Art. 35 – Codice delle pari opportunità tra uomo e donna

(D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198 - aggiornato alla legge 05.11.2021, n. 162)

Divieto di licenziamento per causa di matrimonio

Art. 35 - codice delle pari opportunità tra uomo e donna

1. Le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non apposte.
2. Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio.
3. Salvo quanto previsto dal comma 5, si presume che il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio.
4. Sono nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di cui al comma 3, salvo che siano dalla medesima confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro.
5. Al datore di lavoro è data facoltà di provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo di cui al comma 3, è stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:
a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
6. Con il provvedimento che dichiara la nullità dei licenziamenti di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 è disposta la corresponsione, a favore della lavoratrice allontanata dal lavoro, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in servizio.
7. La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere dal contratto, ha diritto al trattamento previsto per le dimissioni per giusta causa, ferma restando la corresponsione della retribuzione fino alla data del recesso.
8. A tale scopo il recesso deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell’invito.
9. Le disposizioni precedenti si applicano sia alle lavoratrici dipendenti da imprese private di qualsiasi genere, escluse quelle addette ai servizi familiari e domestici, sia a quelle dipendenti da enti pubblici, salve le clausole di miglior favore previste per le lavoratrici nei contratti collettivi ed individuali di lavoro e nelle disposizioni legislative e regolamentari.

Art. 35 - Codice delle pari opportunità tra uomo e donna

1. Le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non apposte.
2. Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio.
3. Salvo quanto previsto dal comma 5, si presume che il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio.
4. Sono nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di cui al comma 3, salvo che siano dalla medesima confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro.
5. Al datore di lavoro è data facoltà di provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo di cui al comma 3, è stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:
a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
6. Con il provvedimento che dichiara la nullità dei licenziamenti di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 è disposta la corresponsione, a favore della lavoratrice allontanata dal lavoro, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in servizio.
7. La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere dal contratto, ha diritto al trattamento previsto per le dimissioni per giusta causa, ferma restando la corresponsione della retribuzione fino alla data del recesso.
8. A tale scopo il recesso deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell’invito.
9. Le disposizioni precedenti si applicano sia alle lavoratrici dipendenti da imprese private di qualsiasi genere, escluse quelle addette ai servizi familiari e domestici, sia a quelle dipendenti da enti pubblici, salve le clausole di miglior favore previste per le lavoratrici nei contratti collettivi ed individuali di lavoro e nelle disposizioni legislative e regolamentari.

Note

legge 9 gennaio 1963, n. 7, articoli 1, 2 e 6

Massime

In tema di divieto di licenziamento per causa di matrimonio, la limitazione alle sole lavoratrici madri della nullità prevista dall’art. 35 del d.lgs. n. 198 del 2006 non ha natura discriminatoria, in quanto la diversità di trattamento non trova la sua giustificazione nel genere del soggetto che presta l’attività lavorativa, ma è coerente con la realtà sociale, che ha reso necessarie misure legislative volte a garantire alla donna la possibilità di coniugare il diritto al lavoro con la propria vita coniugale e familiare, ed è fondata su una pluralità di principi costituzionali posti a tutela dei diritti della donna lavoratrice. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 28926 del 12 novembre 2018 (cass. pen. n. 28926/2018)

In tema di nullità del licenziamento a causa di matrimonio, tra le ipotesi tassative di deroga al divieto di licenziamento contemplate dall’art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 198 del 2006, quella di cui alla lett. b), relativa alla “cessazione dell’attività dell’azienda cui la lavoratrice è addetta”, non è assimilabile alle ragioni di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale idonee a determinare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, fermo restando che, ove ricorra l’ipotesi della deroga, nessun onere grava sulla lavoratrice diretto a dimostrare l’esistenza di una residua possibilità occupazionale all’interno dell’azienda. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 18325 del 19 settembre 2016 (cass. pen. n. 18325/2016)

In tema di divieto di licenziamento a causa di matrimonio, la presunzione legale di cui all’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 198 del 2006, in cui è stato trasfuso l’art. 1, comma 3, della l. n. 7 del 1963, è collegata ad una tipica forma legale di pubblicità-notizia costituita dal compimento delle formalità preliminari al matrimonio previste dagli artt. 93 e segg. c.c., alle quali non sono equipollenti le pubblicazioni per il matrimonio canonico, atteso che quelle civili sono prescritte anche per il matrimonio concordatario. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 9467 del 10 maggio 2016 (cass. pen. n. 9467/2016)

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