Art. 582 – Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398 - aggiornato alla D. Lgs. 10 ottobre 2022, n.150)

Lesione personale

Articolo 582 - codice penale

Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. (3)
Si procede tuttavia d’ufficio se ricorre taluna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 61, numero 11-octies), 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel primo comma, numero 1), e nel secondo comma dell’articolo 577. Si procede altresì d’ufficio se la malattia ha una durata superiore a venti giorni quando il fatto è commesso contro persona incapace, per età o per infermità. (2)

Articolo 582 - Codice Penale

Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. (3)
Si procede tuttavia d’ufficio se ricorre taluna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 61, numero 11-octies), 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel primo comma, numero 1), e nel secondo comma dell’articolo 577. Si procede altresì d’ufficio se la malattia ha una durata superiore a venti giorni quando il fatto è commesso contro persona incapace, per età o per infermità. (2)

Note

(1) Il presente articolo è stato così modificato dall’articolo unico, L. 26.01.1963, n. 24.
(2) Il presente comma prima sostituito dall’art. 91, L. 24.11.1981, n. 689, poi modificato dall’art. 6, comma 2, L. 14.08.2020, n. 113 con decorrenza dal 24.09.2020, è stato da ultimo nuovamente sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10.10.2022, n. 150 con decorrenza dal 30.12.2022.
(3) Il presente comma è stato così modificato prima dall’art. 1, L. 23.03.2016, n. 41 con decorrenza dal 25.03.2016, e poi dall’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10.10.2022, n. 150 con decorrenza dal 30.12.2022.

Tabella procedurale

Arresto: facoltativo in flagranza.381 c.p.p.
Fermo di indiziato di delitto: non consentito.
Misure cautelari personali: consentite le misure coercitive.280391381 c.p.p.
Autorità giudiziaria competente: Giudice di pace (4, lett. a, D.L.vo n. 274/2000) limitatamente alle fattispecie di cui al comma 2 perseguibili a querela di parte, ad esclusione dei fatti commessi contro uno dei soggetti elencati dall’articolo 577, secondo comma, c.p., ovvero contro il convivente; Tribunale monocratico per le aggravanti (4, D.L.vo n. 274/2000).577 c.p.
Procedibilità: d’ufficio; a querela di parte se ricorrono le condizioni di cui al secondo comma dell’art. 582 c.p.50 c.p.p.; 336 c.p.p.; 582 c.p.

Massime

In tema di lesioni personali volontarie, il dolo consiste nella coscienza e volontà di procurare una malattia o quantomeno sensazioni dolorose nel soggetto passivo, per cui la responsabilità per tale delitto discende da ogni condotta volontaria idonea a determinare le lesioni, quando sia accompagnata da intenzionalità lesiva. (Fattispecie relativa al reato di lesioni personali aggravate dall’uso di un coltello, in cui la Corte ha precisato che a nulla rileva, in presenza dell’omogeneità dell’evento realizzato rispetto a quello voluto, la diversa regione corporea attinta rispetto a quella verso la quale l’azione era inizialmente diretta). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 8004 del 1 marzo 2021 (Cass. pen. n. 8004/2021)

Non è configurabile la circostanza attenuante della provocazione, di cui all’art. 62, n. 2, cod. pen., nel caso in cui la condotta criminosa venga posta in essere quale reazione ad un fatto ingiusto altrui commesso nei confronti di un terzo non legato all’agente da rapporti personali tali da doverne assumere la difesa. (Nella specie la Corte ha escluso la circostanza attenuante per l’aggressione perpetrata in danno di un coinquilino degli imputati, rimasto acquiescente). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 7221 del 24 febbraio 2021 (Cass. pen. n. 7221/2021)

Il delitto di lesioni personali, commesso per eseguire il delitto di rapina, è procedibile d’ufficio e non a querela di parte, ricorrendo l’aggravante del nesso teleologico ai sensi del combinato disposto degli artt. 585, 576, primo comma, n. 1 e 61, primo comma, n. 2, cod. pen. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 22081 del 23 luglio 2020 (Cass. pen. n. 22081/2020)

In tema di legittima difesa, non può essere invocata la scriminante, anche nell’attuale formulazione successiva alle modifiche introdotte dalla legge 26 aprile 2019, n. 36, se il pericolo, compreso quello cui fa riferimento l’art. 52, comma quarto, cod. pen., derivante dall’intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, non sia attuale, essendo legittima la reazione rispetto ad una condotta aggressiva o minacciosa in essere o concretamente imminente. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità della scriminante in un caso in cui l’imputato, avendo visto dal balcone un soggetto prelevare alcuni utensili presenti nel cortile e lanciarli ad un complice all’esterno, era sceso e lo aveva colpito con un pugno, dovendosi escludere l’attualità del pericolo per essersi già consumato il reato di furto). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 12727 del 22 aprile 2020 (Cass. pen. n. 12727/2020)

In tema di circostanze, anche la gelosia può integrare l’aggravante prevista dall’art. 61, comma primo, n. 1, cod. pen., che giustifica un giudizio di maggiore riprovevolezza dell’azione e di più accentuata pericolosità dell’agente, per la futilità della spinta motivazionale che ha determinato a commettere il reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva ritenuto tale aggravante in relazione ad un delitto di lesioni commesso con l’investimento della vittima, rilevando che la condotta risultava del tutto sproporzionata rispetto alla spinta criminosa, individuata nella mancata accettazione della fine di una relazione sentimentale e nell’istinto di conservare un controllo sul “partner”). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 44319 del 30 ottobre 2019 (Cass. pen. n. 44319/2019)

Ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali, la nozione di malattia non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono anche mancare, bensì solo quelle da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l’aggravamento di esso ovvero una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa. (Fattispecie relativa ad aggressione consistita in una “tirata di capelli”, nella quale la Corte ha annullato con rinvio la decisione di merito che si era limitata a dar conto del referto medico che riportava, quale conseguenza a carico della vittima, “dolore in regione occipitale guaribile in giorni due”). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 33492 del 24 luglio 2019 (Cass. pen. n. 33492/2019)

È configurabile il concorso formale tra il reato di violenza privata e quello di lesioni personali volontarie, non sussistendo tra le due fattispecie un rapporto di specialità ex art. 15 cod. pen. (In motivazione la Corte ha, altresì, richiamato l’art. 581, comma secondo, cod. pen., che esclude il concorso nel solo caso in cui la condotta violenta sia sussumibile nella fattispecie di percosse e non ove ricorrano più gravi fattispecie, come quella di lesioni personali). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 9727 del 5 marzo 2019 (Cass. pen. n. 9727/2019)

L’aggravante dell’uso delle armi è configurabile con riguardo al delitto di lesioni personali tentato, poichè l’estensione al tentativo delle circostanze previste per il corrispondente delitto consumato deve essere verificato sulla base di una valutazione di compatibilità logico-giuridica, tenuto conto della tipologia dell’aggravante contestata che, nella specie, connota la pericolosità della condotta, a prescinde dal verificarsi dell’evento. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 40826 del 7 settembre 2017 (Cass. pen. n. 40826/2017)

In tema di lesioni gravissime, la valutazione circa la sussistenza dell’aggravante dello sfregio permanente, inteso come turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso, compete al giudice di merito, chiamato ad esprimere un giudizio che non richiede speciali competenze tecniche, perché ancorato al punto di vista di un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità, e pertanto tale giudizio non risulta sindacabile in sede di legittimità. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 22685 del 10 maggio 2017 (Cass. pen. n. 22685/2017)

In tema di lesioni personali, integrano la malattia di cui all’art. 582 c.p. gli effetti derivanti dal getto sul viso di gas urticante consistenti non soltanto in una irritazione cutanea prolungata, ma anche in fenomeni di nausea e conati di vomito accompagnati da senso di soffocamento, in quanto produttivi di alterazioni funzionali dell’organismo. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 46787 del 22 novembre 2013 (Cass. pen. n. 46787/2013)

In tema di tentativo, l’idoneità degli atti non va valutata con riferimento al criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, infatti l’idoneità altro non è che la possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone. Pertanto, ferire intenzionalmente la vittima con una siringa contenente sangue infetto, perché prelevato da soggetto affetto da malattia infettiva, e propagabile attraverso contatto ematico, costituisce atto idoneo a cagionare il reato di lesioni, benché l’eventualità che siffatto evento si realizzi sia molto bassa. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 30139 del 28 luglio 2011 (Cass. pen. n. 30139/2011)

Integra l’elemento psicologico del delitto di lesioni volontarie anche il dolo eventuale, ossia la mera accettazione del rischio che la manomissione fisica della persona altrui possa determinare effetti lesivi. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 35075 del 29 settembre 2010 (Cass. pen. n. 35075/2010)

Integra il reato di lesione personale dolosa la condotta del medico che sottoponga, con esito infausto, il paziente ad un trattamento chirurgico, al quale costui abbia espresso il proprio dissenso. (Fattispecie di intervento di chirurgia correttiva della vista con esito infausto, per il quale il consenso del paziente era stato carpito, prospettandogli una metodologia esecutiva non invasiva). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 21799 del 8 giugno 2010 (Cass. pen. n. 21799/2010)

Ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali (art. 582 c.p.), costituisce malattia la lesione cutanea consistente in un taglio all’avambraccio guaribile in tre giorni, in quanto anche una modesta soluzione di continuo dell’epidermide, con soffusione ematica, non può non comportare una sia pur minima, ma comunque apprezzabile compromissione locale della funzione propria dell’epidermide che non è solo quella di carattere estetico-sensoriale ma anche e soprattutto quella di protezione dell’intero organismo, in ogni sua parte, da contatti potenzialmente nocivi con agenti esterni di qualsivoglia natura. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 16271 del 26 aprile 2010 (Cass. pen. n. 16271/2010)

L’ecchimosi, consistente in una infiltrazione di sangue nel tessuto sottocutaneo, ed il trauma contusivo, che determina una, sia pur limitata, alterazione funzionale dell’organismo, sono riconducibili alla nozione di malattia ed integrano pertanto il reato di lesione personale. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10986 del 22 marzo 2010 (Cass. pen. n. 10986/2010)

Ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali l’ematoma è riconducibile alla nozione di “malattia”. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2081 del 20 gennaio 2009 (Cass. pen. n. 2081/2009)

Ricorre il delitto di lesioni, e non già quello meno grave di percosse, sia in caso di contusione escoriata che di cervicoalgia, rientrando entrambe nella nozione di «malattia » in quanto l’una consiste nella lesione sia pure superficiale del tessuto cutaneo e quindi nella patologica alterazione dell’organismo, e l’altra comporta una pur limitata alterazione funzionale del rachide cervicale non esaurendosi in una semplice sensazione di dolore. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 15420 del 11 aprile 2008 (Cass. pen. n. 15420/2008)

Non ricorre la causa di giustificazione non codificata dell’esercizio di attività sportiva allorché un calciatore colpisca l’avversario fratturandogli il setto nasale nel momento in cui l’arbitro assegni un calcio di punizione, in quanto, in tale fase, non essendo ammesso il gioco attivo di squadra, ancorché singoli giocatori possano trovarsi in movimento per organizzare il « tiro» il gioco deve ritenersi fermo e, pertanto, l’azione antidoverosa non può risultare funzionale all’attività agonistica in atto ma si palesa come una mera aggressione del tutto indipendente dalla dinamica del gioco. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 10734 del 10 marzo 2008 (Cass. pen. n. 10734/2008)

L’ecchimosi — infiltrazione di sangue nel tessuto sottocutaneo — costituisce malattia e configura pertanto una lesione personale. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 2433 del 20 gennaio 2006 (Cass. pen. n. 2433/2006)

In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva che implichi l’uso della forza fisica e il contrasto anche duro tra avversari, l’area del rischio consentito è delimitata dal rispetto delle regole tecniche del gioco, la violazione delle quali, peraltro, va valutata in concreto, con riferimento all’elemento psicologico dell’agente il cui comportamento può essere – pur nel travalicamento di quelle regole – la colposa, involontaria evoluzione dell’azione fisica legittimamente esplicata o, al contrario, la consapevole e dolosa intenzione di ledere l’avversario approfittando della circostanza del gioco. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 19473 del 23 maggio 2005 (Cass. pen. n. 19473/2005)

La diversa obiettività giuridica del reato di maltrattamenti in famiglia e di quello di lesioni personali volontarie esclude l’assorbimento del secondo nel primo, rendendoli concorrenti tra loro. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 28367 del 23 giugno 2004 (Cass. pen. n. 28367/2004)

In tema di attività medico-chirurgica, allo stato attuale della legislazione (non avendo ancora trovato attuazione la delega di cui all’art. 3 della legge 28 marzo 2001 n. 145, con la quale è stata ratificata la Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997 sui diritti dell’uomo e sulla biomedica), deve ritenersi che il medico sia sempre legittimato ad effettuare il trattamento terapeutico giudicato necessario per la salvaguardia della salute del paziente affidato alle sue cure, anche in mancanza di esplicito consenso, dovendosi invece ritenere insuperabile l’espresso, libero e consapevole rifiuto eventualmente manifestato dal medesimo paziente. In tale ultima ipotesi, qualora il medico effettui ugualmente il trattamento rifiutato, potrà profilarsi a suo carico il reato di violenza privata ma non mai – ove il trattamento comporti lesioni chirurgiche ed il paziente venga successivamente a morte – il diverso e più grave reato di omicidio preterintenzionale, non potendosi ritenere che le lesioni chirurgiche, strumentali all’intervento terapeutico, possano rientrare nelle previsioni di cui all’art. 582 c.p. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 26446 del 11 luglio 2002 (Cass. pen. n. 26446/2002)

È da escludere la configurabilità dell’omicidio preterintenzionale (in luogo dell’omicidio colposo), a carico del medico-chirurgo il quale, pur in assenza di oggettive ragioni di urgenza e travalicando i limiti del previo consenso prestato dal paziente, effettui un intervento chirurgico demolitorio da lui erroneamente ritenuto necessario e dalla cui maldestra esecuzione derivi la morte del paziente medesimo. Non può dirsi, infatti, in detta ipotesi, che fosse presente nell’agente l’elemento soggettivo del delitto di lesioni volontarie, per la cui sussistenza (trattandosi di fatto commesso nell’esercizio di attività medico chirurgica), occorre che il sanitario agisca essendo conscio che il suo intervento produrrà una non necessaria menomazione dell’integrità fisica o psichica del paziente.

Il delitto di lesioni volontarie derivanti da esercizio di attività medico-chirurgica è da escludere non solo quando il paziente abbia espresso un valido consenso, contenuto entro i limiti segnati dall’art. 5 c.c., ma anche quando il detto consenso non sia necessario, come può verificarsi in presenza di ragioni di urgenza terapeutica o in altre ipotesi previste dalla legge, le quali possono rendere configurabili cause di giustificazione diverse dal consenso dell’avente diritto, quali lo stato di necessità o l’adempimento di un dovere. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 28132 del 12 luglio 2001 (Cass. pen. n. 28132/2001)

L’esercizio di attività sportiva costituisce una causa di giustificazione, non codificata, in base alla quale per il soddisfacimento dell’interesse generale della collettività a che venga svolta attività sportiva per il potenziamento fisico della popolazione, come tale tutelato dallo Stato, è consentita l’assunzione del rischio della lesione di un interesse individuale relativo alla integrità fisica. Tale esimente presuppone in ogni caso che non sia travalicato il dovere di lealtà sportiva nel senso che devono essere rispettate le norme che disciplinano ciascuna attività e che l’atleta non deve esporre l’avversario ad un rischio superiore a quello consentito in quella determinata pratica ed accettato dal partecipante medio. In particolare, l’esercizio di attività sportiva nella forma di un incontro di esibizione-allenamento è caratterizzata da una minore carica agonistica rispetto alle competizioni vere e proprie e richiede pertanto da parte dei contendenti particolare cautela e prudenza per evitare il pregiudizio fisico dell’avversario e quindi un maggior controllo dell’ardore agonistico, della forza e velocità dei colpi, sempre in relazione alla capacità di esperienza dell’avversario e ai mezzi di protezione in concreto utilizzati. (Fattispecie relativa a lesioni personali colpose cagionate da un «calcio circolare» con cui un atleta colpiva l’avversario durante un incontro di allenamento di karate, nella quale la Suprema Corte ha rinviato al giudice di merito per l’accertamento della ricorrenza di tali condizioni). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 2765 del 25 febbraio 2000 (Cass. pen. n. 2765/2000)

Premesso che l’esercizio di attività sportiva, entro i limiti di quello che può essere definito «rischio consentito», si configura come causa di giustificazione non codificata rispetto ai fatti lesivi dell’integrità personale cui esso abbia dato luogo, deve escludersi che detta causa di giustificazione possa operare quando si violino volontariamente le regole del gioco, venendo così meno ai doveri di lealtà verso l’avversario (nel qual caso si risponderà a titolo di colpa, ove il mancato rispetto delle regole del gioco sia determinato soltanto dall’ansia del risultato), ovvero quando la gara rappresenti soltanto l’occasione della condotta volta a cagionare l’evento lesivo, come pure quando tale condotta non sia immediatamente rivolta all’azione di gioco, ma sia piuttosto diretta ad intimorire l’antagonista oppure a «punirlo» per un precedente fallo da lui commesso (ipotesi tutte, queste, nelle quali si risponderà, invece, a titolo di dolo). (Nella specie, in applicazione di tali principi, la S.C. ha ritenuto che correttamente fosse stato configurato il reato di lesioni personali volontarie a carico di un giocatore di pallacanestro il quale, in fase di c.d. «gioco fermo» — aspettandosi la rimessa in campo della palla — aveva colpito volontariamente con un pugno alla mascella un giocatore della squadra avversaria). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1951 del 21 febbraio 2000 (Cass. pen. n. 1951/2000)

La remissione tacita extraprocessuale della querela può configurarsi solamente quando il querelante abbia compiuto fatti incompatibili con la volontà di chiedere l’accertamento della responsabilità penale del colpevole in ordine a fatti penalmente rilevanti, che hanno formato oggetto dell’istanza di punizione. Tali fatti devono essere univoci sì da potersi desumere con chiarezza la indicata incompatibilità. Il carattere della univocità non è riscontrabile, in relazione a querela presentata da un coniuge nei confronti dell’altro, per i reati di lesioni personali e ingiurie, nella rinuncia «ai reciproci addebiti» nel corso della causa civile per separazione dei coniugi, in quanto la rinuncia stessa è diretta soltanto a non insistere nell’accertamento della colpa ai fini del giudizio civile. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 689 del 19 gennaio 2000 (Cass. pen. n. 689/2000)

Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concreta nelle percosse e non già quegli atti, che, esorbitando da tali limiti, siano causa di lesioni personali. In questa ultima ipotesi, l’ulteriore delitto di lesione, stante il suo carattere autonomo, concorre con quello di resistenza a pubblico ufficiale, con l’effetto che, se l’atto di violenza, con il quale l’agente ha prodotto consapevolmente le lesioni, non sia fine a sè stesso, ma venga posto in essere allo scopo di resistere al pubblico ufficiale, si realizza il presupposto per la sussistenza dell’aggravante della connessione teleologica. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 167 del 12 febbraio 1997 (Cass. pen. n. 167/1997)

Il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione, a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l’adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte. Ne deriva che non costituiscono malattia, e quindi non possono integrare il reato di lesioni personali, le alterazioni anatomiche, a cui non si accompagni una riduzione apprezzabile della funzionalità. (Nella fattispecie, in cui gli imputati, medici chirurghi, erano stati assolti dal delitto p. e p. dall’art. 590 c.p. perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, la persona offesa aveva subito un intervento chirurgico al seno da cui era derivata l’asimmetricità delle mammelle e dei capezzoli. Tali conseguenze, per i giudici dell’appello, costituivano una lesione vale a dire un’alterazione peggiorativa della preesistente condizione anatomica in cui tali asimmetrie non erano presenti, ma non integravano l’evento malattia previsto dall’art. 590 c.p., potendo esclusivamente dare luogo a responsabilità con correlativo diritto al risarcimento del danno nella competente sede civile. La Corte di cassazione, nell’affermare il principio sopra menzionato, ha osservato che, se anche il danno lamentato consisteva nell’indebolimento permanente della funzione estetica di una parte della cute, l’evento era penalmente irrilevante, poiché l’unico inestetismo cutaneo permanente di rilevanza penale è la lesione gravissima che riguarda il viso. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 10643 del 9 dicembre 1996 (Cass. pen. n. 10643/1996)

Il dolo eventuale di lesioni è configurabile in tutti i casi nei quali un soggetto privi della libertà un’altra persona, poiché egli accetta il rischio che quest’ultima, per sottrarsi al suo stato, possa riportare danno. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso gli imputati, in concorso tra loro, non arrestando la corsa del taxi in movimento, a bordo del quale ritenevano, per fine di libidine e contro la sua volontà, una donna cagionavano alla stessa, gettatasi dall’auto, autolesioni personali). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 8907 del 4 ottobre 1996 (Cass. pen. n. 8907/1996)

Per la sussistenza del dolo nel delitto di lesioni personali, non è necessario che la volontà dell’agente sia diretta alla produzione di conseguenze lesive, essendo sufficiente l’intenzione di infliggere all’altrui persona una violenza fisica; basta, quindi, il dolo generico che deve reputarsi sussistente — sia pure nella forma eventuale — anche in ipotesi di azione commessa ioci causa allorché l’agente abbia previsto come probabile (e quindi ne abbia accettata la verificazione concreta) l’evento lesivo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6773 del 4 luglio 1996 (Cass. pen. n. 6773/1996)

La premeditazione va esclusa quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, tale cioè da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione. (Fattispecie di lesioni volontarie gravi, nella quale la determinazione delittuosa è insorta in maniera repentina ed estemporanea, a seguito del casuale incrociarsi di notte delle autovetture dell’aggressore e della vittima, tra i quali esistevano ragioni di contrasto, nonché del successivo arresto e scatenarsi dell’aggressione). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1357 del 7 febbraio 1996 (Cass. pen. n. 1357/1996)

In materia di lesioni personali, quando vi è volontà di sottoporre la persona a una violenza fisica, l’intenzione scherzosa non incide sulla volontarietà del gesto e le lesioni conseguenti non possono essere ritenute colpose. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 202 del 13 gennaio 1995 (Cass. pen. n. 202/1995)

In relazione ad un’attività sportiva, come il gioco del calcetto, al cui contenuto regolamentare è estranea la violenza fisica, l’illecito sportivo è configurabile quando la condotta lesiva, quale il diretto controllo e il tiro del pallone, il tentativo di impossessarsene e di contenderlo all’avversario e la corsa per introdursi nell’azione, in attesa di ricevere il pallone in possesso di altri giocatori, si inserisca finalisticamente nel contesto dell’attività agonistica. L’illecito sportivo non si raffigura, invece, quando lo svolgimento della gara è solo l’occasione dell’azione volta a cagionare lesioni, sorretta dalla volontà di compiere un atto di violenza fisica, in realtà avulso dalle esigenze di svolgimento della gara stessa. (Fattispecie nella quale le lesioni sono state prodotte con un calcio sferrato da un giocatore mentre veniva effettuata una rimessa in campo da un avversario, e cioè in una fase in cui il gioco non era in via di svolgimento). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5589 del 12 maggio 1993 (Cass. pen. n. 5589/1993)

In base al principio della verità naturale, il giudice, ai fini dell’accertamento dei fatti, può attingere la prova in qualsiasi modo che non sia specificamente precluso, sicché ben può — prescindendo dalla perizia medico legale — ricorrere alla utilizzazione di altre fonti di prova a sostegno del suo convincimento. La perizia, infatti, non può essere considerata come esclusivo mezzo di prova per l’accertamento di fatti lesivi quando possa prescindersi dal ricorso ad indagini richiedenti particolari cognizioni tecniche. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che un graffio, una scalfittura sono eventi lesivi rilevabili anche da chi non possegga particolari cognizioni scientifiche e la loro descrizione, fatta anche da un profano, è sufficiente per il giudice come fondamento di un giudizio di responsabilità quando l’imputazione abbia ad oggetto il reato di lesioni lievi, di cui al capoverso dell’art. 582 c.p.). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 839 del 1 febbraio 1993 (Cass. pen. n. 839/1993)

Ai fini dell’applicabilità dell’amnistia di cui al D.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, l’art. 4 lett. d) di tale decreto prescrive che si deve tener conto della circostanza attenuante ex art. 98 c.p. nonché, nei reati «contro il patrimonio», delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62 nn. 4 e 6 stesso codice. Pertanto, nel caso di reato «contro la persona» — nella specie lesioni aggravate ex artt. 582, 576 primo comma n. 1 e 61 n. 2 c.p. — non è possibile tener conto dell’attenuante concessa ex art. 62 n. 6 e, conseguentemente, applicare l’amnistia. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 6524 del 16 settembre 1992 (Cass. pen. n. 6524/1992)

Il chirurgo che, in assenza di necessità ed urgenza terapeutiche, sottopone il paziente ad un intervento operatorio di più grave entità rispetto a quello meno cruento e comunque di più lieve entità del quale lo abbia informato preventivamente e che solo sia stato da quegli consentito, commette il reato di lesioni volontarie, irrilevante essendo sotto il profilo psichico la finalità pur sempre curativa della sua condotta, sicché egli risponde del reato di omicidio preterintenzionale se da quelle lesioni derivi la morte. (Nella fattispecie la parte offesa era stata sottoposta ad intervento chirurgico di amputazione totale addominoperineale di retto, anziché a quello preventivo di asportazione transanale di un adenoma villoso benigno in completa assenza di necessità ed urgenza terapeutiche che giustificassero un tale tipo di intervento e soprattutto senza preventivamente notiziare la paziente o i suoi familiari che non erano stati interpellati in proposito né minimamente informati dall’entità e dei concreti rischi del più grave atto operatorio eseguito, sul quale non vi era stata espressa alcuna forma di consenso). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5639 del 13 maggio 1992 (Cass. pen. n. 5639/1992)

Il delitto di cui all’art. 582 c.p. può essere commesso con qualunque mezzo idoneo e, quindi, anche introducendo nelle vene di altra persona sostanze stupefacenti mediante iniezione, in quanto lo stupefacente stesso, così iniettato, provoca un’alterazione dello stato fisico e psichico. Ne consegue che deve rispondere di omicidio preterintenzionale e non già di omicidio colposo colui che inietti ad una persona per via endovena dell’eroina cagionandone la morte, a nulla, peraltro, rilevando il consenso a farsi iniettare la droga. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5544 del 12 maggio 1992 (Cass. pen. n. 5544/1992)

Nei reati la cui procedibilità a querela di parte dipende dal mancato raggiungimento di determinati limiti nella progressione dell’evento e/o dell’assenza di particolari circostanze, il tentativo — in mancanza di specifica normativa — non può che adeguarsi alle regole che disciplinano la procedibilità dell’omologo reato consumato e, quindi, a tal fine si deve tenere conto della eventuale già intervenuta realizzazione di quelle specifiche circostanze e dell’evento che si sarebbe prevedibilmente verificato ove fosse andata a termine l’azione dell’autore, con riferimento al caso concreto, cioè considerando non solo la condotta del medesimo autore ma anche i mezzi impiegati ed ogni altra circostanza di tempo, di luogo e di persona che avrebbero potuto concretamente, secondo il criterio dell’id quod plerunque accidit, avere una incidenza sulla misura o sulla specie dell’evento. Pertanto, nel delitto di lesioni volontarie, che è perseguibile a querela di parte ove il termine di guarigione non superi i venti giorni ed ove non ricorrano le circostanze indicate nell’art. 582 cpv. c.p., la procedibilità del tentativo rimane condizionata alla proposizione della querela della persona offesa solo se, con giudizio fondato sulle prevedibili conseguenze, in concreto valutate, e tenuto conto dei mezzi adoperati nonché di ogni altra utile circostanza, sia da ritenere che ove fosse stato raggiunto l’effetto mirato dell’agente, ne sarebbero conseguite lesioni di durata non superiore a venti giorni e sempreché non sia stata realizzata alcuna delle circostanze aggravanti previste dal citato capoverso dell’art. 582 c.p. Ove un concreto prognostico superi i 20 giorni, il delitto tentato è perseguibile di ufficio. Nei casi incerti, il principio per cui in dubio pro reo rende il tentativo di lesioni, delle quali non è possibile ipotizzare in concreto prognosi sui termini di guarigione, reato procedibile a querela. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10258 del 19 ottobre 1988 (Cass. pen. n. 10258/1988)

In ordine al reato di lesioni volontarie il dolo consiste nella cosciente volontà del fatto e, inoltre, nella volontà dell’evento giuridico e cioè dell’offesa dell’interesse tutelato dalla norma, e poiché tale risultato si considera voluto non solo quando si sia concretato nel punto di mira dell’attività del soggetto, ma anche quando è stato previsto, e nel tempo stesso accettato per la eventualità del suo verificarsi, il dolo del delitto in esame sussiste tutte le volte che l’agente ha previsto che il suo comportamento avrebbe potuto determinare un’offesa alla integrità personale del soggetto passivo ed ha agito al fine o a costo di cagionarla. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3329 del 14 marzo 1988 (Cass. pen. n. 3329/1988)

Ai fini della diversa definizione del fatto materiale nel reato di tentata lesione personale e in quello di tentato omicidio – così come avviene in genere per tutti i casi di reato progressivo – deve aversi riguardo sia al diverso atteggiamento psicologico dell’agente, sia alla differente potenzialità dell’azione lesiva. Nel primo reato l’azione esaurisce la sua carica offensiva nell’evento prodotto, mentre nel secondo vi si aggiunge un quid pluris che, andando al di là dell’evento realizzato, tende ed è idoneo a causarne uno più grave in danno dello stesso bene giuridico o di un bene giuridico superiore, riguardanti il medesimo soggetto passivo, non riuscendo tuttavia a cagionarlo per ragioni estranee alla volontà dell’agente. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1950 del 15 febbraio 1988 (Cass. pen. n. 1950/1988)

L’azione violenta diretta a ledere l’integrità fisica della vittima non comporta la lesione della sua sfera psichica, annullandone la capacità di autodeterminazione. Diversamente, l’inevitabile costrizione a subire l’azione violenta insita nella consumazione del reato di lesioni volontarie comporterebbe necessariamente e sempre la configurazione, oltre che del reato di cui all’art. 582 c.p., anche di quella del reato di violenza privata, pur se l’azione aggressiva non fosse rivolta contro la sfera della libertà psichica dell’aggredito.

Non sussiste l’ipotesi delittuosa di sequestro di persona quando la materialità del fatto si esaurisca nell’estrinsecazione del comportamento violento, integrante lesioni personali, poste in essere dall’imputato. Infatti, anche se una durata minima della privazione della libertà di movimento non esclude la configurabilità del reato di sequestro di persona, il concetto stesso di questo delitto implica pur sempre una durata apprezzabile che va al di là della subitaneità, della fulmineità di un singolo atto. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1367 del 6 febbraio 1987 (Cass. pen. n. 1367/1987)

Il delitto di lesioni personali volontarie non può ritenersi assorbito in quello di maltrattamenti in famiglia, trattandosi di illeciti che concorrono materialmente tra loro per la diversa obiettività giuridica. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12936 del 19 novembre 1986 (Cass. pen. n. 12936/1986)

Cagionare una lesione non ha necessariamente un significato circoscritto all’azione di picchiare, colpire, ma ha un’accezione più lata e comprensiva di qualsiasi violenta manomissione fisica dell’altrui persona. Conseguentemente anche un urto o una spinta intenzionale, che determini una caduta con effetti lesivi, integrano il reato di cui all’art. 582 c.p. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 12867 del 18 novembre 1986 (Cass. pen. n. 12867/1986)

I reati di percosse e di lesioni personali volontarie hanno in comune l’elemento soggettivo, che consiste nella volontà di colpire taluno con violenza fisica. L’unica differenza tra i due reati va ravvisata nelle conseguenze che la violenza produce. Infatti, il primo è caratterizzato dalla condizione negativa, per cui la violenza non abbia cagionato, al di fuori di un’eventuale sensazione dolosa, effetti patologici costituenti malattia e cioè non si siano prodotte alterazione organiche o funzionali sia pure di modesta entità. Pertanto, nel caso in cui, a seguito delle percosse subite, la vittima riporta un trauma contusivo, che determini un’alterazione delle normali funzioni fisiologiche dell’organismo della parte lesa, da richiedere un processo terapeutico con specifici mezzi di cura e appropriate prescrizioni mediche, si configura il delitto di lesioni volontarie. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7388 del 23 luglio 1985 (Cass. pen. n. 7388/1985)

Nel reato di lesioni personali volontarie la sussistenza del dolo non può essere negata quante volte l’autore del reato abbia previsto che il suo comportamento avrebbe potuto determinare un pregiudizio all’integrità personale del soggetto passivo ed abbia ciò nonostante agito anche a costo di cagionarlo. Deve escludersi qualsiasi differenza tra il dolo delle percosse e il dolo delle lesioni personali volontarie, distinguendosi i due reati solo per l’elemento oggettivo e cioè per la presenza di una malattia nella fattispecie delle lesioni. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 9448 del 11 novembre 1983 (Cass. pen. n. 9448/1983)

Nel delitto di lesioni personali volontarie l’elemento psicologico consiste nella volontà consapevole di attentare all’incolumità fisica altrui. E poiché l’atto di violenza fisica può avere, secondo le circostanze, effetti più o meno gravi, quando si accerti tale volontà l’agente risponde a titolo di dolo e non di colpa delle conseguenze lesive che ne derivano, le quali ricollegandosi all’iniziale atto di violenza, ne rappresentano un normale e prevedibile sviluppo. (Fattispecie in tema di lesioni personali conseguenti a un pugno. La Cassazione ha ritenuto esatta la tesi del giudice di merito secondo cui è irrilevante che l’agente non volesse in realtà cagionare alla persona offesa le lesioni da questa subite, essendo estranea al nostro ordinamento giuridico la figura delle lesioni preterintenzionali). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 11781 del 7 dicembre 1982 (Cass. pen. n. 11781/1982)

Nel caso di delitto tentato di lesione personale bisogna far riferimento al comma primo dell’art. 582 c.p. che disciplina l’ipotesi tipica del delitto di lesioni consumato, non potendo trovare applicazione il disposto del capoverso della suddetta norma, per difetto dei presupposti ivi richiesti. Ne consegue che il tentativo di lesione personale è perseguibile di ufficio. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 969 del 19 ottobre 1970 (Cass. pen. n. 969/1970)

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