Art. 314 – Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398 - aggiornato alla D. Lgs. 10 ottobre 2022, n.150)

Peculato

Articolo 314 - codice penale

Il pubblico ufficiale (357) o l’ incaricato di un pubblico servizio (358), che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni (1) a dieci anni e sei mesi (2) (317 bis, 323 bis).
Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita (317 bis, 323 bis).

Articolo 314 - Codice Penale

Il pubblico ufficiale (357) o l’ incaricato di un pubblico servizio (358), che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni (1) a dieci anni e sei mesi (2) (317 bis, 323 bis).
Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita (317 bis, 323 bis).

Note

(1) La parola: «tre» è stata sostituita dalla parola: quattro» dall’art. 1, comma 75, lett. c), della L. 6 novembre 2012, n. 190. La sostituzione operata dall’art. 1, comma 1, lett. d), della L. 27 maggio 2015, n. 69, ha confermato la pena di quattro anni nel minimo.
(2) Le parole: «da quattro a dieci anni» sono state così sostituite dalle attuali: «da quattro anni a dieci anni e sei mesi» dall’art. 1, comma 1, lett. d), della L. 27 maggio 2015, n. 69.

Tabella procedurale

Arresto: primo comma, facoltativo in flagranza; secondo comma, non consentito.381 c.p.p.
Fermo di indiziato di delitto: primo comma, consentito; secondo comma, non consentito.384 c.p.p.
Misure cautelari personali: primo comma, consentite; secondo comma, consentita la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio.280, 287 c.p.p.; 289 c.p.p.
Autorità giudiziaria competente: Tribunale collegiale.33 bis c.p.p.
Procedibilità: d’ufficio.50 c.p.p.

Massime

Integra il delitto di peculato e non quello di truffa aggravata la condotta del pubblico ufficiale che si appropri di denaro pubblico anche nel caso in cui, per effetto delle norme interne dell’ente che prevedono l’intervento di più organi ai fini dell’adozione dell’atto dispositivo, il soggetto che formalmente emette l’atto finale del procedimento non concorra nel reato per essere stato indotto in errore da coloro che si occupano della fase istruttoria. (Fattispecie relativa all’appropriazione da parte del segretario di un IPAB di somme di pertinenza dell’ente, attraverso l’emissione di mandati di pagamento in proprio favore formalmente sottoscritti dal presidente, senza che quest’ultimo esercitasse alcun reale controllo sui presupposti dell’atto dispositivo). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 30637 del 3 novembre 2020 (Cass. pen. n. 30637/2020)

Integra il delitto di peculato la condotta del custode, nominato dalla curatela fallimentare, che si appropri dei beni della società dichiarata fallita a lui affidati per la conservazione. (Fattispecie relativa alla sottrazione di beni mobili custoditi in una struttura alberghiera della società fallita, concessa in subaffitto al custode, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per il contestato reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, qualificando il fatto ai sensi dell’art. 314 cod. pen.). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 30637 del 3 novembre 2020 (Cass. pen. n. 30637/2020)

In tema di peculato commesso mediante appropriazione dei fondi per il funzionamento dei gruppi consiliari regionali, l’errore dei consiglieri circa la facoltà di disposizione del pubblico denaro, asseritamente indotto da regolamenti interni dei singoli gruppi che consentano il rimborso per una vasta tipologia di spese, con causale generica ed in assenza di un effettivo controllo, si risolve in un errore sulla legge penale e, pertanto, non esclude l’elemento soggettivo del reato. (Fattispecie in cui i regolamenti interni avevano un contenuto equivoco, rispetto al quale i consiglieri non avevano sollecitato alcun chiarimento in ordine alle spese consentite, confidando in un sistema di rimborsi sostanzialmente automatici, disposti in assenza di un effettivo controllo, solo formalmente svolto da personale amministrativo non indipendente e privo di effettivi ed autonomi poteri di verifica). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 16765 del 3 giugno 2020 (Cass. pen. n. 16765/2020)

In tema di peculato, nella nozione di prezzo del reato – relativamente al quale può essere disposto, ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen., il sequestro preventivo finalizzato alla confisca “per equivalente” – è compreso anche il denaro indebitamente procurato dall’agente pubblico a terzi, nella parte da questi riversata al primo, a titolo di corrispettivo per la commissione dell’illecito. (Fattispecie relativa alla condotta di un tecnico comunale che emetteva mandati di pagamento per importi non dovuti in favore di un privato, dal quale successivamente riceveva una parte delle suddette somme). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 14041 del 7 maggio 2020 (Cass. pen. n. 14041/2020)

In tema di peculato, la previsione in favore dell’ente della rivalsa per il recupero di spese non regolarmente rendicontate o, comunque, corrispondenti ad un utilizzo improprio della carta di credito aziendale, non esclude la configurabilità del reato, in quanto costituisce una mera garanzia per la società cui appartengono i fondi, destinata a operare a fronte di un illecito ormai verificatosi. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12087 del 14 aprile 2020 (Cass. pen. n. 12087/2020)

In tema di peculato, l’appropriazione del denaro, riscosso dal privato per conto di un ente pubblico, si realizza non già per effetto del mero ritardo nel versamento, bensì allorquando si realizza la certa interversione del titolo del possesso. (Fattispecie in cui il concessionario della riscossione di tasse automobilistiche, anziché versare gli importi sul conto corrente dedicato e dal quale gli stessi venivano automaticamente inviati alla Regione, faceva confluire il denaro su altro conto corrente a lui intestato, in tale momento consumandosi il reato). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5233 del 7 febbraio 2020 (Cass. pen. n. 5233/2020)

Integra il delitto di peculato per distrazione la condotta del dirigente di una società “in house” di un comune che utilizzi fondi dell’ente per provvedere al pagamento della sanzione amministrativa in materia antinfortunistica elevata al proprio dipendente, in assenza di un atto formale dell’organo amministrativo ricognitivo dell’esistenza di un obbligo giuridico o comunque di un interesse, concreto ed effettivo, a provvedere in tal senso. (In motivazione, la Corte ha precisato che sussiste l’interesse dell’ente a provvedere al pagamento della sanzione con effetto estintivo, ai sensi dell’art.24 d.lgs. 19 dicembre 1994, n.758, a condizione che la condotta illecita sia tale da comportare una responsabilità risarcitoria dell’ente ai sensi dell’art.2049 cod.civ.) Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 38260 del 16 settembre 2019 (Cass. pen. n. 38260/2019)

Non è configurabile il reato di peculato nell’uso episodico ed occasionale di un’autovettura di servizio, quando la condotta abusiva non abbia leso la funzionalità della pubblica amministrazione e non abbia causato un danno patrimoniale apprezzabile. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna di un appartenente alla polizia di Stato che aveva utilizzato la vettura di servizio per accompagnare un amico, essendosi l’uso indebito del mezzo protratto per circa mezz’ora senza l’abbandono del percorso prestabilito per la sorveglianza di obiettivi sensibili). Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 37186 del 5 settembre 2019 (Cass. pen. n. 37186/2019)

In tema di peculato, la sussistenza dell’indebita appropriazione non può essere desunta dall’importo “eccessivo” delle spese di rappresentanza di cui l’avente diritto ha chiesto il rimborso, allorquando la tipologia e l’importo delle spese siano stati prospettati all’ente chiamato al rimborso in maniera trasparente, senza che vi siano state condotte volte ad occultare od impedire il controllo sulla congruità delle stesse. (In motivazione, la Corte ha precisato che il rimborso di una spesa eccessiva può, al più, dar luogo a responsabilità contabile, senza che per ciò solo risulti configurato il reato di peculato). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 29887 del 8 luglio 2019 (Cass. pen. n. 29887/2019)

Il delitto di peculato per omesso versamento, da parte dal concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell’Azienda Autonoma Monopoli di Stato si consuma allo spirare del termine indicato nella intimazione che l’amministrazione è tenuta ad inviare, realizzandosi in tale momento la certa interversione del titolo del possesso. (In motivazione, la Corte ha precisato che detto delitto di peculato si pone in rapporto di progressione criminosa con il diverso reato, conseguentemente assorbito, di cui all’art.8 della legge 19 aprile 1990, n.85, che si configura nel caso di iniziale ritardo del versamento oltre il termine di giovedì della settimana successiva a quella della raccolta delle giocate). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 31920 del 18 giugno 2019 (Cass. pen. n. 31920/2019)

In tema di peculato, la minima entità del danno patrimoniale arrecato alla pubblica amministrazione non esclude la configurabilità del reato, poichè l’atto appropriativo integra di per sè la condotta tipica, mentre, nel caso di peculato d’uso, la destinazione solo momentanea del bene a finalità diverse da quelle pubblicistiche richiede anche l’idoneità della condotta a determinare una apprezzabile lesione patrimoniale. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il reato di peculato a fronte dell’appropriazione da parte del pubblico agente di un quantitativo minimo di carburante). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 23824 del 29 maggio 2019 (Cass. pen. n. 23824/2019)

Non è configurabile il delitto di peculato nel caso di inadeguatezza o incompletezza dei giustificativi contabili relativi a spese di rappresentanza del Comune, che non permettano di riferire gli esborsi a finalità istituzionali dell’ente, gravando sull’accusa l’onere della prova dell’appropriazione del denaro pubblico e della sua destinazione a finalità privatistiche. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 21166 del 15 maggio 2019 (Cass. pen. n. 21166/2019)

Risponde del reato di peculato e non di furto aggravato il cassiere dell’ufficio postale che, mediante l’utilizzo indebito dei codici di accesso al servizio on-line, si appropri del denaro versato sul libretto di deposito. (In motivazione la Corte ha precisato che la proprietà delle somme depositate dal titolare del libretto spetta all’istituto di credito, ai sensi dell’art.1834 cod. civ., mentre il depositante ha solo il diritto alla restituzione). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 52662 del 22 novembre 2018 (Cass. pen. n. 49990/2018)

Integra il reato di peculato e non quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato la condotta del consigliere regionale che utilizza, per finalità estranee all’esercizio del mandato, fondi pubblici assegnati al proprio gruppo consiliare, dal momento che il predetto, avendo la giuridica disponibilità di tali fondi, senza necessità di compiere alcuna attività per conseguirla, se ne appropria illecitamente con il mero ordine di spesa. (Fattispecie relativa all’erogazione di contributi ai gruppi consiliari della Regione Lombardia sulla base della legge regionale n. 17 del 7 maggio 1992, che prevede la presentazione, da parte dei consiglieri, di documentazione giustificativa della spesa già sostenuta e riserva ai presidenti dei gruppi consiliari la sola rendicontazione annuale). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 49990 del 5 novembre 2018 (Cass. pen. n. 49990/2018)

Il dipendente in servizio presso un ufficio postale che svolge attività di tipo bancario/finanziario (cosiddetto “bancoposta”) non riveste la qualità di persona incaricata di pubblico servizio, in quanto le relative attività sono chiaramente distinte dai servizi postali, sia perché disciplinate da differenti e specifiche normative di settore, sia perché separate dal punto di vista organizzativo e contabile, sicchè l’appropriazione di somme di denaro dei clienti commessa con abuso del ruolo integra il reato di appropriazione indebita e non quello di peculato. (La Corte ha espresso il suddetto principio in relazione all’appropriazione di somme pagate tramite bollettino postale alla società Postel s.p.a., come rata di un finanziamento). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 42657 del 27 settembre 2018 (Cass. pen. n. 42657/2018)

Integra il reato di cui all’art. 314 cod. pen. la condotta del pubblico agente che consenta a terzi l’utilizzo di un bene pubblico per finalità personali qualora ciò determini una lesione dell’interesse al buon andamento della P.A., anche se la condotta non ha determinato alcun danno patrimoniale per l’ente. (Fattispecie relativa alla consegna a terzi di un lameggiante blu in uso alle autovetture dell’autorità giudiziaria, in tal modo consentendo ad un soggetto non autorizzato l’impiego di un dispositivo finalizzato ad identificare i mezzi impiegati in pubblici servizi) . Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 34940 del 23 luglio 2018 (Cass. pen. n. 34940/2018)

In tema di peculato, rientrano nella categoria dei beni mobili suscettibili di appropriazione da parte del pubblico agente anche i beni immateriali, a condizione che gli stessi abbiano un diretto ed intrinseco valore economicamente apprezzabile. (Fattispecie relativa ad una banca dati informatica contenente l’anagrafe dei contribuenti di un Comune, predisposta dal concessionario del servizio di riscossione, che, in base alla previsione contrattuale, doveva essere restituità all’ente dopo la risoluzione del rapporto). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 33031 del 17 luglio 2018 (Cass. pen. n. 33031/2018)

La natura plurioffensiva del reato di peculato implica che l’eventuale mancanza di danno patrimoniale conseguente all’appropriazione non esclude la sussistenza del reato, atteso che rimane pur sempre leso dalla condotta dell’agente l’altro interesse protetto dalla norma, diverso da quello patrimoniale, cioè quello del buon andamento della pubblica amministrazione. (In applicazione di tale principio di diritto, la Corte ha ritenuto infondato il motivo con cui il ricorrente, condannato per il reato di cui all’art. 314 cod. pen. per essersi appropriato, quale amministratore di sostegno, del denaro destinato all’acquisto di una cappella cimiteriale per conto dell’amministrato, aveva dedotto l’assenza di qualunque danno conseguente alla propria condotta avendo lo stesso successivamente provveduto ad effettuare il pagamento dell’importo dovuto). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 29262 del 26 giugno 2018 (Cass. pen. n. 29262/2018)

Non configura il delitto di peculato l’appropriazione, da parte del titolare ed amministratore di fatto di una Onlus, degli utili percepiti poiché non esercitando un servizio pubblico, i suoi responsabili non possono essere considerati incaricati di un pubblico servizio; né ai pagamenti ricevuti dall’ente pubblico può essere riconosciuta natura pubblicistica, in quanto tali esborsi, privi di qualsivoglia vincolo pubblicistico, costituiscono mero corrispettivo dei servizi resi dalla Onlus. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 27202 del 13 giugno 2018 (Cass. pen. n. 27202/2018)

Integra il reato di peculato la condotta distrattiva del denaro o di altri beni che realizzi la sottrazione degli stessi alla destinazione pubblica e l’utilizzo per il soddisfacimento di interessi privatistici dell’agente, mentre è configurabile l’abuso d’ufficio quanto si sia in presenza di una distrazione a profitto proprio che, tuttavia, si concretizzi in un uso indebito del bene che non ne comporti la perdita e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell’ente cui appartiene. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente il reato di peculato a fronte della condotta del direttore generale di una società, incaricata dello svolgimento di un pubblico servizio, che aveva utilizzato denaro dell’ente per lo svolgimento di attività di ricerca i cui proventi – brevetti e prototipo di un macchinario industriale – erano rimasti nell’esclusiva titolarità dell’agente e di altri privati, anziché dell’ente che aveva finanziato la ricerca).

Integra il delitto di peculato e non quello di truffa aggravata la condotta del direttore generale di una società per azioni, incaricata dello svolgimento di un pubblico servizio, che si appropri di fondi dei quali poteva disporre in ragione del potere di spesa attribuitogli in funzione della carica societaria ricoperta. (In motivazione, la Corte ha precisato che il reato di truffa aggravata è configurabile nella diversa ipotesi in cui il pubblico agente, non avendo il possesso del bene di cui intende appropriarsi, se la procuri fraudolentemente facendo ricorso ad artifici o raggiri). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 19484 del 4 maggio 2018 (Cass. pen. n. 19484/2018)

Integra l’appropriazione necessaria a configurare il delitto di peculato la vendita di un bene a un prezzo irrisorio, e non semplicemente di favore, del tutto sproporzionato al suo valore, compiuta nel contesto di procedure funzionali a gestioni liquidatorie di interesse pubblico. (Fattispecie relativa alla cessione di azioni di società pubbliche in liquidazione coatta amministrativa). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 43133 del 20 settembre 2017 (Cass. pen. n. 43133/2017)

Non è configurabile il delitto di peculato nel caso in cui non sia fornita giustificazione in ordine al contributo erogato per l’esercizio delle funzioni di gruppo consiliare regionale, non potendo derivare l’illiceità della spesa da tale mancanza, ma occorrendo comunque piena prova dell’appropriazione e dell’offensività della condotta quanto meno in termini di alterazione del buon andamento della P.A. (Fattispecie relativa al c.d. contributo “unificato” corrisposto ai presidenti dei Gruppi dell’Assemblea Regionale Siciliana precedentemente all’entrata in vigore della l. n. 213 del 2012). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 35683 del 19 luglio 2017 (Cass. pen. n. 35683/2017)

Costituisce peculato ordinario e non peculato d’uso l’utilizzo continuativo e sistematico di un bene mobile della pubblica amministrazione, effettuato con criteri personalistici ed al di fuori di ogni controllo, tanto che non sia più possibile stabilire se ed in quale misura il bene rimanga ancora destinato a finalità pubblicistiche. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 53974 del 20 dicembre 2016 (Cass. pen. n. 53974/2016)

L’amministratore di sostegno riveste la qualifica di pubblico ufficiale e perciò integra il delitto di peculato la condotta con cui si appropria delle somme di denaro giacenti sui conti correnti intestati alle persone sottoposte all’amministrazione. (In motivazione la Corte ha precisato che il reato di peculato non è ravvisabile a seguito del mero mancato rispetto delle procedure previste per l’effettuazione delle spese nell’interesse dell’amministrato, ma solo in presenza di una condotta appropriativa o, comunque, che si risolva nell’uso dei fondi o dei beni per finalità estranee all’amministrato). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 29617 del 13 luglio 2016 (Cass. pen. n. 29617/2016)

Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, omette poi di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene, a condizione che la disponibilità del denaro sia legata all’esercizio dei poteri e dei doveri funzionali del medesimo, e non in ragione di un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo “intuitu personae”, ovvero scaturito da una situazione “contra legem”, priva di relazione legittima con l’oggetto materiale della condotta. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata ritenendo che, pur essendo stata accertata l’illecita percezione di denaro e lo svolgimento dell’attività al di fuori delle regole prescritte per l’attività professionale “intra moenia”, non fosse stato chiarito se l’imputato avesse un titolo di legittimazione in base al quale, operando all’interno di un ospedale pubblico, aveva riscosso le somme di denaro dai pazienti). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 35988 del 4 settembre 2015 (Cass. pen. n. 35988/2015)

In tema di peculato, il possesso qualificato dalla ragione dell’ufficio o del servizio non è solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva qualificato in termini di peculato la condotta di appropriazione del danaro contenuto in un portafogli smarrito dal titolare, posta in essere dal carabiniere che aveva ricevuto in consegna il portafogli dall’autore del rinvenimento). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9660 del 5 marzo 2015 (Cass. pen. n. 9660/2015)

Integra la fattispecie incriminatrice del peculato, e non quelle di truffa o di abuso d’ufficio, la condotta dell’ufficiale giudiziario che, nel corso di una procedura di pignoramento, versa su conti correnti bancari a sé intestati le somme di denaro portate da assegni bancari sottoscritti dai debitori esecutati, e solo successivamente tramuta le stesse in assegni circolari versati in favore dei creditori pignoranti. (Fattispecie in cui la S.C. ha escluso la configurabilità dei reati di abuso d’ufficio e di truffa aggravata, poiché la violazione dei doveri d’ufficio, determinata dalla mancata redazione del verbale di pignoramento, aveva costituito esclusivamente la modalità della condotta di appropriazione, mentre il comportamento fraudolento era stato finalizzato unicamente all’occultamento dell’illecita appropriazione). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4959 del 3 febbraio 2015 (Cass. pen. n. 4959/2015)

Integra il delitto di peculato la condotta del pubblico ufficiale che omette o ritarda di versare ciò che ha ricevuto per conto della P.A., in quanto tale comportamento costituisce un inadempimento non ad un proprio debito pecuniario, ma all’obbligo di consegnare il denaro al suo legittimo proprietario, con la conseguenza che, sottraendo la “res” alla disponibilità dell’ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile, egli realizza una inversione del titolo del possesso “uti dominus”. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva ravvisato il delitto di peculato nella condotta di un ufficiale di anagrafe il quale si era appropriato del denaro consegnatogli dai privati a titolo di diritti di segreteria sulle carte di identità da lui rilasciate). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 53125 del 19 dicembre 2014 (Cass. pen. n. 53125/2014)

Ai fini della distinzione tra peculato e truffa non rileva il rapporto cronologico tra l’appropriazione e la condotta ingannatoria ma il modo in cui il funzionario infedele viene in possesso del danaro o del bene del quale si appropria: per cui sussiste il delitto di peculato quando l’agente fa proprio il bene altrui del quale abbia già il possesso per ragione del suo ufficio o servizio e ricorre all’artificio o al raggiro (eventualmente consistente nella produzione di falsi documentali) per occultare la commissione dell’illecito; mentre vi è truffa, quando il pubblico agente, non avendo tale possesso, se lo procura mediante la condotta decettiva. (In applicazione del principio, la Corte ha confermato la qualificazione come truffa del comportamento di un incaricato di pubblico servizio che aveva concorso all’accaparramento indebito di finanziamenti regionali per attività di formazione professionale, conseguiti per effetto dell’artificiosa rappresentazione dei costi sopportati per l’organizzazione dei corsi). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10309 del 4 marzo 2014 (Cass. pen. n. 10309/2014)

L’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata dall’abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione va individuato con riferimento alle modalità di acquisizione del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene. (Nella specie, la Corte ha ritenuto integrato il delitto di truffa aggravata nei confronti del responsabile di un’associazione incaricata dell’organizzazione di corsi di formazione professionale, che aveva ottenuto fondi pubblici in misura maggiorata sulla base della prospettazione di spese in realtà “gonfiate”, anche se la relativa documentazione era stata prodotta solo all’atto della liquidazione dell’ultima rata del contributo). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5087 del 31 gennaio 2014 (Cass. pen. n. 5087/2014)

Non sussiste il delitto di peculato in assenza di intrinseco rilievo economico dell’oggetto dell’appropriazione e di concreta incidenza di quest’ultima sulla funzionalità dell’ufficio o del servizio. (Fattispecie relativa all’appropriazione di un pass per disabili, rilasciato a persona poi deceduta ed utilizzato da un vigile urbano). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 42836 del 18 ottobre 2013 (Cass. pen. n. 42836/2013)

L’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell’art. 61 n. 9, c.p., và individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene. (Nella specie la Corte ha ritenuto integrato il delitto di truffa aggravata nei confronti di un’impiegata di un ufficio postale che aveva conseguito il possesso di polizze vita, cedole, libretti di risparmi ed altri titoli facendosi rilasciare deleghe e firmare ricevute dagli utenti). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 41599 del 8 ottobre 2013 (Cass. pen. n. 41599/2013)

Integra il delitto di peculato e non quello di truffa aggravata la condotta del responsabile del servizio di economato di un ente pubblico (nella specie, un comune) che predisponga e sottoscriva mandati di pagamento intestati a se stesso con causali prive di qualsiasi riscontro per poi riscuoterli personalmente presso la banca che svolgeva il servizio di tesoreria. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 41093 del 4 ottobre 2013 (Cass. pen. n. 41093/2013)

L’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell’art. 61 n.9, c.p., va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o d’altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene. (Nella specie, la Corte ha ritenuto integrato il delitto di peculato nei confronti di dirigenti di una ASL che avevano autorizzato pagamenti per prestazioni inesistenti fatturate da una società, sulla base di un preventivo accordo illecito). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 39010 del 20 settembre 2013 (Cass. pen. n. 39010/2013)

Commette il delitto di peculato il portalettere che, avendo la disponibilità per ragioni del suo servizio di pacchi contro assegni, si appropri dei relativi bollettini di spedizione e dei rispettivi importi, spettanti ai legittimi creditori. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 35512 del 26 agosto 2013 (Cass. pen. n. 35512/2013)

Integra il delitto di peculato d’uso la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che utilizza per fini personali la connessione internet sul computer dell’ufficio in suo possesso. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 34524 del 8 agosto 2013 (Cass. pen. n. 34524/2013)

In tema di peculato, il possesso qualificato dalla ragione dell’ufficio o del servizio non è solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su prassi e consuetudini invalse in un ufficio determinato, che consentono al soggetto di avere di fatto la disponibilità della cosa mobile della P.A. (Nella specie, la Corte ha ritenuto sussistente il peculato per l’appropriazione di merce sequestrata contenuta in una stanza della questura da parte di un poliziotto, che aveva la possibilità di utilizzare e disporre della stanza medesima). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 34489 del 8 agosto 2013 (Cass. pen. n. 34489/2013)

I titolari di tabaccheria delegati alla riscossione delle tasse automobilistiche vanno considerati incaricati di pubblico servizio poiché essi, per le incombenze loro affidate, subentrano nella posizione della p.a. e svolgono mansioni che ineriscono al corretto e puntuale svolgimento della riscossione medesima. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il delitto di peculato nei confronti del tabaccaio che si era appropriato dei soldi riscossi). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 28974 del 8 luglio 2013 (Cass. pen. n. 28974/2013)

Commette il delitto di peculato il mandatario dell’Automobile Club Italiano che si appropria delle somme riscosse per le tasse automobilistiche. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 28424 del 1 luglio 2013 (Cass. pen. n. 28424/2013)

In tema di peculato, la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che utilizzi il telefono d’ufficio per fini personali al di fuori dei casi d’urgenza o di specifiche e legittime autorizzazioni, integra il reato di peculato d’uso se produce un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. o di terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell’ufficio, mentre deve ritenersi penalmente irrilevante se non presenta conseguenze economicamente e funzionalmente significative.

In tema di peculato, nessuna efficacia esimente può attribuirsi alla causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto, quando i beni che costituiscono oggetto della condotta delittuosa appartengono alla pubblica amministrazione. (Fattispecie relativa all’utilizzo di utenze cellulari per fini personali).

La condotta del pubblico agente che, utilizzando illegittimamente per fini personali il telefono assegnatogli per ragioni di ufficio, produce un apprezzabile danno al patrimonio della pubblica amministrazione o di terzi o una concreta lesione alla funzionalità dell’ufficio, è sussumibile nel delitto di peculato d’uso di cui all’art. 314 c.p., comma 2. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 19054 del 2 maggio 2013 (Cass. pen. n. 19054/2013)

L’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di frode informatica aggravata ai danni dello Stato va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o d’altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione: in particolare, è configurabile il peculato quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio si appropri delle predette “res” avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragioni dell’ufficio o servizio; è configurabile la frode informatica quando il soggetto attivo si procuri il possesso delle predette “res” fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno. (In applicazione del principio, la S.C. ha ravvisato gli estremi della frode informatica pluriaggravata – ai danni dello Stato, nonché ex art. 61, comma primo, n. 9, c.p. – nella condotta del gestore di una sala giochi che, in concorso con altri soggetti, aventi qualifica di incaricati di pubblico servizio, si era appropriato della quota spettante a titolo di prelievo erariale all’Erario sul costo di ogni partita effettuata dagli utenti sulle “slot machines”). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 18909 del 30 aprile 2013 (Cass. pen. n. 18909/2013)

Integra il delitto di peculato, e non quello di abuso di ufficio, la condotta del pubblico ufficiale che, comportandosi “uti dominus” rispetto alla cosa di cui abbia il possesso per ragioni di ufficio, la ceda, anche provvisoriamente, a terzi estranei all’amministrazione, perché ne facciano un uso al di fuori di ogni controllo della pubblica amministrazione. (Nella specie, la Corte ha ritenuto integrato il delitto di peculato in un’ipotesi in cui un vigile urbano aveva ceduto in più occasioni, fuori dai suoi orari di servizio, la radiotrasmittente, utilizzabile per le comunicazioni con la centrale operativa, al titolare di un’impresa di soccorso stradale, per consentirgli di conoscere gli incidenti che avvenivano nel territorio, di recarsi tempestivamente sui luoghi e di lucrare sul recupero dei mezzi coinvolti). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 16381 del 10 aprile 2013 (Cass. pen. n. 16381/2013)

In tema di peculato, il possesso qualificato dalla ragione dell’ufficio o del servizio non è solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento. (Nella specie la Corte ha precisato che la disponibilità può essere conseguita anche da un esercizio di fatto o arbitrario delle funzioni). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12368 del 15 marzo 2013 (Cass. pen. n. 12368/2013)

In tema di peculato, la nozione di possesso di danaro deve intendersi come comprensiva non solo della detenzione materiale della cosa, ma anche della sua disponibilità giuridica, nel senso che il soggetto agente deve essere in grado, mediante un atto dispositivo di sua competenza o connesso a prassi e consuetudini invalse nell’ufficio, di inserirsi nel maneggio o nella disponibilità del danaro e di conseguire quanto poi costituisca oggetto di appropriazione. Ne consegue che l’inversione del titolo del possesso da parte del pubblico ufficiale che si comporti “uti dominus” nei confronti di danaro del quale ha il possesso in ragione del suo ufficio e la sua conseguente appropriazione possono realizzarsi anche nelle forme della disposizione giuridica, del tutto autonoma e libera da vincoli, del danaro stesso, indisponibile in ragione di norme giuridiche o di atti amministrativi. (Fattispecie nella quale le mogli del Sindaco, dell’assessore al turismo e di un consigliere comunale avevano beneficiato “pro quota”, senza alcun titolo istituzionale, delle somme stanziate dal Comune per provvedere al vitto ed all’alloggio in favore dei componenti della delegazione comunale invitata a partecipare ad un progetto di gemellaggio con un comune francese). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7492 del 15 febbraio 2013 (Cass. pen. n. 7492/2013)

Il peculato d’uso costituisce una figura autonoma di reato e non una mera circostanza attenuante del peculato previsto dal primo comma dello stesso articolo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 46244 del 27 novembre 2012 (Cass. pen. n. 46244/2012)

Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, ometta poi di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene. (In motivazione, la Corte ha precisato che la qualifica di pubblico ufficiale spetta a qualunque pubblico dipendente che la prassi e la consuetudine mettano in condizione di detenere denaro di pertinenza dell’amministrazione). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 25255 del 26 giugno 2012 (Cass. pen. n. 25255/2012)

Integra il delitto di peculato la condotta del pubblico ufficiale che, dopo aver riscosso danaro per conto di un ente pubblico ed averlo versato su dei libretti bancari, se ne appropri temporaneamente, prelevando delle somme dai suddetti libretti e provvedendo in seguito a ripristinare la provvista, atteso che tale danaro, attraverso la consegna al suo rappresentante, entra immediatamente a far parte del patrimonio della P.A. e non già di quello del funzionario che lo ha riscosso, il quale pertanto non ne acquista in nessun modo la proprietà con contestuale insorgenza di un debito pecuniario nei confronti del predetto ente pubblico. (Fattispecie in tema di riscossione per la vendita di grattini a titolo di canone del servizio comunale di parcheggio a pagamento). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 18161 del 14 maggio 2012 (Cass. pen. n. 18161/2012)

Non è configurabile il reato di peculato nell’uso episodico ed occasionale di un’autovettura di servizio, quando la condotta abusiva non abbia leso la funzionalità della P.A. e non abbia causato un danno patrimoniale apprezzabile. (Fattispecie relativa ad un episodio di spostamento dell’autovettura dalla periferia al centro della città al fine di compiere una visita privata, percorrendo un tragitto comunque necessario prima di riconsegnare il veicolo all’amministrazione). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5006 del 9 febbraio 2012 (Cass. pen. n. 5006/2012)

Risponde del delitto di peculato l’amministratore di beni confiscati in sede di prevenzione il quale stipuli a proprio favore polizza assicurative a nome delle società destinatarie del provvedimento di confisca, e con frequenza periodica prelevi, versandole sul proprio conto corrente, somme ad asserito titolo di acconto sul suo compenso professionale, senza munirsi della preventiva e necessaria autorizzazione dell’Agenzia del Demanio. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 33472 del 9 settembre 2011 (Cass. pen. n. 33472/2011)

Esula la configurabilità del peculato militare, previsto dall’art. 215 c.p.m.p., sussistendo invece quella del c.d.” peculato d’uso”, prevista dall’art. 314, comma secondo, c.p., (priva di corrispondenza nel citato art. 215 c.p.m.p.), nel caso di condotta consistente nell’avere l’imputato, avvalendosi del proprio grado militare, disposto l’impiego di mezzi dell’amministrazione militare (nella specie, un aereo ed alcuni veicoli terrestri) per finalità estranee al servizio, nulla rilevando che tale impiego abbia avuto una certa durata nel tempo, dovendosi al riguardo ritenere che l’espressione ” uso momentaneo” contenuta nel citato art. 314, comma secondo, c.p. non vada intesa come “uso istantaneo” ma piuttosto come “uso temporaneo” e tale, quindi, da esaurirsi in un tempo comunque limitato, trascorso il quale il bene torna alla sua naturale destinazione. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 30280 del 29 luglio 2011 (Cass. pen. n. 30280/2011)

Commette il delitto di peculato il portalettere che si impossessi di un vaglia postale di cui abbia la disponibilità per ragioni del suo servizio, riscuotendone successivamente l’importo, atteso che lo stesso assume nel caso di specie la qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio in ragione dei compiti di certificazione della consegna e della ricezione della specifica tipologia di corrispondenza in oggetto. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 27981 del 15 luglio 2011 (Cass. pen. n. 27981/2011)

Integra il delitto di peculato d’uso, e non quello di sottrazione di cose sottoposte a sequestro di cui all’art. 334 c.p., la condotta di momentaneo impossessamento posta in essere, attraverso l’abusiva circolazione di un’autovettura sottoposta a sequestro amministrativo, da parte del custode che non ne sia proprietario, o che non agisca in suo concorso o nel suo interesse. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 26812 del 8 luglio 2011 (Cass. pen. n. 26812/2011)

Integra il delitto di peculato la guardia giurata di un aeroporto che, avendone la disponibilità per ragioni di servizio, si appropri degli oggetti volontariamente lasciati dai passeggeri ai filtri di sicurezza predisposti per i controlli delle partenze aeroportuali. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 25695 del 28 giugno 2011 (Cass. pen. n. 25695/2011)

Integra il delitto di peculato, e non quello di appropriazione indebita. la condotta del titolare di una tabaccheria che si appropri di una somma di denaro della quale abbia il possesso perché autorizzato alla riscossione delle tasse automobilistiche regionali. Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 17109 del 3 maggio 2011 (Cass. pen. n. 17109/2011)

Non è configurabile il reato di peculato nell’uso episodico ed occasionale di un’autovettura di servizio, quando la condotta abusiva non abbia leso la funzionalità della P.A. e non abbia causato un danno patrimoniale apprezzabile, in relazione all’utilizzo del carburante e dell’energia lavorativa degli autisti addetti alla guida. (Fattispecie relativa a nove episodi di indebito utilizzo di autovetture di servizio da parte di assessori comunali). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7177 del 24 febbraio 2011 (Cass. pen. n. 7177/2011)

L’appropriazione degli interessi maturati sulle somme di cui il pubblico ufficiale si sia appropriato non integra un autonomo fatto di peculato, posto che il reato si perfeziona con l’appropriazione del bene e non rilevando dunque, se non ai fini della valutazione del disvalore del fatto e della quantificazione del danno, i frutti prodotti “medio tempore” dallo stesso. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 670 del 13 gennaio 2011 (Cass. pen. n. 670/2011)

Non integra né il delitto di peculato, né quello di abuso d’atti d’ufficio la condotta del pubblico funzionario che utilizzi per ragioni personali l’accesso ad internet del computer d’ufficio qualora per il suo esercizio la P.A. abbia contratto un abbonamento a costo fisso. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 41709 del 25 novembre 2010 (Cass. pen. n. 41709/2010)

Integra il delitto di peculato l’esattore di una società privata incaricata dal Comune per il recupero dei crediti relativi al mancato pagamento delle sanzioni per le infrazioni del codice della strada, il quale si appropri delle somme riscosse, atteso che egli nell’espletamento di tale funzione è un pubblico ufficiale. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 41307 del 22 novembre 2010 (Cass. pen. n. 41307/2010)

Integra il delitto di peculato la condotta del presentatore delegato dal notaio per l’incasso o il protesto di titoli cambiari insoluti alla scadenza, che si appropri delle somme di denaro corrispostegli dai debitori in ritardato pagamento degli effetti cartolari, omettendo di provvedere al versamento dei relativi importi nei conti bancari intestati al notaio. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 39584 del 10 novembre 2010 (Cass. pen. n. 39584/2010)

Ai fini della configurabilità del reato di peculato, il possesso della cosa oggetto di appropriazione non può ritenersi determinato da ragioni di ufficio o servizio qualora sia stato conseguito per un evento fortuito ovvero per il fatto del terzo che abbia consegnato il bene al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio, ma non in ragione delle mansioni svolte dai medesimi. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 39363 del 9 novembre 2010 (Cass. pen. n. 39363/2010)

Integra il delitto di peculato la condotta del curatore che si appropri dei beni di una società fallita, dei quali abbia il possesso in ragione del suo incarico, isolandoli dal patrimonio fallimentare e spostandoli dal luogo in cui sono custoditi al fine di poterli utilizzare “uti dominus” all’interno del proprio studio professionale. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 37750 del 22 ottobre 2010 (Cass. pen. n. 37750/2010)

Non integra il delitto di peculato la condotta del pubblico ufficiale che utilizzi arbitrariamente a proprio beneficio l’attività lavorativa prestata dal suo sottoposto, atteso che l’energia umana, non essendo cosa mobile, non è suscettibile di appropriazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 35150 del 29 settembre 2010 (Cass. pen. n. 35150/2010)

Integra il delitto di peculato il curatore dell’eredità giacente che si appropri di un bene ereditario, anche qualora sia stato nominato all’esito di una procedura attivata in assenza dei presupposti di legge. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 34335 del 23 settembre 2010 (Cass. pen. n. 34335/2010)

In tema di peculato, le somme afferenti i pagamenti dei protesti costituiscono sin da subito “pecunia publica” all’atto della corresponsione al pubblico ufficiale competente. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 32384 del 30 agosto 2010 (Cass. pen. n. 32384/2010)

È pubblico ufficiale il coadiutore dell’esattore concessionario del servizio di tesoreria di un ente territoriale, ancorchè non formalmente investito della pubblica funzione ed in quanto funzionario di fatto, e risponde pertanto del reato di peculato per l’indebita appropriazione delle somme ricevute nello svolgimento della sua attività. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 28125 del 19 luglio 2010 (Cass. pen. n. 28125/2010)

Integra il delitto di peculato la condotta dell’ufficiale di polizia giudiziaria che, subito dopo aver rinvenuto della sostanza stupefacente e senza provvedere alla redazione di formale verbale di sequestro, proceda alla sua distruzione mediante dispersione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12611 del 31 marzo 2010 (Cass. pen. n. 12611/2010)

Integra il delitto di peculato, e non quello di truffa aggravata dall’abuso di poteri inerenti una pubblica funzione, la condotta del responsabile dell’ufficio tributi di un comune che, dopo aver indotto dei commercianti ambulanti a versare a sue mani le somme effettivamente dovute a titolo di tassa di occupazione del suolo pubblico, le trattenga in misura integrale o parziale senza annotare i pagamenti sull’apposito registro, rilasciando ai contribuenti ricevute intestate all’ufficio di appartenenza redatte su stampati sottratti dal medesimo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4668 del 3 febbraio 2010 (Cass. pen. n. 4668/2010)

Non integra il delitto di peculato, non essendo ravvisabile alcuna condotta appropriativa nel suo comportamento, il comandante dei vigili urbani che provveda, mediante formali provvedimenti e al fine di ripristinare la ritenuta regolarità della gestione contabile, alla restituzione delle somme versate da alcuni contravventori al codice della strada presso la tesoreria comunale anziché all’ufficio deputato ad incassarle. (Fattispecie in cui le somme delle sanzioni relative alle violazioni del codice della strada avrebbero dovuto essere versate su di un conto corrente intestato ad un Consorzio tra più comuni istituito per la gestione unitaria del servizio di polizia locale). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1938 del 15 gennaio 2010 (Cass. pen. n. 1938/2010)

Il peculato si consuma nel momento in cui ha luogo l’appropriazione della “res” o del danaro da parte dell’agente, la quale, anche quando non arreca, per qualsiasi motivo, danno patrimoniale alla P.A., è comunque lesiva dell’ulteriore interesse tutelato dall’art. 314 c.p. che si identifica nella legalità, imparzialità e buon andamento del suo operato. (Fattispecie nella quale il ricorrente, concessionario di un pubblico servizio, aveva sostenuto di aver trattenuto le somme incassate per conto dell’ente, per soddisfare un proprio diritto di credito, vantato nei confronti di quest’ultimo, ricorrendo a una sorta di autoliquidazione). Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 38691 del 6 ottobre 2009 (Cass. pen. n. 38691/2009)

Integra il delitto di peculato l’uso, sia pure temporalmente limitato, di un’autovettura di servizio per fini personali estranei agli interessi dell’amministrazione. (Fattispecie relativa all’utilizzo dell’autovettura di un comune, in giorno prefestivo, da parte di un consigliere comunale che ne aveva la disponibilità per ragioni d’ufficio). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 25541 del 18 giugno 2009 (Cass. pen. n. 25541/2009)

Integra il delitto di abuso d’ufficio l’utilizzo di autovetture e personale di servizio per scopi estranei ai compiti d’istituto, non rilevando a tal fine le disfunzioni o l’entità del danno cagionato alla P.A., ma solo l’ingiusto vantaggio patrimoniale procurato dall’agente a sé stesso o a terzi. (Fattispecie relativa alla modifica dell’originaria imputazione di peculato nel delitto di abuso d’ufficio continuato, in cui un prefetto ha disposto e consentito diversi accompagnamenti della moglie per viaggi effettuati con autovetture di servizio). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 25537 del 18 giugno 2009 (Cass. pen. n. 25537/2009)

Integra il delitto di peculato l’utilizzazione di denaro pubblico accreditato su un capitolo di bilancio intestato a “spese riservate”, quando non si dia una giustificazione certa e puntuale del suo impiego per finalità strettamente corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze istituzionali del soggetto che ne dispone, tenuto conto delle norme generali della contabilità pubblica, ovvero di quelle specificamente previste dalla legge. (Nella fattispecie, relativa a prelievi effettuati dai presidenti di una regione su fondi riservati accreditati in un capitolo del bilancio regionale, la S.C. ha qualificato il fatto come peculato e non come abuso d’ufficio, precisando che quest’ultimo è configurabile nel solo in caso in cui la spesa avvenga per finalità diverse da quelle specificamente previste, ma riconducibili comunque alle attribuzioni proprie del ruolo istituzionale svolto). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 23066 del 4 giugno 2009 (Cass. pen. n. 23066/2009)

Integra il delitto di peculato la condotta del cancelliere di un ufficio giudiziario, preposto al servizio del campione penale, che si appropri di titoli bancari versati da imputati condannati al pagamento di spese di giustizia o pene pecuniarie ed intestati all’ufficio giudiziario stesso, anziché come prescritto all’ufficio del registro, in quanto, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 314 c.p., il possesso qualificato dalla ragione di ufficio o di servizio non è solo quello che rientri nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale, bensì anche quello derivante da prassi e consuetudini invalse nell’ufficio che consentano al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità materiale del bene, trovando nelle proprie pubbliche funzioni l’occasione per un tale comportamento. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 20952 del 19 maggio 2009 (Cass. pen. n. 20952/2009)

Integra il delitto di peculato la condotta del coadiutore del curatore del fallimento che si appropria di beni della società dichiarata fallita, dei quali abbia il possesso in ragione del suo incarico. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 13107 del 25 marzo 2009 (Cass. pen. n. 13107/2009)

Nel caso di riscossione di denaro per conto della P.A., il delitto di peculato, che è reato istantaneo, si consuma nel momento stesso in cui il pubblico funzionario non versa le somme nelle casse dell’ente pubblico entro il giorno stesso della loro riscossione, come previsto dall’art. 227 del Regolamento generale della contabilità di Stato. (Fattispecie in tema di riscossione di tributi comunali). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12141 del 19 marzo 2009 (Cass. pen. n. 12141/2009)

Integra il delitto di abuso d’ufficio la condotta del pubblico dipendente di indebito uso del bene che non comporti la perdita dello stesso e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell’avente diritto. (Nella fattispecie, la Corte ha escluso la configurabilità del peculato, posto che il delitto era stato consumato da un pubblico dipendente che, a fini privati, usava il collegamento a forfait della P.A. a Internet cosiddetta tariffa flat, senza causare all’amministrazione un maggior costo e dunque senza che potesse configurarsi una condotta appropriativa ). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 31688 del 29 luglio 2008 (Cass. pen. n. 31688/2008)

Integra la fattispecie incriminatrice del peculato continuato, e non quelle di truffa o di abuso d’ufficio, la condotta dell’ufficiale giudiziario che nel corso di una procedura di pignoramento versa su conti correnti bancari intestati a s, medesimo, ovvero cointestati anche al proprio coniuge, le somme di denaro portate da assegni bancari sottoscritti dai debitori esecutati e, successivamente, tramuta le relative somme in assegni circolari versati in favore dei legittimi destinatari (Ufficio del registro, creditori, ecc.). (Nel caso di specie, la S.C. ha escluso la configurabilità dei reati di abuso d’ufficio e di truffa aggravata, poichè la violazione dei doveri d’ufficio ha costituito esclusivamente la modalità della condotta di appropriazione e la disponibilità delle somme portate dai titoli ne ha preceduto la temporanea appropriazione dei relativi importi). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12306 del 19 marzo 2008 (Cass. pen. n. 12306/2008)

Integra il reato di peculato, nel caso di specie militare, la condotta di appropriazione di denaro e beni mobili, il cui possesso non rientri nella specifica competenza funzionale del soggetto agente, che di questi abbia la mera detenzione in via di fatto. (Fattispecie in cui il soggetto agente, pur senza avere la qualità di gestore della mensa di servizio di una caserma dei Carabinieri che sarebbe spettata per disposizione regolamentare ad un’apposita commissione invero mai istituita, aveva di fatto gestito la predetta mensa ponendo in essere varie condotte di appropriazione di denaro e di beni mobili). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 9179 del 29 febbraio 2008 (Cass. pen. n. 9179/2008)

In tema di peculato, riveste la qualifica di pubblico ufficiale l’addetto al Magazzino Centrale della Rete Ferroviaria Italiana che gestisca la presa in carico, la vendita e la consegna del materiale « fuori uso». Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8933 del 28 febbraio 2008 (Cass. pen. n. 8933/2008)

L’esecuzione, in regime di attività libero-professionale, sia intramuraria che esterna, resta assorbita nell’alveo del servizio sanitario pubblico, con la conseguente configurabilità nei suoi confronti del reato di peculato. (Nel caso di specie, la Corte ha peraltro escluso la sussistenza del reato in relazione all’appropriazione da parte di un medico ospedaliero, autorizzato all’attività libero-professionale esterna, di aghi in dotazione della struttura pubblica, rientrando tale materiale nella ritenuta per «spese generali» praticatagli sugli emolumenti per le singole prestazioni). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 40182 del 30 ottobre 2007 (Cass. pen. n. 40182/2007)

È configurabile il reato di peculato nei confronti dell’impiegato di sportello di un istituto di credito che si appropri di una somma di danaro, ricevuta per conto dell’amministrazione finanziaria a titolo di pagamento di imposte. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 39397 del 24 ottobre 2007 (Cass. pen. n. 39397/2007)

Integra il delitto di peculato la condotta del gestore di fatto di una delegazione dell’ACI che, avendo effettivamente svolto la funzione pubblica di riscossione delle tasse automobilistiche, si sia appropriato di una parte delle somme di denaro di cui aveva la disponibilità per ragioni d’ufficio. (Nel caso di specie, la delegazione dell’ACI risultava formalmente intestata al coniuge dell’imputato, ma era da quest’ultimo realmente gestita). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 31425 del 1 agosto 2007 (Cass. pen. n. 31425/2007)

Integra il reato di peculato il notaio che, essendo stato delegato dal giudice a curare le operazioni di vendita nell’ambito di procedure di esecuzione immobiliare, si appropri delle somme corrisposte dagli aggiudicatari delle vendite, versando i relativi importi su conti correnti personali ed investendoli in operazioni speculative di borsa, senza provvedere agli adempimenti di cui all’art. 591 bis, comma settimo, c.p.c. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 30976 del 30 luglio 2007 (Cass. pen. n. 30976/2007)

Commette il reato di peculato il raccoglitore del gioco del lotto che ometta il versamento all’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato delle somme riscosse per le giocate.

Integra il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p. la condotta del pubblico ufficiale che abbia ad oggetto cose che, pur essendo prive di valore intrinseco, possono acquistare o riacquistare rilevanza economica per la utilizzazione che ne faccia l’agente. (Fattispecie relativa all’appropriazione, da parte di un agente di polizia municipale addetto al servizio di concessioni ed autorizzazioni edilizie di un Comune, delle somme versate quale controvalore di marche da bollo sottratte da precedenti pratiche edilizie e riutilizzate sui moduli di altre istanze presentate dagli utenti). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 30541 del 26 luglio 2007 (Cass. pen. n. 30541/2007)

Integra il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p. la condotta del pubblico ufficiale che abbia ad oggetto cose che, pur essendo prive di valore intrinseco, possono acquistare o riacquistare rilevanza economica per la utilizzazione che ne faccia l’agente. (Fattispecie relativa all’appropriazione, da parte di un agente di polizia municipale addetto al servizio di concessioni ed autorizzazioni edilizie di un Comune, delle somme versate quale controvalore di marche da bollo sottratte da precedenti pratiche edilizie e riutilizzate sui moduli di altre istanze presentate dagli utenti). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 30154 del 24 luglio 2007 (Cass. pen. n. 30154/2007)

Integra il delitto di peculato la condotta del tutore di un interdetto che si appropri di somme di denaro appartenenti a quest’ultimo e ricevute, in ragione dell’ufficio rivestito, quale provento della vendita di un bene immobile ereditato dall’interdetto in comproprietà con altre persone. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 27570 del 12 luglio 2007 (Cass. pen. n. 27570/2007)

Commette il reato di peculato il pubblico ufficiale che, avendo per ragioni del suo ufficio il possesso e la disponibilità delle armi comuni da sparo versate dai privati ai fini di distruzione, se ne appropria. (Nell’affermare tale principio, la Corte ha ritenuto che non ha alcuna rilevanza ai fini della sussistenza del reato la circostanza che l’arma abbia un valore pressoché nullo, essendo sufficiente che la cosa abbia anche un minimo valore o, comunque, una qualche utilità). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 24677 del 21 giugno 2007 (Cass. pen. n. 24677/2007)

Non integra il delitto di peculato la condotta del pubblico ufficiale che, nell’effettuare una missione, ospiti a bordo dell’autovettura di servizio o nella camera d’albergo una persona estranea alla P.A., allorché l’uso della vettura per la missione sia stato autorizzato e il veicolo sia stato utilizzato solo per ragioni di ufficio, ovvero l’uso della camera « doppia ad uso singolo» assegnata non abbia comportato aggravio di spesa per l’Amministrazione. (Nella circostanza, la Corte ha anche escluso la configurabilità, nell’estensione dell’uso della camera di albergo, della truffa in danno dell’Amministrazione, non ricorrendo artifici o raggiri). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 17619 del 8 maggio 2007 (Cass. pen. n. 17619/2007)

In tema di peculato, la nozione di possesso di danaro deve intendersi non solo come comprensiva della detenzione materiale della cosa, ma anche della sua disponibilità giuridica, nel senso che il soggetto agente deve essere in grado, mediante un atto dispositivo di sua competenza o connesso a prassi e consuetudini invalse nell’ufficio, di inserirsi nel maneggio o nella disponibilità del danaro e di conseguire quanto poi oggetto di appropriazione. Ne consegue che l’inversione del titolo del possesso da parte del pubblico ufficiale che si comporti uti dominus nei confronti di danaro del quale ha il possesso in ragione del suo ufficio e la sua conseguente appropriazione possono realizzarsi anche nelle forme della disposizione giuridica, del tutto autonoma e libera da vincoli, del danaro stesso, indisponibile in ragione di norme giuridiche o di atti amministrativi. (Fattispecie relativa a misura cautelare personale disposta nei confronti del segretario di una fondazione che aveva sottoscritto quote di un fondo di investimento utilizzando danaro dell’ente di cui aveva la disponibilità per ragioni di ufficio, peraltro in violazione di una delibera del c.d.a. che vietava espressamente l’assunzione di rischi). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11633 del 20 marzo 2007 (Cass. pen. n. 11633/2007)

Non è configurabile il reato di peculato nell’uso momentaneo di un’autovettura di ufficio, quando la condotta abusiva non abbia leso la funzionalità della P.A. e non abbia arrecato un danno patrimoniale apprezzabile. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto non configurabile il reato di peculato d’uso nell’occasionale utilizzazione per scopi personali da parte di un carabiniere dell’autovettura di ufficio). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10233 del 9 marzo 2007 (Cass. pen. n. 10233/2007)

Integra gli estremi del peculato la appropriazione da parte dell’ufficiale giudiziario (o del messo di conciliazione, incaricato della notificazione di atti) delle somme relative alla tassa del 10% dovuta dai privati, ai sensi dell’art. 154, comma secondo del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, sui diritti di protesto dei titoli di credito e sulle indennità di trasferta, rispetto alle quali il predetto pubblico ufficiale assume la veste di esattore e, quindi, di depositario di pecunia pubblica per conto dell’Erario. (Nell’affermare tale principio, la Corte ha aggiunto che a differenti conclusioni deve invece pervenirsi per l’appropriazione dell’eventuale ulteriore somma pari al 95% dell’ammontare complessivo dei proventi eccedenti un determinato livello di retribuzione — cosiddetto «esubero» —, rispetto alla quale l’ufficiale giudiziario assume la veste di mero contribuente e il cui mancato pagamento si risolve in una evasione fiscale). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 36306 del 2 novembre 2006 (Cass. pen. n. 36306/2006)

L’indebito uso, per scopi personali, dell’utenza telefonica di cui il pubblico ufficiale abbia la disponibilità per ragioni d’ufficio, comportando l’appropriazione, da parte dell’agente, senza possibilità di immediata restituzione, di energie costituite da impulsi elettronici entrati a far parte del patrimonio della P.A., è suscettibile di dar luogo alla configurabilità non del peculato d’uso, ma del peculato ordinario, sempre che possa riconoscersi un apprezzabile valore economico agli impulsi utilizzati per ogni singola telefonata, ovvero anche per l’insieme di più telefonate, quando queste siano talmente ravvicinate nel tempo da poter essere considerate come costituenti un’unica condotta. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 25273 del 20 luglio 2006 (Cass. pen. n. 25273/2006)

Non è configurabile il reato di peculato nell’appropriazione di un modulo utilizzato per il rilascio di un certificato medico ideologicamente falso, posto che di esso è stato fatto un uso non diverso da quello al quale era per sua natura destinato e che la falsità dell’atto non ne rende illegittimo l’uso da parte di chi ne aveva il potere di disporne. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 19270 del 1 giugno 2006 (Cass. pen. n. 19270/2006)

Ai fini della configurabilità del reato di peculato, può considerarsi «spesa di rappresentanza» ovvero spesa con finalità pubblica, soltanto quella destinata a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell’ente pubblico al fine di accrescere il prestigio della immagine dello stesso e darvi lustro nel contesto sociale in cui si colloca. Risponde pertanto di peculato il sindaco che abbia dato ordine di pagare con denaro del Comune il conto di un pranzo organizzato in favore di rappresentanti dell’Arma, dopo che gli stessi avevano proceduto al sequestro di documenti presso gli uffici comunali. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10908 del 28 marzo 2006 (Cass. pen. n. 10908/2006)

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 314, secondo comma, c.p., per «uso momentaneo» della cosa deve intendersi un uso non meramente istantaneo, ma temporaneo e tale, quindi, pur se di carattere episodico ed occasionale, da realizzare una «appropriazione» e da compromettere, in ogni caso, la destinazione istituzionale della cosa arrecando un pregiudizio, sia pure modesto, ma comunque apprezzabile, alla funzionalità della pubblica amministrazione. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che esulasse il reato de quo in un caso in cui esso era stato configurato a carico di un soggetto visto circolare alla guida di un’autovettura di servizio con a bordo persone non legittimate ad avvalersene, senza che fosse stato poi accertato né quali fossero state le ragioni del sospettato uso improprio del veicolo né la effettiva durata e consistenza di tale uso). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9216 del 9 marzo 2005 (Cass. pen. n. 9216/2005)

Il danaro versato dal contribuente in adempimento di una obbligazione tributaria verso lo Stato o altro ente pubblico — alla quale va senza dubbio equiparato, come nel caso di specie, il contributo versato dall’utente di prestazioni sanitarie pubbliche a titolo di partecipazione alla spesa — diviene pecunia pubblica non appena entri in possesso del pubblico ufficiale incaricato dell’esazione, non venendo meno detta natura pubblica neppure in conseguenza dell’obbligazione di quantità cui l’esattore è tenuto verso l’ente impositore. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5453 del 12 febbraio 2005 (Cass. pen. n. 5453/2005)

Non integra il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p. la utilizzazione da parte del pubblico ufficiale, per scopi personali, ancorché non leciti, di beni appartenenti alla P.A. di valore estremamente esiguo. (In applicazione di tale principio, la Corte ha escluso la configurabilità del peculato nella condotta dell’agente della Polizia di Stato che, nell’esplodere senza necessità un colpo dalla pistola di ordinanza, aveva utilizzato una cartuccia in dotazione). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 47193 del 6 dicembre 2004 (Cass. pen. n. 47193/2004)

Il reato di peculato militare mediante profitto dell’errore altrui si può configurare esclusivamente nel caso in cui l’agente profitti dell’errore in cui il soggetto passivo già spontaneamente versi e nel caso in cui l’errore sia stato determinato da tale condotta, ricadendo in questa ipotesi l’appropriazione commessa dal pubblico ufficiale nella più ampia e generica previsione dell’art. 314 c.p., rispetto alla quale quella dell’art. 316 c.p. costituisce ipotesi marginale e residuale. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 42887 del 3 novembre 2004 (Cass. pen. n. 42887/2004)

Integra il delitto di peculato la condotta del soggetto investito di pubbliche funzioni che omette di versare il denaro ricevuto nell’interesse della P.A. per la quale agisce, in quanto il denaro entra nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento stesso della consegna al pubblico ufficiale senza che abbiano rilievo alcuno le modalità di riscossione e la eventuale irritualità dei mezzi di pagamento, anche in contrasto con disposizioni ed assetti organizzativi dell’ufficio, e la circostanza che il pubblico ufficiale sia entrato nel possesso del bene nel rispetto o meno delle competenze che il mansionario interno prevede. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto che fosse configurabile il reato di cui all’art. 314 c.p. nella condotta di una dipendente dell’ufficio I.V.A. che si era appropriata di una somma rilasciata con assegno bancario a lei intestato, destinata al pagamento della residua parte di una sanzione tributaria, provvedendo poi a versarla all’ufficio di appartenenza in tre rate successive). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 26081 del 9 giugno 2004 (Cass. pen. n. 26081/2004)

Per la configurazione dell’ipotesi delittuosa del peculato d’uso di cui all’art. 314, comma secondo c.p., è necessario che la durata dell’appropriazione non superi il tempo di utilizzazione della cosa sottratta, così da comportare una sottrazione della stessa alla sua destinazione istituzionale tale da non compromettere seriamente la funzionalità della pubblica amministrazione. Inoltre è essenziale il rapporto di funzionalità della cosa sottratta rispetto alla natura dell’uso momentaneo per cui si fa ricorso all’appropriazione (in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione del giudice di merito che aveva ritenuto integrato il reato di peculato, anziché quello di peculato d’uso, nella condotta dell’imputato, il quale aveva smontato dal proprio computer d’ufficio dei pezzi per installarli su quello privato per svolgere il proprio lavoro a domicilio, ancorché, alcuni come il DVD, non necessari per tale uso, rimontandoli solo al momento in cui la manomissione era stata scoperta). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9205 del 1 marzo 2004 (Cass. pen. n. 9205/2004)

Il pubblico ufficiale che emette mandati di pagamento, supponendo in buona fede che il denaro sia destinato a coprire spese effettivamente sostenute dal proprio ufficio, non concorre nel reato di peculato con il proprio dipendente, il quale, prospettando fittiziamente tali spese, lo abbia sollecitato ad emettere i relativi mandati col pretesto di eseguire il pagamento, appropriandosi delle somme in esse portate. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 37030 del 26 settembre 2003 (Cass. pen. n. 37030/2003)

Non risponde del delitto di peculato il Presidente del gruppo consiliare del Partito Trentino Tirolese, costituito nell’ambito della Provincia di Trento, che si appropri di contributi ottenuti dalla Provincia per l’esplicazione dei compiti del proprio gruppo, impiegandoli per sostenere spese di propaganda politica o di rappresentanza (nella specie, per l’acquisto di materiale propagandistico e di oggetto-regalo di modesto valore per gli elettori, per pranzi e rinfreschi in occasione di incontri pre-elettorali), trattandosi di attività, benché non istituzionali, comunque legate da nesso funzionale con la vita e le esigenze del gruppo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 33069 del 5 agosto 2003 (Cass. pen. n. 33069/2003)

In materia di Invim, l’art. 5 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 sancisce espressamente l’obbligo dei notai di pagare «le imposte e le soprattasse previste dal presente decreto», secondo le norme e nei medesimi casi previsti per l’imposta di registro». Ne consegue che le somme pari all’ammontare dell’Invim, all’atto della consegna al notaio sono, illico et immediate, pecunia publica. Pertanto, anche il possesso di eventuali eccedenze resta strettamente connesso ad un obbligo fiscale del notaio, per cui l’appropriazione di esse ad opera di lui integra tutti gli estremi del paradigma dalla malversazione, oggi sussunta nella più ampia previsione dell’art. 314 c.p., così come sostituito dall’art. 1 della legge 26 aprile 1990, n. 86. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 28302 del 1 luglio 2003 (Cass. pen. n. 28302/2003)

Non è configurabile l’appropriazione, quale elemento materiale integrante il reato di peculato (art. 314 c.p.), nell’uso da parte del pubblico ufficiale delle vetture di servizio, in difetto delle condizioni che ne prevedono l’autorizzazione fuori dall’ambito comunale, qualora tale uso sia esclusivamente preordinato alle esigenze di servizio, in quanto, in tal caso, il bene di cui il pubblico ufficiale abbia la disponibilità, per ragioni del suo ufficio, rimane, comunque, nell’ambito della sua normale destinazione giuridica, e cioè nella sfera della pubblica amministrazione, fermo restando che trattasi di condotta avente rilievo sul piano disciplinare. (In applicazione di tale principio la S.C. ha escluso che integrasse il reato di cui all’art. 314 c.p. la condotta del magistrato che — in qualità di presidente del tribunale — utilizzava l’auto di servizio esclusivamente per il percorso casa-ufficio, pur trattandosi di percorsi extra-comunali in quanto le abitazioni del magistrato erano poste fuori dal comune in cui aveva sede l’ufficio). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 27007 del 20 giugno 2003 (Cass. pen. n. 27007/2003)

Deve considerarsi pubblico ufficiale anche il funzionario di fatto che, senza essere investito formalmente delle funzioni di tesoriere comunale, le abbia in concreto esercitate con il beneplacito della pubblica amministrazione. Pertanto, risponde del reato di peculato il tesoriere di un Comune, il cui incarico sia divenuto all’epoca dei fatti illegittimo in base alla nuova normativa in materia di tesoreria unica, che si sia appropriato delle somme appartenenti al predetto ente pubblico, laddove sia provato il consenso della pubblica amministrazione alla continuazione del precedente incarico. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 26697 del 19 giugno 2003 (Cass. pen. n. 26697/2003)

In tema di peculato, il possesso di denaro o di altra cosa mobile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, per acquisire rilevanza ai fini dell’incriminazione, non deve necessariamente rientrare nel novero delle specifiche competenze o attribuzioni connesse con la sua posizione gerarchica o funzionale, essendo sufficiente che esso sia frutto anche di occasionale coincidenza con la funzione esercitata o con il servizio prestato. (Fattispecie relativa al dipendente di un’impresa pubblica di trasporto, impossessatosi di una somma di denaro contenuta in un portafoglio smarrito, consegnatogli per la restituzione all’avente diritto). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 17920 del 15 aprile 2003 (Cass. pen. n. 17920/2003)

Integra il reato di peculato e non quello di appropriazione aggravata di cose smarrite l’apprensione, da parte di agente della polizia di Stato in servizio presso un aeroporto, di cose custodite in uno zaino rinvenuto presso lo scalo aeroportuale e a lui affidato per ragione del suo ufficio, non potendo considerarsi smarrite le cose lasciate in uno scalo navale, ferroviario o aeroportuale, per le quali sono predisposte particolari norme di tutela, né potendo comunque qualificarsi come tali le cose dimenticate in un luogo che il legittimo possessore sia in grado di ricordare, sia pure attraverso una ricostruzione logico-temporale dei suoi spostamenti, in modo da poterle colà ricercare e recuperare. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 15124 del 31 marzo 2003 (Cass. pen. n. 15124/2003)

Il peculato è un reato istantaneo che si consuma nel momento in cui l’agente si appropria del danaro o della cosa mobile della pubblica amministrazione di cui ha il possesso per ragione del suo ufficio, o dà ad essi una diversa destinazione. Ne consegue che, qualora il pubblico ufficiale abbia l’obbligo di versare nelle casse della P.A. il danaro di volta in volta ricevuto da terzi per ragione del suo ufficio, la mancata previsione di un termine di scadenza, se autorizza a tollerare un eventuale ritardo nell’adempimento dell’obbligo, non può tuttavia giustificare qualsiasi ritardo, ed in particolare anche quello che si protragga oltre quel ragionevole limite di tempo che sia imposto dalla maggiore o minore complessità delle operazioni di versamento da compiere, ovvero dalla necessità, per il pubblico ufficiale, di attendere anche a doveri d’ufficio di diversa natura. (Nella specie è stata ritenuta sussistente la materialità del reato nella sottrazione da parte dell’imputato, vigile urbano di un comune, di somme, rappresentanti introiti di contravvenzioni stradali, a distanza di oltre un anno dalla data del relativo versamento). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 15108 del 31 marzo 2003 (Cass. pen. n. 15108/2003)

In tema di peculato, è irrilevante per la consumazione del reato che l’agente sia entrato nel possesso del bene nel rispetto o meno delle disposizioni organizzative dell’ufficio, potendo lo stesso derivare anche dall’esercizio di fatto o arbitrario di funzioni, dovendosi escludere il peculato solo quando esso sia meramente occasionale, ovvero dipendente da evento fortuito o legato al caso. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la configurabilità del reato di peculato in luogo di quello di truffa relativamente al fatto del dipendente dell’Enel che riscuoteva dagli utenti soldi dovuti all’ente in violazione delle regole che disciplinano i pagamenti).

Integra il reato di peculato la condotta del dipendente dell’Enel, incaricato della riscossione dei pagamenti dei compensi dovuti all’ente con poteri di transazione e di concessione di dilazioni nei confronti di utenti morosi e di disposizione, altresì, dei distacchi della fornitura di energia elettrica, che si appropri del denaro dovuto dagli utenti del servizio per pagamenti di fatture. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11417 del 11 marzo 2003 (Cass. pen. n. 11417/2003)

Non sono configurabili gli elementi costitutivi del peculato d’uso (art. 314, comma 2, c.p.) nella condotta del pubblico dipendente che, in situazioni eccezionali d’urgenza, con caratteri di sporadicità ed episodicità, utilizzi il telefono d’ufficio per comunicazioni private al fine di evitare pregiudizievoli e talora protratte assenze dal posto di lavoro. (Fattispecie relativa ad un dipendente pubblico che in un periodo di quaranta giorni aveva effettuato sei telefonate, utilizzando l’apparecchio dell’ufficio). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10719 del 8 marzo 2003 (Cass. pen. n. 10719/2003)

L’indebito uso, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, dell’utenza telefonica intestata alla pubblica amministrazione, di cui egli abbia la disponibilità, costituisce peculato, comportando la suddetta condotta l’appropriazione delle energie, entrate nelle sfera di disponibilità della pubblica amministrazione, occorrenti per le conversazioni telefoniche. Il reato, tuttavia, non sussiste quando le chiamate telefoniche per esigenze personali, per la loro sporadicità ed occasionalità, restano contenute nell’ambito dei “casi eccezionali”, nei quali esse sono consentite, ai sensi dell’art. 10, comma quinto, del codice di comportamento dei pubblici dipendenti approvato con decreto del Ministro per la funzione pubblica 31 marzo 1994. (Nella specie, in applicazione di tale principio, è stato ritenuto che, correttamente, fosse stata esclusa la sussistenza del reato, in un caso in cui risultavano effettuate undici chiamate per motivi personali in un arco di tempo di un mese e ventuno giorni). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7772 del 17 febbraio 2003 (Cass. pen. n. 7772/2003)

Ai fini dell’integrazione del delitto di peculato (art. 314 c.p.) la cosa mobile altrui, di cui l’agente si appropria, deve avere valore apprezzabile, posto che le cose prive di valore non rivestono alcun interesse per il diritto, e tale valore sussiste nell’ipotesi di banconote false, che rivestono valore economico sia per la pubblica amministrazione, che ha interesse ad eliminare il bene dalla circolazione monetaria, sia per il soggetto attivo del reato avendo esse un indubbio valore commerciale. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 37018 del 5 novembre 2002 (Cass. pen. n. 41114/2001)

Integra il delitto di peculato, previsto dall’art. 314 c.p., la condotta dell’addetto all’ufficio matricola di un istituto penitenziario il quale consegna a persona non legittimata un bene (orologio) depositato da un detenuto, in quanto, nel disporre della cosa in modo illecito, pone in essere un atto appropriativo realizzando l’interversione nel possesso. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 41114 del 19 novembre 2001 (Cass. pen. n. 41114/2001)

In tema di peculato militare, in seguito all’eliminazione dell’ipotesi distrattiva prevista dal reato di cui all’art. 215 c.p.m.p., la condotta del militare che usa, o fa usare, da militari dipendenti automezzi in dotazione del reparto per ragioni personali (nella specie per l’accompagnamento dei propri figli a scuola) deve essere giudicato dall’autorità giudiziaria ordinaria alla quale spetta stabilire, valutandone le modalità, se i fatti attribuiti presentano i caratteri dell’illiceità penale ed in caso positivo quale ipotesi di reato comune sia configurabile). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 28315 del 12 luglio 2001 (Cass. pen. n. 28315/2001)

In tema di peculato dell’incaricato di pubblico servizio, ai fini della configurabilità del reato, la «ragione del servizio» giustificatrice del possesso non è da identificare solo in quella che rientra nella specifica competenza funzionale agente, ma si riferisce anche al possesso del danaro o della cosa mobile altrui derivante, oltre che da norme di regolamento, da prassi e consuetudini. Ne consegue che integra gli estremi del delitto la condotta dell’ausiliario socio-sanitario dell’Asl — addetto a svolgere il proprio servizio pubblico di infermiere di sala operatoria di un ospedale — che si appropri di alcune siringhe monouso, rientranti nella dotazione del reparto presso cui lavora ed alla quale abbia libero accesso, in ragione del ruolo rivestito, a prescindere dalla responsabilità della formale custodia del materiale sanitario, di competenza del capo sala. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 27850 del 11 luglio 2001 (Cass. pen. n. 27850/2001)

Non integra il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p. la condotta del pubblico ufficiale il quale utilizzi beni appartenenti alla P.A. privi in sé di rilevanza economica e quindi inidonei a costituire l’oggetto materiale dell’appropriazione. (In applicazione di tale principio, la Corte ha escluso la configurabilità del peculato in ipotesi di utilizzazione dei modelli prestampati per i libretti di idoneità sanitaria, al fine di commettere il delitto di falsità materiale in atto pubblico). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 21867 del 30 maggio 2001 (Cass. pen. n. 21867/2001)

In tema di delitti contro la pubblica amministrazione, nell’ipotesi in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio — disponendo dell’utenza telefonica intestata all’amministrazione — la utilizzi per effettuare chiamate di interesse personale, il fatto lesivo si sostanzia non nell’uso dell’apparecchio telefonico quale oggetto fisico, bensì nell’appropriazione (conseguita attraverso tale uso) delle energie (entrate a far parte della sfera di disponibilità della P.A.) occorrenti per le conversazioni telefoniche, con la conseguenza che l’ipotesi delittuosa è inquadrabile astrattamente nel «peculato-ordinario» (art. 314 comma 1 c.p.), giacché le energie utilizzate non sono «immediatamente restituibili dopo l’uso» (e lo stesso eventuale rimborso delle somme corrispondenti all’entità dell’utilizzo non potrebbe valere che come mero ristoro del danno arrecato). Tuttavia, nel concreto assetto dell’organizzazione della P.A., si verificano situazioni eccezionali — previste e regolamentate dal decreto del Ministro per la funzione pubblica 31 marzo 1994 — in cui il pubblico dipendente è autorizzato ad usare il telefono dell’ufficio per comunicazioni private, al fine di evitare che si determini un disagio ancora maggiore per l’organizzazione del lavoro qualora il soggetto dovesse, per far fronte alla necessità di comunicare durante l’espletamento del servizio, interromperlo o abbandonarlo; in tali situazioni eccezionali, di carattere sporadico ed episodico, l’utilizzo del telefono della P.A. per l’effettuazione di chiamate personali non può considerarsi esulante del tutto dai fini istituzionali, e pertanto non può ritenersi realizzato l’evento appropriativo di cui al reato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9277 del 5 marzo 2001 (Cass. pen. n. 9277/2001)

Non risponde del delitto di peculato (difettando nel compenso percepito il carattere di appartenenza alla P.A.) il sanitario dell’ufficio igiene pubblica di una ASL, competente per il rilascio delle certificazioni mediche ai fini del conseguimento della patente di guida, il quale svolga fuori dall’orario di lavoro, a pagamento e presso una struttura privata, tale attività di accertamento dei requisiti psico-fisici di idoneità alla guida (emettendo peraltro le certificazioni mediche sui moduli della ASL di appartenenza), atteso che è normativamente previsto che gli accertamenti in parola possano essere compiuti in sede di libera attività professionale, e che, in questo caso, i proventi delle visite non appartengono alla P.A. ma al professionista il quale, pur esercitando funzioni pubbliche in forza di una espressa delega legislativa, opera tuttavia secondo modalità del tutto sganciate dal rapporto pubblico. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 13275 del 20 dicembre 2000 (Cass. pen. n. 13275/2000)

Allorché il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, disponendo, per ragione dell’ufficio o del servizio, dell’utenza telefonica intestata all’amministrazione, la utilizzi per effettuare chiamate di interesse personale, il fatto lesivo si sostanzia propriamente non nell’uso dell’apparecchio telefonico come oggetto fisico, bensì nell’appropriazione, che attraverso tale uso di consegue, delle energie, formate da impulsi elettronici, entrate a far parte della sfera di disponibilità della P.A., occorrenti per le conversazioni telefoniche; ne consegue, poiché tali energie non sono immediatamente restituibili dopo l’uso e l’eventuale rimborso delle somme corrispondenti all’entità dell’utilizzo vale solo come ristoro del danno cagionato, ma non può considerarsi equipollente alla restituzione della cosa mobile utilizzata, l’astratta configurabilità, nella predetta utilizzazione, dell’ipotesi di peculato prevista dall’art. 314, comma 1, c.p. e non di quella prevista dal comma 2 dello stesso articolo (c.d. peculato d’uso). Tuttavia, considerato che all’art. 10 del codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con decreto 31 marzo 1994 del Ministro della funzione pubblica, è prevista una deroga al principio generale del divieto d’uso dell’utenza telefonica da parte del pubblico dipendente «in casi eccezionali», nei quali quest’ultimo è tenuto a informare il dirigente dell’ufficio, ne discende che la ricorrenza della situazione di eccezionalità esclude la rilevanza penale della condotta indipendentemente dall’adempimento dell’obbligo di informativa, la cui inosservanza può rivestire, al più, rilievo disciplinare, ma non incie sulla autonoma e sostanziale valenza derogatoria del «caso eccezionale». (Fattispecie relativa a sette telefonate, di esiguo importo complessivo, effettuate nell’arco di un bimestre). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3879 del 15 dicembre 2000 (Cass. pen. n. 3879/2000)

L’uso del telefono d’ufficio per comunicazioni private, comportando l’appropriazione in via definitiva degli impulsi elettrici mediante i quali avviene la trasmissione della voce, rende astrattamente configurabile a carico del responsabile non il reato di peculato d’uso di cui all’art. 314, comma 2, c.p. ma quello di peculato comune di cui al precedente comma 1 dello stesso articolo. Tale illecito, peraltro, in tanto può concretamente ritenersi sussistente in quanto l’uso del telefono a fini privati esuli dai limiti dell’eccezionalità entro i quali esso è ammesso anche dal decreto del Ministro della funzione pubblica 31 marzo 1994 (emanato in attuazione dell’art. 58 bis del D.L.vo 3 febbraio 1993 n. 29), nulla rilevando, ai fini penali (posto che detti limiti risultino osservati), che sia mancata l’informativa al dirigente dell’ufficio, pure prevista dal citato decreto ministeriale, atteso che una tale mancanza, di per sè, può eventualmente importare conseguenze solo sul piano disciplinare). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3390 del 15 dicembre 2000 (Cass. pen. n. 3390/2000)

L’oggetto giuridico del delitto di peculato si identifica con la tutela del patrimonio della pubblica amministrazione da quanti sottraggono o pongano a profitto proprio o di altri denaro o cose mobili, rientranti nella sfera pubblica, di cui sono in possesso per ragione del loro ufficio o servizio. La norma penale presuppone, quindi, che le cose oggetto di peculato possiedano un valore economico, per cui il reato non sussiste se le stesse ne siano prive o ne abbiano uno talmente esiguo che l’azione compiuta non configuri lesione alcuna dell’integrità patrimoniale della pubblica amministrazione. (Nel caso di specie la Corte ha accolto il ricorso dell’imputato che, in sede di merito, era stato ritenuto responsabile di essersi appropriato tre bossoli provenienti da cartucce della pubblica amministrazione, esplose nel corso delle prescritte esercitazioni di tiro delle forze di polizia). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10797 del 20 ottobre 2000 (Cass. pen. n. 10797/2000)

Ai fini della configurabilità del delitto di peculato (art. 314 c.p.), la «ragione dell’ufficio» giustificatrice del possesso va intesa in senso lato e comprende anche il possesso del denaro o della cosa mobile altrui derivante da prassi e consuetudini. Integra, pertanto, gli estremi del delitto la condotta dell’aiutante ufficiale giudiziario che si appropri somme di denaro delle quali aveva il possesso in ragione dello svolgimento, per prassi abituale, delle mansioni dell’ufficio giudiziario. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9443 del 5 settembre 2000 (Cass. pen. n. 9443/2000)

Integra il reato di peculato d’uso di cui all’art. 314 comma 2, c.p. la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che utilizza l’apparecchio telefax dell’ufficio per finalità personali, atteso che, a norma dell’art. 314 comma 2 cit., per «appropriazione» non deve necessariamente ritenersi la fuoriuscita della cosa dalla sfera di disponibilità e controllo del proprietario, essendo sufficiente che l’agente si comporti nei confronti della cosa medesima, sia pure in modo oggettivamente e soggettivamente provvisorio, uti dominus, realizzando finalità estranee agli interessi del proprietario. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 788 del 25 maggio 2000 (Cass. pen. n. 788/2000)

Il medico ospedaliero (nella specie, primario del servizio di radiologia) che, con il pretesto di far evitare a un paziente la trafila burocratica, si fa dare direttamente una somma per effettuare un esame, lasciando intendere che la somma sarà versata all’ospedale, non risponde del reato di concussione, non avendo generato un metus nel soggetto passivo; non risponde del reato di corruzione, perché il paziente è convinto di versare all’amministrazione ospedaliera quanto dovuto; non risponde del reato di peculato, perché l’agente possiede detta somma per ragioni di ufficio e perché non approfitta dell’errore altrui. Risponde invece di truffa aggravata in danno dell’amministrazione ospedaliera. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5538 del 11 maggio 2000 (Cass. pen. n. 5538/2000)

Non ricorrono gli estremi del reato di peculato nel comportamento di un funzionario pubblico (soprintendente per i beni culturali e architettonici), autorizzato dall’ente proprietario (Ministero dei beni culturali) di un immobile monumentale a usufruire di un alloggio di servizio all’interno dello stesso, occupandolo immediatamente, salvo perfezionare il rapporto sotto il profilo del quantum debeatur con l’intendente di finanza, per quel che concerne i consumi dell’acqua, dell’elettricità e del telefono effettuati prima della regolarizzazione della sistemazione alloggiativa. L’autorizzazione a usufruire di una porzione dell’edificio per gli scopi anzidetti comprende, invero, necessariamente, la facoltà di utilizzare quanto è necessario per soddisfare le esigenze abitative, cioè le cose, le energie e i servizi propri di un insediamento civile, e quindi l’acqua, l’elettricità e il telefono. Né ha rilevanza il fatto che nella determinazione del canone si dovesse tener conto del prezzo di detti servizi e che l’interessato si sia mostrato negligente nel sollecitare tale determinazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 13512 del 25 novembre 1999 (Cass. pen. n. 13512/1999)

Commette il reato di peculato il notaio che, incaricato della levata di protesti cambiari, si appropria del denaro derivante dall’incasso degli effetti cambiari consegnatogli per detto scopo, omettendo di effettuare il pagamento nel tempo dovuto ai creditori e trattenendo le somme incassate su conto corrente personale. Il notaio conserva infatti la qualità di pubblico ufficiale anche successivamente alla levata del protesto, come si ricava dall’art. 9, comma quarto, della legge 12 giugno 1973, n. 349, in base al quale il notaio è annoverato tra i pubblici ufficiali che hanno l’obbligo di versare l’importo dei titoli pagati il giorno non festivo successivo a quello del pagamento. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3106 del 16 novembre 1999 (Cass. pen. n. 3106/1999)

In tema di peculato, la nozione di disponibilità del denaro pubblico da parte del pubblico ufficiale non può essere ristretta al caso della detenzione materiale della «cassa». Invero, l’uscita del denaro dalla «cassa» è il momento terminale di quello che normalmente è un procedimento complesso, al quale il «cassiere» è estraneo se non per quanto concerne l’erogazione materiale del denaro disposta da altri. (Nella fattispecie, i funzionari che sovraintendevano alla manutenzione degli immobili demaniali non erano al tempo stesso i cassieri materiali delle somme da erogarsi, ma erano coloro ai quali era affidata una dotazione in denaro — di cui avevano la disponibilità — da erogarsi dal cassiere esclusivamente a prestazioni svolte dalle ditte private a seguito di loro approvazione di apposite fatture). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11095 del 28 settembre 1999 (Cass. pen. n. 11095/1999)

Commette il reato di peculato consumato il dipendente di un Comune che si appropria di un «buono economato», trattandosi di bene appartenente alla pubblica amministrazione di cui l’agente aveva il possesso per ragioni di servizio, a nulla rilevando, ai fini della consumazione del reato, il fatto che l’agente non abbia concretamente conseguito il fine divisato, e cioè l’ottenimento della merce corrispondente all’importo del buono. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7481 del 10 giugno 1999 (Cass. pen. n. 7481/1999)

Il reato di peculato e quello di furto sono strutturalmente diversi quanto ad elementi costitutivi. Infatti nel furto l’impossessamento della cosa altrui avviene invito domino, vale a dire, attraverso la sottrazione della res a chi la detiene; nel peculato, viceversa, l’agente ha la disponibilità del bene per ragioni del suo ufficio (senza distinzione, dopo l’entrata in vigore della legge 26 aprile 1990 n. 86, tra beni di proprietà dei privati e beni della pubblica amministrazione). Di conseguenza, l’impiegato postale che si impossessa di una lettera, della quale non ha la disponibilità per ragioni del suo ufficio, commette il reato di furto, mentre, se si impossessa di una lettera rientrante nella corrispondenza a lui affidata (sia per la consegna ai destinatari, sia per lo smistamento tra i vari portalettere) commette il reato di peculato. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 467 del 30 marzo 1999 (Cass. pen. n. 467/1999)

Integra gli estremi del reato di peculato la appropriazione di attrezzature per ufficio di proprietà dell’ente pubblico da parte del pubblico ufficiale, dipendente dello stesso, per la loro utilizzazione negli uffici di una società privata (agenzia di viaggi) della quale egli sia socio. (Nella specie trattavasi di funzionario del Sisde avente la qualifica di direttore del reparto logistico dell’ente). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 6753 del 13 gennaio 1998 (Cass. pen. n. 6753/1998)

Gli indicatori dai quali deve essere desunta la qualità pubblica di un ente concernono i suoi rapporti con l’ente territoriale di riferimento (nella specie, regione e comune) sotto i profili della sua organizzazione (riguardo alla nomina ed alla revoca degli organi), della gestione commissariale (volta a garantire la continuità dell’attività dell’ente e l’interesse pubblico sotteso alla sua necessaria esistenza), della vigilanza finanziaria mediante l’approvazione dei bilanci, del controllo contabile attraverso revisori venuti a riferire direttamente all’ente pubblico di riferimento. Ne consegue che il segretario di un ente, la cui natura pubblica venga individuata sulla base dei suddetti criteri, riveste la qualifica di pubblico ufficiale e l’appropriazione di denaro dell’ente da parte di questi configura il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10978 del 1 dicembre 1997 (Cass. pen. n. 10978/1997)

Le sezioni provinciali della «Lega italiana per la lotta contro i tumori» hanno natura pubblicistica e, pertanto, i loro rappresentanti e dipendenti (nella fattispecie il presidente, un componente del consiglio direttivo ed una segretaria) rivestono la qualifica di incaricati di pubblico servizio. Ne consegue che l’appropriazione di denaro della sezione da parte dei suddetti rappresentanti e dipendenti configura il reato di peculato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8619 del 26 settembre 1997 (Cass. pen. n. 8619/1997)

In tema di peculato, deve ritenersi che nell’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 314 c.p., «uso momentaneo» non significa istantaneo, ma temporaneo, ossia protratto per un tempo limitato così da comportare una sottrazione della cosa alla sua destinazione istituzionale tale da non compromettere seriamente la funzionalità della pubblica amministrazione. (Fattispecie in tema di veicolo sottratto all’Amministrazione militare usato per il tempo necessario per raggiungere una vicina riserva di caccia, e subito restituito). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4651 del 16 maggio 1997 (Cass. pen. n. 4651/1997)

In materia di reati fallimentari non sussiste alcuna pregiudizialità del giudizio sul rendiconto rispetto alla possibilità di procedere per il reato di peculato nei confronti del commissario liquidatore. La costatazione di prelievi operati dal liquidatore in assenza di corrispettive causali legittima perciò l’ipotesi di peculato a suo carico indipendentemente dallo svolgimento e dall’esito delle procedure civilistiche di rendiconto. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 433 del 19 aprile 1997 (Cass. pen. n. 433/1997)

Il rapporto di imposta ha natura pubblica, sia nella fase dell’imposizione, sia in quella della riscossione; tale natura non muta anche quando l’esazione del tributo venga dall’ente impositore delegata al privato il quale quindi, in virtù della funzione attribuitagli, acquista la qualità di pubblico ufficiale. Conseguentemente il denaro di cui egli viene in possesso nell’adempimento della funzione pubblica di riscossione, costituisce, sin dal momento della sua esazione, pecunia pubblica, né detta qualifica viene meno per l’obbligazione di quantità, cui l’esattore stesso è tenuto verso l’ente impositore (obbligo di versare il non riscosso per riscosso), trattandosi di un’obbligazione sussidiaria a garanzia dell’ente pubblico. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto la configurabilità di peculato con riguardo ad appropriazione da parte dell’esattore, o del suo dipendente, dell’importo di titoli cambiari riscossi ed emessi in suo favore in pagamento del sottostante rapporto causale di natura tributaria. In particolare la Corte Suprema ha rilevato che, essendo comunque il denaro destinato alla pubblica amministrazione, non potevano rilevare le modalità di esazione e che il possesso del medesimo rimaneva qualificato dalla finalità di natura pubblicistica). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1631 del 21 febbraio 1997 (Cass. pen. n. 1631/1997)

In tema di peculato il limite dell’uso legittimo dell’autovettura di Stato (con autista) da parte di qualche funzionario per compiere itinerari cittadini, ivi compreso l’accompagnamento casa-ufficio, consiste nel divieto assoluto dell’uso per ragioni personali di carattere privato, e tale valutazione, affidata al giudice di merito, è insindacabile in sede di legittimità. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1113 del 6 febbraio 1997 (Cass. pen. n. 1113/1997)

Il pubblico ufficiale che omette o ritarda di versare ciò che ha ricevuto per conto della pubblica amministrazione non è inadempiente ad un proprio debito pecuniario nei confronti della predetta, ma all’obbligo di consegnare il denaro al suo legittimo proprietario (la p.a.): pertanto sottraendo la res alla disponibilità di quest’ultima tale soggetto realizza l’appropriazione sanzionata dall’art. 314 c.p. (peculato) intesa come interversione del titolo di possesso.

In tema di peculato per ritardato versamento di somme riscosse dal pubblico ufficiale per conto della pubblica amministrazione non può ritenersi errore scusabile, atto ad escludere il dolo, quello che investe la norma amministrativa di contabilità che impone un tempestivo versamento: ciò in quanto tale norma è integrativa di quella penale. Conseguentemente risulta irrilevante una invocata prassi in senso contrario alla suddetta disciplina. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10020 del 22 novembre 1996 (Cass. pen. n. 10020/1996)

Il reato di peculato, di cui all’art. 314 c.p., sussiste anche se il pubblico ufficiale non abbia la materiale consegna del bene e la sua diretta disponibilità, essendo in ogni caso sufficiente la disponibilità giuridica. (Nella fattispecie si trattava di danaro riscosso materialmente da uno dei due componenti di una pattuglia di agenti di polizia, a titolo di oblazione per una infrazione al codice della strada. La Suprema Corte, nell’enunciare il principio di diritto di cui in massima, ha ritenuto legittimamente affermata la penale responsabilità di entrambi i poliziotti osservando che gli stessi avrebbero congiuntamente dovuto redigere il processo verbale di contestazione, in esso dando atto dell’avvenuto versamento della somma, della quale entrambi — in virtù dell’obbligo di riversarne in caserma il relativo importo al termine del servizio giornaliero – dovevano, perciò, disporre, secondo la specifica destinazione di essa come danaro della pubblica amministrazione). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8647 del 24 settembre 1996 (Cass. pen. n. 8647/1996)

Ai fini della configurabilità del delitto di peculato il possesso del denaro della pubblica amministrazione può essere anche mediato e far capo congiuntamente a più pubblici ufficiali qualora le norme interne dell’ente pubblico prevedano che l’atto dispositivo sia posto in essere con il concorso di più organi. (Nell’affermare il principio di cui in massima la Corte ha rilevato come quello indicato sia il meccanismo corrente nella formazione dei titoli di spesa e ha concluso che può essere chiamato a rispondere di peculato chi sottoscrive lo stato di avanzamento dei lavori poiché è sulla base di questo documento che viene emesso il titolo di spesa relativo al pagamento della rata di acconto dei lavori eseguiti). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5502 del 4 giugno 1996 (Cass. pen. n. 5502/1996)

La responsabilità dell’autore mediato ex art. 48 c.p. si configura anche in relazione ai reati cosiddetti propri in cui la qualifica del soggetto attivo è presupposto o elemento costitutivo della fattispecie criminosa. Pertanto risponde di peculato anche l’estraneo che, traendo in inganno il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, si appropri per tramite di questi di una cosa dagli stessi posseduta per ragioni del loro ufficio. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4411 del 30 aprile 1996 (Cass. pen. n. 4411/1996)

Realizza il reato di peculato d’uso ex art. 314 comma 2 c.p. il comportamento del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che utilizzi il telefono dell’ufficio affidato alla sua disponibilità per uso personale. Il carattere momentaneo di detto uso e la restituzione immediata caratterizzano appunto la figura criminosa in questione rispetto a quella più grave di cui al comma 1 della medesima norma di legge. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3009 del 26 marzo 1996 (Cass. pen. n. 3009/1996)

Non può dubitarsi che i comitati di gestione Usl abbiano il possesso, sia pure mediato, nel pubblico denaro. Si deve tuttavia osservare che con l’approvazione di un contratto di fornitura non si compie atto di appropriazione o di distrazione di questo denaro, ma semplicemente si obbliga l’amministrazione ad una futura prestazione corrispettiva alla fornitura medesima. Conseguentemente non è configurabile il reato di peculato con riguardo a comportamento di componente di uno dei suddetti comitati concretatosi nell’approvazione di un contratto di fornitura comportante ingiusto profitto per il fornitore, con la consapevolezza di tale circostanza. (Affermando il riportato principio la Cassazione, con riguardo ad approvazione di un siffatto contratto contenente clausola a mezzo della quale la Usl era stata tratta in errore circa l’effettiva portata dell’obbligazione assunta, ha ritenuto che tale fattispecie dovesse correttamente assumersi nel reato di truffa contrattuale a danno di un soggetto pubblico). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 96 del 4 gennaio 1996 (Cass. pen. n. 96/1996)

Ai fini della configurabilità del reato di peculato, elemento indispensabile perché il denaro corrisposto dall’Ente pubblico al soggetto privato conservi la natura pubblica è che esso sia sottoposto ad un vincolo di destinazione per finalità pubblica che, generalmente indicato espressamente, può risultare anche implicitamente da elementi sintomatici, quale l’obbligo di rendiconto e di restituzione dei residui di gestione nonché i controlli sulla gestione delle somme. Il solo fatto che, a fronte della dazione del denaro, esista una controprestazione da parte del privato, incaricato di pubblico servizio, non è elemento da solo idoneo ad escludere la natura pubblica del denaro, potendo ravvisarsi delle ipotesi in cui la sola esistenza della controprestazione da parte del privato non esclude che il denaro conservi la sua natura pubblica e, per converso, ipotesi in cui, pur in assenza di una controprestazione, il denaro corrisposto perda detta natura. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3755 del 14 novembre 1995 (Cass. pen. n. 3755/1995)

È ipotizzabile la figura del peculato d’uso anche in relazione a cosa fungibile (e quindi al denaro) in quanto la condotta appropriativa nel peculato d’uso è mutuata per intero dal peculato ordinario, che è relativo ad ogni tipo di cosa (fungibile ed infungibile), mentre il comma 2 dell’art. 314 c.p. si limita ad indicare solo la condotta susseguente idonea a degradare il reato senza alcuna limitazione alle sole cose infungibili. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 619 del 19 aprile 1995 (Cass. pen. n. 619/1995)

La configurabilità del reato di malversazione o, dopo la riforma legislativa attuata con L. 26 aprile 1990, n. 86, di peculato, va esclusa solo nell’ipotesi di un rapporto meramente occasionale tra il possesso della res oggetto di appropriazione e l’esercizio delle funzioni del pubblico ufficiale; tale occasionalità va intesa nel suo letterale significato di evento fortuito e legato al caso, e non può dirsi sussistente quando l’esercizio delle funzioni ovvero il semplice affidamento riposto dal privato nella qualifica pubblica del soggetto ha rappresentato la contingenza che ha favorito l’insorgere del possesso, da parte di quest’ultimo, della cosa altrui. (Fattispecie in tema di appropriazione di somme portate da libretti e buoni postali affidati fiduciariamente a dipendente dell’amministrazione delle poste per la riscossione). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2068 del 28 febbraio 1995 (Cass. pen. n. 2068/1995)

In tema di peculato d’uso, non è ipotizzabile il tentativo, in quanto con l’appropriazione risulta consumato il reato di peculato comune e la mancata restituzione impedisce solo che detto reato degradi nell’ipotesi minore di peculato d’uso. (La Corte, tuttavia, in conformità alla statuizione della Corte cost. n. 1085/1988 in tema di furto d’uso, ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 314 comma 2 c.p. in relazione al comma 1 dell’art. 27 Cost. nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista, alla mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o a forza maggiore, della cosa appropriata, pur non sollevando la questione per mancanza di rilevanza, mancando nella fattispecie il requisito dell’uso momentaneo). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2129 del 16 gennaio 1995 (Cass. pen. n. 2129/1995)

Ai fini del delitto di peculato, di cui all’art. 314 c.p., il possesso qualificato dalla ragione di ufficio o di servizio non è solo quello che rientri nella specifica competenza funzionale del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, in quanto le «ragioni di ufficio o di servizio» hanno come unico riferimento un rapporto, fondato anche sulla prassi, o su consuetudini invalse in un determinato ufficio, che consenta ai soggetti indicati negli artt. 357 e 358 c.p. di inserirsi di fatto nel maneggio o della disponibilità materiale della cosa, trovando nella loro pubblica funzione o servizio anche la sola occasione per un tale comportamento.

In tema di peculato, il requisito dell’appartenenza del denaro deve essere ricavato non già dalla modalità di gestione di esso, bensì dalla sua destinazione a finalità pubbliche. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9890 del 14 settembre 1994 (Cass. pen. n. 9890/1994)

Commette appropriazione e non distrazione sia il pubblico ufficiale che incamera il pubblico denaro, di cui ha il possesso per ragione del suo ufficio, sia il pubblico ufficiale che si adopera affinché un complice se ne appropri, sottraendolo alla pubblica amministrazione. Anche in tal caso, infatti, il soggetto attivo compie un atto di disposizione uti dominus, si comporta cioè come se il danaro pubblico fosse di sua proprietà e non si limita soltanto ad indirizzarlo verso uno scopo diverso da quello cui esso doveva essere destinata. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6317 del 30 maggio 1994 (Cass. pen. n. 6317/1994)

Il cosiddetto peculato d’uso previsto dal comma 2, dell’art. 314 c.p. (nella nuova formulazione) non costituisce un’attenuante del delitto di peculato. Infatti, nell’articolo indicato, i due commi prevedono due diverse ipotesi di reato, poiché, nel peculato d’uso, il fine perseguibile dall’agente costituisce elemento specializzante, che impedisce di inquadrare il fatto nel concetto di «peculato» vero e proprio. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6094 del 25 maggio 1994 (Cass. pen. n. 6094/1994)

In tema di peculato, quando il denaro è destinato alla pubblica amministrazione e il soggetto fisico, che nel suo interesse agisce, lo riceve a tale titolo dal privato, il possesso conseguito rimane qualificato dal fine pubblico cui il bene risulta destinato. Ne consegue che commette peculato l’agente che omette di versare ciò che ha ricevuto, perché quel denaro entra nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento stesso della consegna al pubblico ufficiale. Né hanno rilievo alcuno le modalità di riscossione e la eventuale irritualità dei mezzi di pagamento, anche in contrasto con disposizioni ed assetti organizzativi dell’ufficio, non essendo la sussistenza del reato esclusa dalla inosservanza di prescrizioni o di regole la cui violazione costituisce illecito amministrativo. Allo stesso modo è irrilevante che il pubblico ufficiale sia entrato nel possesso del bene nel rispetto o meno delle competenze che il mansionario interno prevede. È sufficiente a costituire il possesso «per ragione di ufficio» un qualsiasi rapporto che comunque si ricolleghi alle mansioni esercitate dall’agente e che gli consenta di maneggiare denaro, sia pure occasionalmente e in via di fatto. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 405 del 25 maggio 1994 (Cass. pen. n. 405/1994)

Il peculato d’uso può configurarsi solo in relazione a cose di specie e non a cose di quantità, poiché con riferimento a queste ultime non sarebbe possibile la restituzione della eadem res ma solo del tantundem, che è irrilevante ai fini dell’integrazione del reato de quo. (La Cassazione ha evidenziato che una conferma del principio di cui in massima si trae proprio dal disposto del secondo comma dell’art. 314 c.p. che circoscrive il peculato d’uso ai soli casi di uso momentaneo della cosa mobile, senza fare menzione del denaro).

Il reato di peculato di cose di quantità, di genere o fungibili, si consuma nel momento in cui l’agente si appropria delle cose ed è irrilevante ai fini della sua configurabilità che questi abbia sostituito, anche contestualmente, la cosa di cui si è appropriato con altra di egual tipo, caratteristiche e valore. La restituzione del tantundem, infatti, non solo non influenza la lesione, già verificatasi, dell’interesse al buon andamento della pubblica amministrazione, ma non elide neppure la lesione dell’altro interesse tutelato, relativo all’integrità patrimoniale della pubblica amministrazione. (La Cassazione ha altresì rilevato che la legittimità della sostituzione del bene da parte dell’agente passa necessariamente attraverso il consenso dell’avente diritto, ai sensi dell’art. 1197 c.c.).

L’appropriazione nel delitto di peculato, si realizza con l’inversione del titolo del possesso da parte del pubblico ufficiale, che comincia a comportarsi uti dominus nei confronti del bene del quale ha appunto il possesso in ragione del suo ufficio. Siffatta nozione di appropriazione è rimasta invariata anche dopo la L. n. 86 del 1990 (recante modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione), sicché non può evocarsi la diversa figura di reato prevista dal secondo comma dell’art. 323 c.p. qualora il denaro o la cosa della pubblica amministrazione siano stati appunto convertiti in proprietà del pubblico ufficiale o di altri.

La natura plurioffensiva del reato di peculato importa che l’eventuale mancanza di danno patrimoniale conseguente all’appropriazione non esclude la sussistenza del reato, atteso che rimane pur sempre leso dalla condotta dell’agente l’altro interesse — diverso da quello patrimoniale — protetto dalla norma, e cioè il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione). (Nella specie il radiologo di un ospedale aveva distratto a favore di terzi delle lastre radiografiche di proprietà della Usl sostituendole con altre di marca diversa, prossime alla scadenza, che peraltro erano state utilizzate nell’ospedale medesimo prima della scadenza; il giudice di appello aveva ritenuto che la mancanza di un pregiudizio economico per la Usl e la fungibilità fra le varie lastre comportasse l’insussistenza del reato, ma la Cassazione ha censurato tale assunto, sulla scorta, tra l’altro, del principio di cui in massima). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8009 del 24 agosto 1993 (Cass. pen. n. 8009/1993)

La guardia giurata, incaricata del trasporto valori da parte di una banca, che si appropri di una somma di danaro affidatole, commette il delitto di cui all’art. 314 c.p. Ai fini della configurazione di tale reato, a seguito della modifica introdotta dall’art. 11, L. 26 aprile 1990, n. 86, non rileva la natura pubblica o privata dell’istituto bancario proprietario dei valori trasportati, essendo richieste l’altruità del danaro o della cosa mobile nonché la disponibilità giuridica o la mera detenzione materiale dei beni predetti per ragioni dell’ufficio o del servizio. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 650 del 17 maggio 1993 (Cass. pen. n. 650/1993)

Poiché la legge del 26 aprile 1990, n. 86 non ha cancellato la figura criminosa della malversazione in danno dei privati ma le ha solo dato una diversa ristrutturazione, trasfusa nella modificata ipotesi di peculato di cui all’art. 314 c.p., come ridisegnata dalla stessa L. n. 86 del 1990, il pubblico ufficiale che, prima dell’entrata in vigore di questa, avendo per ragioni del suo ufficio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di cose del privato se ne appropri, convertendoli a proprio profitto, con interruzione del titolo del possesso in proprietà, deve rispondere del delitto previsto dal soppresso art. 315 c.p., norma più favorevole anche quoad poenam di quella di cui all’art. 314 c.p., nuova formulazione, e non già del reato ex art. 323, cpv., c.p., come modificato dalla L. n. 86 del 1990. (Nella fattispecie l’imputato, nella sua qualità di ufficiale giudiziario, aveva ritardato il versamento di somme da lui riscosse in pagamento di effetti cambiari rimessigli per l’incasso dagli istituti di credito ed aveva convertito il denaro in assegni circolari per procurare a sé un ingiusto profitto patrimoniale in quanto usava e teneva a disposizione il denaro per la sua attività di finanziatore privato). Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 4597 del 5 maggio 1993 (Cass. pen. n. 4597/1993)

In tema di peculato, il concetto di disponibilità si riferisce a quei soli poteri giuridici che consentono all’agente, che sia privo del corpus del possesso, di esplicare sulla cosa quegli stessi comportamenti, uti dominus, che vengono a sostanziare la condotta di appropriazione, elemento materiale del delitto di cui all’art. 314 c.p. Non rientrano nel concetto di disponibilità quei poteri del pubblico ufficiale che possono assimilarsi non già alle facoltà del dominus, ma a quelle del creditore in un rapporto obbligatorio e che gli consentono (e, per la natura pubblica del rapporto, gli fanno obbligo) di esigere la prestazione della controparte o di adempiere alla propria, ponendo le premesse per l’adempimento altrui. Non risponde, pertanto, di peculato il pubblico ufficiale che omette di incassare un credito dell’ente che rappresenta e, tanto meno, il pubblico ufficiale che omette di adempiere o adempie irregolarmente la propria prestazione (atto di ufficio), al fine di consentire al privato di evitare il pagamento di tasse, diritti o prestazioni in genere, con ciò arrecando danno patrimoniale all’erario. In tale caso potranno eventualmente ravvisarsi i reati di abuso di atto di ufficio o di omissione di atti di ufficio. (Nella specie è stata annullata con rinvio la sentenza di condanna della corte di appello che aveva ravvisato gli estremi del peculato nel fatto che l’ufficiale giudiziario, mediante l’omessa registrazione di numerose commissioni e di altre operazioni, aveva nascosto allo Stato introiti per diverse decine di milioni, trattenendo per sé il 50 per cento, che avrebbe dovuto versare all’erario, secondo le norme dell’ordinamento degli ufficiali giudiziari e, comunque, impedendo agli organi di controllo di verificare l’ammontare complessivo dei proventi riscossi, derivandone un ulteriore danno per lo Stato che, ignorando i reali introiti dell’ufficiale giudiziario, gli corrispondeva la prevista indennità integrativa). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 4129 del 28 aprile 1993 (Cass. pen. n. 4129/1993)

In tema di peculato (o malversazione) il possesso di danaro o di altra cosa mobile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, per acquistare rilevanza ai fini dell’incriminazione, non deve necessariamente rientrare nel novero delle specifiche competenze o attribuzioni connesse con la sua posizione gerarchica o funzionale, essendo sufficiente che esso sia frutto anche di occasionale coincidenza con la funzione esercitata o con il servizio prestato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9732 del 13 ottobre 1992 (Cass. pen. n. 9732/1992)

Il cosiddetto peculato d’uso previsto dal secondo comma dell’art. 314 c.p. costituisce una figura del tutto autonoma per impianto strutturale rispetto al reato di peculato di cui al primo comma dello stesso articolo e non, quindi, una semplice attenuante del reato medesimo. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8156 del 22 luglio 1992 (Cass. pen. n. 8156/1992)

Devono riconoscersi funzioni pubbliche, oltre che all’Aima ed alla Commissione di controllo, composta di commissari di nomina pubblica, anche alle associazioni di produttori incaricate della gestione delle operazioni di ritiro del prodotto agricolo. Commettono pertanto peculato, e non appropriazione indebita, il delegato dell’associazione di produttori e il componente della commissione di controllo, nonché gli «extranei» ex art. 117 c.p., che sottraggono illecitamente il prodotto conferito all’Aima, data altresì l’appartenenza di esso allo Stato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7922 del 9 luglio 1992 (Cass. pen. n. 7922/1992)

La cosiddetta malversazione d’uso è riferibile solo a cose di specie e non a cose di quantità, qual è il denaro. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 7236 del 24 giugno 1992 (Cass. pen. n. 7236/1992)

L’uso prolungato non integra il peculato di uso improprio, di cui al secondo comma dell’art. 314 c.p. (nuovo testo), poiché non tutti gli «usi impropri» di un bene mobile altrui, da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio che ne abbia la disponibilità per ragione del proprio ufficio o servizio, rientrano nell’indicata previsione, ma esclusivamente quelli che si rivelino «momentanei» sia nelle intenzioni che nel comportamento dell’agente, mentre tutte le altre utilizzazioni illecite del genere sono punite dal primo comma dello stesso articolo. (Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio, il tribunale aveva affermato che si ha peculato di uso improprio ogni volta che l’uso del bene non comporti «una sua definitiva acquisizione in favore di chi ne abbia disposto»). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1745 del 18 febbraio 1992 (Cass. pen. n. 1745/1992)

In tema di reati contro la pubblica amministrazione, l’abrogazione dell’art. 315 c.p., derivata dall’art. 20 della L. 26 aprile 1990, n. 86, non ha determinato la soppressione del delitto di malversazione a danno di privati, ma solo la sua eliminazione come figura autonoma di reato, essendo stato esso assorbito nel peculato configurato dall’art. 314 c.p., come sostituito dall’art. 1 della predetta legge di riforma, in considerazione del fatto che l’illecita appropriazione o distrazione di beni appartenenti a privati, in possesso per ragioni di ufficio o di servizio del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio, in un moderno Stato democratico, non riveste più un disvalore minore rispetto all’appropriazione di beni appartenenti alla pubblica amministrazione, con conseguente mancanza di giustificazione del trattamento economico diversificato. Al fatto integrante il delitto di cui all’art. 314 c.p., commesso prima dell’entrata in vigore della L. n. 86 del 1990, in presenza di questo fenomeno di successione nel tempo di leggi penali diverse, a norma dell’art. 2, comma terzo, c.p., va applicata la previgente norma di cui all’art. 315 c.p., compresa, quanto alla sanzione, la pena pecuniaria, essendo essa più favorevole all’imputato rispetto all’art. 314 c.p. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 464 del 20 gennaio 1992 (Cass. pen. n. 464/1992)

Il peculato d’uso è configurabile unicamente se ricade su cosa di specie e non su cose di quantità come il denaro; ciò in quanto, anche agli effetti della nuova normativa, non è dato ipotizzare rispetto al denaro la restituzione della eadem res dopo il preteso uso momentaneo di esso secondo criteri di sua naturale utilizzabilità. Significativa conferma in tal senso si ritrova proprio nella lettera dell’art. 314, secondo comma, c.p., che non a caso, a differenza di quanto previsto nel primo comma, dove il denaro è accomunato alle cose mobili per il peculato in genere, circoscrive l’ipotesi del peculato d’uso ai soli casi di uso momentaneo della «cosa mobile» senza fare menzione anche del «denaro». Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12218 del 29 novembre 1991 (Cass. pen. n. 12218/1991)

La nozione di appropriazione relativa al delitto di peculato, con l’interversione del titolo del possesso in proprietà, è rimasta invariata dopo la L. n. 86 del 1990; sicché non può evocarsi una diversa figura di reato (art. 323 cpv. c.p.) qualora il denaro o la cosa della pubblica amministrazione siano stati convertiti a profitto del pubblico ufficiale che ne abbia, per ragione del suo ufficio o servizio, il possesso o comunque la disponibilità. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9535 del 13 settembre 1991 (Cass. pen. n. 9535/1991)

Commette il reato di peculato, di cui all’art. 314 c.p., l’ufficiale giudiziario che si appropri delle somme a lui versate a titolo di tributi. Infatti, le somme versate all’esattore a titolo di tributi, siccome destinate agli enti impositori ed ai loro fini, appartengono alla pubblica amministrazione anche prima che l’esattore ne faccia il versamento al ricevitore e quindi alle casse dello Stato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 9534 del 13 settembre 1991 (Cass. pen. n. 9534/1991)

In tema di peculato per appropriazione, atteso che il possesso costituisce il necessario presupposto del reato e che esso può essere, indifferentemente, diretto o indiretto, il fatto che l’agente abbia trasformato, sia pure irregolarmente, il proprio originario possesso indiretto in possesso diretto, acquisendo la materiale detenzione del danaro, non può essere considerato, di per sé, come elemento idoneo a realizzare l’appropriazione, occorrendo a tale ultimo fine la prova che detta trasformazione sia stata accompagnata dall’animus rem sibi habendi ed abbia coinciso con l’interversio possessionis. (Nella fattispecie un militare, che poteva disporre del danaro mediante ordini di pagamento, aveva trasformato il possesso del danaro della pubblica amministrazione da indiretto in diretto mediante l’utilizzazione di «foglio di viaggio», con l’approvazione della liquidazione e l’ordine di pagamento. La Corte di cassazione ha annullato con rinvio, per vizio di motivazione, la sentenza del giudice di merito il quale aveva ritenuto verificatasi l’appropriazione per il solo fatto dell’acquisita disponibilità materiale delle somme liquidate a fronte del foglio di viaggio). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8125 del 25 luglio 1991 (Cass. pen. n. 8125/1991)

Il peculato è un reato istantaneo che si consuma nel momento in cui l’agente si appropria del danaro o della cosa mobile della pubblica amministrazione di cui ha il possesso per ragione del suo ufficio, o dà ad essi una diversa destinazione. Ne consegue che, qualora il pubblico ufficiale abbia l’obbligo di versare nelle casse della P.A. il danaro di volta in volta ricevuto da terzi per ragione del suo ufficio, la mancata previsione di un termine di scadenza, se autorizza a tollerare un eventuale ritardo nell’adempimento dell’obbligo, non può tuttavia giustificare qualsiasi ritardo, ed in particolare anche quello che si protragga oltre quel ragionevole limite di tempo che sia imposto dalla maggiore o minore complessità delle operazioni di versamento da compiere, ovvero dalla necessità, per il pubblico ufficiale, di attendere anche a doveri d’ufficio di diversa natura. (Nella specie è stata ritenuta sussistente la materialità del reato nel versamento di somme — rappresentanti introiti di contravvenzioni stradali — eseguito da comandante dei vigili urbani di un comune solo a seguito di ispezione amministrativa ed espressa richiesta del sindaco, a distanza di oltre un anno e mezzo dalla data del relativo in corso). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3021 del 8 marzo 1991 (Cass. pen. n. 3021/1991)

In tema di appropriazione di denaro della P.A. mediante falso, la distinzione tra peculato e truffa non va ravvisata nella precedenza cronologica dell’appropriazione rispetto al falso o viceversa, ma nel modo in cui il pubblico ufficiale viene in possesso del denaro di cui si appropria. Pertanto sussiste peculato quando l’agente fa proprio il denaro della P.A., di cui abbia il possesso per ragioni del suo ufficio o servizio, mentre vi è truffa qualora il pubblico ufficiale, non avendo tale possesso, si sia procurato fraudolentemente, con artifici e raggiri, la disponibilità del bene oggetto della sua illecita condotta. Più in particolare, ricorre il peculato e non la truffa quando l’artifizio o il raggiro o la falsa documentazione siano stati posti in essere non per entrare nel possesso del pubblico denaro ma per occultare la commissione dell’illecito. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2439 del 23 febbraio 1991 (Cass. pen. n. 2439/1991)

Ai fini della sussistenza dei reati di peculato e malversazione, il possesso del danaro o delle cose mobili non si configura solo come immediata e materiale disponibilità, ma anche come un potere, connesso all’esercizio della funzione o alla prestazione del servizio, in base al quale il soggetto attivo sia in grado di conseguire l’effettiva disponibilità di quanto divenga oggetto dell’appropriazione o della distrazione. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1110 del 30 gennaio 1991 (Cass. pen. n. 1110/1991)

La guardia particolare giurata che conduca un autofurgone portavalori, in quanto incaricato di un pubblico servizio e per ragione di tale servizio, ha il possesso del denaro e dei valori affidatigli, secondo la nozione di possesso assunta dall’art. 314 c.p. Ne consegue che nel caso in cui essa si appropri del denaro affidatole ed appartenente ad un ente creditizio pubblico, quale, nella specie, istituzionalmente – nonostante il carattere privatistico della attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito da esso espletata – l’Istituto San Paolo di Torino, ricorrono tutti gli elementi necessari per integrare l’ipotesi di peculato, non potendosi dubitare della natura pubblica del denaro oggetto dell’appropriazione.

La nozione di possesso assunta dall’art. 314 c.p. ha un significato più ampio di quello civilistico, comprendendo anche la semplice detenzione materiale del bene ricevuto per ragioni di ufficio o di servizio, ed essendo, anzi, sufficiente che il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio) abbia la disponibilità giuridica del bene che forma oggetto di appropriazione, anche se questo sia da altri custodito. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 396 del 16 gennaio 1991 (Cass. pen. n. 396/1991)

In tema di peculato, il concetto di «appartenenza» alla pubblica amministrazione non esclude che la cosa o il denaro possa in definitiva spettare in proprietà ad altro soggetto, essendo sufficiente che fra la cosa-denaro e la P.A. intercorra un vincolo che consenta o imponga a quest’ultima di disporne. Ne consegue, pertanto, che qualora – dopo l’emissione del mandato-ordine di pagamento – il pubblico ufficiale, incaricato-delegato a pagare agli aventi diritto i ratei di funzioni, stipendi, etc., si appropri del denaro, egli commette peculato e non malversazione, atteso che il beneficiario diventa proprietario del denaro soltanto al momento dell’effettiva riscossione. E ciò, in quanto la P.A. conserva il potere di disponibilità sul denaro stesso fino al momento in cui si estingue l’obbligo del pagamento mediante la riscossione diretta da parte dell’interessato o di persona da lui delegata. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 16708 del 19 dicembre 1990 (Cass. pen. n. 16708/1990)

La condotta del dipendente della società autostrade che – in qualità di esattore alla stazione di uscita, e quindi di incaricato di pubblico servizio – si appropria di parte del denaro incassato e – al fine di evitare che il maneggio sia scoperto ed assicurarsi il profitto conseguito – procede alla sostituzione delle schede consegnate dagli utenti in uscita dall’autostrada con altre schede, indicanti percorsi inferiori, da lui stesso emesse in altre stazioni di entrata, integrava il reato di malversazione (art. 315 c.p.) ed integra attualmente il reato di peculato (art. 314 c.p., modificato dalla L. 26 aprile 1990, n. 86), e non quello di truffa (art. 640 c.p.), in quanto il prius di tale condotta è da ravvisarsi nell’appropriazione e non già nel surrettizio operare per mascherarla.

La fattispecie criminosa prevista dall’art. 315 c.p. — a seguito delle modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. introdotte dalla L. 26 aprile 1990, n. 86 artt. 1 e 20 — è ricompresa tra le ipotesi di reato di cui all’art. 314 c.p. Ai fatti commessi prima delle predette modifiche normative, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, è applicabile l’abrogato art. 315 c.p., in quanto il reato a suo tempo preveduto dalla predetta norma è meno grave sotto il profilo sanzionatorio rispetto a quello preveduto dall’art. 314 c.p., ora vigente. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 13351 del 11 ottobre 1990 (Cass. pen. n. 13351/1990)

Commette peculato il pubblico ufficiale, che, avvalendosi della propria funzione, impiega a scopi privati l’opera di persone addette alla P.A., distogliendole dai compiti istituzionali, in modo che ne derivi un ostacolo al raggiungimento degli scopi perseguiti dall’amministrazione (nel caso di specie un preside aveva adibito alcuni bidelli alla coltivazione di un proprio fondo ed a lavori edilizi nella propria abitazione). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12408 del 17 settembre 1990 (Cass. pen. n. 12408/1990)

Ai fini della configurabilità del peculato, il possesso qualificato dalla ragione d’ufficio o di servizio non è solo quello che rientri nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio: le ragioni di ufficio o di servizio hanno come esclusivo riferimento l’esistenza di un rapporto, fondato anche sulla prassi o su consuetudini invalse in un ufficio determinato, che consenta al pubblico ufficiale o all’incaricato di inserirsi di fatto nel maneggio o disponibilità materiale della cosa, trovando nelle proprie pubbliche funzioni o servizio l’occasione per un tale comportamento. (Nella specie trattavasi di medico specialista ambulatoriale di U.S.L., il quale si era appropriato di moduli di ricettari compilati da altri sanitari e contenenti richieste di esami radiografici, già eseguiti presso le U.S.L. Detti moduli erano stati poi utilizzati nuovamente per prestazioni radiologiche in convenzionamento esterno). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 12092 del 6 settembre 1990 (Cass. pen. n. 12092/1990)

Il denaro con il quale la regione finanzia un corso di addestramento professionale privato, con l’obbligo di rendiconto e di restituzione dei residui di gestione, continua ad essere di proprietà pubblica. Di conseguenza commette il delitto di peculato il dipendente dell’ente che se ne appropria. (Fattispecie in materia di corsi di formazione professionale espletati dall’Enaip). Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11784 del 24 agosto 1990 (Cass. pen. n. 11784/1990)

La R.a.i. Radiotelevisione Italiana, persona giuridica di diritto privato, è una società per azioni di interesse nazionale, concessionaria di un pubblico servizio di preminente interesse generale. In quest’ultimo rientrano non soltanto la gestione, l’esercizio degli impianti e l’attività di diffusione, ma anche l’attività diretta alla predisposizione dei programmi destinati alla trasmissione, escluse le attività commerciali «connesse», le quali non si pongono rispetto al servizio pubblico in rapporto di strumentalità necessaria. Gli amministratori della R.a.i. sono incaricati di pubblico servizio e possono quindi commettere i delitti di peculato o di malversazione secondo la natura giuridica dei fondi oggetto di appropriazione o di distrazione. Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 10 del 24 luglio 1989 (Cass. pen. n. 10/1989)

Ai fini della configurabilità del delitto di peculato il possesso può essere anche mediato e può far capo congiuntamente a più di un pubblico ufficiale, qualora le norme interne dell’ente pubblico prevedano che l’atto dispositivo sia posto in essere con il concorso di più organi. Sicché risponde di peculato e non di truffa il pubblico ufficiale che, avendo insieme con altri il possesso del pubblico danaro, compia la parte dell’atto dispositivo di sua competenza e così consegue attraverso i concorrenti atti di disposizione degli altri compossessori, la disponibilità del danaro. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 8116 del 18 luglio 1988 (Cass. pen. n. 6355/1988)

In tema di peculato, la nozione di possesso considerata nell’art. 314 c.p. va intesa nel duplice significato di materiale detenzione o di disponibilità giuridica dei beni materialmente detenuti da altri, dei quali l’agente possa conseguire la consegna mediante un atto dispositivo di sua competenza. Il possesso del danaro o della cosa appartenente alla pubblica amministrazione è poi connaturato alla specifica investitura (organico – funzionale, ovvero occasionale) ricoperta dall’imputato. Pertanto, l’indagine diretta ad accertarne la sussistenza deve essere condotta in due direzioni: l’una sul rapporto fra l’imputato e la cosa o il danaro appartenente alla pubblica amministrazione, l’altra sul rapporto che lega l’autore del fatto all’ufficio o al servizio pubblico così da individuare i reali e legittimi poteri dispositivi, ovvero di vigilanza e di controllo secondo l’assetto normativo dell’ufficio o del servizio interessato nel caso concreto. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 6355 del 27 maggio 1988 (Cass. pen. n. 6355/1988)

Nel delitto di peculato — così come nelle ipotesi di truffa e di appropriazione indebita — il luogo del commesso reato è quello in cui si realizza in concreto il profitto. Pertanto ove le ipotesi criminose vengano commesse utilizzando lo schema delle aperture di credito o affidamenti bancari, il luogo del commesso delitto è quello in cui le somme sono state effettivamente erogate e utilizzate dal terzo e non quello, eventualmente diverso, in cui sia stata deliberata la concessione del «fido». Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3441 del 18 gennaio 1988 (Cass. pen. n. 3441/1988)

L’errore del pubblico ufficiale circa la propria facoltà di disposizione del pubblico danaro per fini diversi da quelli istituzionali non ha alcuna efficacia scriminante, perché, per quanto la destinazione del pubblico danaro sia fissata da una norma amministrativa, tale norma deve intendersi richiamata dalla norma penale, della quale integra il contenuto. Pertanto, l’illegittimo mutamento di tale destinazione, anche se compiuto dall’agente per ignoranza sui limiti dei propri poteri, non si risolve in un errore di fatto su legge diversa da quella penale, ma costituisce errore o ignoranza sulla legge penale e, come tale, non vale ad escludere l’elemento soggettivo del reato di peculato. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11451 del 10 novembre 1987 (Cass. pen. n. 11451/1987)

Ai fini della configurabilità del concorso nel delitto di peculato la pura e semplice «raccomandazione», non accompagnata da fattori decisivi non può avere mai efficacia determinante sul soggetto che la riceve il quale resta libero di aderirvi o meno secondo il suo discrezionale e personale apprezzamento in ordine alla commissione del fatto raccomandato. Né, in tal caso, è ipotizzabile un concorso morale perché la semplice «raccomandazione» o la mera «segnalazione», in assenza di ulteriori comportamenti positivi o coattivi, restano come fatti a sé stanti, aventi soltanto una relazione ma non un’efficacia causativa sulle loro conseguenze eventuali. Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 9930 del 29 ottobre 1985 (Cass. pen. n. 9930/1985)

Nel delitto previsto dall’art. 314 c.p. è configurabile il concorso con il pubblico ufficiale dell’estraneo alla pubblica amministrazione sia nella veste di istigatore o determinatore, sia sotto forma di cooperatore nell’esecuzione dell’attività criminosa, sia come soggetto che svolga la sua attività, indirizzandola al rafforzamento della volontà criminosa dell’agente od anche all’apprestamento di un aiuto alla volontà antigiuridica di quest’ultimo. Per aversi concorso di persone nel reato è necessario che i partecipi siano consapevoli della situazione di fatto in cui operano, vogliano conseguire e contribuiscano ciascuno per la propria parte alla realizzazione del medesimo evento antigiuridico, sia determinando altri a commettere il reato, sia cooperando materialmente nell’esecuzione della tipica condotta criminosa, sia istigando moralmente gli altri a specificatamente delinquere. Pertanto, l’attività del soggetto estraneo alla pubblica amministrazione, se si concreta e si esaurisce nella richiesta, prima, e nella ricezione, poi, di somme di danaro da parte del pubblico ufficiale, che le abbia deliberate, peraltro irregolarmente, non è sussumibile sotto l’ipotesi di cui al combinato disposto degli artt. 110 e 314 c.p. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2005 del 18 ottobre 1980 (Cass. pen. n. 2005/1980)

Istituti giuridici

Novità giuridiche