In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esimente del diritto di cronaca può essere riconosciuta al giornalista che riporti fedelmente le dichiarazioni, oggettivamente lesive dell’altrui reputazione, rilasciate da un personaggio pubblico nel corso di un’intervista, indipendentemente dalla veridicità e continenza delle espressioni riportate, per il prevalente interesse pubblico a conoscere il pensiero dell’intervistato in relazione alla sua notorietà, che non deve essere intesa necessariamente come sinonimo di autorevolezza “a priori”, da cui desumere l’affidabilità delle dichiarazioni, ma valutata anche in ragione della notorietà della persona offesa e delle vicende oggetto di propalazione. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 19889 del 19 maggio 2021 (Cass. pen. n. 19889/2021)
In tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini della configurabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica, che trova fondamento nell’interesse all’informazione dell’opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici o pubblici amministratori, è necessario che l’elaborazione critica non sia avulsa da un nucleo di verità e non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l’esclusione dell’esimente, sia pure nell’ampia visione convenzionale del diritto alla libertà di espressione in contesti di critica politica, nel caso di un articolo di stampa che attribuiva ad un sindaco, senza alcun appiglio oggettivo e mediante travisamento o manipolazione dei fatti storici, il sospetto di mafiosità, per la gestione familiaristica e clientelare dell’amministrazione comunale). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 31263 del 9 novembre 2020 (Cass. pen. n. 31263/2020)
In tema di cronaca giudiziaria, non integra un’ipotesi di diffamazione a mezzo della stampa la divulgazione di una notizia d’agenzia riportante l’erronea affermazione che taluno sia stato raggiunto da richiesta di rinvio a giudizio anziché da avviso di conclusione delle indagini preliminari, dal momento che, in tal caso, la divergenza tra quanto propalato e l’effettivo stato del procedimento costituisce una mera inesattezza su un elemento secondario del fatto storico, che non intacca la verità della notizia principale, secondo cui il procedimento, nella prospettiva della pubblica accusa, è approdato ad una cristallizzazione delle risultanze d’indagine funzionale alla sua progressione. (In motivazione, la Corte ha aggiunto che, diversamente, non viene meno la rilevanza penale del fatto in caso di diffusione dell’erronea notizia a termini della quale una persona è stata rinviata a giudizio, implicando questo atto il positivo vaglio della prospettazione accusatoria da parte di un giudice). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 15093 del 14 maggio 2020 (Cass. pen. n. 15093/2020)
In tema di diffamazione, il richiamo dell’imputazione all’intero testo dello scritto o dell’intervista ritenuti diffamatori, con la precisa indicazione degli estremi per la loro identificazione, comporta che l’addebito debba intendersi esteso al complessivo contenuto comunicativo, del quale non è richiesta l’integrale trascrizione, e non circoscritto alle espressioni riportate nella contestazione a titolo esemplificativo. (Fattispecie in tema di intervista radiofonica, nella quale la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di condanna che aveva valorizzato espressioni ulteriori, rispetto a quelle estrapolate dal capo di imputazione). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 34815 del 30 luglio 2019 (Cass. pen. n. 34815/2019)
L’effetto preclusivo derivante dal giudicato non si esplica nei confronti dei coimputati, neppure se concorrenti nello stesso reato, a cagione dell’autonomia di ciascun rapporto processuale. Peraltro, il giudice di legittimità ben può utilizzare gli elementi di fatto risultanti dalla sentenza irrevocabile del giudice di primo grado, correttamente introdotta negli atti processuali dalla difesa, attraverso lo strumento dell’impugnazione, così ovviando alla omissione del giudice di appello. (Fattispecie di diffamazione a mezzo stampa, nella quale la Suprema corte ha pronunciato l’annullamento senza rinvio perché il fatto non costituisce reato, ai sensi dell’art. 129, comma 2, c.p.p., nei confronti del redattore di un quotidiano, sulla scorta della sentenza irrevocabile con la quale il direttore era stato assolto dal fatto, pur se addebitato a titolo di colpa, con la stessa formula). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 12058 del 11 dicembre 1995 (Cass. pen. n. 12058/1995)
La prova del concorso del direttore di un periodico nel reato di diffamazione a mezzo stampa è desumibile da un complesso di circostanze esteriorizzate nella pubblicazione, come il contenuto dello scritto, la sua correlazione con il contesto sociale dal quale trae ispirazione, la forma della esposizione, l’evidenza e la collocazione tipografica ad esso assegnata nello stampato. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 8848 del 5 agosto 1992 (Cass. pen. n. 8848/1992)
In materia di reati di stampa la responsabilità del direttore, a titolo di colpa, per non avere impedito la commissione del reato, è ben diversa da quella a titolo di concorso, la quale ultima in tanto può sussistere in quanto siano presenti tutti gli elementi generalmente occorrenti a norma dell’art. 110 c.p., tra i quali in primo luogo il dolo. Per affermare il concorso nella diffamazione commessa dall’autore dello scritto occorre dimostrare che il direttore ha voluto la pubblicazione nell’esatta conoscenza del suo contenuto lesivo e, quindi, con la consapevolezza di aggredire la reputazione altrui. Quando invece al direttore è addebitabile solo l’omissione del controllo dovuto ci si trova in presenza della diversa fattispecie colposa di cui all’art. 57 c.p. rispetto alla quale l’eventuale diffamazione si configura come l’evento dello specifico reato previsto a carico del direttore. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 11494 del 17 agosto 1990 (Cass. pen. n. 11494/1990)
Il momento consumativo del reato di diffamazione a mezzo stampa è quello della consegna da parte dello stampatore delle prescritte copie, in adempimento dell’obbligo previsto dalla legge 2 febbraio 1939, n. 374, in quanto tale momento costituisce di per sé pubblicazione in senso tecnico dello stampato e realizza la sua prima diffusione. (In motivazione, la Suprema Corte ha precisato che notoriamente la data di copertina dei settimanali è di circa otto giorni successiva a quella di consegna delle copie d’obbligo e, quindi, di effettiva pubblicazione del periodico). Cassazione penale, Sez. Feriale, sentenza n. 11178 del 4 agosto 1990 (Cass. pen. n. 11178/1990)
Ai fini dell’applicabilità dell’amnistia al reato di diffamazione a mezzo stampa commesso dal direttore o dal vicedirettore responsabile, quando sia noto l’autore della pubblicazione, deve considerarsi «autore» il giornalista che, utilizzando la fonte della notizia, ha prodotto l’articolo e non la persona che abbia fornito le informazioni. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 13585 del 12 ottobre 1989 (Cass. pen. n. 13585/1989)
Se è vero che la responsabilità del direttore viene configurata dalla legge come un’agevolazione colposa del delitto commesso da altri, ai sensi dell’art. 57 c.p., è pur vero che il direttore del periodico possa egli stesso essere ritenuto colpevole di diffamazione vera e propria e non di omissione del controllo imposto dalla legge al direttore, quando rimanga accertato che lo stesso abbia compiuto atti diretti a ledere l’altrui reputazione ovvero abbia concorso con i suoi collaboratori, consapevolmente, a raggiungere tale evento. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4724 del 20 aprile 1978 (Cass. pen. n. 4724/1978)