In caso di infortunio sul lavoro riconducibile a prassi comportamentali elusive delle disposizioni antinfortunistiche, non è ascrivibile alcun rimprovero colposo al preposto di fatto, sotto il profilo dell’esigibilità del comportamento dovuto, laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza di tali prassi o che le avesse colposamente ignorate, sconfinandosi altrimenti in una inammissibile ipotesi di responsabilità oggettiva “da posizione”. (In applicazione del principio la Corte ha annullato senza rinvio, “perché il fatto non costituisce reato”, la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del capo reparto di un supermercato, preposto di fatto da soli cinque giorni, per l’infortunio subito da un dipendente a causa del mancato uso dei dispositivi di protezione). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 1096 del 13 gennaio 2021 (Cass. pen. n. 1096/2021)
In tema di lesioni personali, ai fini della configurabilità dell’aggravante prevista dall’art. 583, comma primo, n. 1 cod. pen., il concetto di “attività lavorativa ordinaria” non coincide necessariamente con quello di “capacità di attendere alle proprie occupazioni”, con la conseguenza che ben può ritenersi sussistente la predetta aggravante nell’ipotesi in cui la vittima delle lesioni, pur essendo ritenuta abile al lavoro, rimanga tuttavia impossibilitata per un maggior tempo ad esplicare la sua attività ordinaria. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva riconosciuto l’aggravante all’esito di una consulenza tecnica che aveva indicato la durata della malattia in un periodo superiore a 40 giorni, nonostante l’INPS avesse attestato un’incapacità lavorativa per soli 30 giorni). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 11727 del 9 aprile 2020 (Cass. pen. n. 11727/2020)
L’accertamento della circostanza aggravante dei futili motivi, dovendo svolgersi con metodo bifasico, richiede la duplice verifica del dato oggettivo, costituito dalla sproporzione tra il reato concretamente realizzato e il motivo che lo ha determinato e del dato soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare detta sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale. (Fattispecie relativa alle lesioni aggravate procurate alla vittima con un pugno, a seguito della spinta che l’agente asseriva di aver ricevuto nel contesto di una partita amatoriale di calcetto). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 45138 del 6 novembre 2019 (Cass. pen. n. 45138/2019)
In tema di lesioni personali aggravate ai sensi dell’art. 583 cod. pen., il giudice, ai fini della determinazione della pena, può valutare la gravità della lesione e le sue caratteristiche come elemento qualificatore della “gravità del danno” cagionato ai sensi dell’art. 133, n. 2, cod. pen., in quanto, mentre tale gravità implica una valutazione globale delle ripercussioni che l’atto lesivo ha avuto nella sfera soggettiva della persona offesa, la gravità della lesione che integra la circostanza aggravante di cui all’art. 583 cod. pen. si riferisce esclusivamente alla durata della malattia, con la conseguenza che non è configurabile alcuna lesione del principio del “ne bis in idem”. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 13313 del 22 marzo 2018 (Cass. pen. n. 13313/2018)
In tema di lesioni gravissime, la valutazione circa la sussistenza dell’aggravante dello sfregio permanente, inteso come turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso, compete al giudice di merito, chiamato ad esprimere un giudizio che non richiede speciali competenze tecniche, perché ancorato al punto di vista di un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità, e pertanto tale giudizio non risulta sindacabile in sede di legittimità. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 22685 del 10 maggio 2017 (Cass. pen. n. 22685/2017)
In tema di lesioni personali, anche una menomazione minima, purché apprezzabile, di un organo integra l’aggravante di cui all’art. 583, comma primo, n. 2, cod. pen.. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto sussistente l’aggravante in questione nella avulsione traumatica di un incisivo superiore riportata dalla persona offesa). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 4177 del 28 gennaio 2015 (Cass. pen. n. 4177/2015)
In tema di lesioni gravissime, integra lo sfregio permanente qualsiasi nocumento che, senza determinare la più grave conseguenza della deformazione, importi un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso, con effetto sgradevole o d’ilarità, anche se non di ripugnanza, secondo un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità. (In applicazione del principio,la S.C. ha ritenuto corretta la sentenza impugnata che aveva ravvisato l’aggravante in questione avendo riguardo ad una cicatrice profonda, lunga 10 cm. e tracciata sulla parte visibile del volto, dalla base del collo fino alla regione mandibolare). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 32984 del 24 luglio 2014 (Cass. pen. n. 32984/2014)
Sussiste la circostanza aggravante dell’indebolimento permanente di un organo qualora, in conseguenza del fatto lesivo, esso risulti menomato nella sua potenzialità funzionale, la quale sia ridotta rispetto allo stato anteriore, a nulla rilevando il fatto del minore o maggiore grado di menomazione. (Fattispecie di riduzione permanente del flusso aereo di una narice a seguito di lesioni al cranio e al volto). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 34012 del 6 agosto 2013 (Cass. pen. n. 34012/2013)
In tema di lesioni personali, anche una menomazione minima, purché apprezzabile di un organo integra l’aggravante di cui all’art. 583, comma primo, n. 2, c.p.. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente l’aggravante in presenza di plurime fratture dentarie da cui era derivato un indebolimento permanente dell’organo della masticazione). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 27986 del 26 giugno 2013 (Cass. pen. n. 27986/2013)
La lesione personale deve considerarsi grave se l’incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni perduri oltre il quarantesimo giorno, ivi compreso il periodo di convalescenza o quello di riposo dipendente dalla malattia. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 32687 del 11 agosto 2009 (Cass. pen. n. 32687/2009)
In tema di lesioni aggravate, il pericolo di vita di cui all’art. 583, comma primo, n. 1, c.p. — e cioè la probabilità che la morte si verifichi in un momento qualunque del corso del processo morboso — deve essere desunto secondo l’id quod plerumque accidit dai vari sintomi che accompagnano la malattia, alla luce del perturbamento prodottosi nelle fondamentali funzioni organiche del soggetto; ne deriva che, in linea di principio, l’attestazione di prognosi riservata non si identifica col pericolo di vita, sicché ove, in relazione al contenuto effettivo della certificazione, non siano espletati i dovuti accertamenti, non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 583, comma primo, n. 1, c.p. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 31134 del 31 luglio 2007 (Cass. pen. n. 31134/2007)
In materia di lesioni personali va affermato che, per la sussistenza dello sfregio permanente, non è richiesto un ripugnante sfiguramento o una sensibile modificazione delle sembianze, ma è sufficiente che ricorra una apprezzabile alterazione dei lineamenti del viso con effetto sgradevole se non proprio ripugnante. (Nella fattispecie, cicatrice verticale sul dorso del naso lunga 5 cm). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 4113 del 8 maggio 1997 (Cass. pen. n. 4113/1997)
L’aggravante dell’indebolimento permanente non ha carattere progressivo rispetto a quella relativa alla durata della malattia, potendo dalle lesioni derivare una malattia per un tempo inferiore ai quaranta giorni e comunque l’indebolimento permanente di un senso o di un organo. Pertanto, ritenere l’una, non contestata, in luogo dell’altra, contestata, implica mancanza di correlazione tra accusa e sentenza. (Nella fattispecie, era stata ritenuta l’aggravante di cui all’art. 583, comma primo, n. 1, c.p., la quale non era stata contestata, mentre era esclusa la circostanza dell’indebolimento permanente, contestata, perché considerata durata della malattia superiore ai quaranta giorni). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1067 del 31 luglio 1996 (Cass. pen. n. 1067/1996)
In tema di lesioni personali, la perdita dell’uso (art. 583, comma 2, n. 2, c.p.) per gli organi a costituenti plurimi o a funzione similare si verifica solo quando tutti gli elementi che li compongono siano perduti, mentre la perdita di una sola parte comporta effetti che variano dall’irrilevanza all’indebolimento permanente (art. 583, comma 1, n. 2, c.p.). Pertanto, la perdita di un occhio, risolvendosi nella perdita di un organo geminato (esempio rene, testicolo), configura l’aggravante dell’indebolimento permanente e non quella della perdita dell’uso di organo. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 4130 del 12 aprile 1994 (Cass. pen. n. 4130/1994)
In tema di lesioni volontarie, l’indebolimento permanente della funzione visiva non è escluso dal fatto che l’occhio abbia riacquistato completa efficienza grazie all’applicazione d’una protesi (cristallino artificiale), poiché la permanenza dell’indebolimento va riferito alla normale funzione dell’organo, prescindendo dall’uso coadiuvante di mezzi artificiali. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 9903 del 2 novembre 1993 (Cass. pen. n. 9903/1993)
In tema di applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell’imputato, per effetto dell’art. 60 della L. 24 novembre 1981, n. 689, è inapplicabile la sanzione sostitutiva per il reato di cui all’art. 590 c.p. – commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o all’igiene del lavoro – che abbia determinato le conseguenze previste dal primo comma n. 2 dell’art. 583 c.p. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 11213 del 21 novembre 1992 (Cass. pen. n. 11213/1992)
L’omessa specificazione nel capo di imputazione del grado di indebolimento di un senso o di un organo — nella specie dell’udito — riguardando un elemento non essenziale della circostanza aggravante addebitata all’imputato, non è tale da determinare un’incertezza assoluta sui fatti contestati e quindi la nullità del decreto di citazione. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 8704 del 4 agosto 1992 (Cass. pen. n. 8704/1992)
Nel reato di lesioni volontarie la previsione o la prevedibilità dell’evento integrante una delle circostanze aggravanti di cui all’art. 583 c.p. (e, conseguentemente, la valutabilità della stessa a carico dell’agente, ai sensi del disposto dell’art. 59, secondo comma, c.p.), deve ritenersi sussistere quando la condotta dell’agente (qualità del mezzo adoperato, direzione, violenza, reiterazione dei colpi) di per sé riveli l’intenzione di arrecare notevole danno. Nel caso in cui la condotta non assuma i caratteri di cui sopra, la valutazione della prevedibilità deve essere fatta da caso a caso, e, quando all’esito grave o gravissimo concorrano particolari condizioni fisiche o di salute della persona offesa, occorre tener conto, oltre che della situazione «apparente» che riveli le particolari condizioni di cui sopra, di quella prevedibile in relazione all’età, al sesso e a quant’altro nel caso specifico possa ragionevolmente essere preso in considerazione ai fini di cui sopra. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 3952 del 3 aprile 1992 (Cass. pen. n. 3952/1992)
La totale perdita della milza costituisce non già indebolimento del sistema reticolo-endoteliare, ma perdita dell’uso di un organo, che integra l’ipotesi di lesione gravissima prevista dall’art. 583, secondo comma, n. 2, c.p., e ciò perché le numerose funzioni cui assolve la milza, sebbene tutte perfettamente compensabili, non possono tuttavia ritenersi propriamente vicariate, nella loro entità globale, da singole attività svolte separatamente da organi diversi. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 10644 del 24 ottobre 1991 (Cass. pen. n. 10644/1991)
Ai fini della configurabilità del delitto di lesioni gravi, non ha rilievo che l’organo già fosse menomato, purché si verifichi un ulteriore aggravamento, che ne compromette maggiormente la funzionalità. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2782 del 2 marzo 1990 (Cass. pen. n. 2782/1990)
Anche l’avulsione di un solo dente incisivo è idonea ad integrare l’ipotesi di cui all’art. 583, prima parte, n. 2, c.p., né l’applicazione della protesi dentaria, che può solo consentire l’esercizio della funzione masticatoria, risulta idonea alla reintegrazione dell’organo. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 14768 del 2 novembre 1989 (Cass. pen. n. 14768/1989)
In tema di lesioni personali, ai fini dell’integrazione dell’aggravante ex art. 583, primo comma, n. 2 del c.p., il concetto di «apprezzabilità» del danno permanente, sia esso organico che funzionale, va definito essenzialmente sotto l’aspetto negativo, nel senso che «non apprezzabile» deve ritenersi l’indebolimento (dell’organo o della funzione) tanto lieve che non si riesca né a percepirlo né a oggettivamente (strumentalmente) valutarlo, nella irrilevanza, ai fini della sussistenza dell’aggravante, del maggiore o minore grado di indebolimento. Pertanto, il concetto di danno penalmente apprezzabile non si identifica con quello di danno indennizzabile, siccome previsto e disciplinato dalla normativa previdenziale in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, la quale (normativa) fissa limiti (alla rilevanza del danno e alla sua indennizzabilità) in relazione sia alla quantificazione della (diminuita) capacità di guadagno, sia alle deficienze finanziarie dell’ente erogatore, le quali, a loro volta, trovano riscontro nella misura delle contribuzioni versate dai soggetti assicurati e dagli altri a ciò tenuti, per contratto o per legge. Ne consegue che nell’individuazione dei criteri referenti il concetto di apprezzabilità del danno permanente, ex art. 583, comma primo, n. 2, del c.p., rimane estranea qualsiasi nozione civilistico-previdenziale concernente i limiti di rilevanza, valutabilità ed indennizzabilità. (Fattispecie di operai addetti a uno stabilimento di imbottigliamento di bevande, le cui catene di lavorazione producevano elevata rumorosità, ritenuta fattore eziologico di otopatia da traumatismo riscontrato su numerosi addetti; l’abbassamento del senso dell’udito era stato fissato, per alcuni, in misura aggirantesi sul 4/5 per cento. Poiché la normativa in materia previdenziale prevede, per il caso di otopatia professionale (art. 74 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124), la soglia di indennizzabilità in valori superiori al 10 per cento (di abbassamento uditivo), si sosteneva, a censura della decisione di merito, che al di sotto di tale limite il danno permanente da otopatia non sarebbe stato (penalmente) apprezzabile e quindi idoneo ad integrare l’aggravante contestata. La corte ha ritenuto corretto, invece, il giudizio di merito esprimendo la massima come sopra enucleata). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 4049 del 20 marzo 1989 (Cass. pen. n. 4049/1989)
In tema di malattie professionali, la contrazione della malattia denominata silicosi, ritenuta sicuramente sclerogena in conseguenza alla prolungata esposizione in ambiente di lavoro inquinato da polveri aereodiffuse contenenti particelle di quarzo, comportando una grave compromissione degli organi deputati alla funzione respiratoria, integra l’aggravante dell’indebolimento permanente di un senso o di un organo (di cui all’art. 583, primo comma, n. 2, c.p.). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 9933 del 13 ottobre 1988 (Cass. pen. n. 9933/1988)
Ai fini della contestazione delle circostanze aggravanti, mentre non è indispensabile l’indicazione delle relative disposizioni di legge, è necessario che nella formulazione dell’imputazione siano riportati gli estremi di fatto che costituiscono gli elementi circostanziali di aggravamento della fattispecie a struttura semplice, in vista della esigenza di una completa informazione dell’imputato, onde questi sia posto nella condizione di esercitare il suo diritto di difesa con riferimento ad un ben determinato campo di contestazioni e di accuse e per evitare che sia esposto alla possibilità di vedersi giudicare e condannare per un fatto del quale non abbia avuto preventiva integrale conoscenza. Alla carenza fattuale della contestazione non possono supplire né le specificazioni normative, tanto più quando non siano specificamente riferibili all’elemento circostanziale che si assume dedotto in contestazione, né la comunicazione al difensore del deposito in cancelleria della relazione di perizia medico legale, in quanto la contestazione dei dati obiettivi posti a base dell’accusa è atto riservato all’organo giudiziario ed è destinato alla persona a cui l’addebito è mosso e non al suo difensore. (Fattispecie in tema di reato contro la vita e l’integrità fisica). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5807 del 10 maggio 1988 (Cass. pen. n. 5807/1988)
La disposizione contemplante la procurata impotenza alla procreazione non era speciale rispetto a quella di cui all’art. 583, capoverso, n. 3, c.p. Ne consegue che, dopo l’abrogazione, ad opera dell’art. 22 della L. 22 maggio 1978, n. 194, dell’art. 552 c.p., l’illiceità penale della sterilizzazione volontaria (cosiddetta vasectomia) è venuta definitivamente meno né può essere affermata con riferimento al reato di lesioni gravissime non scriminabili dal consenso dell’avente diritto. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 7425 del 18 giugno 1987 (Cass. pen. n. 7425/1987)
Qualora a seguito di un’aggressione, la vittima riporti una alterazione psicopatica che è in rapporto diretto di causalità con la condotta dell’agente, questi risponde di lesioni personali aggravate se la malattia derivata da esse presenta un carattere insanabile, a nulla rilevando i preesistenti stati patologici della vittima, allorché sia accertato che il trauma ad essa inferto abbia posto in luce tale preesistente patologia. In tale ipotesi non può dirsi che l’azione criminosa sia solo occasione delle gravi conseguenze manifestatesi, ma deve ritenersene sicuro il contributo causale. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5087 del 24 aprile 1987 (Cass. pen. n. 5087/1987)
La norma di cui all’art. 583 c.p., non delinea un’autonoma figura di delitto, ma prevede delle semplici circostanze in quanto le ipotesi prese in considerazione non implicano una modificazione dell’essenza del reato di lesioni personali, ma costituiscono soltanto delle particolarità e, più precisamente, dei risultati che si aggiungono ad esso, determinandone una maggiore gravità. Ne consegue che gli elementi previsti in questa norma vanno soggetti al giudizio di comparazione previsto dal vigente art. 69 c.p., con l’ulteriore effetto, nel caso della sua equivalenza, di ritenere il reato, non solo ai fini della determinazione della pena, ma anche ai fini della prescrizione, come reato di lesioni semplici. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5696 del 17 giugno 1986 (Cass. pen. n. 5696/1986)
L’ipotesi alternativa della malattia o dell’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni, prevista dal n. 1 dell’art. 583 c.p. come idonea a far qualificare come grave la lesione personale è configurabile anche nel caso in cui il limite temporale suddetto sia superato da una sola delle due previsioni e non anche dall’altra. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 5809 del 20 giugno 1984 (Cass. pen. n. 5809/1984)
Lo sfregio permanente, contemplato nella seconda ipotesi del n. 4 del comma secondo dell’art. 583 c.p., è un qualsiasi nocumento che, senza determinare la più grave conseguenza della deformazione, importi un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso, per tale intendendosi quella parte del corpo che va dalla fronte all’estremità del mento e dall’uno all’altro orecchio. Ne deriva che, se pure non ogni alterazione della fisionomia del viso costituisce sfregio, sono certamente tali quelle alterazioni che ne turbino l’armonia con effetto sgradevole o d’ilarità, anche se non di ripugnanza; il tutto rapportato ad un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 10903 del 9 dicembre 1981 (Cass. pen. n. 10903/1981)
Agli effetti dell’aggravante prevista dall’art. 583 n. 1 c.p., non è richiesta l’incapacità assoluta di attendere alle ordinarie occupazioni, essendo sufficiente anche un’incapacità relativa e, cioè, che la persona offesa non possa attendere alle sue occupazioni senza uno sforzo inconsueto o senza pregiudizio dell’abituale tenore di vita. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 9229 del 20 ottobre 1981 (Cass. pen. n. 9229/1981)
L’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni va intesa in relazione ad ogni impiego della propria energia psico-fisica o della propria persona per un determinato scopo utile, lecito e giuridicamente apprezzabile, che, prima del fatto lesivo, caratterizzava l’abituale tenore di vita della parte offesa. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 6721 del 7 luglio 1981 (Cass. pen. n. 6721/1981)
In tema di lesione gravissima deve considerarsi perdita di un arto non solo la asportazione di esso, ma anche l’impossibilità assoluta di usarlo secondo la sua normale funzionalità. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 6821 del 7 giugno 1976 (Cass. pen. n. 6821/1976)
Ai fini della ravvisabilità della aggravante dello sfregio permanente è del tutto irrilevante la possibilità di eliminazione o di attenuazione del danno fisionomico mediante speciali trattamenti di chirurgia facciale. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 1676 del 1 dicembre 1972 (Cass. pen. n. 1676/1972)
Per «viso» si intende la parte anteriore del capo compresa tra l’impianto frontale dei capelli e la estremità del mento, parte che interessa maggiormente la venustà della persona. Non può tuttavia prescindersi — per accertare la sussistenza o meno della alterazione dell’«estetica» del viso nella quale si sostanzia la ratio della aggravante prevista dall’art. 583 comma secondo n. 4 c.p. — dal considerare anche quelle immediate zone di «contorno» che necessariamente contribuiscono alla formazione ed al completamento di detta estetica, come la regione sottomandibolare e quella latero-superiore del collo. Pertanto, quando l’esito di una lesione personale ivi esistente rifletta i suoi effetti negativi e permanenti sulla euritmia del viso, alterando sensibilmente nella sua visione di insieme l’armonia dei lineamenti, indubbiamente sussiste lo «sfregio». Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 138 del 9 febbraio 1971 (Cass. pen. n. 138/1971)