Ai fini della sussistenza del reato di attentato a impianti di pubblica utilità, la nozione di impianto indica il complesso di strutture, apparecchi, attrezzature e congegni concorrenti ad uno stesso scopo ed indispensabili per un determinato fine. In tale nozione rientra una centralina telefonica o armadio di distribuzione, che ha la funzione di convogliare e smistare, attraverso i congegni e i cavi in essa contenuti, il traffico delle utenze di una determinata area, ai fini del normale svolgimento del servizio telefonico. (Nella specie, è stata ritenuta danneggiamento di impianto di pubblica utilità la manomissione di cavi di una centralina telefonica finalizzata alla perpetrazione di un furto).
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L’originario testo dell’art. 420 c.p., che prevedeva quale reato contro l’ordine pubblico la pubblica intimidazione a mezzo di materie esplodenti, risulta abrogato e sostituito con le leggi 2 ottobre 1967, n. 895, art. 6 e L. 14 ottobre 1974, n. 497, trovando la fattispecie la sua organica regolamentazione nelle norme sulle armi e sull’ordine pubblico. Con la nuova normativa di cui all’art. 1, D.L. 21 marzo 1978, n. 59, convertito in L. 18 maggio 1978, n. 191, il legislatore, con la nuova formulazione dell’art. 420 c.p. (attentato a impianti di pubblica utilità), ha inteso introdurre una nuova figura di reato diretta ad una più estesa tutela dell’ordine pubblico, sanzionando penalmente qualsiasi attività diretta a distruggere o danneggiare impianti di pubblica utilità o di ricerca o di elaborazione di dati, attività considerata di per sé stessa idonea a turbare la serena e ordinata convivenza sociale indipendentemente dal verificarsi in concreto del relativo turbamento.
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Nell’attentato a impianti di pubblica utilità mediante distruzione o danneggiamento sussiste sempre, per assoluta presunzione di legge, la lesione dell’ordine pubblico tutelato dalla norma incriminatrice dell’art. 420 c.p., indipendentemente dall’idoneità dell’azione a produrre un concreto turbamento del senso di tranquillità e sicurezza della collettività. In tal caso è esclusa la configurabilità del reato di danneggiamento aggravato (art. 635, comma secondo, n. 3, c.p.), anche per le differenze tra i due reati quanto a diversità dell’oggetto materiale e del bene giuridico tutelato. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 8178 del 12 ottobre 1983 (Cass. pen. n. 8178/1983)