Art. 584 – Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398 - aggiornato alla D. Lgs. 10 ottobre 2022, n.150)

Omicidio preterintenzionale

Articolo 584 - codice penale

Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni (43, 585, 586; 1151 c.n.).

Articolo 584 - Codice Penale

Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni (43, 585, 586; 1151 c.n.).

Tabella procedurale

Arresto: facoltativo in flagranza.381 c.p.p.
Fermo di indiziato di delitto: consentito.384 c.p.p.
Misure cautelari personali: consentite.280287 c.p.p.
Autorità giudiziaria competente: Corte di assise.5 c.p.p.
Procedibilità: d’ufficio.50 c.p.p.

 

Massime

In tema di concorso di persone nel reato di omicidio preterintenzionale, quando le aggressioni siano multiple e contestuali, nel tempo e nello spazio, ai danni di più vittime (una soltanto delle quali deceda per effetto delle percosse e/o lesioni subite), configurandosi in concreto un “fatto collettivo unitario”, il contributo rilevante ai sensi dell’art. 110 cod. pen., può consistere sia nell’agevolazione dell’aggressione contro la vittima, in ragione della superiorità numerica e della concomitante condotta dei concorrenti di neutralizzazione delle difese altrui (concorso materiale), che nel rafforzamento del proposito criminoso dell’esecutore, che si senta spalleggiato ed incoraggiato dalla concomitante azione degli altri (concorso morale); in tale situazione, il dolo dei singoli concorrenti ha ad oggetto, nella dimensione monosoggettiva, le sole percosse o lesioni, e non già la prevedibilità dell’evento letale, che nel delitto preterintenzionale non è voluto da alcuno, e, nella dimensione plurisoggettiva, la volontà di concorrere nel reato altrui, che può manifestarsi anche come intesa istantanea, o conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui, o, infine, semplice adesione all’opera di un altro che ne rimanga ignaro. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 4715 del 4 febbraio 2020 (Cass. pen. n. 4715/2020)

L’accertamento del nesso di causalità tra condotta ed evento deve essere condotto su base totalmente oggettiva, con un giudizio “ex post”, mediante il procedimento cd. di eliminazione mentale e va tenuto ben distinto rispetto alla diversa e successiva indagine sull’elemento soggettivo del reato che deve essere valutato, invece, con giudizio “ex ante”, alla stregua delle conoscenze del soggetto agente. (Fattispecie in cui l’imputato aveva colpito con più schiaffi la vittima che, nella caduta, si era fratturata le ossa nasali con conseguente ostruzione delle vie respiratorie e decesso per asfissia, in cui la Corte ha confermato la condanna per omicidio preterintenzionale, ritenendo che l’evento morte fosse oggettivamente conseguenza dell’azione e l’imprevedibilità dello stesso, collegata alle fratture nasali, dovesse essere valutata “ex ante” ai soli fini dell’elemento psicologico). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 51233 del 19 dicembre 2019 (Cass. pen. n. 51233/2019)

In tema di determinazione della pena, ai fini della valutazione della intensità del dolo non assume alcuna rilevanza la riqualificazione della condotta da omicidio doloso in omicidio preterintenzionale, in quanto la differenza tra le due ipotesi di reato attiene al fuoco ed all’oggetto del dolo e non al grado di intensità del coefficiente soggettivo delittuoso, che il giudice dovrà quindi valutare non già con riferimento alla volontà di uccidere ma a quella di percuotere o ledere. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 37855 del 12 settembre 2019 (Cass. pen. n. 37855/2019)

Il delitto di omicidio preterintenzionale può configurarsi, con riguardo all’elemento psicologico, anche quando l’agente, nel compiere una rapina, oltre ad agire con violenza su talune persone, provochi, senza volerlo, la morte di altre. (In applicazione di questo principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione del tribunale del riesame che aveva ritenuto configurabile il reato in relazione alla morte di una donna causata dalla fuga scomposta degli spettatori di una partita, nei cui confronti il ricorrente aveva spruzzato, allo scopo di rapinarli, uno spray urticante). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 13192 del 26 marzo 2019 (Cass. pen. n. 13192/2019)

La circostanza aggravante della premeditazione è compatibile con il delitto di omicidio preterintenzionale, tuttavia il giudice è tenuto a rendere specifica motivazione circa gli indicatori della stessa, al fine evitare ricadute di illogicità nella coniugazione tra l’evento non voluto e l’intensità del dolo afferente la condotta volontaria di lesioni. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di merito che si era limitata a ricondurre l’aggravante ai rapporti deteriorati tra le parti e ad un precedente alterco tra le stesse). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 50505 del 7 novembre 2018 (Cass. pen. n. 50505/2018)

Il delitto previsto dall’art. 586 cod. pen., (morte come conseguenza di altro delitto) si differenzia dall’omicidio preterintenzionale perché nel primo reato l’attività del colpevole è diretta a realizzare un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni personali, mentre nel secondo l’attività è finalizzata a realizzare un evento che, ove non si verificasse la morte, costituirebbe reato di percosse o lesioni. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione di omicidio preterintenzionale in relazione alla morte causata da un’azione violenta consistita in strattoni e spintoni nei confronti della vittima, che, a causa di tale condotta, era caduta dal pianerottolo riportando gravissime lesioni craniche, alle quali era seguito il decesso). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 23606 del 25 maggio 2018 (Cass. pen. n. 23606/2018)

L’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva né dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell’intenzione di risultato. Pertanto, la valutazione relativa alla prevedibilità dell’evento da cui dipende l’esistenza del delitto “de quo” è nella stessa legge, essendo assolutamente probabile che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità dell’imputato, per avere nel corso di una colluttazione colpito la vittima, la quale cadeva a terra e decedeva per “un accidente cardiovascolare acuto in soggetto cardiopatico”). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 791 del 8 gennaio 2013 (Cass. pen. n. 791/2013)

Ai fini dell’integrazione dell’omicidio preterintenzionale è necessario che l’autore dell’aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o ledere e che esista un rapporto di causa ed effetto tra gli atti predetti e l’evento letale, senza necessità che la serie causale che ha prodotto la morte rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o di lesioni voluto dall’agente. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha confermato l’affermazione di responsabilità, in ordine al reato di cui all’art. 584 c.p., nei confronti degli imputati che avevano sottoposto a percosse e calci la vittima, la quale nel disperato tentativo di sottrarsi all’inseguimento degli aggressori urlanti e manifestamente animati dalla volontà di sottoporla ad ulteriori atti di violenza, era precipitata da un parapetto che aveva scavalcato nella fuga). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 41017 del 19 ottobre 2012 (Cass. pen. n. 41017/2012)

L’integrazione dell’omicidio preterintenzionale richiede l’accertamento di una condotta dolosa (atti diretti a percuotere o a ledere) e di un evento (morte) legato eziologicamente a tale condotta; l’elemento soggettivo del delitto in questione va identificato nell’inosservanza del precetto di non porre in essere atti lesivi dell’altrui incolumità mentre il riferimento normativo ad “atti diretti a percuotere o a ledere” non esclude che tali atti possano essere sorretti da un dolo eventuale poiché la direzione degli atti va intesa come requisito strutturale oggettivo dell’azione comprendente anche quelli costituenti semplice tentativo (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha affermato, la responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale, nei confronti dell’imputato che, guidando un autocarro in condizioni di alterazione psichica correlata all’uso di stupefacenti, aveva investito la vittima, cagionandone la morte, ritenendo sulla base di una serie di elementi – ripartenza lenta, aumento di giri del motore, andatura a singhiozzo, l’uso dell’avvisatore acustico – che egli si era avveduto della presenza di quest’ultimo ed aveva sospinto in avanti la vittima anche a costo di toccarla con la motrice e di provocargli possibili lesioni). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 4237 del 29 gennaio 2009 (Cass. pen. n. 4237/2009)

In tema di omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.), l’elemento soggettivo è costituito, non già da dolo e responsabilità oggettiva né da dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell’intenzione di risultato. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 13673 del 14 aprile 2006 (Cass. pen. n. 13673/2006)

È configurabile il concorso di persone nell’omicidio preterintenzionale quando vi è la partecipazione materiale o morale di più soggetti attivi nell’attività diretta a percuotere o ledere una persona senza la volontà di ucciderla e vi sia un evidente rapporto di causalità tra tale attività e l’evento mortale. (Fattispecie relativa al violento pestaggio con calci, pugni ed oggetti contundenti di un soggetto, tratto in arresto e già ammanettato, da parte di numerosi agenti di polizia). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1751 del 21 gennaio 2005 (Cass. pen. n. 1751/2005)

Il delitto preterintenzionale di cui all’art. 584 c.p., come quello aggravato dall’evento di cui all’art. 586 c.p., è caratterizzato dal verificarsi di un evento non voluto, che comporta un più severo trattamento sanzionatorio; pertanto, esso è incompatibile con il tentativo e con la desistenza volontaria, che presuppongono, invece, un evento voluto, e non verificatosi, per circostanze indipendenti o, nella desistenza, per resipiscenza dell’agente, con la conseguenza che non è possibile configurare un’ipotesi di omicidio preterintenzionale tentato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 41095 del 20 ottobre 2004 (Cass. pen. n. 41095/2004)

In tema di omicidio preterintenzionale, anche la spinta volontariamente inferta, costituendo attiva applicazione di forza fisica rivolta contro un avversario, costituisce atto volto quanto meno a percuotere, per cui, quando da essa derivi, come conseguenza non voluta, ancorché imprevedibile, la morte, correttamente viene ritenuta sussistente la suddetta figura di reato. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 21056 del 5 maggio 2004 (Cass. pen. n. 21056/2004)

Ai fini della sussistenza della ipotesi criminosa dell’omicidio preterintenzionale, prevista dall’art. 584 c.p., è sufficiente che l’autore dell’aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o ledere e che esista un rapporto di causa ed effetto tra i predetti atti e l’evento morte. Infatti nell’art. 581 c.p. il termine “percuotere” non è utilizzato solo nel significato di battere, colpire o picchiare, ma anche in un significato più ampio, comprensivo di ogni violenta manomissione dell’altrui persona fisica. Anche la spinta integra un’azione violenta, estrinsecandosi in un’energia fisica, più o meno rilevante, esercitata direttamente nei confronti della persona; tale condotta, ove consapevole e volontaria, rivela la sussistenza del dolo di percosse o di lesioni, per cui, quando da essa derivi la morte, dà luogo a responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 15004 del 29 marzo 2004 (Cass. pen. n. 15004/2004)

Sussistendo il delitto di lesioni volontarie nella condotta di colui che inietta sostanza stupefacente nelle vene di un’altra persona in quanto ne determina uno stato di alterazione fisio-psichica, deve rispondere del delitto di omicidio preterintenzionale qualora come conseguenza non voluta ne determini la morte, a nulla rilevando l’eventuale consenso della vittima. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 19838 del 30 aprile 2003 (Cass. pen. n. 19838/2003)

In tema di attività medico-chirurgica, allo stato attuale della legislazione (non avendo ancora trovato attuazione la delega di cui all’art. 3 della legge 28 marzo 2001 n. 145, con la quale è stata ratificata la Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997 sui diritti dell’uomo e sulla biomedica), deve ritenersi che il medico sia sempre legittimato ad effettuare il trattamento terapeutico giudicato necessario per la salvaguardia della salute del paziente affidato alle sue cure, anche in mancanza di esplicito consenso, dovendosi invece ritenere insuperabile l’espresso, libero e consapevole rifiuto eventualmente manifestato dal medesimo paziente. In tale ultima ipotesi, qualora il medico effettui ugualmente il trattamento rifiutato, potrà profilarsi a suo carico il reato di violenza privata ma non mai – ove il trattamento comporti lesioni chirurgiche ed il paziente venga successivamente a morte – il diverso e più grave reato di omicidio preterintenzionale, non potendosi ritenere che le lesioni chirurgiche, strumentali all’intervento terapeutico, possano rientrare nelle previsioni di cui all’art. 582 c.p. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 26446 del 11 luglio 2002 (Cass. pen. n. 26446/2002)

In tema di trattamento medico-chirurgico, qualora, in assenza di urgente necessità, venga eseguita una operazione chirurgica demolitiva, senza il consenso del paziente, prestato per un intervento di dimensioni più ridotte rispetto a quello poi eseguito, che ne abbia determinato la morte, non è configurabile il reato di omicidio preterintenzionale poiché, per integrare quest’ultimo, si richiede che l’agente realizzi consapevolmente ed intenzionalmente una condotta diretta a provocare un’alterazione lesiva dell’integrità fisica della persona offesa. (Nella specie la Corte ha ritenuto che fosse correttamente configurabile il reato di omicidio colposo a carico del medico chirurgo che aveva eseguito, in assenza di ragioni di urgenza, l’asportazione di una massa tumorale e degli organi genitali pur in presenza del consenso espresso soltanto per l’asportazione di una cisti ovarica). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 28132 del 12 luglio 2001 (Cass. pen. n. 28132/2001)

Nel caso di uccisione di persona diversa da quella che si intendeva solo percuotere o ferire, si configura l’omicidio preterintenzionale. Ciò ai sensi dell’art. 82 c.p., poiché l’agente deve rispondere a titolo di dolo come se avesse commesso l’atto di lesioni in danno di persona diversa e quindi – in applicazione dell’art. 584 c.p. – è chiamato a rispondere dell’evento morte derivato dall’atto violento. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2146 del 23 febbraio 2000 (Cass. pen. n. 2146/2000)

L’ipotesi prevista dal comma 2 dell’art. 116 c.p. non è applicabile all’omicidio preterintenzionale, in quanto trattasi di una forma attenuata di concorso configurabile solo nell’ipotesi in cui il concorrente che si vuole anomalo abbia voluto un reato diverso da quello voluto dagli autori materiali e concretamente attuato. Nell’omicidio preterintenzionale, invece, l’evento mortale non è voluto da nessuno dei concorrenti; mentre tutti vogliono le lesioni o come nel caso in esame — le percosse — onde tutti devono rispondere della morte che eventualmente consegua all’aggressione voluta. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 3349 del 5 aprile 1996 (Cass. pen. n. 3349/1996)

In virtù del principio sancito dall’art. 40, cpv. c.p. può essere chiamato a rispondere di omicidio preterintenzionale il funzionario di polizia che sia assente dal luogo ove il fatto si è verificato, violando l’obbligo di impedire che la condotta degli agenti sottoposti trasmodasse in ulteriori e gravi violenze nei confronti dell’indagato. (Fattispecie ex art. 584 c.p., nella quale il dirigente della squadra mobile della questura aveva schiaffeggiato l’indagato dell’omicidio di un commissario, che era stato quindi portato in altro locale e sottoposto a violenze ed al trattamento con acqua e sale da parte degli agenti ed era deceduto per l’accidentale penetrazione nelle vie aeree del tubo per l’immissione dell’acqua). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5139 del 5 maggio 1995 (Cass. pen. n. 5139/1995)

Nell’omicidio preterintenzionale, sotto il profilo soggettivo concorrono un dato positivo ed uno negativo: la volontà di offendere (con percosse o lesioni) e la mancanza dell’intenzione di uccidere; mentre invece l’elemento psicologico che connota l’omicidio volontario è proprio l’intenzione di cagionare la morte della vittima. Quando il complesso delle circostanze non evidenzia ictu oculi l’animus necandi, per le difficoltà di riconoscere per via diretta il proposito dell’agente, sorreggono il ragionamento fatti certi che consentono di provare l’esistenza o meno di altri fatti (ignoti) attraverso un procedimento logico d’induzione. Fatti tesi ad individuare la volontà omicida sono precipuamente i mezzi usati, la direzione, l’intensità e la reiterazione dei colpi, la distanza dal bersaglio, la parte del corpo colpita, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscono l’azione cruenta. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1329 del 10 febbraio 1995 (Cass. pen. n. 1329/1995)

Il criterio distintivo tra omicidio volontario e omicidio preterintenzionale consiste nell’elemento psicologico nel senso che nell’ipotesi della preterintenzione la volontà dell’agente è diretta a percuotere o a ferire la vittima con esclusione assoluta di ogni previsione dell’evento morte, mentre nell’omicidio volontario la volontà dell’agente è quella di uccidere la vittima. Tale volontà deve ritenersi sussistente non soltanto quando l’agente abbia agito con l’intenzione di uccidere, ma anche quando egli si è rappresentato l’evento morte come conseguenza altamente probabile della sua condotta che, ciò nonostante, ha posto in essere. (Nella specie si è ritenuto corretta la decisione di merito che aveva escluso la preterintenzione e ritenuto il dolo sulla base di precise risultanze processuali, quali la micidialità dell’arma e del proiettile adoperati, la breve distanza tra sparatore e vittima, la parte del corpo attinta, il comportamento tenuto dall’imputato prima e dopo l’episodio delittuoso). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3819 del 31 marzo 1994 (Cass. pen. n. 3819/1994)

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 584 c.p., in quanto previsione normativa di un’ipotesi di responsabilità obiettiva, in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto a fattispecie che presenterebbero identica connotazione (evento non voluto posto a carico dell’agente: artt. 83, 116, 586 c.p.) e con l’art. 27, primo comma, Cost., in forza del quale l’imputazione dell’illecito penale si concreta nella rapportabilità (o riferibilità) psichica del fatto all’agente sotto il profilo minimale della prevedibilità, intesa quale capacità di prevedere le conseguenze della propria condotta e di esercitare su questa il dovuto controllo finalistico. Da un lato, infatti, non è invocabile il principio di uguaglianza, quando si pongono a raffronto situazioni come quelle richiamate dagli artt. 584, 83, 116 e 586 c.p., che sono sostanzialmente dissimili tra loro, al di là del dato formale comune dell’imputazione di un evento non voluto o non avuto di mira direttamente dall’agente. Dall’altro, poi, va considerato che la giurisprudenza configura la preterintenzione come dolo misto a colpa, i cui profili non confliggono, ma sono in linea con le pronunce nn. 364 e 1085/1988 della Corte costituzionale, in tema di personalizzazione dell’illecito penale. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2634 del 19 marzo 1993 (Cass. pen. n. 2634/1993)

Il chirurgo che, in assenza di necessità ed urgenza terapeutiche, sottopone il paziente ad un intervento operatorio di più grave entità rispetto a quello meno cruento e comunque di più lieve entità del quale lo abbia informato preventivamente e che solo sia stato da quegli consentito, commette il reato di lesioni volontarie, irrilevante essendo sotto il profilo psichico la finalità pur sempre curativa della sua condotta, sicché egli risponde del reato di omicidio preterintenzionale se da quelle lesioni derivi la morte. (Nella fattispecie la parte offesa era stata sottoposta ad intervento chirurgico di amputazione totale addominoperineale di retto, anziché a quello preventivo di asportazione transanale di un adenoma villoso benigno in completa assenza di necessità ed urgenza terapeutiche che giustificassero un tale tipo di intervento e soprattutto senza preventivamente notiziare la paziente o i suoi familiari che non erano stati interpellati in proposito né minimamente informati dall’entità e dei concreti rischi del più grave atto operatorio eseguito, sul quale non vi era stata espressa alcuna forma di consenso). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5639 del 13 maggio 1992 (Cass. pen. n. 5639/1992)

Ai fini del delitto di omicidio preterintenzionale, l’elemento psicologico consiste nell’aver voluto l’evento minore (percosse o lesioni) e non anche l’evento più grave (morte) che costituisce solo la conseguenza diretta della condotta dell’agente. (Nella fattispecie, il giudice di merito aveva ritenuto la sussistenza del dolo eventuale in considerazione della indubbia consapevolezza che l’imputato doveva avere, quale conoscente e fornitore abituale di droga della parte offesa, dello stato di salute e di tossicodipendenza della stessa e che, quindi, iniettandole nelle vene dell’eroina non poteva non essersi posto il problema dell’eventualità di conseguenze lesive anche gravi).

In materia di uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, l’art. 19 della L. 26 giugno 1990, n. 162 (successivamente trasfuso nell’art. 81 T.U. approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) prevede una speciale attenuante solo per colui che ha determinato o comunque agevolato l’uso delle predette sostanze e che debba rispondere di uno dei reati di cui agli artt. 586, 589 e 590 c.p. e non anche per chi debba rispondere del reato di omicidio preterintenzionale. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5544 del 12 maggio 1992 (Cass. pen. n. 5544/1992)

Nel caso in cui la persona uccisa sia diversa da quella che si intendeva soltanto percuotere, o ferire, l’addebito di omicidio preterintenzionale trova ragione nel fatto che, ai sensi dell’art. 82 c.p., l’agente risponde a titolo di dolo come se avesse commesso l’atto di percosse-lesioni in danno della persona diversa e quindi, ai sensi dell’art. 584 c.p., della morte derivata da tale atto di violenza. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 12330 del 13 settembre 1990 (Cass. pen. n. 12330/1990)

L’omicidio preterintenzionale si differenzia da quello previsto dall’art. 586 c.p. (morte come conseguenza di altro delitto) perché nel primo delitto l’attività del colpevole è diretta a realizzare un fatto che, ove non si verificasse la morte, costituirebbe reato di percosse o di lesione personale, mentre nel secondo delitto la detta attività deve concretare un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni personali. Nella preterintenzionalità è necessario che la lesione giuridica si riferisca allo stesso genere di interessi giuridici (es. incolumità e vita), mentre nell’ipotesi di cui all’art. 586 la morte o la lesione deve essere conseguenza di delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni. Va ancora osservato che, per aversi omicidio preterintenzionale, non è peraltro necessario che la volontà di percuotere o di ledere abbia avuto il suo esito materiale, essendo sufficiente che l’autore dell’aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o a ledere, incluso quindi anche il tentativo. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, si è ritenuta la sussistenza del reato di omicidio preterintenzionale e non del delitto di cui all’art. 586 c.p. poiché, sia volendo considerare comunque unitaria l’azione, sia volendo dar credito alla tesi difensiva del frazionamento di essa, le conclusioni non potevano mutare: nel primo caso vi era stata addirittura lesione alla gamba con il primo colpo e nel secondo caso l’interposta minaccia (secondo colpo mediante sparo in aria) sarebbe poi stata comunque seguita dall’atto diretto a percuotere e a ledere mediante l’uso della pistola come corpo contundente). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 6403 del 3 maggio 1990 (Cass. pen. n. 6403/1990)

Il delitto di omicidio preterintenzionale richiede la volontarietà delle percosse e delle lesioni, alle quali consegue la morte dell’aggredito non voluta neppure nella forma eventuale ed indiretta della previsione e del rischio. Tale elemento intenzionale è desumibile essenzialmente dalle modalità esteriori dell’azione, dalla reiterazione dei colpi, dalla vitalità delle parti del corpo della vittima attinte dall’agente. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 485 del 19 gennaio 1989 (Cass. pen. n. 485/1989)

L’omicidio preterintenzionale richiede che l’autore della aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o ledere e che esista un rapporto di causa ad effetto tra i predetti atti e l’evento letale senza la necessità che la serie causale, che ha prodotto la morte, rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o di lesioni volute dall’agente. E ciò senza prescindere, tuttavia, dall’elemento psicologico che si concreta nella volontà e previsione di un evento meno grave di quello verificatosi in concreto poiché si tratta, pur sempre, di un reato doloso in cui si introduce una componente fortuita che prescinde da ogni indagine di volontarietà, colpa o di prevedibilità dell’evento più grave. (Nella specie, dalle modalità dell’esame e dalle condizioni del rinvenimento del cadavere è stato escluso che si trattasse di omicidio preterintenzionale). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 14063 del 13 dicembre 1986 (Cass. pen. n. 14063/1986)

Nel caso di evento mortale, conseguente all’esplosione di proiettili di arma da fuoco verso terra che attingono, dopo il rimbalzo, persone successivamente decedute, il giudice, al fine di individuare la natura del reato (omicidio volontario o preterintenzionale), è tenuto a svolgere un’indagine sull’elemento psicologico dello stesso, egli, cioè, deve condurre il suo esame sulla rappresentazione da parte dell’agente dell’evento-morte come indifferente, probabile e possibile oppure come progressivo e, quindi, prevedibile rispetto a quello di lesione o minacce. A tal fine devono essere tenuti presenti l’indole del colpevole, le precedenti manifestazioni dell’animo, la causa a delinquere, la natura e la qualità dell’arma adoperata, il numero dei colpi e la prevedibilità dell’evento, per cui, secondo l’id quod plerumque accidit, il rimbalzo dei proiettili esplosi, soprattutto in una situazione di concorso di persone, avrebbe potuto raggiungere le persone stesse. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 11971 del 13 dicembre 1985 (Cass. pen. n. 11971/1985)

Il criterio distintivo tra l’omicidio preterintenzionale e quello volontario va individuato nella diversità dell’elemento psicologico. Nel primo, dove è voluto solo l’evento minore (percosse o lesioni) e non è, invece, voluto l’evento più grave (morte), che pur costituisce conseguenza diretta della condotta dell’agente, l’elemento psicologico è costituito dal dolo, riferibile all’evento minore e misto a colpa, che è in relazione all’evento maggiore. Nondimeno, se queste componenti siano insussistenti o restino comunque escluse, l’omicidio deve qualificarsi volontario se l’agente abbia voluto anche l’evento più grave; e ciò si realizza sia nel caso che l’agente se lo sia rappresentato come conseguenza diretta della propria azione od omissione (dolo diretto) sia quando se lo sia rappresentato come indifferente rispetto a quello di lesioni (dolo indiretto alternativo) ovvero anche nell’ipotesi che se lo sia configurato come probabile o opinabile e, ciononostante, abbia agito anche a costo di cagionarlo, così accettandone il rischio e, in definitiva, mostrando di volerlo cagionare (dolo indiretto eventuale). Ne consegue che l’agente, il quale nel corso di un litigio con altro individuo, aggredisca quest’ultimo, adoperando un robusto e pesante bastone e lo colpisca in maniera reiterata verso le parti vitali dell’organismo anche dopo che questo sia caduto a terra dopo i primi colpi, commette omicidio volontario e non già omicidio preterintenzionale, in quanto si è quantomeno potuta rappresentare la morte dell’avversario quale conseguenza della propria azione criminosa. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4836 del 16 maggio 1985 (Cass. pen. n. 4836/1985)

In tema di omicidio preterintenzionale, quando l’evento morte non discende, come causa clinica diretta, dall’azione materialmente posta in essere dall’agente, ma ad essa sia ricollegabile quale fattore di emergenza di un processo patologico derivante da un grave stato di malattia preesistente, è necessario che l’accusa dia rigorosa prova — e dal punto di vista storico e sul piano dei riscontri e delle valutazioni medico-legali — dall’esistenza di un rapporto, sia pure minimo, di concausalità, il quale non può essere dedotto da meri pareri tecnici di «attendibilità» o di «verosimiglianza». Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2127 del 21 agosto 1984 (Cass. pen. n. 2127/1984)

Il delitto di omicidio preterintenzionale non è assimilabile all’omicidio da aberratio delicti, ma ai delitti aggravati dall’evento. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4694 del 21 maggio 1983 (Cass. pen. n. 4694/1983)

Per la sussistenza del delitto di omicidio preterintenzionale non è necessario che la serie causale che ha provocato la morte rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o di lesioni volute dal colpevole, ma è sufficiente che esista un rapporto di causa ad effetto tra i predetti atti diretti a percuotere o ledere, sia pure allo stato di semplice tentativo, e l’evento letale. (Fattispecie in cui nel corso di una colluttazione fra due persone estrinsecatasi in atti diretti ad arrecare vicendevolmente offesa all’incolumità fisica mediante percosse, una di esse aveva riportato ferite andando a finire nella vetrina di un negozio ed era poi deceduta, dopo due interventi chirurgici, per sepsi generalizzata dovuta a cancrena polmonare, con conseguente irrilevanza, in tale situazione, dell’accertamento circa la causa per cui la detta persona aveva riportato le lesioni, cioè se per essere inciampata ovvero soltanto in conseguenza delle percosse infertegli dall’altra parte, perché sia nell’uno che nell’altro caso l’evento della morte rimane eziologicamente collegato ai sensi dell’art. 584 c.p., alla causa iniziale posta in essere dall’altro soggetto). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 3888 del 28 aprile 1983 (Cass. pen. n. 3888/1983)

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