Art. 319 – Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398 - aggiornato alla D. Lgs. 10 ottobre 2022, n.150)

Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio

Articolo 319 - codice penale

Il pubblico ufficiale (357), che, per omettere (328) o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni (1) (32 quater, 320 ss., 323 bis).

Articolo 319 - Codice Penale

Il pubblico ufficiale (357), che, per omettere (328) o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni (1) (32 quater, 320 ss., 323 bis).

Note

(1) Le parole: «da due a cinque» sono state sostituite dalle parole: «da quattro a otto» dall’art. 1, comma 75, lett. g), della L. 6 novembre 2012, n. 190.
Successivamente l’art. 1, comma 1, lett. f), della L. 27 maggio 2015, n. 69, ha sostituito le parole: «da quattro a otto anni» con le parole: «da sei a dieci anni».

Tabella procedurale

Arresto: facoltativo in flagranza.381 c.p.p.
Fermo di indiziato di delitto: consentito.384 c.p.p.
Misure cautelari personali: consentite.280, 287 c.p.p.
Autorità giudiziaria competente: Tribunale collegiale.33 bis c.p.p.
Procedibilità: d’ufficio.50 c.p.p.

Massime

In tema di corruzione, la mera accettazione da parte del pubblico agente di un’indebita utilità a fronte del compimento di un atto discrezionale non integra necessariamente il reato di corruzione propria, dovendosi verificare, in concreto, se l’esercizio dell’attività sia stata condizionata dalla “presa in carico” dell’interesse del privato corruttore, comportando una violazione delle norme attinenti a modi, contenuti o tempi dei provvedimenti da assumere e delle decisioni da adottare, ovvero se l’interesse perseguito sia ugualmente sussumibile nell’interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere, nel qual caso la condotta integra il meno grave reato di corruzione per l’esercizio della funzione. Cassazione penale, Sez. VI, ordinanza n. 18125 del 12 giugno 2020 (Cass. pen. n. 18125/2020)

Ai fini della configurabilità del delitto di corruzione propria, di cui all’art. 319 cod. pen., è necessario che l’illecito accordo tra pubblico funzionario e privato corruttore preveda il compimento, da parte del primo, di un atto specificamente individuato od individuabile come contrario ai doveri d’ufficio, sicché, sul piano probatorio, occorre procedere alla rigorosa determinazione del contenuto delle obbligazioni assunte dal pubblico funzionario alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, avuto riguardo in particolare al movente ed alle specifiche aspettative del privato, alla condotta serbata dall’agente pubblico ed alle modalità di corresponsione a questi del prezzo della corruttela. (In motivazione, la Corte ha precisato che, ove non sia accertato il contenuto del patto corruttivo, e pur in presenza di sistematiche dazioni da parte del privato in favore del pubblico agente, la condotta deve essere ricondotta nell’ambito della corruzione per l’esercizio della funzione ex art. 318 cod. pen.) Cassazione penale, Sez. VI, ordinanza n. 18125 del 12 giugno 2020 (Cass. pen. n. 18125/2020)

In tema di corruzione, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi realizzato attraverso l’impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, integra il reato di cui all’art. 318 cod. pen. e non il più grave reato di corruzione propria di cui all’art. 319 cod. pen., salvo che la messa a disposizione della funzione abbia prodotto il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio. (In motivazione, la Corte ha precisato che nel caso della corruzione per l’esercizio della funzione la dazione indebita pone in pericolo il corretto svolgimento dei pubblici poteri, mentre ove la dazione è sinallagmaticamente connessa al compimento di uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio si realizza la concreta lesione del bene giuridico protetto). Cassazione penale, Sez. VI, ordinanza n. 4486 del 29 gennaio 2019 (Cass. pen. n. 4486/2019)

Ai fini dell’integrazione del delitto di corruzione non ha rilevanza il fatto che il funzionario corrotto resti ignoto, quando non sussistono dubbi in ordine all’effettivo concorso di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio nella realizzazione del fatto, non occorrendo che il medesimo sia o meno conosciuto o nominativamente identificato. (Fattispecie in cui la Corte ha precisato che l’omessa indicazione nel capo di imputazione del funzionario corrotto non avesse determinato alcuna lesione del diritto di difesa per l’imputato, atteso che nel corso dell’istruttoria dibattimentale l’identità del pubblico agente era stata pacificamente accertata). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 34929 del 23 luglio 2018 (Cass. pen. n. 34929/2018)

Configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio – e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione, di cui all’art. 318 cod. pen. – lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti, che, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, si conformano all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima la qualificazione ai sensi degli artt. 319 e 321 cod. pen. della condotta di un rappresentante farmaceutico che aveva corrisposto denaro ad un primario ospedaliero in cambio dell’impegno di quest’ultimo a prescrivere a tutti i pazienti un determinato farmaco antitumorale, rilevando che la relativa prescrizione doveva essere frutto di un meditato apprezzamento del quadro clinico del paziente nonché di una valutazione comparativa tra i benefici perseguiti ed i rischi connessi alla terapia farmacologica). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 46492 del 10 ottobre 2017 (Cass. pen. n. 46492/2017)

In tema di delitti di corruzione, l’”atto d’ufficio” non deve essere inteso in senso strettamente formale in quanto esso è integrato anche da un comportamento materiale che sia esplicazione di poteri-doveri inerenti alla funzione concretamente esercitata. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il delitto di corruzione propria, in concorso con quello di turbata libertà degli incanti, nella condotta del pubblico ufficiale che, al fine di favorire l’aggiudicazione di una gara di appalto ad una società, in cambio del versamento di importi in denaro già corrisposti e dell’impegno di corrispondere ulteriori somme e utilità, si era impegnato anche a sostituire fraudolentemente la proposta tecnica presentata da quest’ultima con altra più adeguata agli standard di gara).

È configurabile il concorso formale tra il reato di corruzione e quello di turbata libertà degli incanti atteso che tali fattispecie criminose tutelano differenti beni giuridici: il primo protegge l’interesse dell’Amministrazione alla fedeltà e all’onestà dei funzionari e, dunque, i principi di corretto funzionamento, buon andamento e imparzialità nell’amministrazione della cosa pubblica; il secondo protegge la libertà di partecipazione alla gara e la regolarità formale e sostanziale del suo svolgimento. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi l’ordinanza custodiale, emessa per i reati corruzione e turbata libertà degli incanti, in relazione ad un accordo illecito intercorso tra il pubblico ufficiale ed il legale rappresentante di una società avente ad oggetto la promessa del primo di favorire la seconda, anche attraverso la fraudolenta sostituzione della proposta tecnica presentata da quest’ultima con altra più adeguata agli standard di gara, nell’aggiudicazione di una gara di appalto in cambio del versamento di importi in denaro già corrisposti e dell’impegno di corrispondere ulteriori somme e utilità). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 17586 del 6 aprile 2017 (Cass. pen. n. 17586/2017)

In tema di corruzione, configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio – e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 cod. pen. – lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti, che, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati nell’an, nel quando o nel quomodo, si conformino all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali.

Risponde del reato di concorso in corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e non di quello di traffico di influenze illecite il soggetto che ponga in essere un’attività di intermediazione finalizzata a creare un collegamento tra corruttore e corrotto. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3606 del 24 gennaio 2017 (Cass. pen. n. 3606/2017)

In tema di corruzione, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, con episodi sia di atti contrari ai doveri d’ufficio che di atti conformi o non contrari a tali doveri, configura l’unico reato, permanente, previsto dall’art. 319 cod. pen., con assorbimento della meno grave fattispecie di cui all’art. 318 stesso codice. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 40237 del 27 settembre 2016 (Cass. pen. n. 40237/2016)

Non integra il reato di corruzione impropria, secondo la previsione dell’art.318 cod.pen. antecedente alla entrata in vigore della legge 11 giugno 2012 n.190, la condotta del pubblico ufficiale consistita in un generico asservimento agli interessi del privato, qualora non siano determinati o determinabili gli atti in concreto posti in essere a fronte della dazione indebita ricevuta. (In motivazione, la Corte ha precisato che la condotta indicata integra il reato di corruzione impropria attualmente vigente). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 39008 del 20 settembre 2016 (Cass. pen. n. 39008/2016)

Integra il delitto di corruzione propria la condotta del pubblico ufficiale che, dietro elargizione di un indebito compenso, esercita i poteri discrezionali spettantigli rinunciando ad una imparziale comparazione degli interessi in gioco, al fine di raggiungere un esito predeterminato, anche quando questo risulta coincidere, “ex post”, con l’interesse pubblico, e salvo il caso di atto sicuramente identico a quello che sarebbe stato comunque adottato in caso di corretto adempimento delle funzioni, in quanto, ai fini della sussistenza del reato in questione e non di quello di corruzione impropria, l’elemento decisivo è costituito dalla “vendita” della discrezionalità accordata dalla legge. (Nell’affermare il principio, la Corte ha precisato che il versamento di una somma consistente è un elemento fortemente sintomatico della necessità per il privato di incidere sulla formazione del provvedimento amministrativo). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 23354 del 4 giugno 2014 (Cass. pen. n. 23354/2014)

In tema di corruzione, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, attraverso il sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri di ufficio non predefiniti, né specificamente individuabili “ex post”, integra il reato di cui all’art. 319 cod. pen., e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 cod. pen. (nel testo introdotto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9883 del 28 febbraio 2014 (Cass. pen. n. 9883/2014)

In tema di corruzione, anche un parere meramente consultivo può integrare l’atto di ufficio oggetto di mercimonio. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio nel caso di un parere tecnico di un componente della commissione tecnico-scientifica istituita presso il Commissariato straordinario per la gestione dell’emergenza rifiuti nella Regione Lazio in ordine ad istanza di riclassificazione ed approvazione del piano di adeguamento di una discarica). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 36212 del 3 settembre 2013 (Cass. pen. n. 36212/2013)

Sussiste il delitto di corruzione e non quello di indebita induzione quando il pubblico agente, senza esercitare alcun potere di supremazia, instauri con un privato un rapporto paritario diretto al mercimonio delle funzioni. (Nella specie, la Corte ha ritenuto integrato il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, in un caso in cui un appartenente alle forze dell’ordine aveva proposto ad un privato, indagato per vicende di cui non si occupava personalmente, di fornirgli notizie sullo stato delle indagini, ricevendone in cambio somme di denaro). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 14992 del 2 aprile 2013 (Cass. pen. n. 14992/2013)

Non sussiste alcun interesse ad accertare se il fatto già qualificato come corruzione propria, ai sensi dell’art. 319 c.p., possa essere ricondotto nella nuova fattispecie di corruzione per l’esercizio delle funzioni, di cui all’art. 318 c.p., così come introdotto dall’art. 1, comma 75, L. n. 190 del 2012, atteso che tale ultima disposizione prevede la stessa pena di cui all’art. 319 c.p., vigente al momento della commissione del fatto. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9079 del 25 febbraio 2013 (Cass. pen. n. 9079/2013)

Ai fini della configurabilità del delitto di corruzione propria, deve escludersi l’esistenza di un accordo corruttivo quando l’atto contrario ai doveri d’ufficio sia stato oggetto solo di una promessa indeterminata da parte del pubblico ufficiale, senza alcuna certezza di prestazioni corrispettive tra le parti. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3522 del 27 gennaio 2012 (Cass. pen. n. 3522/2012)

Il dipendente ospedaliero che avverta sollecitamente gli impresari di pompe funebri del decesso imminente o già avvenuto dei ricoverati, pone in essere un atto contrario ai doveri d’ufficio, suscettibile di assumere rilievo come elemento di una condotta corruttiva, poiché attraverso la rivelazione di notizie d’ufficio riservate o segrete per i terzi, e delle quali non ha, comunque, disponibilità, viola i doveri di correttezza ed imparzialità posti a carico dei pubblici dipendenti. (Nella specie, è stata ritenuta sussistente la responsabilità degli infermieri ospedalieri; è stata, al contrario, esclusa la configurabilità di un dovere funzionale di correttezza ed imparzialità a carico dei tecnici addetti alla manutenzione della struttura ospedaliera, delle guardie giurate addette alla vigilanza e degli operatori di cooperative private che avevano prestato servizi accessori su richiesta dei congiunti delle persone poi decedute, o comunque prossime a morire). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 25242 del 23 giugno 2011 (Cass. pen. n. 25242/2011)

Integra il delitto di corruzione propria, e non quello di corruzione impropria, l’agente di polizia giudiziaria che si presti, dietro corrispettivo, a recapitare clandestinamente ad un detenuto corrispondenza, cibarie ed altri generi di consumo, perchè tali fatti si qualificano come contrari ai doveri d’ufficio. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 22838 del 8 giugno 2011 (Cass. pen. n. 22838/2011)

Il militare condannato, anche con sentenza non definitiva, per il reato di corruzione è obbligatoriamente soggetto alla sospensione dal servizio, indipendentemente dalla sottoposizione o meno alla misura della custodia cautelare in carcere. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3142 del 28 gennaio 2011 (Cass. pen. n. 3142/2011)

La circostanza attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa non è configurabile in relazione al delitto di corruzione propria, atteso che in tal caso la persona offesa è soltanto la P.A., interessata a che i propri atti non siano oggetto di mercimonio e dunque in situazione di contrasto con i fini illeciti e personali del funzionario infedele. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 36083 del 17 settembre 2009 (Cass. pen. n. 36083/2009)

La circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità non è applicabile al reato di corruzione, trattandosi di un reato bilaterale che non permette di identificare un soggetto danneggiato e un soggetto danneggiante. (Fattispecie in tema di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 23776 del 9 giugno 2009 (Cass. pen. n. 23776/2009)

Integra il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio la condotta del componente di una delle commissioni d’esame per concorso pubblico che indichi a un candidato l’espediente da seguire per eludere il risultato del sorteggio per l’assegnazione della commissione, così da ottenere l’abbinamento con quella d’appartenenza dello stesso commissario. Pertanto, i donativi ricevuti dal commissario da parte del candidato favorito, a titolo di compenso del trattamento ricevuto, costituiscono retribuzione di un atto corruttivo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 46065 del 12 dicembre 2008 (Cass. pen. n. 46065/2008)

In tema di corruzione, ove l’accordo corruttivo abbia ad oggetto l’alienazione di un bene ad un ente pubblico, il profitto del reato non è costituito dall’intero corrispettivo, ossia dalla somma di denaro equivalente al controvalore del bene, ma dalla sola plusvalenza che il privato venditore ha realizzato, pattuendo illecitamente un corrispettivo superiore rispetto al normale valore di mercato. (Fattispecie relativa all’alienazione di un complesso immobiliare ad un Comune, a seguito di un accordo corruttivo intervenuto tra i pubblici funzionari e i titolari della società venditrice, in cui la S.C. ha precisato che la plusvalenza oggetto del sequestro a fini di confisca deve individuarsi non solo nella somma promessa e corrisposta agli amministratori, ma anche nella somma costituita dalla differenza tra il prezzo versato dal Comune per la compravendita del bene e la somma pagata dall’impresa per il suo acquisto, maggiorata delle spese di ristrutturazione). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 44995 del 3 dicembre 2008 (Cass. pen. n. 44995/2008)

Il reato di corruzione propria è integrato con l’accettazione da parte del pubblico ufficiale della promessa di una somma di denaro in cambio del provvedimento favorevole oggetto dell’istanza del privato, rimanendo ininfluente ai fini della valutazione della sussistenza dell’atto contrario ai doveri d’ufficio le circostanze inerenti alla successiva realizzazione dei requisiti necessari per la sua adozione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha rigettato il motivo di ricorso secondo cui il reato si sarebbe dovuto derubricare in quello di corruzione impropria ). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 40589 del 30 ottobre 2008 (Cass. pen. n. 40589/2008)

Ai fini della configurazione del delitto di corruzione propria, pur non dovendosi ritenere necessario individuare lo specifico atto contrario ai doveri d’ufficio per il quale il pubblico ufficiale abbia ricevuto somme di denaro o altre utilità non dovute, occorre che dal suo comportamento emerga comunque un atteggiamento diretto in concreto a vanificare la funzione demandatagli, poichè solo in tal modo può ritenersi integrata la violazione dei doveri di fedeltà, di imparzialità e di perseguimento esclusivo degli interessi pubblici che sullo stesso incombono. (Nel caso di specie, in cui una società farmaceutica aveva istituito un’apposita struttura al fine di sostenere ed incrementare la vendita dei medicinali prodotti, attraverso elargizioni di liberalità in denaro o di altri benefits in favore di medici e farmacisti, o dei relativi enti di appartenenza, è stata esclusa la sussistenza dell’ipotizzato delitto di corruzione ).

È configurabile il concorso formale tra il reato di «comparaggio » di cui agli artt. 170 ss. del R.D. n. 1265 del 1934, ricadente nell’area dell’illegittima promozione di farmaci, oltre i confini della lecita relazione collaborativa e informativa tra medico ed impresa, e il delitto di corruzione di cui agli artt. 319-321 c.p., realizzato mediante significative erogazioni di denaro o altre utilità per scopi di lucro. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 34417 del 28 agosto 2008 (Cass. pen. n. 34417/2008)

Ai fini dell’accertamento del reato di corruzione propria, nelle ipotesi nelle quali la dazione di denaro o di altra utilità in favore del pubblico ufficiale risulti contabilizzata e documentata, è necessaria la prova del pactum sceleris intervenuto tra soggetto corruttore e pubblico ufficiale corrotto, nel senso che deve essere dimostrato che il compimento dell’atto, contrario ai doveri di ufficio, è stato la causa della prestazione dell’utilità e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale, non essendo quindi sufficiente a tali fini la mera circostanza della intervenuta dazione di utilità. (Fattispecie di avvenuto versamento ad un medico ospedaliero da parte di una casa farmaceutica di un rimborso spese per la partecipazione ad un congresso tenutosi all’estero ed organizzato dalla stessa azienda allo scopo di promuovere un medicinale in precedenza introdotto nel prontuario terapeutico ospedaliero ). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 34415 del 28 agosto 2008 (Cass. pen. n. 34415/2008)

Integra il reato di cui all’art. 319 c.p. (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio) la condotta del pubblico amministratore che, investito di potere decisionale apporti, sulla base di intese corruttive, modifiche ad un assetto normativo, così da modellare le determinazioni amministrative che ne derivano in modo utile alle esigenze di determinate imprese, considerato che anche nell’ambito delle scelte discrezionali del pubblico ufficiale sussiste la contrarietà ai doveri d’ufficio quando egli ponga in essere atti formalmente regolari ma prescindendo volutamente — in presenza di un accordo corruttivo — dall’osservanza dei suoi doveri, quantomeno quelli di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha ravvisato gli estremi del reato de quo nella emissione di un decreto dell’assessore ai lavori pubblici della Regione Sicilia, costituente la base normativa per la successiva attribuzione di lavori pubblici ad un consorzio, in regime di convenzione, precluso dalla normativa preesistente, anziché con bando di gara). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 153 del 4 gennaio 2008 (Cass. pen. n. 153/2008)

In tema di delitto di corruzione, la rinuncia del pubblico ufficiale, dietro compenso, al retto esercizio della funzione che per legge gli spetta, e quindi la rinuncia all’esercizio di poteri discrezionali, integra l’ipotesi di corruzione propria per atto contrario ai doveri d’ufficio. (Fattispecie in cui il pubblico ufficiale, dirigente dell’ufficio compartimentale delle imposte dirette, dava disposizione, in forza dell’accordo criminoso con il corruttore, di definire in fretta la verifica ad una società in modo da impedire il completo controllo fiscale e contabile). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 26248 del 26 luglio 2006 (Cass. pen. n. 26248/2006)

In tema di reato di corruzione propria, l’atto di ufficio oggetto di mercimonio non deve essere interpretato in senso formale, potendo tale nozione ricomprendere qualsiasi comportamento lesivo dei doveri di fedeltà, imparzialità ed onestà che debbono essere osservati da chiunque eserciti una pubblica funzione. (Fattispecie relativa ad applicazione di misura interdittiva per il reato di cui all’art. 319 c.p. nei confronti di un magistrato della Corte dei Conti che, addetto al controllo sugli atti dell’ente Poste italiane, aveva accettato l’offerta di una provvigione da parte di un imprenditore in cambio della sua attivazione presso i vertici del suddetto ente per l’ottenimento di commesse). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 21943 del 22 giugno 2006 (Cass. pen. n. 21943/2006)

Ai fini della configurabilità del delitto di corruzione previsto dall’art. 319 c.p., rileva anche la violazione del dovere di cui all’art. 13, comma quinto D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, che impone al pubblico impiegato di trattare gli affari attribuiti alla sua competenza tempestivamente e secondo il loro ordine cronologico. Ne consegue che risponde del suddetto delitto il funzionario della Questura che, nel rilasciare i permessi di soggiorno a stranieri, inverta, dietro compenso, l’ordine temporale nella trattazione delle relative pratiche d’ufficio. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1777 del 17 gennaio 2006 (Cass. pen. n. 1777/2006)

In tema di corruzione propria, l’espressione «atto di ufficio» non è sinonimo di atto amministrativo ma designa ogni comportamento del pubblico ufficiale posto in essere nello svolgimento del suo incarico e contrario ai doveri del pubblico ufficio ricoperto. Ne consegue che nell’operato del pubblico ufficiale, retribuito dall’imputato con un compenso fisso mensile, il quale si sia reso disponibile a compiere una serie di condotte di natura diversa, ci si trova di fronte ad un’ipotesi di corruzione propria ai sensi dell’art. 319 e non all’ipotesi minore di cui all’art. 318 c.p. (Nella specie la Corte ha ritenuto che la corresponsione di una somma mensile a un tenente colonnello dei carabinieri per una serie di condotte alcune delle quali tenute solo in occasione dell’ufficio, come ad esempio alcune raccomandazioni, ed altre invece poste in violazione ed in contrasto con i suoi doveri d’ufficio, come la rivelazione di informazioni riservate, integrasse il reato di cui all’art. 319 c.p.). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 23804 del 24 maggio 2004 (Cass. pen. n. 23804/2004)

A fronte dell’esercizio di un potere discrezionale del pubblico ufficiale, ricorrono gli estremi della corruzione propria (art. 319 c.p.) nelle ipotesi in cui il soggetto abbia accettato, dietro compenso, di non esercitare la discrezionalità che gli è stata attribuita dall’ordinamento o di usarla in modo distorto, alterandone consapevolmente i canoni di esercizio e ponendo pertanto in essere una attività contraria ai suoi doveri di ufficio. Nè può assumere rilievo scriminante ai fini della qualificazione dell’esercizio del potere discrezionale come «atto contrario ai doveri di ufficio» la circostanza che gli atti amministrativi posti in essere dal pubblico ufficiale abbiano superato il vaglio di legittimità del giudice amministrativo, trattandosi di risultato contingente e particolare, connesso alle concrete modalità di impostazione e di svolgimento del giudizio amministrativo (in applicazione di tale principio, la Corte ha valutato come «atti contrari ai doveri di ufficio» le modifiche apportate, sulla base di intese corruttive, dai soggetti investiti del potere decisionale alla delibera consiliare relativa alla privatizzazione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani, in modo da modellare le determinazioni amministrative alle esigenze di determinate imprese, ancorché la legittimità di tali modifiche risultasse da una pronuncia del TAR). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12237 del 15 marzo 2004 (Cass. pen. n. 12237/2004)

In tema di reato di corruzione propria, non è necessario individuare lo specifico atto contrario ai doveri d’ufficio, sussistendo la fattispecie anche quando, pur rispondendo ogni singolo atto ai requisiti di legge, nell’insieme del servizio reso dal pubblico ufficiale vi sia stato un totale asservimento della funzione agli interessi del privato, concretizzatosi in una sostanziale rinuncia allo svolgimento della funzione di controllo in cambio di provati pagamenti in suo favore. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 2622 del 26 gennaio 2004 (Cass. pen. n. 2622/2004)

In tema di reati di corruzione, deve ritenersi sussistente il reato di corruzione di cui all’art. 319 c.p. ogni qual volta la dazione in favore del pubblico ufficiale costituisca il compenso del favore ottenuto, a nulla rilevando che si sia trattato di un contributo a fini elettorali, né che la stessa sia avvenuta a distanza di tempo dalla formazione dell’atto. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che aveva qualificato come corruzione propria l’emissione da parte di un assessore regionale di decreti di finanziamento di opere pubbliche, poi aggiudicate da un imprenditore edile, che aveva versato al primo, quale compenso per il favore ottenuto, un contributo elettorale in occasione di consultazioni svoltesi a distanza di anni). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 49547 del 31 dicembre 2003 (Cass. pen. n. 49547/2003)

In tema di corruzione, costituiscono «profitto» dei reati di cui agli artt. 319 e 321 c.p. i finanziamenti erogati alle società dell’imputato in base a criteri di priorità contrari alla legge ed a una delibera del Cipe, accordati a conclusione di un’istruttoria carente iniziata prima del previsto ed accompagnati da fittizie procedure di collaudo dei lavori di riforestazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 26747 del 19 giugno 2003 (Cass. pen. n. 26747/2003)

Il delitto di corruzione è reato di evento, caratterizzato dalla particolarità di perfezionarsi, alternativamente, con l’accettazione della promessa ovvero con il ricevimento dell’utilità da parte del pubblico ufficiale; quando entrambi questi eventi si realizzano in logica successione temporale, il secondo non degrada a post factum irrilevante, giacché il reato si consuma in tal caso nel momento della dazione effettiva del compenso. Ne segue che, nel caso in cui l’accordo criminoso preveda un versamento in più rate, il momento consumativo del reato coincide di volta in volta con i singoli versamenti (sulla base di tale principio la Corte ha escluso che, nel caso di specie, il termine di prescrizione del reato potesse decorrere dalla conclusione del patto corruttivo). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 23248 del 17 maggio 2003 (Cass. pen. n. 23248/2003)

La c.d. «corruzione propria» prevista dall’art. 319 c.p. non è ravvisabile in relazione al compimento di atti nei quali non esiste alcuno spazio di discrezionalità suscettibile di essere usato per favorire il corruttore, in quanto gli atti compiuti dal pubblico ufficiale in cambio di una illecita retribuzione mantengono la loro natura di atti conformi ai doveri di ufficio, né tale natura viene meno in dipendenza del numero degli atti per i quali è stata accettata la retribuzione poiché il commercio di una pluralità di pratiche amministrative, per numerose che esse siano, non comporta il complessivo asservimento delle funzioni pubbliche agli interessi privati e non trasforma i singoli atti compiuti in atti contrari ai doveri d’ufficio (in applicazione di tale principio la Corte ha ravvisato il reato di «corruzione impropria», di cui all’art. 318 c.p., nella condotta consistente nell’abituale accettazione di compensi da parte di impiegati di una Conservatoria Immobiliare per il rilascio in tempi più celeri di certificati catastali attestanti il vero). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1905 del 17 gennaio 2002 (Cass. pen. n. 1905/2002)

Per l’accertamento del reato di corruzione propria commesso dagli appartenenti alla Guardia di Finanza, non occorre individuare quale sia esattamente l’atto contrario ai doveri d’ufficio, oggetto dell’accordo illecito negoziato per far sfuggire una società commerciale ai controlli contabili, ma basta che sia stata accertata una grave violazione a tali doveri nella conduzione delle attività istituzionali loro demandate. (Fattispecie in cui gli agenti operarono eseguendo una «verifica» superficiale e affrettata, contravvenendo al dovere d’ufficio di accertare, in modo rigoroso ed imparziale, la situazione contabile della società esaminata). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 22638 del 1 giugno 2001 (Cass. pen. n. 22638/2001)

Ai fini della sussistenza del reato di corruzione propria, se l’illegittimità dell’atto può costituire un indice della sua contrarietà ai doveri di ufficio, la corrispondenza dell’atto ai requisiti di legge non esclude l’asservimento della funzione pubblica, per denaro, agli interessi privati, come nel caso in cui la violazione dei doveri di ufficio si realizzi attraverso la violazione del dovere di imparzialità, sempre che quest’ultima si risolva in un’inottemperanza specifica inerente al contenuto e alle modalità degli atti da compiere. (Fattispecie in tema di verifica fiscale compiuta da appartenenti alla guardia di finanza).

In tema di corruzione propria, l’atto contrario ai doveri di ufficio, oggetto dell’accordo illecito, non deve essere individuato nei suoi connotati specifici, essendo sufficiente che esso sia individuabile in funzione della competenza e della concreta sfera di intervento del pubblico ufficiale, così da essere suscettibile di specificarsi in una pluralità di singoli atti non preventivamente fissati o programmati, ma, pur sempre, appartenenti al genus previsto. Ricorre una situazione del genere allorché il pubblico ufficiale si ponga a disposizione del privato in violazione del dovere di imparzialità, onestà e vigilanza — situazione in cui non è possibile prevedere specifici atti contrari ai doveri d’ufficio — e il privato miri ad assicurarsi un ampio atteggiamento di favore da parte del pubblico ufficiale. (Fattispecie in tema di verifica fiscale da parte di appartenenti alla guardia di finanza). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12357 del 25 novembre 1998 (Cass. pen. n. 12357/1998)

Per valutare se la dazione di denaro da parte del privato a pubblici ufficiali appartenenti alla Guardia di Finanza in occasione della sottoposizione a verifica fiscale di un’azienda privata costituisca corruzione propria o corruzione impropria susseguente, a prescindere dalla determinazione concreta del singolo atto contrario ai doveri d’ufficio, rappresentano indizi nel senso della corruzione propria: a) il preavvertimento della verifica fiscale; b) la richiesta, immediatamente successiva, del pagamento di somme determinate o determinabili; c) l’accordo sulle somme da versarsi (nel corso della verifica o dopo la conclusione della stessa); d) la suddivisione delle somme illecitamente percepite anche in favore di soggetti diversi da quelli che in concreto hanno eseguito la verifica (in specie di superiori gerarchici). (Nella specie, in base a tali parametri, oltreché alla sproporzione tra i compensi indebiti in confronto al «favore» di essere stata compiuta la verifica nel «rispetto della legge», è stata esclusa la finalità del privato di manifestare «ringraziamento» ed è stata ritenuta quella della corruzione propria in relazione a una serie non determinata di atti dell’ufficio).

In tema di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, nel caso in cui il compenso indebito venga corrisposto dal privato al pubblico ufficiale appartenente alla Guardia di Finanza in occasione di una verifica fiscale presso un’impresa privata per l’omissione di accertamenti relativi a violazioni delle norme fiscali da parte dell’imprenditore controllato, non è necessario individuare il singolo atto contrario ai doveri di ufficio, essendo la verifica fiscale un procedimento complesso, avente ad oggetto una molteplicità di atti, ragione per cui rileva la finalizzazione dell’azione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11507 del 4 novembre 1998 (Cass. pen. n. 11507/1998)

Ai fini della configurabilità del delitto di corruzione propria ex art. 319 c.p., per valutare se la condotta del pubblico ufficiale sia o no contraria ai suoi doveri, occorre avere riguardo non ai singoli atti, ma all’insieme del servizio reso al privato; conseguentemente, anche se ogni atto di per sé considerato corrisponda ai requisiti di legge, l’asservimento della funzione, per denaro o altra utilità, agli interessi del privato concreta il reato in questione, realizzandosi in tal modo la violazione del dovere di imparzialità, bene assistito da tutela costituzionale. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10786 del 16 ottobre 1998 (Cass. pen. n. 10786/1998)

L’atto di ufficio al quale è correlata la condotta illecita ex art. 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio) non si identifica necessariamente con l’atto amministrativo formale, ma comprende qualunque attività che giuridicamente sia espressione della funzione o del pubblico servizio. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 967 del 14 aprile 1997 (Cass. pen. n. 967/1997)

È configurabile il reato di corruzione con riguardo a promesse e corresponsioni di denaro in favore di funzionari dell’Alitalia al fine di ottenere l’aggiudicazione della gara di assegnazione di lavori di ristrutturazione dell’officina motori e dell’hangar di un aeroporto: trattasi invero di lavori inerenti ad un bene che si trova in rapporto di strumentalità necessario con il servizio pubblico di trasporto aereo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2568 del 15 ottobre 1996 (Cass. pen. n. 2568/1996)

In tema di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p.) si deve ritenere che la mancata individuazione in concreto del singolo «atto» che avrebbe dovuto essere omesso, ritardato o compiuto dal pubblico ufficiale, contro i doveri del proprio ufficio, non faccia venire meno il delitto ove venga accertato che la consegna del denaro al pubblico ufficiale sia stata effettuata in ragione delle funzioni dallo stesso esercitate e per retribuirne i favori. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5340 del 28 maggio 1996 (Cass. pen. n. 5340/1996)

Nell’ipotesi di concorso formale tra il reato di corruzione e quello di finanziamento illecito dei partiti non è ipotizzabile una causa di esclusione della punibilità sotto il profilo dell’inesigibilità della condotta richiesta dalla norma di cui all’art. 7, L. 2 maggio 1974, n. 195, deliberazione ed iscrizione in bilancio, sia perché nel nostro ordinamento penale, ispirato al principio di legalità, non sono ipotizzabili cause di esclusione della punibilità diverse da quelle legislativamente previste, sia perché, indipendentemente dalla regolarità contabile e societaria del finanziamento, lo stesso, essendo finalizzato al reato di corruzione e costituendo il prezzo di detto reato, integra, in ogni caso, «finanziamento vietato dalla legge», secondo le norme del codice civile in tema di oggetto, causa e motivi illeciti del negozio.

Non sussistendo rapporto di specialità tra il reato di corruzione e quello di finanziamento illecito di partito, è possibile il concorso formale tra i suddetti reati. Deve invero considerarsi che diverse sono le condotte e diversi i beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici: il buon andamento della pubblica amministrazione per quanto attiene alla corruzione ed il metodo democratico con riguardo all’altro reato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11240 del 16 novembre 1995

È configurabile il concorso materiale tra il reato di corruzione ed il reato di truffa in danno dello Stato in quanto l’accordo corruttivo non può integrare l’induzione in errore nei confronti del pubblico ufficiale che partecipa all’accordo, ma può ben indurre in errore gli altri funzionari dell’ente pubblico ed in particolare gli organi di controllo. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 10371 del 18 ottobre 1995 (Cass. pen. n. 10371/1995)

Ai fini della configurabilità del delitto di corruzione propria previsto dall’art. 319 c.p. sono da considerare atti contrari ai doveri di ufficio sia quelli illeciti o illegittimi che siano cioè vietati da norme imperative o che si pongano in contrasto con norme giuridiche dettate per la loro validità ed efficacia, sia quelli che, se pure formalmente regolari, siano posti in essere dal pubblico ufficiale prescindendo volutamente — in costanza di trama corruttiva — dall’osservanza dei doveri a lui incombenti: doveri da rispettare vuoi che traggono fondamento da norme primarie, vuoi che si ricolleghino invece a disposizioni secondarie o interne o a istruzioni di servizio dettate al fine di assicurare e promuovere il regolare e più corretto svolgimento dell’azione penale.

Per stabilire se un atto sia contrario o meno ai doveri di ufficio e se conseguentemente debba configurarsi l’ipotesi criminosa dell’art. 319 c.p. (corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio) piuttosto che quella dell’art. 318 c.p. (corruzione per un atto di ufficio), occorre avere riguardo non soltanto all’atto in sé per verificarne la legittimità o l’illegittimità, ma anche alla sua conformità a tutti i doveri di ufficio o di servizio che possono venire in considerazione, con il risultato che un atto può essere in sé stesso non illegittimo e ciò nondimeno essere contrario ai doveri di ufficio. Del resto, che in materia di corruzione la legittimità dell’atto non sia sufficiente ad escludere la più grave figura criminosa dell’art. 319 c.p. quando sia accompagnato dalla inosservanza di un dovere d’ufficio, si evince chiaramente dalla stessa articolazione della suddetta norma che contempla, tra le ipotesi di corruzione propria, anche quella che si concreta nella retribuzione ricevuta per ritardare l’emissione di un atto dovuto, e cioè nella violazione di un dovere (quale quello di provvedere senza dolosi ritardi) che fa presumere e presuppone la legittimità dell’atto tardivamente emesso. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3052 del 22 marzo 1995 (Cass. pen. n. 3052/1995)

Ai fini della sussistenza del delitto di corruzione, è sufficiente una generica competenza dell’agente, derivante dalla sua appartenenza all’ufficio pubblico, quando questa gli consenta in concreto una qualsiasi ingerenza (o incidenza) illecita nella formazione o manifestazione della volontà dell’ente pubblico, culminante nell’emanazione dell’atto. Tale competenza non va, peraltro, necessariamente riferita all’atto terminale del procedimento amministrativo, assumendo rilievo in relazione a qualsiasi segmento (anche non formalizzato) della seriazione procedimentale, attesa la forza esponenziale che il comportamento — non, quindi, l’atto — assume ai fini della realizzazione del reato previsto dall’art. 319 c.p. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1449 del 8 febbraio 1994 (Cass. pen. n. 1449/1994)

Il pubblico ufficiale risponde del reato di corruzione anche quando pone in essere un atto contrario non ad un dovere specifico d’ufficio, ma al generico dovere di fedeltà, obbedienza, segretezza, imparzialità, onestà, vigilanza, con esclusione del solo atto contrario al dovere di correttezza. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5227 del 20 maggio 1993 (Cass. pen. n. 5227/1993)

Poiché dal momento consumativo del delitto di corruzione esula l’effettivo compimento dell’atto — tanto che il reato si consuma anche se il pubblico ufficiale non faccia seguire alla promessa o alla ricezione dell’utilità l’atto che si è impegnato a compiere (l’adempimento si sostanzia, infatti, in un elemento determinante per la prova dell’effettiva esistenza del pactum sceleris) la mancata individuazione in concreto del singolo «atto» che avrebbe dovuto essere omesso, ritardato o compiuto dal pubblico ufficiale contro i doveri del proprio ufficio, non fa venir meno il delitto di cui all’art. 319 c.p. ove venga accertato che la consegna del danaro al pubblico ufficiale venne effettuata in ragione delle funzioni dallo stesso esercitate e per retribuirne i favori. (Nella fattispecie, la Corte ha annullato la decisione del giudice di merito che, pur avendo accertato l’avvenuta retribuzione a favore del pubblico ufficiale, aveva ritenuto insussistente il reato di corruzione, non essendo stato specificamente individuato l’atto omesso o ritardato e che, comunque, avrebbe dovuto essere omesso o ritardato). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2991 del 26 marzo 1993 (Cass. pen. n. 2991/1993)

Costituisce atto contrario ai doveri d’ufficio quello del dipendente di ospedale che avverta sollecitamente gli impresari delle pompe funebri del decesso imminente o già avvenuto dei ricoverati. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso avverso ordinanza di riesame confermativa di quella del G.I.P. — che aveva disposto la sospensione dal pubblico servizio di ausiliaria – socio – sanitaria, di infermiere professionale e di portiere al passo carraio, che ricevevano compensi dai predetti impresari, in relazione al delitto continuato di corruzione propria — e indicativa del diverso reato di abuso d’ufficio ex art. 323 c.p., la Suprema Corte ha affermato che la condotta in esame è contraria ai doveri d’ufficio sotto diversi profili che vanno oltre quello di correttezza, posto in dubbio dal ricorso: il venir meno del dovere di imparzialità del pubblico dipendente, compromesso dal rapporto tenuto con gli impresari; la rivelazione di notizie d’ufficio che dovevano rimanere riservate o segrete per i terzi e delle quali comunque i dipendenti dell’ospedale non avevano la disponibilità). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2266 del 30 luglio 1991 (Cass. pen. n. 2266/1991)

Il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio o del servizio sussiste tutte le volte che l’atto d’ufficio compiuto dal pubblico ufficiale violi uno qualsiasi dei doveri connessi all’esercizio delle funzioni svolte dal pubblico ufficiale medesimo. È sufficiente pertanto che la scelta discrezionale sia determinata non dalla convenienza ed opportunità della pubblica amministrazione per il miglior raggiungimento dei suoi fini istituzionali ma dall’interesse del privato corruttore. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12168 del 6 settembre 1990 (Cass. pen. n. 12168/1990)

In tema di corruzione, è corretta la decisione che neghi la prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante in considerazione della qualità di amministratore pubblico dell’imputato.

Ai fini del delitto di corruzione, perché sia compiutamente realizzata la «promessa» è sufficiente un impegno qualsiasi ad eseguire in futuro la «controprestazione» purché questa sia ben individuata e suscettibile di attuazione. Che poi l’atto illecito non sia compiuto a causa del mancato verificarsi delle condizioni che ne avrebbero reso possibile l’esecuzione, non rileva, posto che il delitto di corruzione propria si perfeziona con l’accettazione della promessa. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10092 del 10 luglio 1990 (Cass. pen. n. 10092/1990)

Il bene giuridico tutelato dall’art. 319 c.p. è costituito dai principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione indicati nell’art. 97, comma primo, della Costituzione. La contrarietà ai doveri d’ufficio può riguardare la condotta complessiva del funzionario, che anche tramite l’emanazione di atti formalmente regolari può venir meno ai suoi compiti istituzionali, inserendo tali atti in un contesto avente finalità diverse da quella di pubblica utilità. L’attenzione dell’interprete, per valutare la contrarietà o meno della condotta del pubblico ufficiale ai suoi doveri, deve incentrarsi non sui singoli atti, ma sull’insieme del servizio reso al privato, per cui, anche se ogni atto separatamente considerato corrisponda ai requisiti di legge, l’asservimento costante della funzione, per denaro, agli interessi privati concreta il reato di cui all’art. 319 c.p. anziché quello di cui al precedente art. 318. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7259 del 24 maggio 1990 (Cass. pen. n. 7259/1990)

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