A differenza che per le ipotesi criminose previste dagli artt. 432, 433 e 434 c.p., per la sussistenza del delitto di detenzione di materie esplodenti (art. 435 c.p.) non è richiesto il verificarsi di un pericolo per la pubblica incolumità. Il delitto previsto dall’art. 435 c.p., ove non integri una determinazione al solo fine specifico di commettere reati contro la pubblica incolumità, ma riveli altresì nell’agente la consapevolezza che con quei reati avranno esecuzione i progetti di un sodalizio delinquenziale di cui si fa parte e che volutamente si approvano e si eseguono (violazione degli artt. 241 e 283 c.p.), concorre sia con il delitto di cospirazione che con quelli di attentato all’integrità dello Stato o alla Costituzione. I reati previsti dagli artt. 305 e 435 c.p. costituiscono ipotesi criminose essenzialmente differenziate dalla diversità dell’oggetto giuridico, cui non si adatta il meccanismo della progressione o dell’assorbimento. Ne consegue che, mancando un’espressa disposizione che stabilisca la consumazione della fattispecie minore (art. 435) in quella maggiore (art. 305), tra di esse può sussistere concorso di reati. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1569 del 27 novembre 1968 (Cass. pen. n. 1569/1968)
Il reato di cui all’art. 435 c.p., si perfeziona con la detenzione dell’esplosivo e per la sua consumazione la legge non esige che il fine di attentare alla pubblica incolumità sia realizzato, ma soltanto che la detenzione dell’esplosivo sia qualificata da tal fine (dolo specifico). Anche se detto fine non sia raggiunto, pertanto, si tratta di reato consumato e non soltanto tentato, onde non è applicabile il precetto di cui al terzo comma dell’art. 56 c.p. che riguarda esclusivamente il reato tentato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 831 del 13 maggio 1968 (Cass. pen. n. 831/1968)