Il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 29541 del 23 ottobre 2020 (Cass. pen. n. 29541/2020)
Il reato di violenza privata concorre con quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ogniqualvolta manchi una connessione diretta tra la violenza o minaccia e l’esercizio delle proprie ragioni, o quando l’agente ponga in essere distinte condotte minacciose volte a finalità diverse. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto il reato di violenza privata assorbito in quello di “ragion fattasi”, in quanto la condotta dell’agente, consistita nel trattenere le chiavi della vettura della persona offesa per impedirgli di allontanarsi, era direttamente ed esclusivamente finalizzata ad ottenere il pagamento di una somma di denaro dovutagli). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 49025 del 25 ottobre 2017 (Cass. pen. n. 49025/2017)
Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identica, ma per l’elemento intenzionale che, qualunque sia stata l’intensità e la gravità della violenza o della minaccia, integra la fattispecie estorsiva soltanto quando abbia di mira l’attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all’autorità giudiziaria. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva qualificato come estorsione la condotta dell’imputato, consistita nell’aver costretto una persona anziana – dicendole, in luogo isolato: “Io non ci metto nulla ad ammazzare una persona” – a consegnargli una modesta somma di denaro come risarcimento dei danni asseritamente subiti in occasione di un urto tra i rispettivi autoveicoli, in realtà mai avvenuto). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 1901 del 16 gennaio 2017 (Cass. pen. n. 1901/2017)
È configurabile il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, in presenza di una delle seguenti condizioni relative alla condotta di esazione violenta o minacciosa di un credito: a) la sussistenza di una finalità costrittiva dell’agente, volta non già a persuadere ma a costringere la vittima, annullandone le capacità volitive; b) l’estraneità al rapporto contrattuale di colui che esige il credito, il quale agisca anche solo al fine di confermare ed accrescere il proprio prestigio criminale attraverso l’esazione con violenza e minaccia del credito altrui; c) la condotta minacciosa e violenta finalizzata al recupero del credito sia diretta nei confronti non soltanto del debitore ma anche di persone estranee al sinallagma contrattuale. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 11453 del 18 marzo 2016 (Cass. pen. n. 11453/2016)
È configurabile il delitto di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni nei confronti del creditore che eserciti una minaccia per ottenere il pagamento di interessi usurari, poiché egli è consapevole di porre in essere una condotta per ottenere il soddisfacimento di un profitto ingiusto, in quanto derivante da una pretesa “contra ius”. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 9931 del 9 marzo 2015 (Cass. pen. n. 9931/2015)
Integra il delitto di esercizio arbitrario continuato delle proprie ragioni, e non quello di maltrattamenti in famiglia, la condotta intimidatrice reiteratamente posta in essere in danno di familiari conviventi allo scopo di recuperare somme di denaro di propria spettanza, e non di perseguire sistematicamente le vittime. (In applicazione del principio, la Corte ha riqualificato a norma degli artt. 81 cod. pen. e 393 cod. pen. la condotta di reiterate minacce poste in essere dell’imputato in danno dei propri genitori allo scopo di ottenere la consegna di somme di denaro a lui erogate dall’INPS a titolo di pensione di invalidità e gestite dalle persone offese pur in assenza di un provvedimento giudiziario). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6068 del 10 febbraio 2015 (Cass. pen. n. 6068/2015)
Fra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e quello di sequestro di persona non sussiste alcun rapporto di specialità, in quanto la privazione della libertà personale, intesa quale impedimento alla libertà di locomozione, è requisito estraneo alla fattispecie astratta di cui all’art. 393 c.p., con la conseguenza che le anzidette ipotesi delittuose possono concorrere tra loro. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 48359 del 20 novembre 2014 (Cass. pen. n. 48359/2014)
I delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e di estorsione (la cui materialità è descritta dagli artt. 393 e 629 cod. pen. nei medesimi termini) si distinguono in relazione all’elemento psicologico: nel primo, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella consapevolezza della sua ingiustizia. (In motivazione la Corte ha evidenziato che l’elevata intensità o gravità della violenza o della minaccia di per sé non legittima la qualificazione del fatto ex art. 629 cod. pen. e tale lettura è confermata dal fatto che il legislatore prevede che l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni possa essere – come l’estorsione- aggravato dall’uso di armi). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 705 del 10 gennaio 2014 (Cass. pen. n. 705/2014)
Sussiste il concorso tra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e quello di violenza privata qualora, nel medesimo contesto, l’agente ponga in essere distinte condotte minacciose volte, l’una, ad ottenere l’estinzione di un debito e l’altra il ritiro di una denuncia. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 31361 del 5 agosto 2011 (Cass. pen. n. 31361/2011)
Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose non è configurabile in assenza di un nesso finalistico tra la condotta posta in essere (violenza e sottrazione degli oggetti) ed il credito da realizzare. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 20663 del 1 giugno 2010 (Cass. pen. n. 20663/2010)
Ai fini della sussistenza del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (in luogo di quello di estorsione) occorre che l’agente sia soggettivamente – pur se erroneamente – convinto dell’esistenza del proprio diritto, e che detto diritto riceva astrattamente tutela giurisdizionale. (Fattispecie nella quale è stata esclusa l’azionabilità in sede giurisdizionale della pretesa dell’imputato di ottenere la restituzione delle somme di denaro elargite ad una donna alla quale in passato era stato sentimentalmente legato). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 12329 del 29 marzo 2010 (Cass. pen. n. 12329/2010)
Ai fini dell’integrazione del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’elemento della minaccia ricorre solo quando questa sia ingiusta ed il male prospettato risulti idoneo a condizionare la sfera della libertà morale del soggetto passivo. (Fattispecie in cui si è ritenuto che l’intenzione, manifestata dai dirigenti di una banca, di non consegnare al legale rappresentante di una società assegni circolari emessi su incarico di un comune e destinati al pagamento delle spettanze dei dipendenti della società, ha concretato il mero inadempimento di una modalità di soddisfazione del credito, in ragione degli accordi intercorsi tra la banca e la società relativamente alla contestuale cessione, in favore della banca verso la quale la società era debitrice, di una parte del credito vantato dalla società nei confronti del comune ). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 31695 del 29 luglio 2008 (Cass. pen. n. 31695/2008)
Commette il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e non quello di violenza privata colui il quale, a fronte dell’illegittima occupazione, da parte di un pedone, di uno spazio destinato al parcheggio di autoveicoli, nell’attesa del sopraggiungere di un determinato veicolo, adoperi violenza o minaccia per ottenere la liberazione di detto spazio onde potervi parcheggiare il proprio veicolo. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 43873 del 26 novembre 2007 (Cass. pen. n. 43873/2007)
Il delitto di cui all’art. 393 c.p. si traduce nella indebita attribuzione a se stesso, da parte del privato, di poteri e facoltà spettanti esclusivamente al giudice, e l’agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa effettivamente e giuridicamente in toto. Ne consegue che non ricorre il suddetto reato quando si tratti di una pretesa illegittima in tutto od in parte, ovvero sia giuridicamente impossibile il ricorso al giudice. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto costituire estorsione, e non esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta dell’imputata che aveva costretto con minacce l’amante a pagare una somma di danaro, quale corrispettivo dovuto per prestazioni sessuali). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 39366 del 24 ottobre 2007 (Cass. pen. n. 39366/2007)
In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.), la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico di guisa che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato; è, inoltre, necessario che la condotta illegittima non ecceda macroscopicamente i limiti insiti nel fine di esercitare, anche arbitrariamente, un proprio diritto, ponendo in essere un comportamento costrittivo dell’altrui libertà di determinazione, giacché, in tal caso, ricorrono gli estremi della diversa ipotesi criminosa di cui all’art. 610 c.p. (violenza privata). (In applicazione di questo principio la S.C. ha censurato la decisione del giudice di appello che aveva affermato la sussistenza del reato di cui all’art. 610 c.p. invece di quello di cui all’art. 393 c.p. nella condotta di alcuni soggetti, aderenti ad un Consorzio, che avevano bloccato l’entrata e l’uscita degli automezzi di uno stabilimento appartenente ad una società, contrattualmente vincolata al detto Consorzio e rimasta inadempiente, rilevando, per converso, da un lato, l’esistenza dell’accordo che avrebbe legittimato il ricorso dei consorziati in giudizio anche al fine di ottenere un provvedimento d’urgenza volto ad inibire comportamenti in contrasto con gli obblighi contrattuali e, dall’altro, il protrarsi della violazione e dell’entità della stessa). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 38820 del 22 novembre 2006 (Cass. pen. n. 38820/2006)
Nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni la minaccia e la violenza non sono fini a se stesse, ma sono strettamente connesse alla condotta dell’agente, diretta a far valere il preteso diritto, rispetto al cui conseguimento si pongono come elementi accidentali, per cui non possono mai consistere in manifestazioni sproporzionate e gratuite di violenza, consistenti addirittura in sevizie. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabili gli elementi costitutivi del delitto di estorsione nella condotta di colui che, per conseguire una somma di denaro di gran lunga superiore rispetto al credito vantato, suscettibile di azione dinanzi al giudice, aveva spento una sigaretta sul collo della vittima). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10336 del 4 marzo 2004 (Cass. pen. n. 10336/2004)
In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone, per la sussistenza del reato, è necessario, non solo che la pretesa arbitrariamente esercitata sia munita di specifica azione, ma anche che la condotta illegittima sia mantenuta nei limiti di quanto il soggetto avrebbe potuto ottenere per via giudiziaria. (In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha ritenuto non sussistente il delitto di cui all’art. 393 c.p. ma quello di cui all’art. 605 stesso codice nella condotta di colui che aveva «sequestrato» un presunto truffatore per condurlo innanzi al suo creditore e costringerlo a pagare il debito). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 37980 del 23 ottobre 2001 (Cass. pen. n. 37980/2001)
Non commette il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 393 c.p. il datore di lavoro il quale prospetti a un dipendente, che aveva sottratto dalla cassa una banconota da lire centomila, che, in mancanza di sue volontarie dimissioni, egli avrebbe presentato denuncia penale a suo carico. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1281 del 2 febbraio 2000 (Cass. pen. n. 1281/2000)
Ricorre il delitto di violenza privata e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone allorché si eccedono macroscopicamente i limiti insiti nel fine di esercitare, sia pure arbitrariamente, un preteso diritto, ponendo in essere un comportamento costrittivo dell’altrui libertà di determinazione di eccezionale gravità. (Nella fattispecie: percosse al debitore). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 13162 del 17 novembre 1999 (Cass. pen. n. 13162/1999)
Qualora taluno consegni ad altri del denaro per effettuare l’acquisto di stupefacenti da destinare ad uso personale, un tale contratto ha causa illecita, di tal che l’eventuale suo inadempimento non può dar luogo a ripetibilità, mediante azione giudiziaria, della somma versata. Ne consegue che l’eventuale impiego di violenza o minaccia per ottenere la restituzione di detta somma non può dar luogo al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ma deve essere inquadrato nell’ambito della più grave ipotesi di estorsione (nella specie soltanto tentata, giacché la restituzione non venne comunque ottenuta). Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 13037 del 12 novembre 1999 (Cass. pen. n. 13037/1999)
L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni si traduce nella indebita attribuzione a se stesso, da parte del privato, di poteri e facoltà spettanti al giudice, sicché ove si tratti di poteri che non possano essere esercitati dal giudice, non può essere ravvisato tale reato e il fatto deve essere ricondotto ad una diversa ipotesi criminosa, e in particolare a quella di cui all’art. 610 c.p., la quale, infatti, è applicabile quando, per difetto dei presupposti o dell’elemento psicologico, non ricorrono gli estremi del delitto di cui all’art. 393 c.p. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2164 del 20 febbraio 1998 (Cass. pen. n. 2164/1998)
Non si configura il reato di cui all’art. 393 c.p. allorché il terzo incaricato della esazione del credito, non si limiti ad una negotiorum gestio, bensì agisca anche, e soprattutto, per il perseguimento dei propri autonomi interessi illeciti. In tal caso l’esattore non si prefigge il mero scopo di coadiuvare il creditore a farsi ragione da se medesimo, bensì mira a conseguire il corrispettivo di un accordo illecito attraverso l’introito di una tangente ovvero l’esazione del credito. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 4681 del 16 maggio 1997 (Cass. pen. n. 4681/1997)
Il delitto di estorsione e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si differenziano sotto il profilo dell’elemento soggettivo, mentre la condotta punibile nella sua oggettività è normalmente identica. Conseguentemente non incorre nella violazione del principio della correlazione tra accusa e sentenza il giudice che ritenga l’imputato colpevole di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, così diversamente qualificando la originaria imputazione di estorsione nella sussistenza della querela della persona offesa. In tal caso infatti, nella contestazione relativa al reato più grave è compreso il fatto meno grave, integrante il reato di minor consistenza per il quale è intervenuta condanna: pertanto, esclusa la diversità del fatto e vertendosi in tema di sola definizione giuridica diversa, deve escludersi altresì la violazione del suddetto principio, senza che sia necessario accertare che l’imputato si sia difeso anche relativamente al reato diversamente qualificato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5801 del 18 maggio 1995 (Cass. pen. n. 5801/1995)
Non è configurabile, per mancanza di arbitrarietà, il delitto di cui all’art. 393 c.p., nella condotta di un imprenditore edile che, tenuto in forza di contratto preliminare alla vendita di appartamenti in edilizia convenzionata, rifiuta la consegna delle chiavi degli appartamenti e la stipula del contratto definitivo, in mancanza di adempimento per le migliorie richieste e realizzate in corso d’opera. L’arbitrarietà è, infatti, esclusa dall’art. 1460 c.c., secondo cui, nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria. Si realizza in tal modo una forma di autotutela che l’ordinamento, rifiutando in questa ipotesi il principio del solve et repete, ammette e salvaguarda anche in sede penale dell’art. 393 del codice, proprio attraverso l’avverbio «arbitrariamente». Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 32 del 5 gennaio 1995 (Cass. pen. n. 32/1995)
Per aversi esercizio arbitrario delle proprie ragioni è necessario che il soggetto agisca per esercitare un preteso diritto soggettivo e non per esercitare una potestà pubblica. Ne deriva che risponde di sequestro di persona, e non già del delitto ipotizzato dall’art. 393 c.p., colui il quale, anziché denunciare all’autorità chi sospetta autore di un furto, lo abbia privato della libertà personale per indurlo alla confessione o alla rivelazione del luogo dove ha nascosto la refurtiva. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2429 del 15 marzo 1993 (Cass. pen. n. 2429/1993)
Il reato di «ragion fattasi» di cui all’art. 393 c.p. non è escluso dalla circostanza che il preteso diritto appartenga a soggetto diverso dall’agente, se questi, nella qualità di negotiorum gestor e senza la necessità di investiture formali, opera nel di lui interesse, concorrendo, così, nella commissione del reato de quo. Qualora però il predetto agente — seppure inizialmente inserito in un rapporto inquadrabile ex art. 110 c.p. nella previsione del suindicato art. 393 stesso codice — inizi ad agire in piena autonomia per il perseguimento dei propri illeciti interessi, deve ritenersi che tale condotta integri gli estremi del reato di estorsione ex art. 629 c.p. (Nella fattispecie l’imputato ad un certo momento ha gestito nel proprio tornaconto la situazione, illecitamente ricevendo ed indebitamente azionando le cambiali che la parte offesa era stata costretta a rilasciargli). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 8836 del 5 settembre 1991 (Cass. pen. n. 8836/1991)
Può parlarsi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone soltanto se il comportamento dell’agente si sia concretato nella realizzazione di una pretesa di diritto mediante la sostituzione della privata violenza alla coazione del provvedimento giudiziale. Il delitto di cui all’art. 393 c.p. si traduce infatti nella indebita attribuzione a sé stesso, da parte del privato, di poteri e facoltà spettanti esclusivamente al giudice, e l’agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa effettivamente e giuridicamente in toto (anche se non sia azionabile o sia infondata). Ne consegue che resta escluso il reato previsto dall’art. 393 c.p. quando trattasi di pretesa illegittima in tutto o in parte o sia giuridicamente impossibile il ricorso al giudice: in tal caso l’opinato diritto non è altro che un pretesto per mascherare altre finalità che hanno determinato la violenza. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 2222 del 18 febbraio 1991 (Cass. pen. n. 2222/1991)
Nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni restano assorbiti solo quei fatti che, pur costituendo di per sè stessi reato, rappresentano elementi costitutivi del primo: tali sono il danneggiamento, rispetto all’ipotesi di cui all’art. 392 c.p., e le minacce o le semplici percosse, rispetto all’ipotesi di cui all’art. 393 stesso codice. Se la violenza eccede tali limiti, i reati in tal modo commessi danno luogo ad autonome responsabilità penali, concorrenti eventualmente col reato di ragion fattasi, ove sussista il dolo specifico proprio di quest’ultimo. (Fattispecie in tema di sequestro di persona e lesioni consumati in danno del debitore, per ottenere l’adempimento dell’obbligazione). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 2425 del 19 febbraio 1990 (Cass. pen. n. 2425/1990)
Il criterio di differenziazione tra le due ipotesi delittuose previste dall’art. 629 c.p. e dall’art. 393 c.p., risiede nell’elemento soggettivo. Nel reato di estorsione l’intenzione dell’agente si concretizza nel fine di conseguire un profitto, pur sapendo di non averne alcun diritto, mentre, nel reato di ragion fattasi, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione ragionevole, anche se giuridicamente infondata, di attuare un suo preciso diritto, di realizzare, cioè, personalmente e direttamente una pretesa che potrebbe obiettivamente formare oggetto di una vertenza giudiziaria. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 6445 del 28 aprile 1989 (Cass. pen. n. 6445/1989)
Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone a quello di estorsione possono avere in comune la materialità del fatto ma non quello intenzionale perché questo nell’estorsione è rivolto a conseguire un ingiusto profitto con la coscienza che quanto preteso non è dovuto, mentre nell’esercizio arbitrario l’agente è animato da una spinta psicologica di realizzare una pretesa legittima, anche se eventualmente infondata, che potrebbe formare oggetto di una vertenza giudiziaria. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 610 del 20 gennaio 1989 (Cass. pen. n. 610/1989)
Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si differenzia da quello di cui all’art. 610 c.p., che contiene egualmente l’elemento della violenza o della minaccia alla persona, non nella materialità del fatto che può essere identica in entrambe le fattispecie, bensì nell’elemento intenzionale. Nel reato di ragion fattasi l’agente deve essere armato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, pur non richiedendosi che tale pretesa sia realmente fondata, ma bastando che di ciò egli abbia ragionevole opinione. Il reato di violenza privata, invece, che tutela la libertà morale, è titolo generico e sussidiario rispetto al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (compreso tra i delitti contro l’amministrazione della giustizia) e rispetto ad altre ipotesi delittuose che contengono come elemento essenziale la violenza alle persone. Esso si risolve nell’uso della violenza — fisica o morale — per costringere taluno ad un comportamento commissivo od omissivo ed, atteso il suo carattere generico e sussidiario, resta escluso, in base al principio di specialità, allorché la violenza sia stata usata per uno dei fini particolari previsti per la «ragion fattasi». Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10534 del 26 ottobre 1988 (Cass. pen. n. 10534/1988)
La differenza tra il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e il delitto di rapina risiede nell’elemento soggettivo, che per il primo reato consiste nella ragionevole opinione dell’agente di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, mentre per la rapina si concretizza nel fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto con la consapevolezza che quanto si pretende non compete e non è giuridicamente azionabile. (Nella specie è stata ritenuta la sussistenza del delitto di rapina poiché gli imputati usarono la violenza non per ottenere il pagamento di cambiali, pretesa che loro competeva giuridicamente, bensì per sottrarre l’autovettura al debitore, così diversificando l’oggetto della pretesa e conseguendo un ingiusto profitto). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 8753 del 28 luglio 1987 (Cass. pen. n. 8753/1987)
Sussiste l’aggravante di cui all’art. 61, n. 2 c.p. nell’ipotesi in cui si verifichino delle lesioni nell’esplicarsi della violenza posta in essere per commettere il reato di cui all’art. 393 c.p. e finalizzata a cagionare l’evento delle lesioni stesse. In questo caso non si attua alcun assorbimento dell’un reato nell’altro. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 9532 del 22 ottobre 1985 (Cass. pen. n. 9532/1985)