Il rifiuto di assumere le funzioni di consulente tecnico del P.M., se giustificato da motivi riguardanti le modalità di conferimento e di espletamento dell’incarico, non integra il reato di rifiuto di uffici legalmente dovuti di cui all’art. 366 cod. pen. (Fattispecie relativa alla mancata accettazione dell’incarico di consulenza medico – legale per l’omesso rilascio di un’espressa autorizzazione ritenuta dal P.M. implicitamente ricompresa nell’incarico). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 42962 del 11 ottobre 2016 (Cass. pen. n. 42962/2016)
Il reato di rifiuto di uffici legalmente dovuti di cui all’art. 366 c.p. sanziona comportamenti prodromici all’assunzione di funzioni pubbliche, con l’esclusione pertanto di quelli riguardanti la fase dell’esecuzione dell’incarico, i quali possono rilevare ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 328, comma primo, c.p. (Nel caso di specie, la S.C. ha ravvisato il delitto previsto dall’art. 328, comma primo, c.p., nel fatto del consulente tecnico d’ufficio nominato in un processo civile, che dopo aver assunto l’incarico, prestato il giuramento e ritirato i fascicoli di parte, impegnandosi a consegnare la relazione di consulenza nel termine assegnatogli, si sia rifiutato di adempiere all’obbligo assunto di restituire i fascicoli di parte a suo tempo ritirati). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 17000 del 24 aprile 2008 (Cass. pen. n. 17000/2008)
Non integra il reato di rifiuto di uffici legalmente dovuti, previsto dall’art. 366 comma secondo c.p., la condotta del perito che, nominato dal giudice per l’espletamento di un incarico, non compaia all’udienza fissata per il giuramento senza giustificare il motivo dell’assenza, non potendo essere equiparata la mancata comparizione al rifiuto di assumere l’incarico, in quanto tale comportamento non determina una situazione di ostacolo al funzionamento della giustizia, potendo il giudice disporre, in base all’art. 133 c.p.p., l’accompagnamento coattivo del perito. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 26925 del 20 luglio 2005 (Cass. pen. n. 26925/2005)
Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 366 c.p., riferito al rifiuto di assumere o di adempiere le funzioni di custode di cose sottoposte a sequestro dal giudice penale, occorre che l’incarico sia stato conferito dall’Autorità giudiziaria, tassativamente indicata dalla norma quale unico soggetto legittimato. (Fattispecie in cui è stata esclusa la sussistenza del reato, essendo stato conferito l’incarico da parte della polizia giudiziaria). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7762 del 17 febbraio 2003 (Cass. pen. n. 7762/2003)
Non ricorre il reato di rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366 c.p.) nel caso in cui l’incarico di custode di un bene sequestrato è stato conferito dalla polizia giudiziaria, e non dall’autorità giudiziaria tassativamente indicata dalla norma quale soggetto legittimato a conferire l’incarico. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9750 del 31 ottobre 1997 (Cass. pen. n. 9750/1997)
Ai fini della sussistenza del delitto di cui all’art. 366 c.p. non è richiesto che il rifiuto di assumere l’incarico o le funzioni sia espressamente dichiarato, ma, pure non essendo sufficienti una mera tergiversazione o un perdurante ritardo ad adempiere, il rifiuto può desumersi dal comportamento tenuto dal soggetto attivo del reato quando esso si manifesti attraverso un fatto positivo univoco e concludente. (Fattispecie relativa a indebita ammissione del deposito della relazione da parte del consulente tecnico). Ricorrono gli estremi del delitto di cui all’art. 366 c.p., il rifiuto, cioè, di prestare uffici legalmente dovuti da parte di un perito, un interprete o un custode nominato dall’autorità giudiziaria, non solo quando il rifiuto concerna il momento iniziale di assunzione dell’incarico o delle funzioni che si intendono affidare, bensì anche quando esso riguardi la fase dell’esecuzione dell’incarico di esse, giusta la dizione letterale della norma in oggetto che, espressamente, parla di assumere o di adempiere le funzioni medesime. Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 5676 del 8 giugno 1982 (Cass. pen. n. 5676/1982)