Art. 577 – Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398 - aggiornato alla D. Lgs. 10 ottobre 2022, n.150)

Altre circostanze aggravanti. Ergastolo

Articolo 577 - codice penale

(1) (2) Si applica la pena dell’ergastolo se il fatto preveduto dall’articolo 575 è commesso:
1) contro l’ascendente o il discendente anche per effetto di adozione di minorenne (3) o contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l’altra parte dell’unione civile o contro la persona stabilmente convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva (540; 75 c.c.) (4) (5);
2) col mezzo di sostanze venefiche, ovvero con un altro mezzo insidioso;
3) con premeditazione;
4) col concorso di taluna delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell’articolo 61.
La pena è della reclusione da ventiquattro a trenta anni, se il fatto è commesso contro il coniuge divorziato, l’altra parte dell’unione civile, ove cessata (6), la persona legata al colpevole da stabile convivenza o relazione affettiva, ove cessate, (7) il fratello o la sorella (540), l’adottante o l’adottato nei casi regolati dal titolo VIII del libro primo del codice civile, (8) il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo (291 c.c.) o contro un affine in linea retta (582; 78 c.c.).
Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 62, numero 1, 89, 98 e 114, concorrenti con le circostanze aggravanti di cui al primo comma, numero 1, e al secondo comma, non possono essere ritenute prevalenti rispetto a queste (9).

Articolo 577 - Codice Penale

(1) (2) Si applica la pena dell’ergastolo se il fatto preveduto dall’articolo 575 è commesso:
1) contro l’ascendente o il discendente anche per effetto di adozione di minorenne (3) o contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l’altra parte dell’unione civile o contro la persona stabilmente convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva (540; 75 c.c.) (4) (5);
2) col mezzo di sostanze venefiche, ovvero con un altro mezzo insidioso;
3) con premeditazione;
4) col concorso di taluna delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell’articolo 61.
La pena è della reclusione da ventiquattro a trenta anni, se il fatto è commesso contro il coniuge divorziato, l’altra parte dell’unione civile, ove cessata (6), la persona legata al colpevole da stabile convivenza o relazione affettiva, ove cessate, (7) il fratello o la sorella (540), l’adottante o l’adottato nei casi regolati dal titolo VIII del libro primo del codice civile, (8) il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo (291 c.c.) o contro un affine in linea retta (582; 78 c.c.).
Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 62, numero 1, 89, 98 e 114, concorrenti con le circostanze aggravanti di cui al primo comma, numero 1, e al secondo comma, non possono essere ritenute prevalenti rispetto a queste (9).

Note

(1) A norma dell’art. 1, comma 1 quinquies, della L. 27 luglio 2011, n. 125, così come inserito dall’art. 7, comma 1, della L. 11 gennaio 2018, n. 4, quando pronuncia sentenza di condanna per il delitto di omicidio, aggravato ai sensi dell’articolo 577, primo comma, numero 1), e secondo comma, del codice penale, il giudice condanna al pagamento, in favore dei soggetti di cui al comma 1 ter, di una somma di denaro pari a quanto percepito dal condannato, a titolo di indennità una tantum ovvero a titolo di pensione di reversibilità o indiretta, sino alla data della sospensione di cui al comma 1 bis.
(2) A norma dell’art. 13, comma 1, della L. 11 gennaio 2018, n. 4, i figli della vittima del reato di cui all’articolo 575, aggravato ai sensi di questo articolo, primo comma, numero 1), e secondo comma, c.p., possono chiedere la modificazione del proprio cognome, ove coincidente con quello del genitore condannato in via definitiva.
(3) Le parole: «anche per effetto di adozione di minorenne» sono state inserite dall’art. 11, comma 1, lett. a), della L. 19 luglio 2019, n. 69.
(4) Le parole: «o contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l’altra parte dell’unione civile o contro la persona legata al colpevole da relazione affettiva e con esso stabilmente convivente» sono state aggiunte dall’art. 2, comma 1, lett. a), della L. 11 gennaio 2018, n. 4.
(5) Le parole: «o contro la persona legata al colpevole da relazione affettiva e con esso stabilmente convivente» sono state così sostituite dalle attuali: «o contro la persona stabilmente convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva» dall’art. 11, comma 1, lett. a), della L. 19 luglio 2019, n. 69.
(6) Le parole: «divorziato, l’altra parte dell’unione civile, ove cessata» sono state inserite dall’art. 2, comma 1, lett. b), della L. 11 gennaio 2018, n. 4.
(7) Le parole: «la persona legata al colpevole da stabile convivenza o relazione affettiva, ove cessate,» sono state inserite dall’art. 11, comma 1, lett. b), della L. 19 luglio 2019, n. 69.
(8) Le parole: «l’adottante o l’adottato nei casi regolati dal titolo VIII del libro primo del codice civile,» sono state inserite dall’art. 11, comma 1, lett. b), della L. 19 luglio 2019, n. 69.
(9) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 11, comma 1, lett. c), della L. 19 luglio 2019, n. 69.

Tabella procedurale

Arresto: obbligatorio in flagranza.380 c.p.p.
Fermo di indiziato di delitto: consentito.384 c.p.p.
Misure cautelari personali: consentite.280287 c.p.p.
Autorità giudiziaria competente: Corte di assise; nel caso di tentato omicidio, Tribunale collegiale.5 c.p.p.; 33 bis c.p.p.
Procedibilità: d’ufficio.50 c.p.p.

Massime

La somministrazione di sostanza stupefacente ad un soggetto inconsapevole o non consenziente non configura il reato di cui all’art. 73, d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309, trattandosi di condotta non indicata tra quelle espressamente elencate dalla norma, né tale comportamento può ritenersi coincidente con l’offerta, che presuppone la manifestazione palese del prodotto al destinatario, o con la consegna, che richiede il coinvolgimento dell’”accipiens” nella ricezione del bene. (Nella specie, la Corte ha ritenuto tale condotta assorbita nell’aggravante di cui all’art. 577, comma primo, n. 2 cod. pen. in relazione agli artt. 582 e 585 cod. pen.). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 11734 del 29 marzo 2021 (Cass. pen. n. 11734/2021)

In tema di successione di leggi nel tempo, il trasferimento della competenza per materia dal giudice di pace al tribunale monocratico comporta una modifica “in peius” del trattamento sanzionatorio, ove determini l’applicazione delle sanzioni detentive in luogo delle più favorevoli sanzioni pecuniarie previste dall’art. 52 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, che non può operare retroattivamente. (Fattispecie in tema di reato di percosse ai danni del coniuge divorziato, del convivente o di uno dei soggetti indicati dall’art. 577, comma secondo, cod. pen., al quale continuano ad applicarsi le sanzioni previste per il processo innanzi al giudice di pace, qualora il fatto sia stato commesso prima dell’entrata in vigore della legge 15 ottobre del 2013, n. 119, che ha riassegnato la competenza al tribunale). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 13708 del 6 maggio 2020 (Cass. pen. n. 13708/2020)

In tema di omicidio, ai fini della configurabilità dell’aggravante della premeditazione, in presenza di un ristretto arco temporale tra l’insorgenza del proposito delittuoso e la sua attuazione, spetta al giudice il compito di valutare se, alla luce dei mezzi impiegati e delle modalità della condotta, tale lasso di tempo sia stato sufficiente a far riflettere l’agente sulla grave decisione adottata e a consentire l’attivazione di motivi inibitori di quelli a delinquere. (In applicazione del principio la Corte ha escluso la configurabilità dell’aggravante in relazione all’omicidio consumato in un contesto di atti persecutori e al termine di un serrato susseguirsi di contatti tra la vittima ed il reo, culminati con l’insorgenza del proposito omicidiario, collocata con certezza solo un’ora prima della consumazione del delitto, spazio temporale ritenuto dalla Corte sintomatico di sola preordinazione del reato). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 574 del 10 gennaio 2020 (Cass. pen. n. 574/2020)

Elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica), dovendosi escludere la suddetta aggravante solo quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, tale cioè da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione del reato. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 42576 del 22 ottobre 2015 (Cass. pen. n. 42576/2015)

Non osta alla configurabilità dell’aggravante della premeditazione il fatto che il soggetto agente abbia condizionato l’attuazione del proposito criminoso alla mancata verificazione di un evento ad opera della vittima, quando la condizione risolutiva si pone come un avvenimento previsto, atto a far recedere la più precisa e ferma risoluzione criminosa del reo. (Fattispecie in cui l’omicidio era stato programmato per il caso in cui la vittima avesse ribadito il rifiuto di riallacciare il rapporto di convivenza con il reo). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 19974 del 9 maggio 2013 (Cass. pen. n. 19974/2013)

In tema di omicidio volontario, non è sicuro indice rivelatore della premeditazione, che si sostanzia in una deliberazione criminosa coltivata nel tempo e mai abbandonata, l’intervallo di una notte tra la preparazione e l’esecuzione, sì come non possono trarsi elementi di certezza della predisposizione di un agguato, perché quest’ultima attiene alla realizzazione del delitto e non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di quel processo psicologico di intensa riflessione e di fredda determinazione che caratterizza la indicata circostanza aggravante. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 47250 del 20 dicembre 2011 (Cass. pen. n. 47250/2011)

La circostanza aggravante della premeditazione, che implica l’esistenza del dolo intenzionale, non è applicabile al concorrente chiamato a rispondere di un reato diverso da quello voluto, la cui condotta in riguardo al reato diverso non può essere qualificata dal dolo, neppure nella forma meno intensa del dolo eventuale. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 12875 del 24 marzo 2009 (Cass. pen. n. 12875/2009)

Elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso (elemento di natura cronologica ) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica ). Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 337 del 9 gennaio 2009 (Cass. pen. n. 337/2009)

Il dolo «condizionato» è pienamente compatibile con l’aggravante della premeditazione, la quale ricorre anche quando l’attuazione del proposito criminoso è condizionata al verificarsi, o non, di un determinato evento.

La premeditazione non è esclusa dal fatto che l’agente abbia eseguito il delitto in seguito ad un occasionale incontro con la vittima. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7766 del 20 febbraio 2008 (Cass. pen. n. 7766/2008)

Rientra nella competenza del giudice di pace il reato di lesioni personali (art. 582, comma secondo, c.p.), sia o meno aggravato ai sensi dell’art. 577, comma secondo, c.p. (fatto commesso in danno del coniuge); tale circostanza non può, tuttavia, ritenersi integrata qualora la persona offesa sia, come nella specie, convivente more uxorio ed il trattamento sanzionatorio applicabile è quello previsto dall’art. 52, comma secondo, lett. b) D.L.vo n. 274 del 2000 che, ai sensi dell’art. 620, comma primo, lett. l) c.p.p., può essere, sussistendone i presupposti, rideterminato dalla stessa Corte di cassazione. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 8121 del 27 febbraio 2007 (Cass. pen. n. 8121/2007)

In tema di omicidio volontario, per la sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione sono necessari due elementi: uno, ideologico o psicologico, consistente nel perdurare nell’animo del soggetto, senza soluzione di continuità fino alla commissione del reato, di una risoluzione criminosa ferma ed irrevocabile; l’altro, cronologico, rappresentato dal trascorrere di un intervallo di tempo apprezzabile, fra l’insorgenza e l’attuazione di tale proposito, intervallo la cui consistenza minima non può essere in astratto rigidamente quantificata, ma deve risultare in concreto sufficiente a far riflettere l’agente sulla decisione presa ed a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sussistenza dell’aggravante della premeditazione, riconosciuta dal giudice di merito, in riferimento ad un duplice tentato omicidio, posto in essere da partecipi di un’associazione a delinquere di stampo mafioso, per il movente dei delitti, l’anticipata manifestazione del proposito criminoso, la ricerca dell’occasione favorevole, l’accurata preparazione dell’agguato). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7970 del 26 febbraio 2007 (Cass. pen. n. 7970/2007)

Ai fini della configurabilità dell’aggravante del rapporto di «coniugio», prevista dall’art. 577 c.p., anche in relazione all’art. 585 stesso codice, è ininfluente l’eventuale sussistenza del regime di separazione legale fra i due coniugi, regime che attenua il complesso degli obblighi nascenti dal matrimonio, eliminando seguentemente quello della coabitazione, ma non toglie lo status di coniuge, con i corrispondenti obblighi personali e permanenti che lo costituiscono, status che si perde solo con lo scioglimento del matrimonio. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 42462 del 29 dicembre 2006 (Cass. pen. n. 42462/2006)

I caratteri della fermezza e dell’irrevocabilità della risoluzione criminosa, necessari per la configurazione dell’aggravante della premeditazione, non ricorrono ove la decisione di uccidere sia stata adottata senza la specifica individuazione dei vari bersagli e senza l’accurata organizzazione delle varie aggressioni.

Nel caso di concorso di persone nel reato di omicidio, l’aggravante della premeditazione si estende al correo che ne abbia effettiva conoscenza e che aderisca così al progetto criminoso. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 21956 del 9 giugno 2005 (Cass. pen. n. 21956/2005)

La natura soggettiva della circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio dall’art. 577, comma primo, n. 4, c.p. (aver commesso il fatto per motivi abietti o futili ovvero adoperando sevizie o agendo con crudeltà verso le persone) non preclude la sua estensione al concorrente che, con il proprio volontario contributo, abbia dato adesione alla realizzazione dell’evento, rappresentandosi e condividendo gli sviluppi dell’azione esecutiva posta in essere dall’autore materiale del delitto e, perciò, maturando e facendo propria la particolare intensità del dolo che abbia assistito quest’ultima. (Nella specie è stata ritenuta sussistente la circostanza in discorso nel fatto di chi, presente alla selvaggia aggressione della vittima, ne abbia impedito la fuga, riportandola di peso nel luogo in cui era stata proditoriamente attirata e aggredita, e nelle mani dell’aggressore, visibilmente in preda a un’incontenibile furia omicida, sul rilievo che tale condotta non può non significare, secondo una logica applicazione del criterio di imputazione disciplinato dagli artt. 59, comma secondo, e 118 c.p., la piena consapevolezza delle spietate modalità con cui l’aggressore avrebbe proseguito nell’azione delittuosa) Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6775 del 22 febbraio 2005 (Cass. pen. n. 6775/2005)

In tema di omicidio volontario, l’agguato costituisce una modalità di esecuzione del delitto e può assumere rilevanza probatoria ai fini dell’aggravante della premeditazione quando dimostri che il delitto è stato deliberato in un arco di tempo apprezzabile in concreto e sufficiente a far riflettere l’agente sulla decisione presa. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 24733 del 31 maggio 2004 (Cass. pen. n. 24733/2004)

Ai limitati fini della configurabilità della circostanza aggravante dell’omicidio prevista dall’art. 577 n. 1 c.p. (fatto commesso contro l’ascendente o il discendente), la filiazione naturale della vittima — equiparata a quella legittima, ai sensi dell’art. 540, comma primo, c.p. — può essere accertata anche in contrasto con lo status di figlio legittimo formalmente spettante alla stessa vittima, nulla rilevando in contrario che il comma secondo del citato art. 540 preveda che anche in sede penale il rapporto di filiazione illegittima sia stabilito osservando i limiti di prova indicati dalla legge civile. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 15023 del 29 marzo 2004 (Cass. pen. n. 15023/2004)

Nel delitto di omicidio la circostanza aggravante della premeditazione, prevista dall’art. 577, comma 1, n. 3 c.p., richiede due elementi: uno, ideologico o psicologico, consistente nel perdurare, nell’animo del soggetto, di una risoluzione criminosa ferma e irrevocabile; l’altro, cronologico, rappresentato dal trascorrere di un intervallo di tempo apprezzabile fra l’insorgenza e l’attuazione di tale proposito (nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che non essendo stato individuato il momento dell’insorgere del proposito criminoso, per la mancata prova del movente dell’omicidio, non era stato possibile valutare l’esistenza di un ragionevole lasso di tempo tra il proposito criminoso e la sua attuazione, per cui non risultava neppure accertata la sussistenza della circostanza aggravante). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 27307 del 24 giugno 2003 (Cass. pen. n. 27307/2003)

Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante prevista dall’art. 577, comma 1, n. 2 c.p., l’espressione “mezzo insidioso” indica quello che, per la sua natura ingannevole o per il modo e le circostanze che ne accompagnano l’uso, reca in sé un pericolo nascosto, tale da sorprendere l’attenzione della vittima e rendere alla stessa impossibile, o comunque più difficile che di fronte ad ogni altro mezzo, la difesa. (Fattispecie in tema di lesioni personali volontarie, procurate appiccando il fuoco allo zerbino di ingresso dell’abitazione della vittima). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 29921 del 22 agosto 2002 (Cass. pen. n. 29921/2002)

In materia di omicidio aggravato, la premeditazione va distinta dalle sevizie e dalla crudeltà. La premeditazione consiste, infatti, in una particolare intensità del dolo: nella risoluzione criminosa, che permane ferma nell’animo dell’agente per un apprezzabile periodo di tempo e fino alla commissione del reato; la crudeltà rivela, invece, una particolare qualità dell’animo del delinquente, il suo carattere, e non un suo stato d’animo o il dolo, per cui sono indifferenti la freddezza d’animo e l’intensità del dolo; consiste nell’assenza di quei sentimenti di pietà che contraddistinguono l’uomo civile, di cui, sul piano oggettivo, sono segni esteriori il mezzo usato e le modalità dell’azione, che, in ogni caso, devono consistere in un quid pluris rispetto alla «ordinaria» produzione dell’evento, da valutarsi anche in relazione ai mezzi disponibili. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2586 del 27 febbraio 1998 (Cass. pen. n. 2586/1998)

In materia di valutazione delle circostanze aggravanti o attenuanti (art. 118 c.p.), la premeditazione (che attiene all’intensità del dolo sotto il profilo del perdurare nel tempo, all’interno del soggetto, di una risoluzione criminosa irrevocabile) può essere estesa al coimputato — che non abbia partecipato all’originaria deliberazione volitiva — solo qualora costui ne abbia acquisito piena consapevolezza precedentemente al suo contributo all’evento ed a tale distanza di tempo da consentire che la maturazione del proposito criminoso prevalga sui motivi inibitori. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 8346 del 13 settembre 1997 (Cass. pen. n. 8346/1997)

È configurabile la circostanza aggravante del motivo futile nel caso di un omicidio commesso come reazione immediata anche ad espressioni minacciose provenienti dalla vittima quando tali espressioni, per il contesto nel quale vengono formulate e per la personalità del soggetto dal quale provengono, non presentino, ictu oculi, alcuna reale efficacia intimidatrice ma si appalesino piuttosto come manifestazione meramente verbale di generica ostilità, quale facilmente verificabile – come nella specie – nel corso di banali e occasionali litigi. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1411 del 15 febbraio 1997 (Cass. pen. n. 1411/1997)

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, della persistente previsione dell’ergastolo da parte dell’art. 577 c.p. per talune ipotesi di omicidio aggravato nonostante che la stessa pena risulti contemplata dall’art. 576 stesso codice per altre ipotesi di omicidio aggravato, relativamente alle quali originariamente era prevista la pena di morte. Invero in tema di sanzioni penali il principio di eguaglianza non può essere inteso nel senso che a ciascuna fattispecie debba corrispondere una sanzione diversa da tutte le altre: pertanto, fatti salvi i casi di assoluta arbitrarietà, l’equiparazione quoad poenam sfugge ad ogni censura di legittimità. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7627 del 30 luglio 1996 (Cass. pen. n. 7627/1996)

In tema di aggravanti costituisce motivo futile la determinazione criminosa che trova origine in uno stimolo tanto lieve, quanto sproporzionato, da prospettarsi più come un pretesto che non una causa scatenante della condotta antigiuridica. Ne consegue che la peculiare caratteristica del motivo futile, il quale non attiene alla sfera intellettiva o volitiva, bensì a quella morale, è data dalla enorme sproporzione tra il motivo e l’azione delittuosa, che suscita un senso di riprovazione da parte della generalità delle persone tra cui vive ed agisce il soggetto attivo del reato. (In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha escluso la configurabilità dell’aggravante in questione in relazione all’omicidio di un sindaco ad opera di un soggetto in età avanzata – e che aveva trascorso oltre trenta anni in carcere – ritenendo che questi, a seguito di provvedimenti adottati nei suoi confronti dall’amministrazione comunale, tra cui l’interruzione dell’erogazione di un sussidio e due ingiunzioni di pagamento del canone relativo all’acqua consumata, avesse agito perché mosso non da motivazioni futili o banali ed inconsistenti secondo la coscienza collettiva, bensì dal timore di perdere beni per lui indispensabili per motivi da riportarsi, secondo la sua distorta valutazione, al sindaco). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7034 del 11 luglio 1996 (Cass. pen. n. 7034/1996)

Non può considerarsi aggravato da motivi abietti o futili un omicidio al quale l’agente sia stato spinto dall’intento di recuperare la propria libertà sentimentale, onde coltivare senza intralci una relazione con altra persona, gravemente ostacolata dalla vittima. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4023 del 18 aprile 1996 (Cass. pen. n. 4023/1996)

In tema di omicidio (art. 575 c.p.), va affermata la distinzione tra mera preordinazione del delitto — intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase a questa ultima immediatamente precedente — e premeditazione (art. 577 n. 3 c.p.) — intesa come radicamento e persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo nella psiche del reo, del proposito omicida — del quale sono sintomi il previo studio delle occasioni ed opportunità per l’attuazione, un’adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalità esecutive del crimine. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3082 del 26 marzo 1996 (Cass. pen. n. 3082/1996)

Non osta alla configurabilità dell’aggravante della premeditazione il fatto di avere il soggetto agente condizionato l’attuazione del proposito criminoso al mancato verificarsi di un evento ad opera della vittima, quando la condizione risolutiva si ponga come un avvenimento previsto atto a porre in crisi la più precisa e ferma risoluzione criminosa del reo: indispensabile è che quest’ultimo abbia preso una decisione preventiva caratterizzata da completezza e irreversibilità, pur ipotizzando che uno specifico avvenimento possa annullare il programmato svolgersi del proposito di uccidere verso l’esito finale, già perfetto nelle sue caratteristiche penalmente rilevanti. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1910 del 17 febbraio 1996 (Cass. pen. n. 1910/1996)

La premeditazione va esclusa quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, tale cioè da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione. (Fattispecie di lesioni volontarie gravi, nella quale la determinazione delittuosa è insorta in maniera repentina ed estemporanea, a seguito del casuale incrociarsi di notte delle autovetture dell’aggressore e della vittima, tra i quali esistevano ragioni di contrasto, nonché del successivo arresto e scatenarsi dell’aggressione). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1357 del 7 febbraio 1996 (Cass. pen. n. 1357/1996)

Se di norma è sufficiente, per ritenere sussistente la circostanza aggravante dei futili motivi, far riferimento, alla sproporzione (oggettiva) esistente tra movente e azione delittuosa, in particolari circostanze sono necessarie indagini più approfondite per accertare che la sproporzionata reazione allo stimolo sia, piuttosto che rivelatrice di un istituto criminale più spiccato – da punire più severamente – il portato di una concezione particolare, che annette a certi eventi un’importanza di gran lunga maggiore rispetto a quella che la maggior parte delle persone vi riconnette. (Fattispecie relativa a omicidio, aggravato da rapporto di parentela e motivato dal convincimento, sia pur erroneo, dell’autore del reato, che la condotta del fratello e della di lui famiglia in ordine all’esercizio di una servitù di passaggio era illecita). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 853 del 27 gennaio 1996 (Cass. pen. n. 853/1996)

In tema di omicidio premeditato, il nesso tra elemento psicologico ed elemento cronologico può esistere anche se la preordinazione viene disposta all’ultimo momento. (Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha ritenuto corretto l’operato dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto l’esistenza della premeditazione sulla base della circostanza che l’omicida, pur non avendo preordinato i mezzi per l’esecuzione del delitto se non all’ultimo momento, una volta verificatasi la condizione ipotizzata per passare all’azione, aveva mentalmente programmato quest’ultima già qualche giorno prima dell’esecuzione e, pertanto, aveva potuto disporre di un tempo sufficientemente ampio per recedere dal proposito delittuoso). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 12787 del 29 dicembre 1995 (Cass. pen. n. 12787/1995)

Non osta alla configurabilità della aggravante della premeditazione il fatto di avere il soggetto agente condizionato l’attuazione del proposito criminoso al mancato verificarsi di un evento ad opera della vittima, quando la condizione risolutiva si ponga come un avvenimento previsto, anche se poco probabile, atto a porre in crisi la pur precisa e ferma risoluzione criminosa del reo: quello che conta è che questi abbia preso una decisione preventiva caratterizzata da completezza e irreversibilità, pur ipotizzando che uno specifico avvenimento possa annullare il programmato svolgersi del proposito di uccidere verso l’esito finale, già perfetto nelle sue caratteristiche penalmente rilevanti. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 12306 del 12 dicembre 1995 (Cass. pen. n. 12306/1995)

La sussistenza o l’insussistenza dell’aggravante della premeditazione non può avere incidenza decisiva sulla configurazione del concorso di persone nel reato, attesa la diversa e differente valenza dei due istituti, sicché è giuridicamente erroneo far dipendere il secondo dalla prima. (Fattispecie in tema di provvedimento cautelare). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4612 del 13 ottobre 1995 (Cass. pen. n. 4612/1995)

Per la sussistenza dell’aggravante della premeditazione è necessario che ricorra un intervallo di tempo apprezzabile tra l’ideazione e l’esecuzione del proposito criminoso, nel corso del quale non solo tale proposito si consolida e si rafforza, ma vengono anche studiate le modalità e predisposti i mezzi per l’attuazione del piano. (Nella fattispecie si trattava di tentato omicidio, essendo emerso che l’imputato, con volontà omicidiaria, aveva stretto con le mani in modo prolungato il collo della vittima adoperando guanti per non lasciare tracce. La Suprema Corte ha escluso la configurabilità dell’aggravante della premeditazione, affermando che la circostanza che l’imputato si fosse presentato nell’appartamento della vittima con le mani già guantate non potesse ritenersi idonea, da sola, a fornire la dimostrazione che il proposito fosse già maturato in precedenza in un lasso di tempo sufficiente per una meditata riflessione). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7317 del 27 giugno 1995 (Cass. pen. n. 7317/1995)

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 577 c.p. nella parte in cui, punendo con la pena dell’ergastolo ipotesi meno gravi di quelle originariamente punite con la pena di morte dall’art. 576 stesso codice — ora anch’esse punite con la pena dell’ergastolo in virtù dell’abolizione della pena di morte — attuerebbe un trattamento irragionevolmente deteriore nei confronti di coloro che commettono reati meno gravi, in quanto spetta esclusivamente al legislatore stabilire per ciascun reato la pena appropriata, con il solo limite stabilito dall’art. 27 Cost. in tema di divieto di trattamenti contrari al senso di umanità e di finalità rieducative, ma senza che l’abolizione della pena di morte debba comportare la creazione di una nuova scala di disvalori e di pene; con degrado delle pene previste per ciascun reato ad una pena di livello o entità inferiore. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10819 del 22 ottobre 1994 (Cass. pen. n. 10819/1994)

Poiché la circostanza aggravante della premeditazione è suscettibile di un unico, definito significato e non richiede, ai fini di una compiuta risposta difensiva, alcuna previa e dettagliata esplicazione, la sua contestazione nel decreto che dispone il giudizio, ai sensi dell’art. 429, comma 1, lettera c), c.p.p., eseguita mediante la enunciazione del suo nomen juris e l’indicazione del relativo riferimento normativo, deve considerarsi ritualmente avvenuta. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 9788 del 13 settembre 1994 (Cass. pen. n. 9788/1994)

Se non è sufficiente, perché l’aggravante della premeditazione possa comunicarsi al concorrente nel reato, la mera conoscibilità da parte di costui, deve invece ritenersi che la conoscenza effettiva legittimi l’estensione. Infatti, se il concorrente, pur non avendo direttamente premeditato l’omicidio, tuttavia ad esso partecipa nella piena consapevolezza maturata prima dell’esaurirsi del proprio volontario apporto alla realizzazione dell’evento criminoso dell’altrui premeditazione, la sua volontà aderiva al progetto, investe e fa propria la particolare intensità dell’altrui dolo, talché la relativa aggravante non può non essere riferita anche a lui. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto che così vada interpretato l’art. 118 c.p., pur dopo la L. 7 febbraio 1990, n. 19 con la quale esso è stato modificato). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7205 del 17 giugno 1994 (Cass. pen. n. 7205/1994)

In tema di omicidio, non sussiste in linea di principio incompatibilità tra aggravante della premeditazione e accertamento del vizio parziale di mente, in quanto la prima opera sul piano del dolo ed il secondo su quello della imputabilità. L’incompatibilità può essere in concreto rilevata in quei casi in cui il proposito criminoso coincide con una idea fissa ossessiva, facente parte del quadro sintomatologico di quella determinata infermità. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3240 del 18 marzo 1994 (Cass. pen. n. 3240/1994)

In tema di omicidio, la circostanza aggravante dell’uso del mezzo insidioso, al pari dell’aggravante dell’uso di sostanze venefiche, ricorre soltanto quando esso provochi direttamente la morte e non anche quando costituisca una mera modalità dell’azione, come quando la sostanza venga utilizzata per assopire la vittima ponendola in condizione di non poter utilmente reagire. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 65 del 8 gennaio 1994 (Cass. pen. n. 65/1994)

L’agguato di per sé attiene alle modalità di esecuzione del delitto, per cui tale elemento non basta per dimostrare la premeditazione, essendo necessario che risulti che il reato sia stato deliberato in uno spazio di tempo apprezzabile in concreto e sufficiente a far riflettere l’agente sulla decisione presa consentendone il recesso. Infatti, la circostanza aggravante della premeditazione è configurabile qualora sussistano i due elementi, cronologico ed ideologico, elementi che debbono sussistere in concreto. (Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio, la Suprema Corte ha osservato che i giudici di merito hanno ritenuto l’agguato alla vittima designata elemento sufficiente per la ritenuta aggravante, esclusivamente valutando le modalità di esecuzione del fatto ed omettendo ogni rilievo circa l’elemento cronologico). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10359 del 15 novembre 1993 (Cass. pen. n. 10359/1993)

Anche circostanze verificatesi successivamente alla commissione del delitto – quali, nella specie, l’abbandono dell’arma dell’omicidio in un cassonetto d’immondizie ed il recarsi al lavoro dopo il fatto di reato – possono essere probatoriamente valorizzate ai fini della positiva affermazione dell’aggravante della premeditazione allorquando si inseriscono in una situazione fattuale (preordinazione di agguato ai danni della vittima concretizzatosi nell’attesa della stessa protrattasi per un ragguardevole lasso di tempo, certa causale determinata da propositi di vendetta) che rivela il mantenimento nel tempo del proposito criminoso e trova conferma nelle azioni poste in essere successivamente all’omicidio, che in tale contesto denotano nell’agente lucidità e perfetto governo del proprio comportamento. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7266 del 24 luglio 1993 (Cass. pen. n. 7266/1993)

In tema di omicidio, la premeditazione presuppone due elementi: uno di natura cronologica, costituito da un apprezzabile lasso di tempo fra l’insorgenza del proposito criminoso e la attuazione di esso e l’altro di carattere ideologico, consistente nella ferma risoluzione criminosa perdurante nell’animo dell’agente, senza soluzioni di continuità, fino alla commissione del crimine. Il primo di tali elementi è particolarmente indicativo perché, concretandosi in un intervallo temporale in cui l’agente potrebbe riflettere ed eventualmente recedere dal proposito criminoso, denota — ove tale recesso non si sia verificato — una particolare intensità di dolo che si traduce in una fredda e perdurante determinazione a commettere il reato, nel che si sostanzia l’altro degli elementi costitutivi dell’aggravante. Ne consegue che detti elementi si integrano e si arricchiscono reciprocamente e ad entrambi occorre guardare per decidere se sussista la circostanza aggravante di cui all’art. 577, comma primo n. 3, c.p.

Nel delitto di omicidio, la occasionalità del momento di consumazione è compatibile con la premeditazione tutte le volte che l’esecuzione del delitto si presenti come momento di realizzazione di un crimine da tempo ideato e preparato con fredda e ininterrotta determinazione, eventualmente desumibile anche dalla causale — nota o ricostruita — di esso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4956 del 13 maggio 1993 (Cass. pen. n. 4956/1993)

È configurabile l’aggravante della premeditazione condizionata quando, accertata l’esistenza dei necessari elementi cronologico e ideologico, quest’ultimo si concreti in una risoluzione criminosa precisa e ferma in tutte le sue componenti psicologiche, e in cui la condizione si ponga come un avvenimento previsto, anche se poco probabile, atto a sospendere o ad annullare con efficacia risolutiva la decisione già presa. Non osta, pertanto, all’esistenza dell’aggravante della premeditazione il fatto di avere il reo condizionato l’esecuzione del delitto al mancato verificarsi di un avvenimento ad opera della vittima, giacché il dolo condizionato non è idoneo di per sé ad escludere la premeditazione. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 2611 del 18 marzo 1993 (Cass. pen. n. 2611/1993)

La circostanza di cui all’art. 61 n. 2 c.p. è compatibile con quella ipotizzata dall’art. 577 n. 1 c.p. (abuso del rapporto di paternità), stante il diverso fondamento oggettivo e la diversa ratio che differenziano le due fattispecie circostanziali, poiché la prima è basata su una situazione di fatto esistente tra imputato e persona offesa, mentre la seconda ha il suo fondamento nel rapporto di parentela che unisce la vittima all’agente. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10330 del 28 ottobre 1992 (Cass. pen. n. 10330/1992)

In tema di omicidio, la circostanza aggravante della premeditazione può risultare incompatibile con il vizio di mente nella sola ipotesi in cui venga a risultare null’altro che una manifestazione dell’infermità psichica da cui è affetto l’imputato, nel senso che il proposito criminoso coincide con una idea fissa ossessiva facente parte del quadro sintomatologico di quella determinata infermità. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8057 del 16 luglio 1992 (Cass. pen. n. 8057/1992)

Non può ravvisarsi ipotesi alcuna di incompatibilità fra il mancato accertamento del movente di un omicidio e la ricorrenza dell’aggravante della premeditazione, posto che questa ultima può ben essere dimostrata, e quindi legittimamente ritenuta sussistente prendendo a base la ricostruzione delle modalità di consumazione del delitto, indipendentemente dal fatto che venga individuato il motivo per cui esso è stato commesso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7948 del 10 luglio 1992 (Cass. pen. n. 7948/1992)

L’aggravante della premeditazione implica un elemento ideologico, consistente nel perdurare di una conduzione criminosa, e un elemento cronologico rappresentato dal trascorrere, fra l’insorgenza e l’attuazione del proposito criminoso, di un lasso di tempo apprezzabile, in concreto sufficiente a far riflettere l’agente sulla decisione presa e consentirne il recesso. Conseguentemente, essa non è esclusa dall’occasionalità del momento di consumazione del delitto, qualora si colleghi a una precisa causale che rivela come il proposito criminoso sia stato mantenuto nel tempo da parte del reo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5441 del 9 maggio 1992 (Cass. pen. n. 5441/1992)

Le circostanze aggravanti previste dall’art. 577, primo comma, n. 1 e cpv., c.p., seppure soggettive ai sensi dell’art. 70, primo comma n. 2, c.p., se conosciute o ignorate per colpa, si comunicano al concorrente. Invero i rapporti tra colpevole e offeso previsti dall’art. 577 c.p. in relazione al delitto di cui all’art. 575 stesso codice qualificano il delitto in termini di gravità tali che la coscienza etica comune che ne ha sempre avvertito la maggiore rimproverabilità non solo in considerazione del rapporto che lega offensore e offeso, ma anche perché in tal senso l’omicidio (che è fratricidio, matricidio, uxoricidio, ecc.) offende i valori etico sociali che oggi sono tutelati dagli artt. 29 e 30 della Costituzione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 297 del 15 gennaio 1992 (Cass. pen. n. 297/1992)

In tema di premeditazione, per la ricorrenza dell’elemento cronologico è necessario che tra l’insorgenza e l’attuazione del proposito criminale sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo, la cui durata in termini minimi non è determinabile con esattezza, in quanto si richiede che il reo, nell’intervallo tra determinazione ed esecuzione del delitto, abbia avuto modo di riflettere. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8128 del 25 luglio 1991 (Cass. pen. n. 8128/1991)

In tema di premeditazione, se il movente del delitto non è da solo sufficiente a dimostrarla o ad escluderla, tuttavia esso può e deve essere tenuto presente come elemento indiziante. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 345 del 15 gennaio 1991 (Cass. pen. n. 345/1991)

Non sussiste alcuna incompatibilità tra la circostanza aggravante generale prevista dall’art. 61, n. 11, c.p. e quella specifica del rapporto di coniugio di cui all’art. 577 dello stesso codice, dati il diverso fondamento oggettivo e la diversa ratio che caratterizzano le due fattispecie circostanziali. Ed invero l’aggravante prevista dall’art. 61, n. 11, c.p. ha natura oggettiva e consiste in una relazione di fatto tra l’imputato e la parte offesa che agevola la commissione del delitto, mentre il rapporto di coniugio è una circostanza speciale, di natura soggettiva, che ha il suo fondamento nel vincolo coniugale, unicamente preso in considerazione dal secondo comma dell’art. 577 c.p. al di fuori dell’ulteriore circostanza dell’eventuale coabitazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5378 del 12 aprile 1990 (Cass. pen. n. 5378/1990)

L’indagine introspettiva è utile ed ordinario strumento di rilevazione dei processi mentali variamente pertinenti al reato e perciò anche di quello relativo alla premeditazione, composto da una pluralità di pulsioni e di ideazioni, anche contrapposte, che si combinano in aggregazioni non necessariamente omogenee ed anzi variabili nel tempo, dalle quali il proposito iniziale può uscire confermato o revocato; nel che è indubbia, e va perciò accertata, l’influenza orientatrice della capacità psichica e della strutturazione caratteriale. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso del P.M. avverso esclusione della premeditazione criticata sostenendosi, fra l’altro, l’incongruenza di riferimenti alla sfera soggettiva, la S.C. ha osservato che l’indagine in tal senso ha preso in considerazione la condotta di vita e la stessa personalità dell’imputato di omicidio quale manifestatasi nel delitto e fuori del delitto, desumendone, con criterio di ragionevolezza, l’identikit di giovane superficiale ispirato ad una concezione elementarmente edonistica della vita, dall’incerta ed indefinita fisionomia psico-intellettiva, probabilmente incapace di fermo e grave proposito, ancorché capace di concepirlo e, in definitiva, di soggetto non sicuramente in grado di gestire nel tempo, e con tenace determinazione, risoluzione criminosa di rilevante portata). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 122 del 12 gennaio 1990 (Cass. pen. n. 122/1990)

La premeditazione consiste in un fatto interiore di non agevole accertamento, sicché va necessariamente desunta da fatti estrinseci, tra i quali si colloca anche l’anticipata manifestazione del proposito delittuoso, ma altresì la causale, la preordinazione dei mezzi, la ricerca dell’occasione più favorevole, le modalità di esecuzione del delitto. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 17589 del 19 dicembre 1989 (Cass. pen. n. 17589/1989)

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 577, secondo comma, c.p., nella parte in cui prevede come aggravante la commissione del fatto contro il coniuge, sollevata sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto all’ex coniuge e al convivente more uxorio, è manifestamente infondata in quanto il diverso trattamento normativo nei confronti del coniuge non è irrazionale, tenuto conto della sussistenza del rapporto di coniugio e del carattere di tendenziale stabilità e riconoscibilità del vincolo coniugale. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6037 del 18 maggio 1988 (Cass. pen. n. 6037/1988)

L’omicidio commesso in persona del padrigno è aggravato ai sensi dell’ultima parte dell’art. 577 c.p., anche nel caso che la madre dell’uccisore non fosse più viva, poiché la norma generica dell’art. 307, ultima parte, c.p., riferibile ai prossimi congiunti, non è applicabile quando in singole disposizioni del codice o d’altre leggi si fa richiamo espresso a determinati vincoli di parentela senza riprodurre la limitazione fissata nel citato art. 307. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 11254 del 25 novembre 1982 (Cass. pen. n. 11254/1982)

Insidia vuol dire inganno preparato nascostamente per danneggiare o recare offesa a qualcuno ed è sinonimo di tranello, imboscata. Per estensione si intende, poi, per insidia ogni pericolo nascosto, onde mezzo insidioso è quello che, o per la sua natura ingannevole, o per il modo e le circostanze che ne accompagnano l’uso, reca in sé un siffatto pericolo, tale da sorprendere l’attenzione della vittima e rendere alla stessa impossibile, o più difficile che di fronte ad ogni altro mezzo, la difesa. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 920 del 29 maggio 1968 (Cass. pen. n. 920/1968)

Istituti giuridici

Novità giuridiche