Il momento consumativo del reato previsto dall’art. 335 cod. pen. può essere ritenuto – anche sulla base di elementi indiziari e considerazioni logiche, nonché di massime di esperienza – coincidente con quello dell’accertamento, salvo che venga rigorosamente provata l’esistenza di situazioni idonee a confutare la valutazione presuntiva e a rendere almeno dubbia l’epoca di commissione del fatto. (Fattispecie in cui, ai fini del calcolo del termine prescrizionale, la Corte ha osservato che la dispersione del veicolo in sequestro doveva presumersi avvenuta in epoca prossima a quella in cui era stato notificato al custode il decreto prefettizio che gli ingiungeva di consegnare il bene confiscato, stante anche la mancanza di allegazioni difensive che permettessero di retrodatare la condotta a un momento anteriore). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9557 del 10 marzo 2020 (Cass. pen. n. 9557/2020)
Il reato di cui all’art. 335 cod. pen. tutela esclusivamente l’interesse pubblico a conservare l’integrità del vincolo cautelare apposto su determinati beni attraverso il sequestro penale o disposto dall’autorità amministrativa, cosicchè il privato danneggiato dal reato non può assumere la veste di persona offesa. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 18182 del 24 aprile 2018 (Cass. pen. n. 18182/2018)
La condotta del custode di un’autovettura sottoposta a sequestro e contestuale fermo amministrativo che, per colpa, agevola la circolazione abusiva del veicolo ad opera di terzi, integra non il reato di cui all’art. 335 cod. pen., ma un’ipotesi di concorso nell’illecito amministrativo di cui all’art. 213, comma quarto, C.d.S., ai sensi dell’art. 5 legge 24 novembre 1981, n. 689. (La S.C., in motivazione, ha richiamato la sentenza n. 58 del 2012 e l’ordinanza n. 175 del 2012 della Corte costituzionale, sottolineando, altresì, la necessità di privilegiare un’interpretazione più consona ai principi di specialità e di ragionevolezza, anche perchè l’ordinamento sottopone alla sola sanzione amministrativa la condotta, non meno grave, di colui che sottrae e circola abusivamente con veicolo sottoposto a fermo amministrativo). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10164 del 11 marzo 2016 (Cass. pen. n. 10164/2016)
Integra il reato di cui all’art. 335 c.p. la condotta del custode di un’autovettura posta sotto sequestro, il quale, senza attendere le disposizioni dell’autorità amministrativa, la consegni a terzi sottraendo in tal modo il mezzo al vincolo cui era stato sottoposto. (Fattispecie in cui il veicolo in sequestro è stato consegnato dall’imputato-custode ad una ditta incaricata della rottamazione ). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 44599 del 29 novembre 2008 (Cass. pen. n. 44599/2008)
L’attività di custodia di autoveicoli e motoveicoli in sequestro può configurare attività di realizzazione e gestione di discarica, quando detti beni, lasciati in stato abbandono dal custode giudiziario, subiscano un processo di deterioramento, divenendo materiale inservibile e trasformandosi pertanto in veri e propri rifiuti. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che il reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata concorra con quello di violazione colposa di doveri inerenti alle cose sottoposte a sequestro). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 36809 del 25 settembre 2008 (Cass. pen. n. 36809/2008)
In tema di violazione colposa di doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa, la distruzione di uno o più componenti dell’autovettura sottoposta a sequestro configura danneggiamento o deterioramento, non già distruzione di essa, a meno che non si tratti di un componente costitutivo essenziale la cui distruzione implica che la cosa complessa, che residua a seguito della distruzione parziale, risulta modificata al punto da non potersi più definire autovettura. Ne consegue che la distruzione del fanale di un’automobile sottoposta a sequestro non configura l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 335 c.p. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 26699 del 19 giugno 2003 (Cass. pen. n. 26699/2003)