Il reato di possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio in luoghi militari o in loro prossimità, di cui all’art. 260, primo comma, n. 2, c.p. consiste nella volontà cosciente di detenere i suddetti mezzi per servirsene per un uso non consentito dalla legge e presupposto di tale reato è proprio la mancanza o la insufficienza della prova che il soggetto abbia agito a scopo di spionaggio perché, altrimenti, sussisterebbe il tentativo del delitto di spionaggio. Infatti, la disposizione di cui all’art. 260, primo comma, n. 2 c.p. mira a reprimere alcuni contegni sospetti che si presentano oggettivamente idonei all’acquisizione di notizie segrete o riservate, di cui sia vietata la divulgazione, e punisce la oggettività di tale situazione di fatto per la pericolosità in essa insita, nonostante non risulti dimostrato che l’agente abbia inteso procurarsi notizie segrete o riservate. (Nella specie, dimostrato che gli imputati avevano eseguito riprese televisive dell’interno della base missilistica di Comiso senza autorizzazione e con la consapevolezza di non poter riprendere la zona, la S.C. ha ritenuto ingiustificato il possesso dei mezzi da loro detenuti e sussistente anche l’elemento intenzionale). Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 5262 del 30 aprile 1988 (Cass. pen. n. 5262/1988)
Col termine «colto in possesso ingiustificato» usato nell’art. 260, n. 2, c.p., si è inteso fare riferimento alla detenzione materiale degli strumenti, collegata ad un rapporto di attualità e di immediatezza con le persone, essendo indubbio che la immediata disponibilità materiale di tali mezzi idonei allo spionaggio pone l’agente nella possibilità di servirsene per un uso vietato dalla legge, come quella di ritrarre fotografie della zona soggetta a controllo militare, che deve invece essere mantenuta segreta. Il solo fatto quindi che i mezzi siano detenuti per ragione di servizio, di ufficio, di mestiere, non vale di per sé a giustificare il possesso se di essi si faccia o s’intenda fare un uso non consentito dalla legge. L’art. 260, n. 2, c.p., intende reprimere in modo autonomo fatti nei quali si ravvisano «indizi» di una possibile attività spionistica, che di per sé non possono integrare gli estremi di un tentativo di spionaggio, giacché i mezzi possono servire anche per finalità diverse dallo spionaggio; cioè per diletto turistico, per ragioni di studio, di collezione. In questi casi, poiché l’uso di mezzi al fine di ritrarre fotografie nella zona militare pone pur sempre l’agente nella possibilità di conoscere, sia pure per ragioni diverse dallo spionaggio, il segreto militare (che la norma vuole sia tutelato nell’interesse dello Stato), il loro possesso deve ritenersi non giustificato, costituendo esso un pericolo, a meno che l’agente non dia la prova di essere stato autorizzato dalle autorità competenti a ritrarre fotografie o cineriprese della zona stessa, ovvero la prova positiva dell’uso legittimo, che di tali mezzi si vuole fare o immediatamente prima si sia fatto, non risulti aliunde dagli atti processuali. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1821 del 22 novembre 1965 (Cass. pen. n. 1821/1965)