(1) Questo articolo è stato così, da ultimo, sostituito dall’art. 1, comma 75, lett. f), della L. 6 novembre 2012, n. 190.
(2) Le parole: «da uno a sei anni» sono state da ultimo così sostituite dalle attuali: «da tr3e a otto anni» dall’art. 1, comma 1, lett. n), della L. 9 gennaio 2019, n. 3.
Arresto: facoltativo in flagranza. | 381 c.p.p. |
Fermo di indiziato di delitto: consentito. | 384 c.p.p. |
Misure cautelari personali: consentite. | 280, 287 c.p.p. |
Autorità giudiziaria competente: Tribunale collegiale. | 33 bis c.p.p. |
Procedibilità: d’ufficio. | 50 c.p.p. |
Integra il reato di corruzione per l’esercizio della funzione, previsto dall’art.318 cod.pen., lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, realizzato attraverso l’impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata.(Fattispecie in cui risultava la dazione di denaro, in favore di un appartenente alla Guardia di Finanza, da parte di soggetti interessati ad avere informazioni circa gli accertamenti fiscali svolti a carico delle proprie società, ma non anche l’effettivo compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 32401 del 19 luglio 2019 (Cass. pen. n. 32401/2019)
Integra il reato di corruzione per l’esercizio della funzione, anche secondo la previgente formulazione dell’art. 318 cod.pen., la condotta del parlamentare che accetti la promessa o la dazione di utilità in relazione all’esercizio della sua funzione e, quindi, per il compimento di un atto del proprio ufficio (In motivazione, la Corte ha precisato che il reato si configura per effetto del mero divieto di ricevere indebite remunerazione per lo svolgimento del “munus publicum” che prescinde dalla giudizio di conformità o meno ai doveri d’ufficio della condotta posta in essere in adempimento dell’accordo corruttivo). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 40347 del 11 settembre 2018 (Cass. pen. n. 40347/2018)
Non integra il reato di corruzione impropria, secondo la previsione dell’art.318 cod.pen. antecedente alla entrata in vigore della legge 11 giugno 2012 n.190, la condotta del pubblico ufficiale consistita in un generico asservimento agli interessi del privato, qualora non siano determinati o determinabili gli atti in concreto posti in essere a fronte della dazione indebita ricevuta. (In motivazione, la Corte ha precisato che la condotta indicata integra il reato di corruzione impropria attualmente vigente). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 39008 del 20 settembre 2016 (Cass. pen. n. 39008/2016)
Ai fini della configurabilità del reato di corruzione propria, non è determinante il fatto che l’atto d’ufficio o contrario ai doveri d’ufficio sia ricompreso nell’ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma è necessario e sufficiente che si tratti di un atto rientrante nelle competenze dell’ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziata la motivazione della sentenza che aveva ricondotto al reato di corruzione la condotta dell’imputato il quale, nella qualità di parlamentare della Repubblica e di leader di partito in sede locale, dietro la promessa di un compenso in denaro, aveva fornito informazioni privilegiate relative a tre gare di appalto, in relazione alle quali non svolgeva alcun ruolo, e si era impegnato ad esercitare pressioni al fine di assicurarne l’aggiudicazione alle società riconducibili al proprio dante causa). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 23355 del 6 giugno 2016 (Cass. pen. n. 23355/2016)
In tema di corruzione, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, attraverso il sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri di ufficio non predefiniti, né specificamente individuabili “ex post”, ovvero mediante l’omissione o il ritardo di atti dovuti, integra il reato di cui all’art. 319 cod. pen. e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 cod. pen., il quale ricorre, invece, quando l’oggetto del mercimonio sia costituito dal compimento di atti dell’ufficio. (In motivazione la Corte ha individuato un rapporto di progressione criminosa tra le due fattispecie incriminatrici). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 47271 del 17 novembre 2014 (Cass. pen. n. 47271/2014)
In tema di delitti di corruzione, l’”atto d’ufficio” non deve essere inteso in senso strettamente formale in quanto esso è integrato anche da un comportamento materiale che sia esplicazione di poteri-doveri inerenti alla funzione concretamente esercitata e presupponga la necessità di una congruità tra esso, in quanto oggetto dell’accordo illecito, e la posizione istituzionale del soggetto pubblico contraente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il delitto di corruzione impropria susseguente, come previsto dalla disciplina vigente prima della riforma introdotta dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, nella condotta del dipendente di un ente concessionario di pubblico servizio di esazione tributi, che, mediante sollecito telefonico al collega preposto presso un ufficio pubblico al disbrigo di pratiche per rimborsi fiscali, favoriva lo “sblocco” delle stesse). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 36859 del 6 settembre 2013 (Cass. pen. n. 36859/2013)
Non è configurabile il delitto di corruzione per atto di ufficio ex art. 318 c.p. – nel testo vigente prima delle modifiche della l. n. 190 del 2012 – nei confronti del Presidente di una società di gestione di una tratta autostradale, perché, pur rivestendo quest’ultimo la qualifica di incaricato di pubblico servizio, non può essere considerato un pubblico impiegato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 27719 del 24 giugno 2013 (Cass. pen. n. 27719/2013)
Il delitto di corruzione può ritenersi consumato quando fra le parti sia stato raggiunto anche solo un accordo di massima sulla ricompensa da versare in cambio dell’atto o del comportamento del pubblico agente, anche se restino da definire ancora dettagli sulla concreta fattibilità dell’accordo e sulla precisa determinazione del prezzo da pagarsi. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto consumato il delitto di corruzione in atti giudiziari in un caso in cui un avvocato aveva sollecitato l’intervento della polizia, dopo aver già concordato con un giudice di pace il pagamento di una somma di denaro per due sentenze da emettere in procedimenti civili, anche se successivamente per una delle due decisioni si era deciso di rinunciare ad eseguire l’accordo già raggiunto). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 13048 del 21 marzo 2013 (Cass. pen. n. 13048/2013)
In tema di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, ai fini dell’accertamento della controprestazione offerta dal corruttore, la nozione di “altra utilità” quale oggetto della dazione o della promessa al pubblico ufficiale non va circoscritta soltanto alle utilità di natura patrimoniale, ma comprende tutti quei vantaggi sociali le cui ricadute patrimoniali siano mediate e indirette. (Fattispecie relativa a richieste di sponsorizzazioni, promesse di interessamento e mediazioni politiche effettuate verso soggetti titolari di cariche regionali o ministeriali, e collegate all’incarico di direttore generale di a.s.l. ricoperto dall’indagata). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 24656 del 30 giugno 2010 (Cass. pen. n. 24656/2010)
In tema di delitto di corruzione, l’accertamento dell’avvenuto pagamento degli eventuali intermediari non consente ex se l’individuazione del momento consumativo del reato, in mancanza di altri elementi che possano ragionevolmente indurre a ritenere che il denaro sia stato «cumulativamente» corrisposto sia per gli intermediari che per il corrotto o, in ogni caso, perchè i primi compensassero quest’ultimo.
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La natura necessariamente concorsuale del delitto di corruzione implica che all’assoluzione per insussistenza del fatto, in separato procedimento, dell’imputato del delitto di corruzione passiva in atti giudiziari faccia seguito, nell’altro procedimento, l’assoluzione con identica formula del corruttore attivo e dei suoi intermediari, dovendosi escludere la sussistenza dell’intero fatto corruttivo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 33519 del 5 ottobre 2006 (Cass. pen. n. 33519/2006)
Il delitto di corruzione appartiene alla categoria dei reati «propri funzionali» perché elemento necessario di tipicità del fatto è che l’atto o il comportamento oggetto del mercimonio rientrino nelle competenze o nella sfera di influenza dell’ufficio al quale appartiene il soggetto corrotto, nel senso che occorre che siano espressione, diretta o indiretta, della pubblica funzione esercitata da quest’ultimo, con la conseguenza che non ricorre il delitto di corruzione passiva se l’intervento del pubblico ufficiale in esecuzione dell’accordo illecito non comporti l’attivazione di poteri istituzionali propri del suo ufficio o non sia in qualche maniera a questi ricollegabile, e invece sia destinato a incidere nella sfera di attribuzioni di pubblici ufficiali terzi rispetto ai quali il soggetto agente è assolutamente carente di potere funzionale.
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Nel delitto di corruzione, che è a concorso necessario ed ha una struttura bilaterale, è ben possibile il concorso eventuale di terzi, sia nel caso in cui il contributo si realizzi nella forma della determinazione o del suggerimento fornito all’uno o all’altro dei concorrenti necessari, sia nell’ipotesi in cui si risolva in un’attività di intermediazione finalizzata a realizzare il collegamento tra gli autori necessari. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 33435 del 5 ottobre 2006 (Cass. pen. n. 33435/2006)
Ai fini della configurabilità tanto delle corruzione impropria, prevista dall’art. 318, comma primo, c.p., quanto di quella propria, prevista dall’art. 319, comma primo, stesso codice, è sufficiente che vi sia stata ricezione della indebita retribuzione o accettazione della relativa promessa, restando quindi indifferente che ad essa abbia fatto poi seguito o meno l’effettivo compimento dell’atto conforme o contrario ai doveri d’ufficio, in vista del quale la retribuzione è stata elargita o la promessa formulata.
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In tema di corruzione, il solo fatto che l’attività del pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio) presenti margini più o meno ampi di discrezionalità non vale, di per sé, ad escludere la configurabilità della corruzione impropria in luogo di quella propria, ben potendo risultare che l’atto discrezionale compiuto o da compiere sia comunque idoneo alla migliore soddisfazione dell’interesse pubblico, nonostante che il suo compimento sia fatto dipendere dalla indebita retribuzione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 4177 del 4 febbraio 2004 (Cass. pen. n. 4177/2004)
Sussiste la fattispecie di corruzione impropria prevista dall’art. 318 c.p. quando l’atto amministrativo è adottato nell’esclusivo interesse della pubblica amministrazione, tanto è vero, se non fosse corrisposta la somma di denaro da parte del privato, il comportamento del pubblico ufficiale non sarebbe suscettibile di sanzioni né sotto il profilo penale né sotto quello disciplinare. (Fattispecie relativa al funzionario della Motorizzazione civile che percepiva dai privati somme di denaro per accelerare le pratiche di collaudo di automezzi, incrementando il numero dei collaudi rispetto a quello previsto per ogni singola seduta da un ordine di servizio). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 44787 del 20 novembre 2003 (Cass. pen. n. 44787/2003)
In tema di corruzione propria sono atti contrari ai doveri d’ufficio non soltanto quelli illeciti (siccome vietati da atti imperativi) o illegittimi (perché dettati da norme giuridiche riguardanti la loro validità ed efficacia), ma anche quelli che, pur formalmente regolari, prescindono, per consapevole volontà del pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio), dall’osservanza dei doveri istituzionali, espressi in norme di qualsiasi livello, compresi quelli di correttezza e d’imparzialità. Ne consegue, ai fini della distinzione tra corruzione propria ed impropria, che nella prima il pubblico ufficiale, violando anche il solo dovere di correttezza, connota l’atto di contenuto privatistico, così perseguendo esclusivamente o prevalentemente, l’interesse del privato corruttore; nella seconda, invece, il pubblico ufficiale, che accetta una retribuzione per l’unico atto reso possibile dalla sue attribuzioni, viola soltanto il dovere di correttezza.
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Persona offesa del delitto di corruzione propria è soltanto la pubblica amministrazione, interessata a che i propri atti non siano oggetto di mercimonio. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3388 del 23 gennaio 2003 (Cass. pen. n. 3388/2003)
Ai fini dell’integrazione dei reati di cui agli articoli 318 e 319 c.p., acquistano la qualità di pubblici ufficiali ai sensi dell’articolo 357 c.p., coloro che concorrono in qualità di organi a formare la volontà e ad attuare gli scopi istituzionali dei consorzi costituiti dai Comuni o dagli altri enti pubblici per i nuclei di sviluppo industriale previsti dalle leggi per il Mezzogiorno (T.U. 6 marzo 1978 n. 218). Ed invero il patrimonio di detti consorzi è rappresentato quasi esclusivamente dai conferimenti apportati dai diversi enti pubblici che ne fanno parte, nonché da altre fonti incrementative dei contributi statali ai finanziamenti autorizzati e già concessi dalla abolita Cassa per il Mezzogiorno. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6038 del 13 maggio 1999 (Cass. pen. n. 6038/1999)
In tema di reati di corruzione, la evidente sproporzione tra le somme versate e l’attività compiuta (omessa o ritardata) appare indice univoco, sulla base delle più elementari massime di esperienza, della contrarietà agli atti di ufficio di quanto compiuto (omesso o ritardato) dal pubblico ufficiale. Ed invero, il concetto di proporzione — da intendersi nel senso di mancanza di sproporzione manifesta tra la prestazione del privato e quella del pubblico ufficiale — riguarda soltanto la corruzione impropria di cui all’articolo 318 c.p. che richiama la «retribuzione non dovuta» per il compimento di un atto dell’ufficio, e non pure la corruzione propria prevista dall’articolo 319 c.p., relativa al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio, in cui non si fa riferimento al concetto di retribuzione, essendo sufficiente che la datio sia correlata all’atto contrario ai doveri di ufficio che il pubblico ufficiale, per l’accordo intervenuto deve compiere o ha compiuto. Il principio di proporzione, infatti, in un delitto caratterizzato dall’inserirsi la condotta in un rapporto sinallagmatico fra le parti contrapposte deve valere non soltanto quando si negoziano atti di ufficio, ma anche quando l’accordo sia in vista del compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio, dell’omissione o del ritardo di atti dell’ufficio; in questi ultimi casi, anzi, essendo nella natura delle cose che il risultato debba proporzionalmente elevarsi. Il tutto risulta dal diverso atteggiarsi del sinallagma nelle due ipotesi criminose, ferma restando la corrispettività «funzionale» di ciascuna di esse, comprovata dal fatto che, mentre l’articolo 318 c.p. fa riferimento ad «una retribuzione . . . non dovuta», l’articolo 319 c.p. si limita a riferirsi alla ricezione di «danaro o altra utilità». Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3945 del 25 marzo 1999 (Cass. pen. n. 3945/1999)
In tema di corruzione, non v’è alcuna incompatibilità logica fra la sussistenza in capo ad un soggetto di un interesse privato ad un affare, e il ruolo dallo stesso rivestito di pubblico ufficiale corrotto (ad opera di altri cointeressati) nell’ambito della procedura amministrativa attinente alla relativa pratica. Invero, affinché, nella corruzione impropria antecedente ricorra il nesso penalmente rilevante fra la promessa corruttiva e l’attività amministrativa contra legem, non è richiesto che la promessa si ponga come causa unica ed esclusiva di quell’attività, essendo all’uopo sufficiente che la promessa sia qualificata dalla finalizzazione a tale attività. Ciò, in quanto è la «motivazione» della promessa che integra il reato, e non la esclusiva dipendenza causale dell’attività (che, in sé, resta fuori della condotta criminosa) dalla promessa stessa. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1680 del 11 febbraio 1999 (Cass. pen. n. 1680/1999)
Rientra nella fattispecie della corruzione per un atto di ufficio (art. 318 c.p.) il comportamento dell’incaricato di pubblico servizio che, svolgendo compiti preparatori nella procedura di definizione dei rapporti tra privati proponenti e l’ente di appartenenza, percepisca elevate somme di denaro per «agevolare e velocizzare» la conclusione di contratti di compravendita di immobili. In siffatta ipotesi le dazioni di denaro non sono correlate ad atti contrari ai doveri di ufficio, non essendo ravvisabile alcuna violazione delle regole «interne» poste a presidio dello svolgimento del servizio pubblico; al contrario, è riscontrabile la violazione del principio di imparzialità che, connotandosi, soprattutto, come «dovere esterno», è posto a garanzia da favoritismi o da deviazioni per tornaconto personale da parte dell’agente: di detto principio di imparzialità l’accettazione della indebita «retribuzione» costituisce senz’altro un vulnus, ancorché quest’ultima sia riferita a un atto legittimo. (Nella specie si trattava di dipendenti del Fondo pensioni della Cariplo. La Corte, pur affermando il suesposto principio, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, non rivestendo gli agenti la qualità di pubblici impiegati). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12990 del 11 dicembre 1998 (Cass. pen. n. 12990/1998)
Ai fini della prova del delitto di corruzione propria, se non è necessaria la individuazione del singolo atto per il quale sono corrisposte le utilità non dovute, è indispensabile comunque la individuazione del genus degli atti oggetto dell’accordo corruttivo, venendo in difetto a mancare addirittura le premesse per poter verificare, prima di ogni altra indagine, se si verta in tema di corruzione propria od impropria, e, nell’ambito di questa, se si tratti di corruzione antecedente o susseguente, date le conseguenze che la legge fa derivare dall’una o dall’altra fattispecie. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9517 del 21 agosto 1998 )(Cass. pen. n. 9517/1998)
Nella struttura del delitto di corruzione, dato che fra l’illecito compenso e l’atto amministrativo «venduto» deve intercorrere un rapporto di sinallagmaticità e quindi una certa proporzione, l’atto o il comportamento amministrativo, oggetto dell’illecito accordo, se non individuato ab origine deve essere almeno individuabile; va precisato peraltro che, poiché la individuazione ben può essere limitata al genere di atti da compiere, detta individuazione si realizza anche quando la controprestazione della promessa o della dazione di danaro o di altra utilità sia integrata da un generico comportamento del pubblico ufficiale, purché rientrante nella competenza o nella sfera di intervento dello stesso e suscettibile di specificarsi in una pluralità di atti singoli, non preventivamente fissati o programmati, ma appartenenti pur sempre al genus previsto, giacché anche in tal caso la consegna di danaro al pubblico ufficiale deve ritenersi eseguita in ragione delle funzioni dello stesso e per retribuirne i favori. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3444 del 19 marzo 1998 (Cass. pen. n. 3444/1998)
Il delitto di corruzione è configurato quale reato di evento caratterizzato dalla particolarità di perfezionarsi alternativamente o con l’accettazione della promessa o col ricevimento dell’utilità promessa. Ne consegue che, quando entrambi gli eventi si realizzano, l’adempimento della promessa non degrada a post factum irrilevante perché in questo caso il reato, realizzandosi lo schema principale della dazione e della correlata accettazione del denaro o dell’utilità da parte del pubblico ufficiale, si consuma nel momento della percezione effettiva del compenso. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3234 del 13 marzo 1998 (Cass. pen. n. 3234/1998)
Il delitto di corruzione si configura come reato a duplice schema, principale e sussidiario. Secondo quello principale, il reato viene commesso con due attività, l’accettazione della promessa e il ricevimento della utilità e il momento consumativo coincide con il ricevimento della utilità e, allorché vi siano più dazioni di pagamento, ogni remunerazione integra un fatto reato e una pluralità di dazioni corrisposte in esecuzione di un unico patto corruttivo configura un delitto continuato. Secondo lo schema sussidiario, che si realizza quando la promessa non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione della promessa. (Affermando tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto che nel caso di specie, vertendosi nell’ipotesi dello schema principale, e trattandosi di plurime dazioni di compenso collegate all’accordo corruttivo, il termine della prescrizione decorresse dal giorno in cui era avvenuta l’ultima corresponsione). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4300 del 9 maggio 1997 (Cass. pen. n. 4300/1997)
La corruzione cosiddetta «impropria», di cui all’art. 318 c.p., è configurabile non soltanto con riguardo agli atti vincolati del pubblico ufficiale, ma anche con riguardo a quelli discrezionali, sempre che questi non siano contrari ai doveri d’ufficio, indipendentemente dall’indebita retribuzione la quale, di per sé, comportando violazione del solo dovere «esterno» che impone di non accettarla, e non anche del dovere «interno», che impone di rispettare le regole che presiedono all’emanazione dell’atto, non implica necessariamente contrarietà dell’atto medesimo ai doveri d’ufficio, ben potendo esso risultare comunque idoneo alla miglior soddisfazione dell’interesse pubblico, sì da poter essere considerato, in effetti, al pari dell’atto vincolato, come l’unico possibile. Per converso, quando l’indebita retribuzione, o la relativa promessa, siano finalizzate a far sì che la facoltà discrezionale sia esercitata in modo difforme da quello altrimenti suggerito dall’equilibrata e disinteressata valutazione della situazione concreta, si sarà in presenza di corruzione cosiddetta «propria», cioè per atti contrari ai doveri d’ufficio. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10851 del 17 dicembre 1996 (Cass. pen. n. 10851/1996)
Il delitto di corruzione è reato di evento caratterizzato dalla particolarità di perfezionarsi alternativamente o con l’accettazione della promessa o con il ricevimento dell’utilità promessa: quando entrambi questi eventi si realizzano in logica successione temporale, il secondo non degrada a post factum irrilevante, giacché il reato si consuma in tal caso nel momento della dazione effettiva del compenso. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto che nel caso di plurime azioni corruttive con dazione di compenso, ricomprese nell’addebitato continuazione, il termine di precisazione iniziasse a decorrere dall’ultima corresponsione). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7555 del 26 luglio 1996 (Cass. pen. n. 7555/1996)
Il delitto di corruzione si configura come reato a duplice schema, principale e sussidiario. Secondo quello principale il reato viene commesso con due essenziali attività, strettamente legate fra loro e l’una funzionale all’altra: l’accettazione della promessa ed il ricevimento dell’utilità con il quale finisce per coincidere il momento consumativo, versandosi in un’ipotesi assimilabile a quella del reato progressivo. Secondo lo schema sussidiario, che si realizza quando la promessa non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione della promessa. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5312 del 28 maggio 1996 (Cass. pen. n. 5312/1996)
In tema di corruzione, il concetto di proporzione – da intendersi nel senso di mancanza di sproporzione manifesta tra la prestazione del privato e quella del pubblico ufficiale – riguarda soltanto la corruzione impropria prevista dall’art. 318 c.p., che si riferisce alla «retribuzione non dovuta» per il compimento di un atto dell’ufficio, e non pure la corruzione propria, prevista dall’art. 319 stesso codice, relativa al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio, in cui non si fa riferimento al concetto di «retribuzione», essendo sufficiente che la datio sia correlata all’atto contrario ai doveri di ufficio che il pubblico ufficiale, per l’accordo intervenuto, deve compiere o ha compiuto. (Fattispecie relativa al regalo di un’imbarcazione di lusso con relativo motore ricevuto da un pubblico ufficiale per una complessa attività di falsificazione finalizzata a truffe di privati in danno dell’Aima). Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 2780 del 15 marzo 1996 (Cass. pen. n. 2780/1996)
L’offensività del reato di corruzione è rappresentata dalla condotta antidoverosa del pubblico ufficiale, volta a commettere mercimonio del proprio ufficio e quindi a ledere i principi e le finalità che ispirano la sua base ordinamentale, specie quando l’attività amministrativa è caratterizzata dalla discrezionalità tecnica ed è esposta ad ampi tassi di favoritismo nella fase procedimentale e decisoria; sicché non può assumere significazione alcuna il livello di soddisfacimento dello scopo illecito avuto in considerazione dal corruttore nel porre in essere l’accordo delittuoso con il pubblico ufficiale. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2376 del 22 agosto 1994 (Cass. pen. n. 2376/1994)
Il delitto di corruzione (art. 318 c.p.) non è configurabile nel caso di donativi soltanto se questi, per la loro modicità, escludono la ipotizzabilità di corrispettivo dell’atto di ufficio, previo giudizio di proporzione tra il dono e l’atto medesimo. (Fattispecie in tema di corruzione di un medico del servizio sanitario nazionale). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4072 del 7 aprile 1994 (Cass. pen. n. 4072/1994)
Il principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata (art. 477 c.p.p. 1930) non è violato nell’ipotesi in cui venga ritenuto il delitto di corruzione propria invece di quello di corruzione impropria, dal momento che entrambi i delitti postulano la dazione o la promessa di denaro o di altra utilità e l’esistenza di un accordo illecito tra il pubblico ufficiale ed il privato corruttore. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 1899 del 16 febbraio 1994 (Cass. pen. n. 1899/1994)
Il delitto di corruzione, attiva o passiva (artt. 318, 319 c.p.), può sussistere se ed in quanto il patto di corruzione coinvolga il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio). Ne consegue che, ogni qual volta vi sia un intermediario, l’azione corruttrice non deve arrestarsi a quest’ultimo, ma deve, quanto meno, essere nota al pubblico ufficiale competente ad emettere l’atto di mercimonio; deve, cioè, potersi ricavare univocamente dai fatti il consenso del pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio) alla pattuizione illecita. (Nella specie, la Corte ha rigettato il ricorso del difensore, in fase di indagini preliminari, avverso provvedimento cautelare coercitivo per il reato di corruzione — in cui non era ancora identificato il pubblico ufficiale, ma erano accertate la corresponsione di danaro al partito politico cui il pubblico ufficiale era legato e l’aggiudicazione di appalti agli indagati erogatori delle somme — motivato sulla esistenza, ritenuta gravemente indiziante, di un nesso causale inscindibile tra le prestazioni in danaro e l’aggiudicazione degli appalti). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 277 del 27 marzo 1993 (Cass. pen. n. 277/1993)
Il delitto di corruzione è ravvisabile anche nel caso di tenuità della somma o dell’utilità, perché la lesione giuridica prodotta dal reato attiene al prestigio e all’interesse della P.A. e prescinde pertanto dalla proporzionalità o dall’equilibrio fra l’atto d’ufficio e la somma o l’utilità corrisposta. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12192 del 6 settembre 1990 (Cass. pen. n. 12192/1990)
In tema di corruzione, ciò che la norma richiede perché possa affermarsi l’esistenza del presupposto del reato rappresentato dall’atto d’ufficio da compiersi, è che l’atto appartenga alla competenza dell’ufficio cui il pubblico dipendente appartiene, anche se non sia espressamente devoluto alle specifiche mansioni del pubblico ufficiale demandante, purché possa ugualmente direttamente compierlo o far sì che l’atto stesso venga compiuto (fattispecie in cui un sottufficiale della Guardia di finanza era stato richiesto di effettuare, o comunque provocare, una ispezione diretta all’accertamento di illeciti fiscali). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11737 del 24 agosto 1990 (Cass. pen. n. 11737/1990)
Le regalie di pura cortesia possono escludere la configurabilità del reato di corruzione solo quando si versi nell’ipotesi prevista dall’art. 318 e non in quella dell’art. 319 c.p. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10414 del 17 luglio 1990 (Cass. pen. n. 10414/1990)
In tema di corruzione impropria anteriore all’atto prevista dall’art. 318, primo comma, c.p., l’atto, in vista del quale l’accordo criminoso viene stipulato, deve essere conforme ai doveri del funzionario. Ed invero l’interesse tutelato dalla disposizione in esame non è tanto quello dell’imparzialità della pubblica amministrazione, dato che l’atto da compiere è conforme ai criteri di una sana e corretta amministrazione, bensì quello della correttezza e del buon funzionamento della pubblica amministrazione, nel senso che gli atti — legittimi, corretti e dovuti — non possono essere oggetto di un privato baratto tra il privato e la pubblica amministrazione, ma debbono essere compiuti in una posizione di sostanziale e totale estraneità rispetto ad interessi privati, al di fuori di influenze diverse da quelle dettate dagli interessi generali dello Stato, cioè della collettività.
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La differenza tra le ipotesi criminose previste dagli artt. 318 e 319 c.p. sta nel fatto che nel primo caso, attraverso il collegamento con il privato, determinato dal pactum sceleris, si realizza una violazione del principio di correttezza e in qualche modo del dovere di imparzialità del pubblico ufficiale, senza però che la parzialità si trasferisca nell’atto, che resta l’unico possibile per attuare interessi esclusivamente pubblici, mentre nel secondo la parzialità si rivela nell’atto, segnandolo di connotazioni privatistiche, perché formato nell’interesse esclusivo del privato corruttore, e rendendolo pertanto illecito e contrario ai doveri d’ufficio. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5843 del 23 aprile 1990 (Cass. pen. n. 5843/1990)
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