di ragazze nigeriane, anche minori d’età, totalmente private dei guadagni derivanti dall’attività di prostituzione esercitata e dei documenti necessari alla permanenza nel territorio italiano, tenute in stato di totale carenza di mezzi di sussistenza, limitate nella libertà di movimento ed intimidite da violenze e minacce). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 15662 del 21 maggio 2020 (Cass. pen. n. 15662/2020)
Il soggetto che si sia già reso responsabile della riduzione di taluno in schiavitù (art. 600 c.p.), può commettere anche il reato di cui all’art. 602 c.p., non solo nel caso in cui alieni ad altri la persona resa schiava ma anche in quello in cui ne acquisti la «proprietà esclusiva», avendo in precedenza contribuito a rendere schiava la medesima persona, senza tuttavia diventarne l’unico «proprietario». Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 21 del 7 gennaio 2003 (Cass. pen. n. 21/2003)
Non è adottabile la misura cautelare, in relazione ad una fattispecie delittuosa (nella specie, di cui all’art. 602 c.p.) che per essere in concreto punibile, ricorrendo gli estremi di cui all’art. 10, comma secondo c.p., necessita della richiesta del Ministro della giustizia, trattandosi di reato commesso all’estero da cittadini stranieri in danno di cittadina straniera. (Nell’occasione la Corte ha precisato che la richiesta ministeriale, essendo di natura politico-amministrativa, è incerta, con il conseguente rischio di ancorare la misura cautelare ad una mera eventualità di condanna). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 1015 del 10 aprile 2000 (Cass. pen. n. 1015/2000)
La Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926, rinnovata nella successiva Convenzione del 7 settembre 1956 ratificata con la legge italiana 20 dicembre 1957, n. 1304, nell’elenco delle varie situazioni considerate analoghe alla schiavitù contemplava anche situazioni di fatto e non di diritto, perché realizzabili senza alcun fatto normativo. Pertanto, condizione analoga alla schiavitù deve interpretarsi come condizione in cui sia socialmente possibile, per prassi, tradizioni, circostanze ambientali, costringere una persona al proprio esclusivo servizio. (Fattispecie relativa a ritenuta sussistenza dei reati di cui agli artt. 600 e 602 c.p. per accertata padronanza assoluta su dei bambini, acquisita mediante cessioni o rapimenti, e stato di soggezione e costrizione a rubare dei bambini medesimi). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 4852 del 4 aprile 1990 (Cass. pen. n. 4852/1990)