In tema di misure di prevenzione, ai fini del giudizio di pericolosità cd. generica, anche in caso di fatti riconducibili all’attività di un gruppo, avente o meno connotazione associativa, il giudice è tenuto a verificare separatamente, per ciascuno dei proposti, la sussistenza di elementi idonei a legittimare la formulazione di una prognosi negativa in ordine al loro futuro comportamento, talché il fatto che essi siano reciprocamente legati da vincoli familiari o solidaristici e che condividano la sproporzione tra effettivo tenore di vita e redditi di fonte lecita non può, di per sé, comportare l’automatica traslazione dell’attribuzione delle singole manifestazioni antisociali a persone diverse da quelle che abbiano posto in essere le relative condotte, non rilevando in senso contrario che il gruppo in sé disponga di ingenti consistenze economiche destinate ad essere investite in attività commerciali da utilizzare per il reimpiego dei capitali illeciti accumulati. (Fattispecie relativa ad appartenenti ad un medesimo clan familiare di etnia sinti, abitualmente dediti, secondo l’impostazione accusatoria, a furti in abitazione). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 36080 del 16 dicembre 2020 (Cass. pen. n. 36080/2020)
E’ configurabile la partecipazione ad una associazione a delinquere anche nel caso in cui l’associato venga pagato di volta in volta, allorquando i reati-fine vengano a perfezionamento, essendo questo il momento tipico della ripartizione dei proventi illeciti. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 49523 del 5 dicembre 2019 (Cass. pen. n. 49523/2019)
Il dolo del delitto di associazione a delinquere è integrato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione del programma delinquenziale in modo stabile e permanente e, sebbene la commissione di uno o più delitti programmati dall’associazione non dimostri automaticamente l’adesione alla stessa, questa può desumersi in modo fortemente indiziante dalla stessa realizzazione dell’attività delittuosa in termini conformi al piano associativo. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 35141 del 31 luglio 2019 (Cass. pen. n. 35141/2019)
In tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, l’esistenza di interessi conflittuali tra i singoli componenti del sodalizio non è ostativa al riconoscimento dell’associazione, in quanto nell’ambito della struttura organizzata non assumono rilievo gli scopi soggettivi e personali, perseguiti da ciascun partecipe, atteso che ciò che distingue la fattispecie associativa è il mezzo con cui le diverse finalità personali vengono perseguite. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la sentenza di condanna che aveva ritenuto sussistente l’ipotesi associativa anche a fronte di contrapposte pretese creditorie e debitorie tra i singoli partecipi). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 22046 del 20 maggio 2019 (Cass. pen. n. 22046/2019)
La circostanza aggravante della transnazionalità, prevista dall’art. 4 della legge 16 marzo 2006, n. 146, può applicarsi ai reati fine commessi dai membri di un gruppo criminale organizzato transnazionale, anche nel caso in cui la costituzione di detto sodalizio non configuri un autonomo delitto associativo. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 17710 del 29 aprile 2019 (Cass. pen. n. 17710/2019)
L’elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato, è individuabile nel carattere dell’accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati – anche nell’ambito di un medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati. (Fattispecie in cui è stata esclusa l’associazione per delinquere in presenza di un programma criminoso ben determinato rappresentato dall’intento di colpire individui che avevano intrattenuto relazioni sentimentali o sessuali con l’imputata). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1964 del 16 gennaio 2019 (Cass. pen. n. 1964/2019)
In tema di associazione per delinquere, la qualifica di organizzatore spetta a colui il quale riveste il ruolo – anche non dall’inizio dell’associazione ed anche in unione ad altri – di coordinare ed assicurare la funzionalità delle strutture di cui il sodalizio si compone, senza necessità che detto ruolo sia svolto con riferimento all’associazione nella sua interezza, essendo sufficiente, nel caso di ramificazioni territoriali della stessa, che sia esercitato in relazione anche ad una sola di tali ramificazioni. (Fattispecie relativa ad associazione per delinquere volta a favorire l’immigrazione clandestina, operante in parte in Italia ed in parte in Africa, in cui il ruolo di organizzatore è stato desunto da plurimi elementi, tra cui la presenza dell’imputato in occasione di tutti gli sbarchi, che coordinava dalla terraferma, fornendo le indicazioni di approdo, reperendo gli immobili ove ricoverare i clandestini in attesa di avviarli alle destinazioni finali ed i mezzi di trasporto per trasferirveli, curando l’approvvigionamento di viveri e di quant’altro necessario ed approntando soluzioni logistiche). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 47741 del 19 ottobre 2018 (Cass. pen. n. 47741/2018)
La ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, ai sensi dell’art. 7 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203, in relazione a taluni reati-fine di un reato associativo comune, non determina di per sè il carattere mafioso dell’associazione finalizzata alla commissione degli stessi. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da vizi l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva sostituito la misura della custodia cautelare, disposta in relazione al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., con quella degli arresti domiciliari, riqualificando la condotta ai sensi dell’art. 416 cod. pen. ed escludendo il carattere mafioso dell’associazione nonostante alcuni reati-fine fossero stati commessi con metodo mafioso). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 40548 del 6 settembre 2017 (Cass. pen. n. 40548/2017)
La circostanza aggravante prevista dall’art. 7 D.L. 13 Maggio 1991 n. 152, convertito nella L. 12 luglio 1991 n. 203, nelle due differenti forme dell’impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati e della finalità di agevolare, con il delitto posto in essere, l’attività dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, è configurabile anche con riferimento ai reati fine commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 20935 del 3 maggio 2017 (Cass. pen. n. 20935/2017)
L’elemento materiale del delitto punito dall’art. 416 cod. pen. consiste nell’associarsi di tre o più persone allo scopo di commettere più delitti, senza che sia richiesta una distribuzione gerarchica di funzioni, l’esistenza di un rapporto di subordinazione e la presenza di un capo; evenienza quest’ultima che la norma, al pari dell’esistenza di promotori, costitutori od organizzatori, considera come eventuale, configurando un’autonoma e più grave fattispecie criminosa. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che correttamente i giudici di merito, pur senza affermare l’esistenza di un’organizzazione gerarchica, avessero qualificato l’imputato – famoso sportivo e preparatore atletico che prescriveva anabolizzanti a culturisti, adoperandosi presso i correi per far procurare ai clienti le sostanze necessarie in funzione della disponibilità del materiale e dell’evolvere dei trattamenti – promotore ed organizzatore di un’associazione per delinquere finalizzata al commercio di tali sostanze, sottolineando come i singoli episodi di somministrazione accertati in giudizio dovessero essere valutati in proiezione dinamica, quale prova sia dei reati-fine sia anche del sodalizio e, quindi, del ruolo in esso svolto dall’imputato). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 19198 del 21 aprile 2017 (Cass. pen. n. 19198/2017)
Ai fini della configurabilità del delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la P.A., è necessaria la sussistenza di un’organizzazione strutturale, che può anche essere rudimentale e preesistente all’ideazione criminosa, purchè si presenti adeguata allo scopo illecito perseguito. (Fattispecie relativa al delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti di corruzione aggravata e di turbativa di gare d’appalto in cui la Corte ha ritenuto congrua ed immune da vizi la motivazione dell’ordinanza del tribunale del riesame relativa all’esistenza dell’elemento organizzativo, desunto dai seguenti elementi: a) attività di pianificazione compartecipata delle procedure di gara; b) funzione di indirizzo e guida attribuita ad uno dei sodali, capace di imporre il rispetto delle regola “sociali”, quale l’importo della “tangente” nella misura del 10%; c) affidamento ad uno dei sodali, per un considerevole lasso di tempo, del ruolo di esattore delle “tangenti”; d) intercambiabilità dei ruoli di erogatore di compensi illeciti, di intermediario per la consegna del denaro al pubblico ufficiale e di custode del denaro da occultare; e) comunicazione diffusa alla cerchia degli “amici” di informazioni relative a situazioni di pericolo, come l’avvio delle indagini nei confronti di uno dei sodali, e conseguente attivazione di una rete di assistenza reciproca). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 15573 del 29 marzo 2017 (Cass. pen. n. 15573/2017)
In tema di associazione per delinquere, l’esistenza della consorteria criminosa non è esclusa per il fatto che la stessa sia imperniata per lo più intorno a componenti della stessa famiglia, atteso che, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, rendono quest’ultimo ancora più pericoloso. (Fattispecie di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, nella quale la S.C. ha escluso che il rapporto di fratellanza fra i componenti del sodalizio rilevasse per l’esclusione del vincolo associativo ovvero per la sussistenza della attenuante ex art. 74, comma sesto, d.P.R. n. 309 del 1990). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 48568 del 17 novembre 2016 (Cass. pen. n. 48568/2016)
È ammissibile il concorso tra il delitto di associazione per delinquere finalizzata al compimento di reati in materia di prostituzione ed il reato di cui all’art. 3, n. 7, della legge n. 75 del 1958, posto che, dalla letterale formulazione di detta norma, emerge che essa non configura un reato associativo ma presuppone, piuttosto, l’esistenza di una già costituita organizzazione criminosa, in tal modo individuando come autonome condotte punibili quelle che recano ad essa vantaggio. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 39052 del 20 settembre 2016 (Cass. pen. n. 39052/2016)
In tema di associazione per delinquere, la sopravvenuta depenalizzazione di uno dei reati costitutivi del programma criminoso determina, con effetto “ex tunc”, il parziale effetto abrogativo dello stesso fatto associativo riferito al reato-fine abrogato, con la conseguente necessità della rideterminazione della pena. (Fattispecie in tema di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe in danno di società finanziarie e reati contro le fede pubblica, tra quali il delitto di cui all’art. 485 cod. pen. “medio tempore” abrogato dal D.Lgs. n. 7 del 2016). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 38101 del 13 settembre 2016 (Cass. pen. n. 38101/2016)
In relazione al reato di associazione per delinquere “comune” di cui all’art. 416 cod. pen., l’aggravante di cui all’art. 7 del D.L. 13 maggio 1991, n. 159 è ipotizzabile esclusivamente sotto lo specifico profilo della finalità di agevolare l’attività di un’associazione mafiosa e non dell’utilizzo del metodo mafioso, dovendosi necessariamente configurare, nella seconda ipotesi, il diverso reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 24802 del 15 giugno 2016 (Cass. pen. n. 24802/2016)
La circostanza aggravante prevista dall’art. 7, D.L. 13 Maggio 1991 n. 152, convertito dalla Legge 12 luglio 1991, n. 203, è configurabile con riferimento alla condotta del partecipe di un’associazione per delinquere “semplice” che svolga una funzione strumentale ed agevolatrice a vantaggio di un’associazione per delinquere di tipo mafioso. (Fattispecie in cui la circostanza aggravante è stata applicata al partecipe di un gruppo organizzato, che, in esecuzione di un condiviso programma criminoso finalizzato alla commissione di una pluralità di delitti connessi all’esercizio abusivo di attività di giochi e scommesse, agendo sotto le direttive di personaggio di vertice di un’associazione mafiosa ed avvalendosi della forza intimidatrice scaturente dal sodalizio criminoso collegato, perseguiva lo scopo di consentire alla cosca di infiltrarsi in maniera determinate nel settore dei giochi e delle scommesse on line). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 11987 del 22 marzo 2016 (Cass. pen. n. 11987/2016)
Non risponde del delitto di associazione per delinquere colui che, pur partecipando alla commissione di uno o di più reati funzionali al perseguimento degli scopi dell’associazione, ignori l’esistenza dell’associazione stessa, mentre, nell’ipotesi in cui egli sia a conoscenza dell’esistenza del sodalizio e sia consapevole di contribuire, con la propria condotta, alla realizzazione del programma associativo, risponderà del reato di cui all’art. 416 cod. pen. anche nel caso in cui la realizzazione del reato fine sia rimasta a livello di meri atti preparatori. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 26724 del 25 giugno 2015 (Cass. pen. n. 26724/2015)
L’appartenenza di un soggetto ad un sodalizio criminale può essere ritenuta, anche in base alla partecipazione ad un solo reato fine, qualora il ruolo svolto e le modalità dell’azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo e ciò può verificarsi solo quando detto ruolo non avrebbe potuto essere affidato a soggetti estranei, oppure quando l’autore del singolo reato impieghi mezzi e sistemi propri del sodalizio in modo da evidenziare la sua possibilità di utilizzarli autonomamente e cioè come membro e non già come persona a cui il gruppo li ha posti occasionalmente a disposizione. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 6446 del 13 febbraio 2015 (Cass. pen. n. 6446/2015)
La circostanza aggravante prevista dall’art. 7 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. in L. 12 luglio 1991, n. 203 è configurabile anche quando la condotta è finalizzata ad agevolare una pluralità di diverse associazioni mafiose. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la decisione impugnata che aveva applicato l’aggravante a persona che, quale appartenente ad un sodalizio riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 416 c.p., aveva effettuato plurime cessioni di armi a due associazioni di tipo mafioso in “guerra” tra loro). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 48676 del 24 novembre 2014 (Cass. pen. n. 48676/2014)
In tema di associazione per delinquere, l’aggravante della scorreria in armi richiede il trasferimento da luogo a luogo di associati che, avendo programmato solo genericamente dei delitti, scelgono secondo occasionali circostanze gli oggetti delle loro azioni criminose, avendo la disponibilità di armi più o meno numerose e dotate di potenzialità offensiva. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto condivisibile la motivazione del giudice di merito fondata su intercettazioni da cui risultava che i correi non solo avevano eseguito attentati premeditati, ma, nelle loro incursioni notturne, avevano individuato ulteriori obiettivi in base a decisioni estemporanee). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 44153 del 23 ottobre 2014 (Cass. pen. n. 44153/2014)
In materia di reato associativo, una chiamata in correità soggettivamente ed intrinsecamente attendibile per uno specifico reato-fine preclude, ove non confermata da altri elementi di prova, l’affermazione di responsabilità penale per quello specifico fatto, ma può essere utilizzata, se adeguatamente corroborata, ai fini dell’accertamento della partecipazione al reato associativo. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 18837 del 7 maggio 2014 (Cass. pen. n. 18837/2014)
In tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo attivo in base al quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile la condotta partecipativa a carico del figlio del capo di una cosca della ndrangheta che aveva assunto il ruolo di gestore di un’impresa familiare, operante nel settore della raccolta dei rifiuti, ritenuta uno strumento fondamentale per l’attuazione del programma criminoso dell’organizzazione). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 39543 del 24 settembre 2013 (Cass. pen. n. 39543/2013)
Deve escludersi la configurabilità del reato di associazione per delinquere allorquando i singoli componenti di un ufficio o di un’organizzazione, con finalità e scopi leciti, pongano in essere attività illecite e manchi del tutto la prova di un collegamento tra tali fatti illeciti e le direttive generali impartite dai responsabili dell’organizzazione stessa. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che la mera comune appartenenza ad un ufficio pubblico di soggetti che avevano commesso in concorso alcuni reati potesse da sola giustificare la configurazione del reato associativo). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 34489 del 8 agosto 2013 (Cass. pen. n. 34489/2013)
Nel reato di associazione per delinquere, l’interesse protetto è solo l’ordine pubblico per cui la persona offesa va individuata esclusivamente nella P.A., con la conseguenza che il privato che assuma di essere danneggiato dal reato non ha titolo a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione, né ha titolo a ricevere l’avviso previsto dall’art. 408 c.p.p.. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la legittimazione a proporre l’opposizione di una società assicurativa avverso una richiesta di archiviazione per il solo delitto di associazione a delinquere finalizzato alle truffe assicurative). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 30791 del 17 luglio 2013 (Cass. pen. n. 30791/2013)
In tema di reati associativi, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio; in particolare, considerato che l’associazione è una realtà criminosa destinata a svolgere una concreta attività, assume rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il “pactum sceleris”, quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l’operatività della struttura. (Principio affermato con riferimento ad associazione a delinquere di stampo mafioso). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 26763 del 19 giugno 2013 (Cass. pen. n. 26763/2013)
Nel di reato di associazione “capo” è non solo il vertice dell’organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati. (Nella specie, in relazione ad un’associazione dedita ai furti di auto, è stata ritenuta sussistente l’aggravante nei confronti di un imputato che impartiva direttive ai sodali in ordine alle autovetture da sottrarre ed alle somme da corrispondere dalle vittime dei furti, a titolo estorsivo, per ottenerne la restituzione). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 19917 del 9 maggio 2013 (Cass. pen. n. 19917/2013)
La speciale aggravante della transnazionalità, prevista dall’art. 4 della l. n. 146 del 2006, è applicabile al reato associativo, semprechè il gruppo criminale organizzato transnazionale non coincida con l’associazione a delinquere.
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La transnazionalità non è un elemento costitutivo di una autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto a condizione che sia punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, sia riferibile ad un gruppo criminale organizzato, anche se operante solo in ambito nazionale e ricorra, in via alternativa, una delle seguenti situazioni: a) il reato sia commesso in più di uno Stato; b) il reato sia commesso in uno Stato, ma con parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo in un altro Stato; c) il reato sia commesso in uno Stato, con implicazione di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) il reato sia commesso in uno Stato, con produzione di effetti sostanziali in altro Stato. (In motivazione la Corte ha precisato che il riconoscimento del carattere transnazionale non comporta alcun aggravamento di pena, ma produce gli effetti sostanziali e processuali previsti dalla legge n. 146 del 2006 agli articoli 10, 11, 12 e 13). Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 18374 del 23 aprile 2013 (Cass. pen. n. 18374/2013)
L’associazione per delinquere si caratterizza per tre fondamentali elementi, costituiti da un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati, dall’indeterminatezza del programma criminoso che distingue il reato associativo dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira. (In motivazione la Corte ha ritenuto configurabile il requisito dell’indeterminatezza del programma criminoso nella finalità dello stesso all’appropriazione di vetture di lusso, per lo più appartenenti a società di leasing o noleggio, da rivendere all’estero in modo da lucrarne il prezzo di vendita). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 16339 del 10 aprile 2013 (Cass. pen. n. 16339/2013)
Ai fini della configurabilità del delitto di associazione per delinquere, è necessaria la predisposizione di un’organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza, da parte dei singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare per l’attuazione del programma criminoso comune. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3886 del 31 gennaio 2012 (Cass. pen. n. 3886/2012)
In tema di associazione per delinquere, la qualifica di organizzatore spetta all’affiliato che, sia pure nell’ambito delle direttive impartite dai capi e non necessariamente dalla costituzione del sodalizio criminoso, esplica con autonomia la funzione di curare il coordinamento dell’attività degli altri aderenti ovvero l’impiego razionale delle strutture e delle risorse associative o di reperire i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso. (Fattispecie relativa all’attività esercitata in seno al sodalizio dedito alla commissione di reati fallimentari da parte del professionista impegnatosi nella costituzione di società all’estero strumentali all’occultamento delle risorse finanziarie distratte). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 37370 del 17 ottobre 2011 (Cass. pen. n. 37370/2011)
In tema di associazione per delinquere, il sopravvenuto stato detentivo di un soggetto non determina la necessaria ed automatica cessazione della partecipazione al sodalizio, atteso che la perdurante appartenenza al gruppo di persona della quale sia provata l’affiliazione può essere correttamente ritenuta in qualunque momento ove manchi la notizia di una sua intervenuta dissociazione. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 17100 del 3 maggio 2011 (Cass. pen. n. 17100/2011)
La norma incriminatrice dei fatti di illecita concorrenza mediante violenza o minaccia non è speciale rispetto a quella incriminatrice dell’associazione per delinquere di tipo mafioso, sicché i due reati, attesa l’episodicità del primo e la struttura associativa del secondo, possono concorrere. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 12785 del 29 marzo 2011 (Cass. pen. n. 35454/2010)
Il profitto del reato di associazione per delinquere, sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente (art. 11, L. 16 marzo 2006, n. 146), è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall’insieme dei reati fine, dai quali è del tutto autonomo e la cui esecuzione è agevolata dall’esistenza di una stabile struttura organizzata e dal comune progetto delinquenziale. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 5869 del 17 febbraio 2011 (Cass. pen. n. 35454/2010)
La circostanza aggravante dell’aver cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61, n. 7 c.p.) è incompatibile con il reato di associazione per delinquere, in quanto il requisito del danno patrimoniale è estraneo alla struttura del reato associativo, non derivando dalla mera costituzione di un sodalizio criminoso, ancorché ispirato da motivi di lucro, un danno patrimoniale. (In motivazione la Corte ha precisato che è solo con l’attuazione del programma criminoso che si verifica la lesione di beni giuridici con conseguente prodursi di danni patrimoniali i quali, pertanto, derivano dalla commissione dei reati fine, sicché soltanto in relazione ad essi può ritenersi configurabile l’aggravante in esame). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 35454 del 1 ottobre 2010 (Cass. pen. n. 35454/2010)
In tema di reati associativi, gli elementi certi relativi alla partecipazione di determinati soggetti ai reati fine effettivamente realizzati possono essere influenti nel giudizio relativo all’esistenza del vincolo associativo e all’inserimento dei soggetti nell’organizzazione, specie quando ricorrano elementi dimostrativi del tipo di criminalità, della struttura e delle caratteristiche dei singoli reati, nonché delle modalità della loro esecuzione. (Fattispecie in tema di procedimento cautelare). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 21919 del 8 giugno 2010 (Cass. pen. n. 21919/2010)
È configurabile l’esistenza, tra corrotto e corruttore, del vincolo associativo necessario per la sussistenza del delitto di cui all’art. 416 c.p. (Fattispecie relativa alla riconosciuta esistenza di un sodalizio criminale gestito da operatori obitoriali cui sono stati ritenuti partecipare i rappresentanti delle imprese di onoranze funebri, le quali, pagando una tangente ai primi, avevano stabilmente accesso ad un sistema di turnazione nell’orientamento della potenziale clientela). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10032 del 11 marzo 2010 (Cass. pen. n. 10032/2010)
Il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti in materia di prostituzione può concorrere con quello di esercizio di casa di prostituzione, non richiedendo quest’ultimo l’esistenza di una struttura associativa ma soltanto la presenza di un soggetto che sovraintenda alla gestione della casa in posizione sovraordinata rispetto alle prostitute. (Fattispecie nella quale un circolo, adibito a casa di prostituzione, era gestito da un intero nucleo familiare). Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 9447 del 10 marzo 2010 (Cass. pen. n. 9447/2010)
L’appartenenza di un soggetto a un sodalizio criminale può essere ritenuta anche in base alla partecipazione a un solo reato fine solo purché sia dimostrato che il ruolo svolto e le modalità dell’azione siano stati tali da evidenziare la sussistenza del vincolo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6308 del 16 febbraio 2010 (Cass. pen. n. 6308/2010)
In tema di associazione per delinquere, non è necessario che il contributo offerto dall’associato sia indispensabile, potendo essere anche minimo e di qualsiasi forma o contenuto. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 5424 del 11 febbraio 2010 (Cass. pen. n. 5424/2010)
Ai fini della configurabilità di una associazione a delinquere, il cui programma criminoso preveda un numero indeterminato di delitti contro il patrimonio e la conseguente distrazione dei beni dell’impresa nel cui nome gli associati compiano l’attività contrattuale, non si richiede l’apposita creazione di una organizzazione, sia pure rudimentale, ma è sufficiente una struttura che può anche essere preesistente alla ideazione criminosa e già dedita a finalità lecita, né è necessario che il vincolo associativo assuma carattere di stabilità, essendo sufficiente che esso non sia a priori circoscritto alla consumazione di uno o più reati predeterminati, con la conseguenza che non si richiede un notevole protrarsi del rapporto nel tempo, bastando anche un’attività associativa che si svolga per un breve periodo. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 31149 del 28 luglio 2009 (Cass. pen. n. 31149/2009)
In tema di reato associativo, l’arresto del compartecipe intervenuto successivamente a quello degli altri sodali, per l’iniziale mancanza di indizi a suo carico, non ha valore di atto interruttivo della permanenza nel reato, salvo che non sia raggiunta la prova dell’estromissione o del recesso del compartecipe dal sodalizio. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 10075 del 6 marzo 2009 (Cass. pen. n. 10075/2009)
Il concorso cosiddetto «esterno » è configurabile, oltre che nel reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, anche nel reato di associazione per delinquere «semplice ». Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 38430 del 9 ottobre 2008 (Cass. pen. n. 38430/2008)
È possibile la simultanea partecipazione a più sodalizi criminosi, in specie quando una delle associazioni sia costituita con il consenso dell’altra e operi sotto il suo controllo oppure sia a questa legata da vincolo federativo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 25727 del 25 giugno 2008 (Cass. pen. n. 17746/2008)
In tema di associazione per delinquere, è possibile ritenere la contemporanea appartenenza a diverse associazioni allorchè un soggetto faccia parte, anche in coincidenza temporale, di un organismo criminoso che, oltre a operare in proprio, sia anche inserito in una «federazione » di analoghi organismi, avente sue proprie e distinte finalità, in funzione delle quali appunto essa è stata concepita e realizzata. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 17746 del 5 maggio 2008 (Cass. pen. n. 17746/2008)
In tema di reati associativi, al fine di controllare il rispetto del principio del « ne bis in idem» occorre verificare in concreto i segmenti di condotta presi in esame dalle singole sentenze passate in giudicato, nel senso che tale principio risulta violato solo ove vi sia sovrapposizione tra le condotte oggetto di giudicato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 12700 del 25 marzo 2008 (Cass. pen. n. 12700/2008)
Il delitto di associazione per delinquere è configurabile anche se l’attività illecita costituente il fine del sodalizio sia programmata a tempo, purché con precostituzione di una congrua struttura organizzativa e in vista della consumazione di un numero non determinato e tendenzialmente indefinito di episodi criminosi, sia pure nell’arco di tempo prefissato dagli associati. (Fattispecie di associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di truffe mediante emissione di falsi assegni bancari). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 12681 del 25 marzo 2008 (Cass. pen. n. 12681/2008)
Il partecipe di un’associazione per delinquere risponde dei reati strumentali, e cioè di quelli che sono strumento di attuazione del programma criminoso, pur se non abbia concorso alla loro commissione, in ragione dell’adesione alla realizzazione dello scopo criminoso che richiede una comune predisposizione di mezzi ed implica la consapevolezza in ciascuno degli associati di concorrere a detta predisposizione. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 32901 del 14 agosto 2007 (Cass. pen. n. 32901/2007)
Per la sussistenza del delitto di associazione a delinquere è sufficiente la presenza di almeno tre persone e non è necessario né un numero notevole di persone, né una distinzione precisa di ruoli tra le stesse; nelle associazioni con un modesto organigramma è però indispensabile il vincolo continuativo, scaturente dalla consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio criminale e di partecipare con il proprio contributo causale alla realizzazione di un programma criminale duraturo, per la realizzazione del quale è stata predisposta la struttura con i mezzi necessari al raggiungimento degli scopi illeciti. (Fattispecie relativa ad associazione a delinquere finalizzata alla commissione di truffe, falsi ed indebito utilizzo di mezzi di pagamento in danno di società finanziarie). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 34043 del 11 ottobre 2006 (Cass. pen. n. 34043/2006)
È ipotizzabile la sussistenza della continuazione tra reato associativo e reati fine a condizione che questi ultimi siano già stati programmati al momento della costituzione della associazione. (Fattispecie nella quale la richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato è stata ritenuta infondata perché basata unicamente sul rilievo che l’acquisto di sostanze stupefacenti era avvenuto mentre era in vita la associazione criminale e con il concorso degli aderenti alla associazione stessa). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 12639 del 10 aprile 2006 (Cass. pen. n. 12639/2006)
In materia di associazione per delinquere, se non sussiste la prova che i reati fine siano stati progettati dall’intera organizzazione con la piena consapevolezza da parte dei singoli associati delle manifestazioni del progetto delittuoso e delle connesse modalità esecutive, dalla commissione dei singoli reati non può essere fatta discendere la responsabilità per l’appartenenza all’associazione criminosa. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare in cui dalla mera partecipazione all’attività di occupazione di immobili di edilizia privata disabitati erano stati ritenuti gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione all’associazione per delinquere). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 5075 del 9 febbraio 2006 (Cass. pen. n. 5075/2006)
In tema di associazione per delinquere, il sopravvenuto stato detentivo di un soggetto non determina la necessaria ed automatica cessazione della partecipazione al sodalizio criminoso di appartenenza, atteso che, in determinati contesti delinquenziali, i periodi di detenzione sono accettati dai sodali come prevedibili eventualità le quali, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo e alla programmazione delle sue attività e, dall’altro, non fanno cessare la disponibilità a riassumere un ruolo attivo non appena venga meno il forzato impedimento. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 2893 del 25 gennaio 2006 (Cass. pen. n. 2893/2006)
Il problema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reati-fine non va impostato in termini di compatibilità strutturale, in quanto nulla si oppone a che, sin dall’inizio, nel programma criminoso dell’associazione, si concepiscano uno o più reati-fine individuati nelle loro linee essenziali, di guisa che tra questi reati e quello associativo si possa ravvisare una identità di disegno criminoso. Ne consegue che tale problema si risolve in una quaestio facti la cui soluzione è rimessa di volta in volta all’apprezzamento del giudice di merito. (Fattispecie relativa ad annullamento con rinvio di ordinanza del Tribunale del riesame che aveva escluso il ricorrere dei presupposti del fenomeno della cosiddetta «contestazione a catena» fra reato associativo e reato-fine). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 44606 del 6 dicembre 2005 (Cass. pen. n. 44606/2005)
Tra il delitto di riciclaggio e quello di associazione per delinquere non vi è alcun rapporto di «presupposizione» sicché non opera la causa di esclusione con cui esordisce l’art. 648 bis c.p. relativa a chi abbia concorso nel reato. Ne consegue che il partecipe al sodalizio criminoso risponde anche del reato di riciclaggio dei beni acquisiti attraverso la realizzazione dei reati fine dell’associazione. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 40793 del 9 novembre 2005 (Cass. pen. n. 40793/2005)
Il delitto di associazione per delinquere, reato di natura permanente, si consuma nel momento e nel luogo di costituzione del vincolo associativo diretto allo scopo comune; ove difetti la prova relativa al luogo e al momento della costituzione della associazione, soccorre il criterio sussidiario e presuntivo del luogo del primo reato commesso o, comunque, del primo atto diretto a commettere i delitti programmati; ove non sia possibile ancora determinare la competenza per territorio secondo le regole innanzi descritte, è decisivo il luogo ove fu eseguito l’arresto, emesso un mandato o decreto di citazione ovvero il luogo in cui fu compiuto il primo atto del procedimento. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 35229 del 30 settembre 2005 (Cass. pen. n. 35229/2005)
Il reato di associazione a delinquere concorre con quello di esercizio abusivo di attività di gioco e scommessa, giacché gli elementi richiesti per la configurazione del delitto associativo sono la pluralità dei concorrenti e la finalità di commettere una serie indeterminata di delitti e l’interesse tutelato è quello dell’ordine pubblico, mentre quello tutelato dal reato di esercizio abusivo di gioco d’azzardo è l’interesse finanziario dello Stato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 33662 del 14 settembre 2005 (Cass. pen. n. 33662/2005)
La sopravvenuta depenalizzazione dei reati-fine di un’associazione per delinquere fa venire meno ex tunc la rilevanza penale dello stesso fatto associativo, perché, ferma restando l’autonomia del reato di associazione, è necessario che il relativo programma abbia carattere criminale. (Nella fattispecie la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna per il reato di associazione finalizzata esclusivamente alla sofisticazione vinicola, per l’intervento medio tempore del D.L.vo n. 507 del 1999 di depenalizzazione delle ipotesi criminose costitutive del programma associativo). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 13382 del 12 aprile 2005 (Cass. pen. n. 13382/2005)
La condotta di partecipazione ad un’associazione per delinquere, per essere punibile, non può esaurirsi in una manifestazione positiva di volontà del singolo di aderire alla associazione che si sia già formata, occorrendo invece la prestazione, da parte dello stesso, di un effettivo contributo, che può essere anche minimo e di qualsiasi forma e contenuto, purché destinato a fornire efficacia al mantenimento in vita della struttura o al perseguimento degli scopi di essa. Nel caso dell’associazione di tipo mafioso, differenziandosi questa dalla comune associazione per delinquere per la sua peculiare forza di intimidazione, derivante dai metodi usati e dalla capacità di sopraffazione, a sua volta scaturente dal legame che unisce gli associati (ai quali si richiede di prestare, quando necessario, concreta attività diretta a piegare la volontà dei terzi che vengano a trovarsi in contatto con l’associazione e che ad essa eventualmente resistano), il detto contributo può essere costituito anche dalla dichiarata adesione all’associazione da parte del singolo, il quale presti la sua disponibilità ad agire come «uomo d’onore» ai fini anzidetti. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 2350 del 26 gennaio 2005 (Cass. pen. n. 2350/2005)
In tema di associazione per delinquere, integra la condotta di partecipazione, specie in mancanza di un’affiliazione rituale, l’esplicazione di attività omogenee agli scopi del sodalizio, apprezzabili come concreto e causale contributo all’esistenza ed al rafforzamento dello stesso, da parte del soggetto che ne sia stato accettato e in esso sia stabilmente incardinato con l’assunzione di determinati e continui compiti, anche per settori di competenza. (La Corte, con riferimento ad un periodo temporale precedente all’entrata in vigore dell’art. 416 bis c.p., ha riconosciuto la correttezza del ragionamento probatorio della Corte di appello, secondo cui l’imputato, facendo leva sulla sua posizione di uomo politico e di Governo di rilievo nazionale, aveva manifestato la propria disponibilità – sollecitata o accettata da «Cosa nostra» – a compiere interventi in armonia con le finalità del sodalizio, avendone in cambio la promessa, almeno parzialmente mantenuta, di sostegno elettorale alla sua corrente politica e di eventuali interventi di altro genere).
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La dissociazione, come rottura del vincolo associativo che lega il singolo partecipe al sodalizio criminale, consiste non già in un mero atteggiamento ideologico di rifiuto morale della condotta di partecipazione, ma nella manifestazione di atteggiamenti positivi incompatibili con il perdurare del vincolo associativo. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 49691 del 28 dicembre 2004 (Cass. pen. n. 49691/2004)
Qualora più associazioni criminose raggiungano un accordo dal quale scaturisce una struttura operativa ed organizzata, finalizzata stabilmente alla commissione di delitti mediante l’apporto specializzato di ciascuna delle stesse associazioni, prende vita un autonomo ente criminoso, diverso da quelli che hanno concorso alla relativa formazione, l’appartenenza al quale comporta per gli interessati una responsabilità concorrente con quella relativa all’organizzazione di provenienza. (Fattispecie relativa ad una organizzazione per il narcotraffico nata dall’accordo tra gruppi di diversa matrice territoriale). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11814 del 11 marzo 2004 (Cass. pen. n. 11814/2004)
L’accordo tra piú soggetti di realizzare uno o piú reati è un elemento comune alla fattispecie associativa ed a quella concorsuale, ma in tale ultima ipotesi esso deve pervenire alla concreta realizzazione del reato, quanto meno a livello di tentativo, secondo quanto previsto dall’art. 115, comma primo c.p.. Il discrimine tra la fattispecie plurisoggettiva e quella concorsuale non è qualificabile come rapporto di specialità, bensì deve essere individuato nella necessaria qualificazione dell’accordo associativo come una struttura permanente, nella quale i singoli associati divengono — ciascuno nell’ambito dei propri compiti assunti od affidati — parti di un tutto, con il fine di commettere una serie indeterminata di delitti.
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L’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti è configurabile anche nel vincolo che accomuna in modo durevole i fornitori di droga ed i venditori che la ricevono per immetterla nel consumo al minuto, sempre che vi sia la consapevolezza da parte di ognuno di operare nell’ambito di un’unica associazione, contribuendo con i ripetuti apporti al fine comune di trarre profitto dal commercio della sostanza stupefacente. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7957 del 24 febbraio 2004 (Cass. pen. n. 7957/2004)
Per la sussistenza del reato associativo non è necessaria l’effettiva commissione dei reati-fine, ma è sufficiente l’esistenza della struttura organizzativa e del carattere criminoso del programma, il quale permane anche quando taluno dei reati fine non costituisce piú illecito penale a seguito di abolitio criminis. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto configurabile il delitto di associazione a delinquere finalizzata a commettere reati in materia fiscale ai fini di evasione dell’IVA, attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, in quanto l’illiceità penale di tale specifica condotta — sostanzialmente riprodotta nell’art. 8 del decreto legislativo n. 74 del 2000 — rende altresì criminoso il programma dell’associazione, anche se alcune delle violazioni di carattere fiscale, accessorie ad essa, non sono piú previste come reato dalla legge penale, per effetto dell’abolitio criminis operata dal citato D.L.vo n. 74). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7187 del 19 febbraio 2004 (Cass. pen. n. 7187/2004)
È configurabile un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati di insolvenza fraudolenta, allorchè il programma criminoso dei compartecipi preveda un numero indeterminato di delitti di truffa o di insolvenza fraudolenta e la consecutiva distrazione dei beni dell’impresa, nel cui nome gli associati svolgono l’attività contrattuale, fino a quando la stessa non venga dichiarata fallita. (Nell’occasione la Corte ha osservato prefigurare come termine dell’attività criminosa il momento della dichiarazione di fallimento — dichiarazione che è comunque subordinata all’iniziativa dei creditori dell’impresa e non è predeterminabile da parte degli associati — conferma la genericità del programma associativo e non dimostra, di per sè, l’unicità dell’iter criminoso, relativamente ai singoli reati-fine). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 78 del 8 gennaio 2004 (Cass. pen. n. 78/2004)
Per la sussistenza del delitto di associazione a delinquere è sufficiente che alcuni soggetti, in numero superiore a tre, si accordino tra loro allo scopo di commettere più delitti mediante un patto stabile e permanente, diretto al perseguimento di fini illeciti comuni a tutti gli associati, senza che risulti necessaria un’organizzazione gerarchica. Peraltro, i compartecipi di un’associazione a delinquere, priva di struttura gerarchica, non possono — per ciò solo — essere ritenuti “promotori” od “organizzatori” ai sensi del primo comma dell’art. 416 c.p., in assenza di una specifica contestazione, in punto di fatto, circa il ruolo dagli stessi effettivamente svolto all’interno dell’associazione criminale. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 17027 del 10 aprile 2003 (Cass. pen. n. 17027/2003)
Tra il delitto di riciclaggio e quello di associazione per delinquere non vi è alcun rapporto di “presupposizione”, sicché non opera la clausola di esclusione con cui esordisce l’art. 648 bis c.p. relativa a chi abbia concorso nel reato, ed il partecipe al sodalizio criminoso risponde altresì dell’imputazione per riciclaggio dei beni acquisiti attraverso la realizzazione dei reati, fine dell’associazione. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 10582 del 6 marzo 2003 (Cass. pen. n. 10582/2003)
È ammissibile il concorso tra il delitto di associazione per delinquere finalizzata al compimento di reati in materia di prostituzione ed il reato di cui all’art. 3, n. 7, della legge 20 febbraio 1958 n. 75 (consistente nel fatto di «chiunque esplichi un’attività in associazioni ed organizzazioni nazionali od estere dedite al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione od allo sfruttamento della prostituzione ovvero in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo agevoli o favorisca l’azione o gli scopi delle predette associazioni od organizzazioni»), risultando chiaro dalla letterale formulazione di detta norma che essa non configura un vero e proprio reato associativo ma presuppone, piuttosto, l’esistenza di una già costituita organizzazione criminosa per quindi individuare come autonome condotte punibili quelle che, in un modo o nell’altro, rechino ad essa vantaggio. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 21 del 7 gennaio 2003 (Cass. pen. n. 21/2003)
Ai fini della configurabilità del reato associativo, ciò che rileva è l’effettivo contributo fornito con carattere di stabilità, al raggiungimento degli illeciti fini della struttura criminosa, purché detto contributo sia fornito con la consapevolezza e la volontà di inserirsi organicamente nella vita del gruppo delinquenziale. Ne consegue che è ininfluente la circostanza che ciò eventualmente avvenga per mandato di terza persona, essendo irrilevanti le ragioni per le quali si partecipa alla vita della societas sceleris. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 33717 del 17 settembre 2001 (Cass. pen. n. 33717/2001)
In tema di associazione a delinquere aggravata ai sensi del comma 4 dell’art. 416 c.p.p., perché sussista la circostanza aggravata «della scorreria in armi» è necessario che la condotta si connoti per un aumentato pericolo dell’ordine pubblico e per un particolare allarme sociale; tali caratteristiche sussistono allorché gli associati «scorrono» in armi le campagne e le pubbliche vie col proposito di realizzare le condotte criminose che si riveleranno possibili, con correlate azioni di depredazione, grassazione e soverchierie, mentre non è sufficiente che essi possiedano stabilmente delle armi, debitamente occultate, e che per la commissione dei singoli reati fine effettuino con esse spostamenti da luogo a luogo. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 32439 del 29 agosto 2001 (Cass. pen. n. 32439/2001)
In tema di associazione per delinquere (nella specie, di stampo mafioso) è consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo rispetto ai reati fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 10 del 27 aprile 2001 (Cass. pen. n. 10/2001)
L’associazione di tipo mafioso si distingue dalla comune associazione per delinquere, come può rilevarsi dal semplice raffronto testuale fra le due norme incriminatrici (a cominciare dalle rispettive rubriche, la prima delle quali è priva, non a caso, a differenza della seconda, dell’inciso «per delinquere»), anche per il fatto che essa non è necessariamente diretta alla commissione di delitti — anche se questi, ovviamente, possono rappresentare (e, di fatto, normalmente rappresentano) lo strumento mediante il quale gli associati puntano a conseguire i loro scopi — ma può anche essere diretta a realizzare, sempre con l’avvalersi della particolare forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, taluno degli altri obiettivi indicati dall’art. 416 bis c.p., fra i quali anche quello, assai generico, costituito dalla realizzazione, di «profitti o vantaggi ingiusti per sè o per altri». Ne deriva che mentre non può parlarsi di associazione per delinquere ordinaria quando gli associati abbiano come scopo esclusivo la commissione non di un numero indeterminato di delitti, ma solo di uno o più delitti previamente individuati, nulla vieta la configurabilità, invece, del reato di associazione di tipo mafioso quando gli associati, pur essendosi dati un programma che, quanto a fatti specificamente delittuosi, presenti le stesse limitazioni dianzi accennate, siano tuttavia mossi da altre concorrenti finalità comprese fra quelle previste dalla norma incriminatrice e comunque adottino, per la realizzazione di quel programma e delle altre eventuali finalità, i particolari metodi descritti dalla stessa norma. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5405 del 8 febbraio 2001 (Cass. pen. n. 5405/2001)
Il programma associativo di un’associazione per delinquere va tenuto distinto dal disegno criminoso la cui unicità costituisce presupposto essenziale per la configurabilità della continuazione fra più reati, atteso che quest’ultima richiede la rappresentazione, fin dall’inizio, dei singoli episodi criminosi, individuati almeno nelle loro linee essenziali, e pertanto è ravvisabile solo quando risulti che l’autore abbia già previsto e deliberato in origine, per linee generali, l’iter criminoso da percorrere e i singoli reati attraverso i quali si snoda; ne consegue che la partecipazione ad un’associazione per delinquere non può costituire, di per sè sola, prova dell’unicità di disegno criminoso fra i reati commessi per il perseguimento degli scopi dell’associazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3834 del 31 gennaio 2001 (Cass. pen. n. 3834/2001)
È ravvisabile la costituzione in associazioni per delinquere di due famiglie, intese come tali per parentela, affinità, amicizia, legami clientelari dei membri, le quali conducano per tempo indeterminato una faida sanguinaria, l’una contro l’altra. Difatti va distinta la vendetta, quale movente di un delitto contro la persona, dalla programmazione di delitti indeterminati nel numero e nelle occasioni da commettere indiscriminatamente in danno dei membri dell’opposta fazione, ancorché ognuno si colleghi ad un precedente attribuito agli avversari. In tal caso ciascun delitto, proprio in quanto il fatto rispetto al quale costituisce una ritorsione non è inatteso nel genere, ancorché non preveduto nella specie, può essere sintomo di un programma intorno al quale è stretto il vincolo di tutti i membri di una delle due fazioni. (Ha tuttavia precisato la Corte che non è possibile attribuire il reato associativo a taluno solo perché legato alla famiglia da vincoli di sangue o di pregressa amicizia, senza la prova della partecipazione a singoli fatti delittuosi). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2186 del 20 aprile 2000 (Cass. pen. n. 2186/2000)
I reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata e alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti, e di reati diversi. Invero, i due reati tutelano beni giuridici diversi: il primo l’ordine pubblico, sotto il particolare profilo della pericolosità sociale dell’esistenza di organizzazioni svolgenti attività, lecite e illecite, con modalità intimidatrici derivanti dalla natura della associazione e cagionando condizioni di assoggettamento e di omertà idonei al raggiungimento di scopi ingiusti; l’altro la difesa della salute individuale e collettiva contro l’aggressione della droga e della sua diffusione. Ne consegue che, è sufficiente che un’associazione di tipo mafioso si dedichi stabilmente anche al traffico di sostanze stupefacenti, perché risultino configurabili entrambi i reati; anche se non è necessario che tutti coloro che partecipano a un’associazione partecipino anche all’altra. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5791 del 4 febbraio 2000 (Cass. pen. n. 5791/2000)
La condotta favoreggiatrice a favore dei componenti di una associazione a delinquere può essere assunta come valido indizio di una partecipazione alla stessa banda criminale. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 3461 del 16 dicembre 1999 (Cass. pen. n. 3461/1999)
In tema di associazione per delinquere, mancando di norma un atto “costitutivo” del sodalizio, la prova dell’esistenza di un’associazione con finalità illecite ben può essere desunta, in via indiretta, da “facta concludentia”, tra i quali assumono particolare rilievo i delitti programmati ed effettivamente realizzati, specie se il contesto in cui questi sono maturati e le loro modalità di esecuzione conclamino l’esistenza di un vincolo associativo, quale entità del tutto indipendente dalla concreta esecuzione dei singoli delitti-scopo. (Fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la valutazione del giudice di merito che aveva desunto l’esistenza di un’associazione dedita al contrabbando da vari elementi sintomatici emergenti dai singoli episodi criminosi, quali la capillare organizzazione operativa, il numero delle persone coinvolte, la sintonia operativa tra gli agenti, i mezzi adoperati e il numero delle basi logistiche). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12530 del 4 novembre 1999 (Cass. pen. n. 12530/1999)
In tema di reati associativi, ciò che rileva è la effettiva costituzione ed operatività di una organizzazione stabile, posta in essere da tre o più persone (aventi consapevolezza di parteciparvi) allo scopo di realizzare un programma criminoso protratto nel tempo, con ripartizione di compiti tra gli associati. Poiché, dunque, la esplicita manifestazione di una volontà associativa non è necessaria per la costituzione del sodalizio, la consapevolezza dell’associato non può che essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione. (Fattispecie in tema di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti per l’espletamento del quale gli imputati avevano ruoli distinti ed avevano acquisito la disponibilità di una stalla, usata per i loro incontri, la quale serviva anche da schermo alla attività criminale). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 10076 del 11 agosto 1999 (Cass. pen. n. 10076/1999)
In tema di reato associativo, la permanenza cessa anche con la privazione della libertà personale dell’agente, con la conseguenza che, se – successivamente alla instaurazione dello stato di detenzione – risulti provata ulteriore adesione al sodalizio criminoso, deve ravvisarsi nuovo ed autonomo reato, per il quale può essere emesso nuovo provvedimento cautelare coercitivo, dalla cui notifica decorre nuovo termine di custodia cautelare. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2136 del 11 giugno 1999 (Cass. pen. n. 2136/1999)
In tema di associazione per delinquere, il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la configurabilità del reato deve essere valutato in senso oggettivo, ossia come componente umana effettiva ed esistente nel sodalizio e non con riferimento al numero degli imputati presenti nel processo; ne consegue che vale ad integrare il reato anche la partecipazione degli individui rimasti ignoti, giudicati a parte o deceduti, che è possibile dedurre l’esistenza della realtà associativa, anche sotto il profilo numerico, dalle attività svolte, dalle quali può risultare in concreto una distribuzione di compiti necessariamente estesa a più di due persone. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 7437 del 9 giugno 1999 (Cass. pen. n. 7437/1999)
In tema di reati associativi, perché si realizzi la partecipazione dei singoli associati, non è necessario che ciascun partecipe consegua direttamente, per sè o per altri, il profitto o il vantaggio da realizzare attraverso l’associazione, contrassegnato dal connotato della ingiustizia. La condotta di partecipazione consiste nel contributo, apprezzabile e concreto sul piano causale, all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione e, quindi, alla realizzazione dell’offesa degli interessi tutelati dalla norma incriminatrice, qualunque sia il ruolo o il compito che il partecipe svolga nell’ambito dell’associazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1472 del 4 febbraio 1999 (Cass. pen. n. 1472/1999)
Il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere si distingue da quello di favoreggiamento, in quanto nel primo il soggetto opera organicamente e sistematicamente con gli associati, come elemento strutturale dell’apparato del sodalizio criminoso, anche al fine di depistare le indagini di polizia volte a reprimere l’attività criminosa dell’associazione o a perseguire i partecipi di tale attività; mentre nel reato di favoreggiamento il soggetto aiuta in maniera episodica un associato, resosi autore di reati rientranti o non nell’attività prevista dal vincolo associativo, ad eludere le investigazioni della polizia o a sottrarsi alle ricerche di questa.
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La configurabilità del delitto di favoreggiamento, sotto il profilo del rapporto cronologico con il reato principale, postula necessariamente che la commissione di quest’ultimo, nel suo momento iniziale, sia anteriore alla condotta assunta come favoreggiatrice, ma non anche che il reato principale sia già esaurito nell’atto in cui detta condotta viene posta in essere. Ne consegue che l’aiuto consapevolmente prestato a soggetto che perseveri attualmente nella condotta costitutiva di un reato tipicamente permanente, come quello di associazione per delinquere, dà luogo generalmente a concorso in tale reato e non a favoreggiamento, a meno che detto aiuto, per le caratteristiche e per le modalità pratiche con le quali viene attuato, non possa in alcun modo tradursi in un sostegno o incoraggiamento dell’altro nella protrazione della condotta criminosa, ma, al contrario, costituisca soltanto una facilitazione all’attività di uno degli esponenti di essa associazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 13008 del 11 dicembre 1998 (Cass. pen. n. 13008/1998)
Sia il codice penale (artt. 416 e 416 bis) che il T.U. delle leggi sugli stupefacenti (art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) non recano nozioni definitorie dell’associazione che intendono reprimere, ma rimandano all’interprete per l’individuazione del concetto. Elemento essenziale dei reati previsti dalle norme suindicate è l’accordo associativo il quale crea un vincolo permanente a causa della consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio e di partecipare, con contributo causale, alla realizzazione di un duraturo programma criminale. Tale essendo la caratteristica del delitto, ne discende a corollario la secondarietà degli elementi organizzativi che si pongono a substrato del sodalizio, elementi la cui sussistenza è richiesta nella misura in cui dimostrano che l’accordo può dirsi seriamente contratto, nel senso cioè che l’assoluta mancanza di un supporto strumentale priva il delitto del requisito dell’offensività. Tanto sta pure a significare che, sotto un profilo ontologico, è sufficiente un’organizzazione minima perché il reato si perfezioni, e che la ricerca dei tratti organizzativi non è diretta a dimostrare l’esistenza degli elementi costitutivi del reato, ma a provare, attraverso dati sintomatici, l’esistenza di quell’accordo fra tre o più persone diretto a commettere più delitti, accordo in cui il reato associativo di per sè si concreta. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10725 del 12 ottobre 1998 (Cass. pen. n. 10725/1998)
In tema di connotati distintivi dell’associazione per delinquere rispetto al reato meramente concorsuale, il fatto che una pluralità di fatti delittuosi siano stati commessi da appartenenti allo stesso gruppo familiare non comporta di per sè l’esistenza di un pactum sceleris e di un generico programma criminoso, necessari elementi costitutivi del reato associativo. È necessario, infatti, al fine di distinguere se i componenti della stessa famiglia abbiano agito in concorso tra loro ovvero se ad essi sia riferibile anche il delitto associativo, accertare se della preesistente organizzazione familiare essi si siano di volta in volta avvantaggiati per la commissione dei vari reati, ovvero se, nell’ambito della medesima struttura familiare, o affiancata ad essa, altra essi abbiano voluta e realizzata, dotata di distinta ed autonoma operatività delittuosa. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7162 del 15 giugno 1998 (Cass. pen. n. 7162/1998)
In tema di associazioni criminose, l’aggravante della disponibilità di armi di cui al comma quarto dell’art. 416 bis c.p. si sostanzia in una situazione di fatto che non coincide con i fatti di illegale detenzione e porto, non solo perché la disponibilità non corrisponde necessariamente alla attuale ed effettiva detenzione o porto, ma perché essa può riguardare anche armi legalmente detenute, sicché l’armamento viene in rilievo come semplice ed oggettiva situazione di fatto. Tale figura si differenzia nettamente dall’aggravante delle scorrerie in armi di cui al comma quarto dell’art. 416 c.p., la quale richiede il trasferimento da un luogo a un altro di associati armati, sicché la semplice disponibilità di armi, al di là della eventuale specifica rilevanza penale del fatto, non integra tale circostanza aggravante. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 265 del 24 febbraio 1998 (Cass. pen. n. 265/1998)
In materia di reati associativi, il ruolo di partecipe — anche in posizione gerarchicamente dominante — da taluno rivestito nell’ambito della struttura organizzativa criminale non è di per sé solo sufficiente a far presumere, in forza di un inammissibile ed approssimativo criterio di semplificazione probatoria dell’accertamento della responsabilità concorsuale, quel soggetto automaticamente responsabile di ogni delitto compiuto da altri appartenenti al sodalizio, sia pure riferibile all’organizzazione e inserito nel quadro del programma criminoso; dei delitti fine rispondono soltanto coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all’attuazione della singola condotta delittuosa, alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone nel reato, essendo teoricamente esclusa dall’ordinamento vigente la configurazione di qualsiasi forma di anomala responsabilità di “posizione” o da “riscontro d’ambiente”, con la quale si pretende di riferire all’associato il reato fine che si ha prova di collegare all’associazione, siccome compreso nel programma generico dell’organizzazione. (Fattispecie relativa ad associazione per delinquere di tipo mafioso e finalizzata al traffico di stupefacenti). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1988 del 18 febbraio 1998 (Cass. pen. n. 1988/1998)
Il reato associativo, specie con riferimento all’attività di procacciamento e spaccio di sostanze stupefacenti, non richiede una struttura articolata e complessa o una esplicita reciproca manifestazione di intenti essendo sufficiente una struttura anche esile cui i compartecipi possano fare reciproco, anche tacito, affidamento. Non è ostativa alla configurabilità del reato associativo neppure per la differenza dello scopo personale o dell’utile che i singoli partecipi si propongono, potendo essa sussistere nell’ipotesi in cui gli acquirenti che poi reimmettono le sostanze al consumo siano mossi dalla esclusiva finalità di assicurarsi una fonte di approvvigionamento stabile, costante e abitudinaria e i venditori, mossi dall’intento di smerciare a fine di profitto la sostanza stupefacente, possano fare uno stabile affidamento sulla disponibilità all’acquisto da parte dei compratori con la costituzione di un rapporto che va oltre il significato negoziale della singola operazione per costituire elemento di una struttura che facilita lo svolgimento dell’intera attività criminale, che poi reimmettono la sostanza al consumo. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 11899 del 18 dicembre 1997 (Cass. pen. n. 11899/1997)
Nei delitti associativi l’effetto interruttivo della permanenza del reato deve ricollegarsi alla sentenza, anche non irrevocabile, che accerti la responsabilità dell’imputato, da ciò conseguendo che la porzione di condotta illecita successiva a detta pronuncia, pur non ontologicamente disgiungibile dalla precedente, rimane perseguibile a titolo di reato autonomo. Qualora, viceversa, sia stata pronunciata assoluzione, non può ritenersi operante in virtù di tale sentenza alcun effetto interruttivo della permanenza della condotta criminosa, proprio perché è carente l’accertamento di un reato, da ciò conseguendo esclusivamente la preclusione del giudicato di cui all’art. 649 c.p.p.; in tali ipotesi, pertanto, il divieto di un secondo giudizio vale solo per i fatti verificatisi fino alla data indicata nella contestazione, indipendentemente dalla data di pronuncia della sentenza assolutoria. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto legittima l’ordinanza cautelare avente ad oggetto la condotta associativa tenuta dal prevenuto in periodo pur antecedente all’intervenuta sentenza di assoluzione dall’imputazione di appartenenza al medesimo sodalizio criminoso, ma comunque successivo alla data indicata nella contestazione in ordine alla quale l’assoluzione era intervenuta, solo fino alla quale poteva dirsi operante la preclusione del precedente giudizio). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 19491 del 16 ottobre 1997 (Cass. pen. n. 19491/1997)
In tema di associazione per delinquere, devesi ritenere che la persona la quale attui più volte — in concorso con i partecipi al sodalizio criminoso — reati-fine di questo, sia raggiunta per ciò stesso da gravi, precisi e concordanti indizi in ordine alla commissione del reato associativo, i quali possono essere superati solo con la prova contraria che il contributo fornito non è dovuto ad alcun vincolo preesistente con i correi, fermo restando che detta prova, stante la natura permanente del reato de quo, non può essere assolta con l’allegazione della limitata durata dei rapporti con essi correi intercorsi. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 6026 del 21 giugno 1997 (Cass. pen. n. 6026/1997)
Il dolo del delitto di associazione a delinquere è dato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo e quindi del programma delinquenziale in modo stabile e permanente. Quando la condotta si esaurisca nella partecipazione ad un solo episodio criminoso, non è esclusa la responsabilità per il reato associativo, ma la prova della volontà di partecipare alla associazione deve essere particolarmente puntuale e rigorosa. (Nell’affermare il principio di cui in massima la Corte ha rinviato gli atti alla corte d’appello per una più approfondita valutazione della sussistenza dell’elemento psicologico in una ipotesi in cui era stata contestata l’associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti ad un soggetto in correlazione alla partecipazione diretta ad un singolo episodio di importazione di sostanza stupefacente dall’estero). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5970 del 19 giugno 1997 (Cass. pen. n. 5970/1997)
In tema di reato associativo, l’elemento che discrimina le fattispecie di cui agli articoli 416 e 416 bis c.p. dalla semplice compartecipazione criminosa di cui all’art. 110 c.p. è costituito dalla natura dell’accordo criminoso; nel concorso di persone nel reato l’accordo avviene in via occasionale e accidentale per il compimento di uno o più reati determinati, con la realizzazione dei quali l’accordo si esaurisce; nei delitti associativi, invece, l’accordo criminoso è diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, che precede e contiene gli accordi concernenti la realizzazione dei singoli crimini e che permane dopo la realizzazione di ciascuno di essi. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5649 del 13 giugno 1997 (Cass. pen. n. 5649/1997)
In assenza della prova di una pur marginale partecipazione agli utili dell’attività associativa, non è sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione all’associazione, la reiterata fornitura di telefonini cellulari clonati agli appartenenti ad una associazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti, pur costituendo questi uno strumento prezioso per la specifica attività svolta dagli associati ed anche se essi sono forniti a un prezzo di favore rispetto a quello praticato sul mercato illegale. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 416 del 15 maggio 1997 (Cass. pen. n. 416/1997)
Il problema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reato-fine non va impostato in termini di compatibilità strutturale: nulla infatti in rerum natura si oppone alla circostanza per cui, sin dall’inizio, nel programma criminoso dell’associazione, si concepiscano uno o più reati-fine individuati nelle loro linee essenziali, così che tra questi reati e quello associativo si possa ravvisare una identità di disegno criminoso. Si tratta dunque di una questio facti la cui soluzione è rimessa volta a volta all’apprezzamento del giudice. (Fattispecie di ipotizzata continuazione tra associazione per delinquere di tipo mafioso e omicidio volontario, in relazione alla quale la Suprema Corte ha ritenuto immune di censure la valutazione del giudice di merito circa la mancata prova della unicità di disegno criminoso tra le due fattispecie criminose). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1474 del 14 maggio 1997 (Cass. pen. n. 1474/1997)
La circostanza che l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti non postuli, per la sua natura, una organizzazione complessa e sofisticata non fà venir meno la necessità di una apprezzabile continuità temporale e criminale di sodalizio, con ripartizione dei compiti fra gli associati, in relazione agli scopi programmati, e con contributi dei medesimi caratterizzati da tipicità rispetto al programma malavitoso. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3277 del 7 aprile 1997 (Cass. pen. n. 3277/1997)
In tema di associazione per delinquere, l’indeterminatezza del programma criminoso non costituisce un requisito indefettibile per la configurabilità del reato di cui all’art. 416 c.p.; la lettera della norma, infatti, postula solo una pluralità di delitti programmati, e lo spirito di essa consiste nell’assicurare la punizione di condotte che, per un verso, non raggiungono il livello di concorso di persone nel reato con il compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un determinato delitto e, per un altro verso, costituiscono un pericolo per l’ordine pubblico e cioè per la società, poiché non si esauriscono in un mero accordo per perpetrare crimini ma implicano la realizzazione di un’organizzazione e la predisposizione di mezzi per l’attuazione del programma messo a punto. (Fattispecie relativa ad un’organizzazione criminosa — fondata da più clan associati e costituita, con la predisposizione comune di uomini e mezzi, allo scopo specifico di sopprimere gli appartenenti ad un sodalizio avversario — in relazione alla quale il giudice di merito aveva escluso la configurabilità del delitto associativo per la ritenuta determinatezza di tale programma, una volta realizzato il quale la stessa organizzazione sarebbe venuta meno). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 66 del 30 gennaio 1997 (Cass. pen. n. 66/1997)
La permanenza del reato associativo cessa anche con la privazione della libertà personale dell’agente; pertanto, qualora successivamente alla sua scarcerazione ne risulti provata l’ulteriore adesione al sodalizio, deve ravvisarsi un nuovo ed autonomo reato per il quale può essere emesso un nuovo provvedimento restrittivo, dalla notifica del quale decorre un nuovo termine di custodia cautelare. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 4939 del 27 marzo 1996 (Cass. pen. n. 4939/1996)
Ai fini della individuazione del luogo di consumazione del reato associativo, determinante la competenza per territorio del tribunale, e, più esattamente, del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione — trattandosi di reato permanente — pur in difetto di elementi storicamente certi in ordine alla genesi del vincolo associativo, soccorrono criteri presuntivi, che valgono a radicare la competenza territoriale nel luogo in cui il sodalizio criminoso si manifesti per la prima volta all’esterno, ovvero in cui si concretino i primi segni della sua operatività, ragionevolmente utilizzabili come elementi sintomatici della genesi dell’associazione nello spazio. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6648 del 2 febbraio 1996 (Cass. pen. n. 6648/1996)
È tuttora configurabile il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati di contrabbando, atteso che il reato di contrabbando non può dirsi depenalizzato sulla base dell’art. 2 della L. 28 dicembre 1993, n. 562, modificativo dell’art. 39 della L. 24 novembre 1981, n. 689, quando, nelle ipotesi aggravate, sia punibile con pena detentiva. (Fattispecie in tema di contrabbando doganale di tabacchi lavorati). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5547 del 31 gennaio 1996 (Cass. pen. n. 5547/1996)
Correttamente è ipotizzabile un’associazione a delinquere composta e limitata ai soli promotori che pertanto rispondono tutti alla più grande violazione del primo comma dell’art. 416 c.p. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8 del 4 gennaio 1996 (Cass. pen. n. 12591/1995)
Si configura il concorso eventuale di persone nel reato di partecipazione ad associazione per delinquere nel caso in cui taluno contribuisca al pregiudizio che l’associazione reca all’ordine pubblico, mediante un contributo materiale o morale al vincolo dei partecipi, senza che egli sia a sua volta vincolato. Ne deriva che quando il contributo sia duraturo, la prova negativa del vincolo proviene dell’esclusione secondo regole interne anche consuetidinarie, dell’associazione, circa l’affiliazione o il comportamento dei membri. In assenza di esse, ove si dimostri che gli affiliati fanno preventivo affidamento sul contributo di taluno, la condotta di questi, non essendo svincolata dallo scopo sociale, va considerata alla stregua di quella di qualsiasi partecipe. Al contrario, ove gli affiliati non facciano preventivo conto sul suo apporto, la relativa condotta è qualificabile come concorso eventuale nel reato. (Fattispecie ex art. D.P.R. n. 309/1990). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 12591 del 28 dicembre 1995 (Cass. pen. n. 12591/1995)
Ai fini della configurabilità, sul piano soggettivo, del concorso esterno nel delitto associativo non si richiede, in capo al concorrente, il dolo specifico proprio del partecipe, dolo che consiste nella consapevolezza di far parte dell’associazione e nella volontà di contribuire a tenerla in vita e a farle raggiungere gli obiettivi che si è prefissa, bensì quello generico, consistente nella coscienza e volontà di dare il proprio contributo al conseguimento degli scopi dell’associazione. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 30 del 14 dicembre 1995 (Cass. pen. n. 30/1995)
I reati di associazione criminosa si perfezionano, e le relative sanzioni sono irrogabili, prima ancora dell’eventuale commissione dei reati fine. Va pertanto esclusa la possibilità che i partecipanti ad un’unica associazione criminosa possano essere puniti con pene edittali diverse, quelle previste dall’art. 416 c.p. o quelle previste dall’art. 74 D.P.R. 309/90, a seconda dei reati fine eventualmente commessi.
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Il delitto previsto dall’art. 74 D.P.R. n. 309/1990 costituisce norma speciale rispetto all’art. 416 c.p., perché a tutti gli elementi costitutivi della associazione per delinquere – a) vincolo tendenzialmente permanente o comunque stabile; b) indeterminatezza del programma criminoso; c) esistenza di una struttura organizzativa adeguata allo scopo – aggiunge quello specializzante della natura dei reati fini programmati, che devono essere quelli previsti dall’art. 73 D.P.R. cit. In forza del principio di specialità (art. 15 c.p.) la costituzione di un’associazione finalizzata al solo traffico di stupefacente non potrà essere punita a doppio titolo (ex art. 416 c.p. e art. 73 T.U. 309/90), mentre la costituzione di una associazione finalizzata alla commissione, sia di reati di stupefacente che di reati diversi, potrà essere punita, oltre che dal citato art. 73, anche dall’art. 416 c.p., con riferimento a quell’ulteriore evento giuridico, lesivo del bene tutelato, ravvisabile nella costituzione di una seconda situazione di pericolo, autonomamente ravvisabile, con particolare riferimento a quegli elementi del reato associativo indicati sub b) e c) che, rientrando nella previsione di carattere generale, si sottraggono a quella speciale e, perciò, sfuggono, alla disposizione dell’art. 15 c.p.
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Il reato associativo si caratterizza per tre elementi fondamentali, costituiti: a) da un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati; b) dall’indeterminatezza del programma criminoso, che distingue tali reati dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, indeterminatezza che non viene meno per il solo fatto che l’associazione sia finalizzata esclusivamente alla realizzazione di reati di un medesimo tipo o natura, giacché essa attiene al numero, alle modalità, ai tempi, agli obiettivi dei delitti integranti eventualmente anche un’unica disposizione di legge, e non necessariamente alla diversa qualificazione giuridico-penalistica dei fatti programmati; c) dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea, e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira.
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In tema di associazione per delinquere e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, al fine di distinguere le ipotesi di concorso apparente di norme da quelle di concorso formale di reati occorre far riferimento al principio di specialità di cui all’art. 15 c.p., fondato sul rapporto logico formale fra le norme incriminatrici, mentre gli altri criteri (sussidiarietà, assorbimento, progressione degli illeciti) basati su giudizi di valore, risolti con la prevalenza della sola sanzione prevista per l’ipotesi più grave, non sono utilizzabili, in quanto i due eventi di pericolo che le predette associazioni realizzano (pericolo di diffusione di sostanze stupefacenti l’una, prevalente pericolo di commissione di delitti contro il patrimonio e le persone l’altra) non si pongono in rapporto di graduazione di dignità e gravità di offesa ai medesimi beni, bensì in rapporto di diversità di beni giuridici tutelati. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11413 del 25 novembre 1995 (Cass. pen. n. 11413/1995)
La disposizione di cui all’art. 74, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, che punisce l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, non si pone in rapporto di specialità con l’art. 416 bis c.p. (associazione per delinquere di stampo mafioso) in quanto i due reati si distinguono nettamente, essendo caratterizzato il secondo dal metodo mafioso, assente nel primo, il quale contiene un elemento costituito dalla natura dei reati-fine, specializzante, solo rispetto al delitto di cui all’art. 416 c.p.; ciò significa che fra le predette norme incriminatrici esiste un rapporto di specialità reciproca, che non consente l’applicazione del principio sancito dall’art. 15 c.p., ma rende configurabile il concorso formale fra i due reati. Pertanto, se l’esistenza di un sodalizio criminoso non mafioso finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti configura il reato di cui all’art. 74, D.P.R. n. 309/1990 e non anche quello di cui all’art. 416 c.p., il fatto di una organizzazione mafiosa che si dedichi a detto traffico rientra nell’ambito applicativo di entrambe le fattispecie criminose. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 478 del 29 settembre 1995 (Cass. pen. n. 478/1995)
L’autonomia tra reato associativo e reato-fine, derivante dal fatto che il primo prescinde dalla commissione degli illeciti oggetto del programma criminoso, esclude che la sussistenza del delitto di cui all’art. 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (associazione finalizzata al traffico di stupefacenti) possa essere desunta dall’attuazione di una delle condotte descritte dall’art. 73 del suddetto decreto. (Fattispecie relativa all’importazione di un ingente quantitativo di cocaina, nella quale la S.C. ha censurato il giudice di merito, che da tale condotta aveva arguito l’inserimento nel sodalizio criminale, atteso che «è necessaria una adeguata struttura organizzativa che garantisca e i momenti preliminari e quelli susseguenti al fatto della detenzione di tali ingenti quantità»). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9898 del 27 settembre 1995 (Cass. pen. n. 9898/1995)
Pure se l’accordo può costituire elemento comune sia al concorso di persone nel reato sia all’associazione per delinquere, i due fenomeni restano caratterizzati da aspetti strutturali e teleologici profondamente differenziati. Dal primo punto di vista, l’accordo che designa la fattispecie plurisoggettiva semplice (sia essa necessaria ovvero eventuale) è funzionale alla realizzazione di uno o più reati, consumati i quali l’accordo si esaurisce o si dissolve. Del resto, l’accordo, in tanto diviene rilevante nei confini della mera ipotesi concorsuale in quanto pervenga ad una concreta realizzazione dell’assetto divisato, ad un’attività esecutiva, dunque, che non si arresti alle soglie del tentativo. Di conseguenza, il mero accordo allo scopo di commettere un reato, non traducendosi in un’attività di partecipazione al reato stesso resta assoggettato al principio di ordine generale stabilito dall’art. 115 c.p. A tale regola il primo comma dell’art. 115 enuncia un’espressa eccezione ma sempre relativa all’ipotesi in cui «due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato e questo non sia commesso»; cosicché i criteri interpretativi destinati a risolvere le (solo apparenti) antinomie tra accordo non punibile e reato associativo non possono essere compiutamente individuati chiamando in causa il solo principio di specialità. E ciò per la mancanza di un vero e proprio rapporto di genere a specie, postulando il reato associativo una base plurisoggettiva qualificata, non richiesta, invece, nell’ipotesi di accordo. Una constatazione che vale anche ai fini della distinzione tra fattispecie meramente concorsuale e fattispecie associativa, rappresentando il minimum soggettivo richiesto dalla legge relativamente alla seconda categoria di reati un dato non richiesto, invece, per l’attività di mera partecipazione, così da consentire l’utilizzazione del medesimo criterio interpretativo pure – quel che più interessa – nel discriminare le categorie ora ricordate. (Fattispecie di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9320 del 5 settembre 1995 (Cass. pen. n. 9320/1995)
Elementi strutturali del delitto di associazione per delinquere sono la formazione e la permanenza di un vincolo associativo continuativo, fra tre o più persone, allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti, con la predisposizione comune dei mezzi occorrenti per la realizzazione del programma e con la permanente consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio criminoso e di essere disponibile ad operare per l’attuazione pratica del programma. Ne consegue che, tenuto presente il paradigma normativo degli istituti del concorso di persone nel reato e del reato continuato, criterio distintivo del delitto di associazione per delinquere, rispetto al concorso di persone nel reato continuato, è da incentrarsi essenzialmente nel modo di svolgersi dell’accordo criminoso, che, nella seconda ipotesi, avviene in via occasionale e limitata – essendo diretto soltanto alla commissione di più reati determinati, ispirati da un medesimo disegno criminoso che li comprenda e preveda tutti – mentre nella ipotesi dell’associazione per delinquere, l’accordo criminoso, in quanto diretto all’attuazione di un vasto programma di criminalità, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, deve assumere un carattere permanente e può ben prescindere dalla effettiva commissione dei singoli reati programmati. Per la configurazione di quest’ultima ipotesi, poi, non si richiede affatto una partecipazione degli associati ad un’eguale, o quanto meno proporzionale, divisione degli utili conseguiti dall’organizzazione, giacché, ciò che conta è la sussistenza di un vincolo associativo permanente e, perciò, la consapevolezza di ciascun aggregato di essere impegnato a dare il proprio contributo al perseguimento dei fini illeciti dell’associazione, in un rapporto di stabile collaborazione tra i vari componenti. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7063 del 20 giugno 1995 (Cass. pen. n. 7063/1995)
Deve escludersi la configurabilità del reato di associazione per delinquere allorquando i singoli componenti di una organizzazione — creata per il perseguimento di uno scopo lecito risultante anche dal suo statuto — pongano in essere attività illecite e manchi del tutto la prova di un collegamento tra tali fatti illeciti e le direttive generali impartite dai responsabili dell’organizzazione stessa.
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Non è ipotizzabile una trasformazione in associazione per delinquere di una organizzazione cui sia stato riconosciuto il carattere di confessione religiosa, a meno che tutti i suoi membri non abbiano, di comune accordo, cambiato le regole statutarie, dando vita ad un soggetto nuovo e diverso da quello originario. (Nell’affermare il principio di cui in massima, la Suprema Corte ha peraltro precisato che la libertà religiosa non si presenta, nell’ordinamento giuridico italiano, come una libertà sconfinata, non soggetta ad alcun freno, ma incontra sia quei limiti fondamentali, che costituiscono le condizioni indispensabili per una pacifica convivenza dei singoli nel corpo sociale, sia quei limiti che scaturiscono dai valori essenziali ed inderogabili della civiltà stessa che alla medesima si accompagnano e che informano e compenetrano l’ordinamento giuridico positivo; con la conseguenza che se più persone dovessero riunirsi e fondare una «chiesa», prevedendo nello statuto comportamenti integranti gli estremi di fatti penalmente rilevanti, costoro si renderebbero in ogni caso responsabili del delitto di associazione per delinquere). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 5838 del 22 maggio 1995 (Cass. pen. n. 5838/1995)
Il criterio distintivo del delitto di associazione per delinquere, rispetto al concorso di persone in reato continuato, risiede essenzialmente nel modo di svolgersi dell’accordo criminoso, che, nel concorso di persone, avviene in via occasionale ed accidentale, ogni qual volta si decida di dar corso alla commissione di uno o più reati ben individuati e determinati sin dall’inizio, sicché, con la realizzazione di questi, tale accordo si esaurisce, facendo, così, venir meno ogni motivo di pericolo e di allarme sociale; nell’associazione per delinquere, invece, l’accordo criminoso è diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie non determinata di delitti, con il permanere di un vincolo associativo tra i partecipanti, ciascuno dei quali ha la costante consapevolezza di essere associato nell’attuazione del programma delinquenziale, anche indipendentemente ed al di fuori dell’effettiva commissione dei reati programmati. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3161 del 23 marzo 1995 (Cass. pen. n. 3161/1995)
Per quanto riguarda il dolo del delitto di associazione per delinquere è necessario che vi sia da parte dell’agente la coscienza e la volontà di compiere un atto di associazione, cioè la manifestazione di affectio societatis scelerum come tale e la commissione di uno o più delitti programmati dall’associazione non dimostra automaticamente l’adesione alla stessa. Tuttavia l’attività delittuosa conforme al piano associativo costituisce un elemento indiziante di grande rilevanza ai fini della dimostrazione della appartenenza ad essa quando attraverso le modalità esecutive e altri elementi di prova possa risalirsi all’esistenza del vincolo associativo e quando la pluralità delle condotte dimostri la continuità, la frequenza e l’intensità dei rapporti con gli altri associati. Anche la partecipazione ad un episodio soltanto della attività delittuosa programmata può costituire elemento indiziante dell’appartenenza all’associazione, ma in tal caso il valore di tale indizio è sicuramente ridotto ed è necessario che dalla partecipazione al singolo episodio sia desumibile l’affectio societatis dell’agente, e che essa sia fonte di penale responsabilità a carico di chi la mette in atto. Quando infatti il soggetto abbia fornito un contributo alla realizzazione di un unico episodio rientrante nel programma associativo e a tale contributo non venga riconosciuta rilevanza penale, il valore indiziante ai fini della appartenenza all’associazione diventa minimo ed insufficiente ad un riconoscimento di responsabilità. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11446 del 17 novembre 1994 (Cass. pen. n. 11446/1994)
Poiché i delitti di cui agli artt. 416 e 416 bis c.p. sono caratterizzati dal dolo specifico, e deve conseguentemente sussistere la volontà del concorrente di contribuire a realizzare gli scopi in vista dei quali è costituito ed opera il sodalizio criminoso, non può ipotizzarsi un concorso nel delitto associativo a titolo di dolo eventuale. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 4342 del 28 ottobre 1994 (Cass. pen. n. 4342/1994)
L’associazione per delinquere in tanto sussiste, in quanto si costituisca, e permanga, un vincolo associativo continuativo fra tre o più persone, allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti, attraverso la predisposizione comune dei mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso e con la permanente consapevolezza, da parte di ciascuno degli associati, di far parte del sodalizio e di essere disponibile ad attuarne il programma. Tale peculiare atteggiarsi del pactum sceleris distingue nettamente l’associazione per delinquere dal concorso di persone nel reato, anche continuato, il quale, al contrario, richiede l’accordo di due o più persone diretto ad eseguire un determinato reato, ovvero più reati, collegati da un medesimo disegno criminoso, consumati i quali l’accordo si dissolve e si esaurisce, facendo così cessare ogni motivo di allarme sociale. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10835 del 22 ottobre 1994 (Cass. pen. n. 10835/1994)
L’attività reiterata, consistente nel piazzare libretti di risparmio falsificati presso imprenditori bisognosi di finanziamenti e nel garantire l’autenticità dei titoli consegnati alle banche in deposito dagli imprenditori con comunicazioni via fax falsificate, in quanto realizzata con la collaborazione di più persone, studi particolari sui comportamenti commerciali dei soggetti coinvolti e approntamento di mezzi tecnici sofisticati, costituisce indizio grave in ordine alla costituzione di un vincolo associativo continuativo a fini criminosi, rientrante nella previsione dell’art. 416 c.p. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2521 del 22 agosto 1994 (Cass. pen. n. 2521/1994)
In tema di reati associativi, l’arresto dell’indagato comporta fisiologicamente la cessazione del vincolo associativo, a meno che non si dimostri la patologia di una ulteriore permanenza nel sodalizio criminoso del soggetto in vinculis. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 3581 del 5 agosto 1994 (Cass. pen. n. 3581/1994)
In tema di associazione per delinquere, anche la normale attività professionale svolta da un commercialista, qualora realizzata, pur nella sua formale aderenza ai canoni della professione, con il conclamato scopo di concorrere alla realizzazione di un’associazione per delinquere, configura condotta penalmente rilevante per la sussistenza dell’art. 416 c.p., trattandosi di reato che per la sua realizzazione comporta una condotta a forma libera sottoposta alle sole condizioni che l’agente intenda aderire all’accordo associativo e che il suo comportamento sia, anche se parzialmente, funzionale alla realizzazione del progetto criminoso perseguito dai consociati. Tale condotta, se essenziale per l’organizzazione della struttura associativa, qualifica detta partecipazione come quella di organizzatore dell’organismo criminoso. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2897 del 10 marzo 1994 (Cass. pen. n. 2897/1994)
L’istituto della continuazione è inapplicabile ad una pluralità di associazioni per delinquere formatesi in relazione a situazioni, nuove ed impreviste, essendo queste incompatibili con l’identità del disegno criminoso che caratterizza l’istituto medesimo. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, la S.C. ha osservato che la sentenza impugnata aveva chiarito «come la dinamicità della formazione dei gruppi associativi dipendesse dalla novità delle situazioni che di volta in volta si creavano, alle quali i vari soggetti reagivano aggregandosi in modo diverso ed inserendo nelle varie associazioni soggetti nuovi»).
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Le precedenti condanne inflitte all’imputato in relazione alla sua appartenenza ad associazioni per delinquere strutturatesi diversamente non possono comportare improcedibilità per il reato associativo contestato in altro procedimento. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso la S.C. ha osservato che la sentenza non motiva dunque soltanto, come sostiene il ricorrente, considerando il mutamento del numero degli associati, o la pluralità dei reati fine, ma con riferimento, al dinamismo associativo che caratterizzava soggetti facenti capo ad uno stesso settore economico, ma portati di volta in volta ad aggregarsi in associazioni diverse in dipendenza delle finalità di volta in volta individuate). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2167 del 21 febbraio 1994 (Cass. pen. n. 2167/1994)
In tema di associazione per delinquere, la qualifica di organizzatore spetta all’affiliato che, sia pure nell’ambito delle direttive impartite dai capi, esplica con autonomia la funzione di curare il coordinamento dell’attività degli altri aderenti, l’impiego razionale delle strutture e delle risorse associative, nonché di reperire i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1793 del 11 febbraio 1994 (Cass. pen. n. 1793/1994)
In tema di reati di associazione è del tutto irrilevante, ai fini del riconoscimento o meno dell’intervenuta adesione di un taluno al sodalizio criminoso, il fatto che, secondo le regole proprie di quest’ultimo, il soggetto non sia da considerare un associato a pieno titolo, dovendosi invece aver riguardo soltanto all’obiettività della sua condotta, onde verificare se essa sia o meno rivelatrice, alla stregua della logica e della comune esperienza, di una adesione che, nei fatti, si sia comunque realizzata. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 11307 del 9 dicembre 1993 (Cass. pen. n. 11307/1993)
Il delitto di partecipazione alla associazione per delinquere finalizzata all’esercizio abusivo del gioco del lotto, in quanto reato-mezzo, non può ritenersi assorbito, ex art. 15 c.p., nel delitto di esercizio del gioco del lotto clandestino, con premi in danaro, ordinato in modo simile al lotto pubblico, che è un reato fine. L’applicazione del principio di specialità di cui alla ricordata norma del codice presuppone, infatti, che una delle norme (quella cosiddetta speciale) presenti nella sua struttura tutti gli elementi propri dell’altra (cosiddetta generica), oltre a quelli caratteristici propri della specialità; una situazione, invece, non riscontrabile con riguardo alle fattispecie in questione, che prevedono reati distinti ed aventi diverse obiettività giuridiche. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1560 del 23 luglio 1993 (Cass. pen. n. 1560/1993)
Ai fini della sussistenza dell’associazione per delinquere, non è necessario che l’associazione stessa tragga origine da un regolare atto di costituzione, pur essendo necessaria un’organizzazione di fatto con predisposizione, sia pure rudimentale, dei mezzi in concreto idonei alla realizzazione di quel programma criminoso per il quale il vincolo associativo si è instaurato, nonché la coscienza e volontà, da parte di ciascun socio, di far parte di un organismo associativo, e cioè del legame di reciproca disponibilità con gli altri partecipanti in relazione allo svolgimento dell’attività programmata. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5340 del 26 maggio 1993 (Cass. pen. n. 5340/1993)
Il reato di illecita concorrenza con violenza o minaccia previsto dall’art. 513 bis c.p. può concorrere con il delitto di associazione per delinquere. (Nella specie il principio è stato affermato con riferimento a soci di una società operante nei trasporti funebri che con vari atti di intimidazione e sottrazione di beni in danno di imprese concorrenti, avevano imposto il loro monopolio in tale attività in due agglomerati urbani). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 331 del 1 marzo 1993 (Cass. pen. n. 331/1993)
Ricorre il delitto di cui all’art. 416 c.p. anche quando l’associazione per delinquere sia costituita — successivamente ad attività delittuosa iniziata con fatti isolati e di semplice concorso — al fine di continuare e rendere durevole tale attività, dimostratasi agevole e proficua. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1869 del 26 febbraio 1993 (Cass. pen. n. 1869/1993)
L’associazione per delinquere non è necessariamente un organismo formale, sostanziandosi nell’accettazione, insieme ad almeno altre due persone, di una disponibilità e di un impegno permanenti a svolgere determinati compiti, al fine di realizzare un programma di fatti delittuosi. È sufficiente che tale adesione dia vita a un organismo plurisoggettivo che, indipendentemente da eventuali forme esterne, sia in grado di avere una volontà autonoma rispetto a quella dei singoli e di svolgere una condotta collettiva, sintesi delle condotte individuali, al fine di realizzare il programma criminoso. È da ciò che derivano il danno immediato per l’ordine pubblico ed il pericolo per i beni che i delitti in programma offendono; invero l’impegno collettivo, consentendo di utilizzare immediatamente gli uomini disponibili e le strutture appositamente predisposte, agevola la realizzazione dei delitti-scopo.
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L’elemento psicologico del reato di associazione per delinquere consiste nella coscienza di far parte di un impegno collettivo permanente e di svolgere i propri compiti, come determinati dai capi o coordinatori, al fine di compiere a tempo debito i delitti programmati. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 709 del 26 gennaio 1993 (Cass. pen. n. 709/1993)
La competenza territoriale a conoscere dei reati associativi si radica nel luogo in cui la struttura associativa, destinata ad operare nel tempo, diventa concretamente operante e a nulla rileva il sito di consumazione dei singoli delitti oggetto del pactum sceleris. (Fattispecie relativa al reato di cui all’art. 416 c.p.). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 703 del 26 gennaio 1993 (Cass. pen. n. 703/1993)
In tema di associazione per delinquere, perché assuma rilevanza la condotta individuale, occorre l’esistenza del pactum sceleris, con riferimento alla consorteria criminale, e dell’affectio societatis, in relazione alla consapevolezza del soggetto di inserirsi in un’associazione vietata. È punibile, pertanto, a titolo di partecipazione, colui che presti la sua adesione e il suo contributo all’attività associativa, anche per una fase temporalmente limitata. Risponde, invece, a titolo di concorso nel reato associativo il soggetto che, estraneo alla struttura organica del sodalizio, si sia limitato anche ad occasionali prestazioni di singoli comportamenti aventi idoneità causale per il conseguimento dello scopo sociale o per il mantenimento della struttura associativa, avendo la consapevolezza dell’esistenza dell’associazione e la coscienza del contributo che ad essa arreca. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4805 del 8 gennaio 1993 (Cass. pen. n. 4805/1993)
In tema di associazione per delinquere, la permanenza nel reato non è interrotta dallo stato di detenzione, tranne che sia raggiunta la prova dell’estromissione della persona dall’associazione criminosa o il suo recesso da questa. Diversamente è a dire, invece, per la sentenza, anche non irrevocabile, che accerti la responsabilità dell’imputato. Essa, infatti, vale, per finzione giuridica, automaticamente ad interrompere l’attività eventualmente ancora in corso, con la conseguenza che la parte di condotta illecita successiva alla pronuncia sarà perseguibile a titolo di reato autonomo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4804 del 8 gennaio 1993 (Cass. pen. n. 4804/1993)
L’associazione per delinquere è compatibile con il reato di esercizio abusivo di attività di gioco e scommesse previsto dall’art. 4 della L. n. 401 del 1989, in quanto quest’ultimo non necessariamente comporta l’abitualità della condotta o comunque la reiterazione della condotta tipicizzata. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3340 del 15 ottobre 1992 (Cass. pen. n. 3340/1992)
Il delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando ed a reati contro la fede pubblica può dare luogo a risarcimento del danno, poiché l’ordine pubblico, tutelato dall’art. 416 c.p., non va inteso in senso riduttivo e cioè limitato alla pubblica tranquillità o alla sicurezza dei cittadini, ma anche al rispetto dei principi fondamentali, sui quali si fonda la convivenza civile e l’ordinato assetto della società. Rientrano tra questi principi anche il reperimento dei mezzi per assicurare allo Stato gli indispensabili introiti tributari, fonte ordinaria per una corretta gestione della cosa pubblica (art. 53 Cost.). Ne deriva che l’Amministrazione finanziaria risente un danno immediato dalla costituzione dell’associazione, la quale lede uno degli aspetti basilari di quell’ordine fiscale, che rappresenta un precipuo interesse del Ministero preposto. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 9725 del 12 ottobre 1992 (Cass. pen. n. 9725/1992)
In tema di associazione per delinquere, gli elementi relativi alla partecipazione di determinati soggetti a fatti costituenti reati-fine possono essere influenti, sul piano probatorio, nel giudizio relativo all’esistenza del vincolo associativo ed all’inserimento di soggetti nell’organizzazione, in specie quando ricorrano elementi che dimostrino il tipo di criminalità, la struttura e le caratteristiche dei singoli reati, le modalità di esecuzione, e simili. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3173 del 9 settembre 1992 (Cass. pen. n. 3173/1992)
Il reato di associazione per delinquere sussiste per il solo fatto della esistenza di un permanente vincolo associativo tra più persone legate da un comune fine criminoso, perciò per la sussistenza del delitto è irrilevante l’eventuale mancata consumazione dei reati programmati. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 8539 del 30 luglio 1992 (Cass. pen. n. 8539/1992)
La desistenza della partecipazione ad una associazione criminosa, per assumere positiva rilevanza, pur non dovendo necessariamente essere spontanea, né essere determinata da motivi di ordine morale, deve nondimeno essere comunque volontaria, ragion per cui detta rilevanza va esclusa quando risulti che il soggetto sia stato costretto ad appartarsi (nella specie recandosi all’estero), solo per sottrarsi a persecuzioni interne poste in essere a suo carico nell’ambito della medesima organizzazione, continuando, peraltro, ad interessarsi della vita di quest’ultima, con il partecipare a riunioni e con l’intrattenere rapporti con altri associati. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6992 del 16 giugno 1992 (Cass. pen. n. 6992/1992)
Gli associati per delinquere non possono ritenersi, per ciò solo, autori o concorrenti nei delitti commessi in esecuzione del comune programma di delinquenza, richiedendo la riferibilità del reato-fine dell’associato, anche a titolo di concorso nella realizzazione dell’azione delittuosa, la prova di una partecipazione materiale o morale al fatto, alla stregua dei comuni principi e in ossequio ai criteri fondamentali che presiedono all’accertamento della responsabilità penale. Ancorché il reato diverso da quello associativo, cioè il cosiddetto reato-fine, sia compreso nel programma generico dell’organizzazione, l’attribuzione dello stesso ai singoli associati o anche ai capi di detta organizzazione può costituire, oltre che legittima ipotesi di lavoro, un elemento di sospetto che va confortato con altri oggettivi elementi di accusa, senza i quali resta allo stato iniziale di una inutilizzabile valutazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6784 del 6 giugno 1992 (Cass. pen. n. 6784/1992)
Elementi strutturali del delitto di associazione per delinquere sono la formazione e la permanenza di un vincolo associativo continuativo, fra tre o più persone, allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti, con la predisposizione comune dei mezzi occorrenti per la realizzazione del programma delinquenziale e con la permanente consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio criminoso e di essere disponibile ad operare per l’attuazione del programma stesso. Pertanto, tenuta presente la struttura dei due istituti del concorso di persone nel reato e del reato continuato, criterio distintivo del delitto di associazione per delinquere, rispetto al concorso di persone nel reato continuato consiste essenzialmente nel modo di svolgersi dell’accordo criminoso, che, nel concorso di persone nel reato continuato, avviene in via occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati determinati, ispirati da un medesimo disegno criminoso che tutti li comprenda e preveda, con la realizzazione dei quali tale accordo si esaurisce, facendo, così, venir meno ogni motivo di pericolo e di allarme sociale; nell’associazione per delinquere, invece, l’accordo criminoso è diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, ciascuno dei quali ha la costante consapevolezza di essere associato all’attuazione del programma criminoso, anche indipendentemente ed al di fuori della effettiva commissione dei singoli reati programmati, cosicché è proprio la permanenza del vincolo associativo tra più persone legate dal comune fine criminoso, che determina pericolo per l’ordine pubblico ed è la ragione stessa per la configurazione, quale autonomo titolo di reato, del delitto di associazione per delinquere, per la cui sussistenza, peraltro, è irrilevante l’eventuale mancata partecipazione di tutti, o di alcuni degli associati, alla consumazione dei delitti programmati. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3402 del 24 marzo 1992 (Cass. pen. n. 3402/1992)
In tema di reati associativi, una volta dimostrata l’esistenza di una associazione criminosa e una volta individuati elementi, anche indiziari (nella specie costituiti essenzialmente dalla partecipazione agli utili), sulla base dei quali possa ragionevolmente affermarsi la cointeressenza di taluno alle attività di detta associazione e, quindi, la partecipazione alla vita di quest’ultima, non occorre poi anche la dimostrazione di quello che può essere stato il ruolo specifico svolto da quel medesimo soggetto nell’ambito dell’associazione stessa. La «partecipazione», infatti, per sua stessa natura, può realizzarsi nei modi più vari, la cui specificazione non è richiesta dalla norma incriminatrice e non può, quindi, essere richiesta neppure nella sentenza di condanna. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3214 del 18 marzo 1992 (Cass. pen. n. 3214/1992)
Il delitto di associazione per delinquere si distingue dal concorso di persone nel reato disciplinato dagli artt. 110 e ss. c.p. poiché l’accordo criminoso (il quale può intervenire anche tra due persone soltanto) è circoscritto alla commissione di uno o più reati singolarmente individuati, anche quando siano concepiti nell’ambito di un disegno criminoso unitario, e si esaurisce dopo che questi sono stati commessi ed è caratterizzato dalla mancanza di una struttura organizzativa più o meno complessa e dei mezzi necessari all’attuazione del programma, a tutti comune. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6204 del 6 giugno 1991 (Cass. pen. n. 6204/1991)
La differenza tra il concorso di persone nel reato continuato e l’associazione per delinquere risiede, indipendentemente dalla natura e dalla specie dei reati voluti, nelle connotazioni dell’accordo partecipativo che, se delimitato nel tempo e nella previsione di fatti specifici, con esaurimento a scopo raggiunto, dà luogo alla prima ipotesi, mentre se proiettato illimitatamente nel futuro, senza predeterminazione cronologica ed operativa, perciò perdurando anche dopo la realizzazione di uno o più tra i delitti-scopo, anche con il sostegno di adeguata organizzazione a base stabile, concertata fra almeno tre soggetti, integra il reato associativo. (Nell’affermare il principio di cui in massima, la Cassazione ha ritenuto infondato l’assunto di taluni ricorrenti, secondo il quale la previsione di cui all’art. 416 c.p. atterrebbe solo alla consumazione di delitti «eterogenei», di tal che non sarebbe configurabile rapporto associativo, bensì delitto concorsuale continuato nel caso in cui oggetto dell’accordo sia la consumazione ripetuta di delitti della stessa specie). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4820 del 30 aprile 1991 (Cass. pen. n. 4820/1991)
In tema di associazione per delinquere, al fine di accertare se l’autore di taluno dei delitti inquadrabili nel programma criminoso sia anche legato al vincolo associativo criminale, è necessario verificare l’affectio societatis, e cioè la di lui consapevolezza, desumibile anche da fatti concludenti, di aver assunto siffatto vincolo, che non necessariamente deve essere indeterminato nel tempo, purché permanga al di là degli accordi particolari relativi alla realizzazione dei singoli episodi criminosi, in modo da costituire, nella sua fruizione propulsiva della criminalità così organizzata, un attentato all’ordine pubblico. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1332 del 1 febbraio 1991 (Cass. pen. n. 1332/1991)
In tema di reati commessi da appartenenti ad associazioni delinquenziali, perché sussista prova di concorso nella loro commissione è necessario che vi siano elementi dai quali potersi desumere un apporto personale alla realizzazione dello specifico fatto commesso, anche se rientrante nei fini dell’associazione, a nulla rilevando — se non come indizio di partenza abbisognevole di ulteriori riscontri — la militanza nella stessa associazione anche se in posizione eminente. (Nella specie, si è ritenuto che non integri gli estremi di concorso nell’omicidio la successiva predisposizione materiale di un volantino di rivendicazione del fatto delittuoso da altri commesso, predisposizione che costituisce invece l’elemento oggettivo del delitto di apologia di reato). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2273 del 30 luglio 1990 (Cass. pen. n. 2273/1990)
È da escludere la configurabilità della continuazione tra il delitto di associazione per delinquere e i reati-fine in quanto, mentre l’associazione per delinquere è caratterizzata dall’accordo programmatico volto alla commissione di una serie indeterminata di delitti, il reato continuato è caratterizzato non già da un generico programma delinquenziale, bensì da un disegno criminoso che già comprende le diverse azioni od omissioni. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 7634 del 31 maggio 1990 (Cass. pen. n. 7634/1990)
La costituzione di un’associazione per delinquere non si verifica nel momento e nel luogo in cui interviene il semplice accordo tra i compartecipi, ma in quelli della costituzione di una organizzazione permanente, frutto del concerto di intenti e di azione tra gli associati; solo in tali circostanze di tempo e di luogo, infatti, divenendo operante la struttura organizzativa e presentandosi quel pericolo che giustifica l’incriminazione, si realizza quel minimum di mantenimento della situazione antigiuridica necessaria per la sussistenza del delitto e per la individuazione del luogo di inizio della sua consumazione. (Fattispecie relativa a ritenuta commissione del reato nel territorio dello Stato). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5549 del 11 aprile 1990 (Cass. pen. n. 5549/1990)
Ai fini della prova di partecipazione ad associazione per delinquere la commissione dei delitti ulteriori non significa necessariamente anche partecipazione. Questa richiede la coscienza e la volontà di compiere un atto di associazione come tale, l’affectio societatis, che non deriva dalla semplice esecuzione dei delitti cui la stessa è finalizzata e che possono essere affidati anche ad estranei. L’esecuzione dei delitti programmati può costituire un semplice elemento indiziante dell’appartenenza all’associazione, ma questa va opportunamente riscontrata e convalidata con elementi autonomi di prova. Se poi l’ulteriore attività delittuosa resta limitata a un solo episodio l’indizio di partecipazione associativa si riduce ulteriormente di valore. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2082 del 15 febbraio 1990 (Cass. pen. n. 2082/1990)
Ai fini della sussistenza del delitto di associazione per delinquere, di cui all’art. 416 c.p., non è necessario che il vincolo associativo assuma carattere di assoluta stabilità, essendo sufficiente che esso non sia a priori circoscritto alla consumazione di uno o più reati predeterminati, sicché l’elemento temporale non deve essere considerato come notevole protrarsi del rapporto nel tempo, essendo anche sufficiente uno svolgersi dell’attività associativa per breve periodo.
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Per la configurabilità del delitto di associazione per delinquere la legge non richiede la apposita creazione di una organizzazione, sia pure rudimentale, ma l’uso di una struttura che può anche essere preesistente alla ideazione criminosa e già adibita a finalità lecite. (Fattispecie relativa ad imputati, amministratori di società esportatrici e società cooperative, i quali, utilizzando le rispettive varie società, avevano architettato una serie di falsi conferimenti di prodotto al fine di giustificare una maggiore quantità di merce da esportare, così da ottenere contributi ed agevolazioni in danno dell’Aima ed altri enti). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 134 del 12 gennaio 1990 (Cass. pen. n. 134/1990)
L’associazione per delinquere è un reato di pericolo, che è già perfetto non appena si è creato il vincolo associativo e si è concordato il piano organizzativo per l’attuazione del programma delinquenziale, del tutto indipendentemente dalla concreta esecuzione dei singoli delitti. Come tale, detta figura criminosa non consente — come, d’altronde, tutti i reati di pericolo — l’ipotizzabilità del tentativo. Invero, gli eventuali atti, diretti alla formazione di una associazione per delinquere, o sono meramente preparatori e non interessano la sfera giuridico-penale, ovvero hanno il carattere della idoneità ed inequivocità e determinano la consumazione del delitto, perché, dal loro venire ad esistenza, è già compromesso l’ordinato svolgimento della vita sociale e si è, quindi, attuata la minaccia all’ordine pubblico. (Nella specie erano stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione circa il diniego di ritenere l’ipotesi del tentativo, essendo mancata qualsiasi prova in ordine alla consumazione dei reati-fine). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 130 del 12 gennaio 1990 (Cass. pen. n. 130/1990)
Ai fini dell’estradizione da o verso gli Stati Uniti d’America, il reato di conspiracy previsto dalla legislazione nordamericana non trova riscontro nel reato di associazione per delinquere previsto dall’art. 416 c.p. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto irrilevante tale mancata corrispondenza, in considerazione dell’estradabilità della conspiracy, allorché questa sia finalizzata al compimento di reati per cui è prevista l’estradizione). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 2922 del 20 dicembre 1989 (Cass. pen. n. 2922/1989)
Non è configurabile il vincolo della continuazione fra il delitto di associazione per delinquere ed i delitti programmati che siano poi effettivamente commessi in quanto mentre il primo è contraddistinto dall’accordo per la commissione di un programma criminoso generale e continuativo che trascende i singoli reati ed è punito indipendentemente dalla loro effettiva commissione perché costituisce di per sé un pericolo per l’ordine pubblico. Per aversi reato continuato non è sufficiente un generico programma di attività delinquenziale ma occorre che tutte le diverse azioni od omissioni siano comprese, fin dal primo momento, nei loro elementi essenziali nell’originario disegno criminoso. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 17416 del 18 dicembre 1989 (Cass. pen. n. 17416/1989)
Per ritenere sussistente la compartecipazione al delitto di associazione per delinquere, non è sufficiente l’accordo per la realizzazione di uno o più delitti tra quelli che formano oggetto del comune programma di delinquenza; occorre invece la dimostrazione della volontà dell’agente di entrare a far parte dell’associazione e apportare un concreto contributo alla realizzazione del comune scopo criminoso per la realizzazione del quale l’associazione è stata costituita. (Nella specie è stato ritenuto che l’imputato aveva consapevolmente aderito all’associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, attraverso la complessiva valutazione di una serie di elementi di indubbio valore probatorio). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 16164 del 21 novembre 1989 (Cass. pen. n. 16164/1989)
Fra il delitto di associazione per delinquere ed i reati fine commessi dagli associati è ipotizzabile ed ammissibile il vincolo della continuazione criminosa. Invero, l’atteggiamento psicologico di chi procede alla creazione di una struttura organizzativa dotata di una certa stabilità strumentale alla realizzazione di un programma delinquenziale, non è ontologicamente dissimile dal disegno criminoso di chi realizza un reato continuato, posto che in entrambi i casi il bene cui si ha interesse non appare realizzabile con una unica azione od omissione, bensì attraverso più volizioni ispirate allo stesso desiderio. Ciò che rende le due ipotesi fra loro dissimili è il fatto che l’assetto organizzativo acquista di per sé un autonomo rilievo sul terreno sanzionatorio per il pericolo che esso, con la sua esistenza, rappresenta per l’ordine pubblico; ma tale autonomia non consente di considerare spezzato il nesso teleologico fra l’accordo criminoso e la concreta realizzazione del fine che per suo mezzo gli aderenti intendono realizzare. La generale portata della norma di cui all’art. 81 c.p., nella sua attuale formulazione, consente di ricomprendere — in un unico reato continuato — sia i reati programmati, sia il reato associativo posto in essere per realizzarli. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 14614 del 30 ottobre 1989 (Cass. pen. n. 14614/1989)
La differenza tra il reato di associazione per delinquere e il concorso di più persone nel reato sta nel fatto che nella partecipazione criminosa l’accordo si esaurisce nella consumazione dei reati da realizzare, mentre nell’associazione per delinquere esso permane per l’ulteriore attuazione del programma criminoso: pertanto, la prova dell’esistenza della associazione non può desumersi dalla sola commissione di fatti criminosi, dovendo invece essere dimostrata l’esistenza del vincolo associativo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6728 del 3 maggio 1989 (Cass. pen. n. 6728/1989)
La semplice partecipazione ad un reato associativo non comporta, di per sé, la responsabilità per la commissione d’uno o più reati, rientranti nell’ambito del programma criminoso, essendo necessario che l’associato sia consapevole del delitto che si vuole commettere e alla sua realizzazione partecipi con una condotta – commissiva o omissiva – causalmente rilevante e con la volontà di concorrere, con gli altri, alla realizzazione del fatto di reato. L’attività costitutiva del concorso può essere configurata da qualsiasi contributo, materiale o psicologico, apportato a tutte o ad alcune soltanto delle fasi di ideazione, organizzazione o esecuzione del reato-fine, con la consapevolezza e la volontà di concorrere con gli altri alla realizzazione collettiva del dato reato. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4909 del 7 aprile 1989 (Cass. pen. n. 4909/1989)
Per la configurabilità del delitto di associazione per delinquere, non è necessaria una vera e propria organizzazione con gerarchia interna e distribuzione di specifiche cariche criminose, ma è sufficiente l’esistenza di un vincolo associativo non circoscritto ad uno o più delitti determinati e consapevolmente esteso ad un generico programma delittuoso. L’accordo relativo all’attuazione di questo, che deve intervenire fra almeno tre persone ed avere carattere continuativo, precede quello particolare avente ad oggetto i delitti genericamente compresi nel programma ed i mezzi e le modalità della sua attuazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10820 del 8 novembre 1988 (Cass. pen. n. 10820/1988)
La competenza territoriale del giudice nella ipotesi di consumazione del delitto di associazione per delinquere, sia di diritto comune che rivolta alla commissione dei reati previsti dalla legge sugli stupefacenti, si incardina nel luogo in cui l’associazione è stata costituita e prescinde, quindi, dai singoli delitti che possono essere commessi dagli associati, in quanto il delitto associativo è delitto autonomo che sussiste anche se i reati in vista dei quali si è formata la società criminosa non vengono commessi. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10411 del 7 ottobre 1987 (Cass. pen. n. 10411/1987)
In tema di associazione per delinquere, la prova, mancando di norma un atto costitutivo, deve essere desunta da facta concludentia, nei quali possono assumere rilievo anche i delitti programmati effettivamente realizzati, qualora dalle modalità di esecuzione o da altri elementi possa risalirsi all’esistenza di un vincolo associativo. La necessità poi di ricorrere alla prova indiziaria non può risolversi nell’accettazione di una probatio semiplena integrata da congetture (ossia intuizioni od opinioni personali). Anche la prova indiretta deve essere sempre tale da condurre attraverso il confluire dei vari elementi (dei quali sia stata giudizialmente accertata la prova della verità storica) — valutati complessivamente e logicamente coordinati — ad un giudizio di certezza del fatto ignoto, senza lasciare spazio ad un qualsiasi ragionevole dubbio. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8958 del 10 agosto 1987 (Cass. pen. n. 8958/1987)
Il delitto di associazione per delinquere non è assorbito dalla speciale aggravante prevista dalla legge doganale (quando il colpevole sia associato per commettere delitto di contrabbando). A tale soluzione si perviene analizzando il dettato legislativo (che prevede espressamente la ricorrenza del delitto di associazione e dell’aggravante di contrabbando) e la struttura autonoma dei due reati. L’una, l’associazione, è reato di mero pericolo a tutela dell’ordine pubblico e si consuma con il solo vincolo in un programma criminoso indipendentemente dall’esecuzione dei delitti esplicativi di esso; l’altro, il contrabbando, è reato di danno e posto a tutela dei diritti erariali dello Stato per cui la relativa aggravante è configurata per la maggiore pericolosità insita nella partecipazione di associati per delinquere.
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L’art. 38 bis D.M. 8 luglio 1924 punisce l’associazione in fabbricazione clandestina di alcool con la pena da tre mesi a tre anni, mentre l’ulteriore attività associativa in tema di circolazione di alcool clandestino ricade sotto la norma generale dell’art. 416 c.p. ed è punita più gravemente. Ciò premesso, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione al principio di uguaglianza, sollevata per la disparità di trattamento sanzionatorio ricordato, perché, stante la specificità delle norme confrontate, non è consentito porre un problema di differenza di trattamento rispetto ad ipotesi di fatto diverse. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 3602 del 23 marzo 1987 (Cass. pen. n. 3602/1987)
In tema di associazione per delinquere, l’aggravante della scorreria in armi richiede il trasferimento da luogo a luogo di associati che, avendo programmato solo genericamente dei delitti, scelgono secondo occasionali circostanze gli oggetti delle loro azioni criminose, avendo la disponibilità di armi più o meno numerose e dotate di potenzialità offensiva. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 14688 del 23 dicembre 1986 (Cass. pen. n. 14688/1986)
Il reato di associazione a delinquere si consuma nel momento in cui viene creato il rapporto associativo, ancorché non sia stato ancora commesso nessuno dei delitti progettati. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 6436 del 27 giugno 1986 (Cass. pen. n. 6436/1986)
L’arresto dell’associato non costituisce causa interruttiva della permanenza del delitto di partecipazione, semplice o qualificata, ad associazione per delinquere, ma può essere solo significativo dell’avvenuto suo recesso dal sodalizio e ciò va accertato caso per caso esaminando la sua condotta.
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La mera notificazione in carcere ad un imputato detenuto di un ordine o di un mandato di cattura per delitto di partecipazione ad associazione per delinquere non può far conseguire l’effetto sostanziale di interrompere lo stato di consumazione in corso, trattandosi di un fatto addirittura irrilevante anche ai soli fini della prova dell’avvenuto recesso. Un tale effetto può essere riconosciuto solo alla sentenza di primo grado, posto che la cristallizzazione dell’imputazione nel decreto di citazione a giudizio e la possibilità della contestazione suppletiva al dibattimento con la precisazione sino a quella data della effettiva permanenza del reato, segnano il momento di saldatura — sia pur per necessaria fictio iuris — dell’aspetto sostanziale con quello processuale del reato e, salvaguardando il principio del ne bis in idem, impediscono lo sviamento del procedimento penale dalla sua istituzionale e garantistica funzione di strumento di applicazione del diritto penale sostanziale. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1799 del 27 maggio 1986 (Cass. pen. n. 1799/1986)
Non risponde del delitto di associazione per delinquere, di cui all’art. 416 c.p., colui che partecipi alla commissione di uno solo o di più reati qualora ignori l’esistenza dell’associazione stessa, mentre, invece, nell’ipotesi in cui egli sia a conoscenza dell’esistenza del sodalizio sarà imputato del reato associativo anche nel caso che il reato-oggetto sia rimasto a livello di meri atti preparatori e non abbia raggiunto lo stadio della consumazione. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 1934 del 11 marzo 1986 (Cass. pen. n. 1934/1986)