La presentazione al P.M. dell’istanza di misura alternativa alla detenzione in pendenza della sospensione ex art.656, comma quinto, c.p.p.dell’esecuzione della pena detentiva, può avvenire o mediante materiale deposito dell’atto nella segreteria della Procura della Repubblica o mediante spedizione a mezzo del servizio postale, essendo tuttavia essenziale che essa pervenga alla segreteria stessa entro il termine di trenta giorni, pena la cessazione della sospensione provvisoria suddetta. (In motivazione la Corte ha sottolineato l’inapplicabilità alla disciplina in oggetto della disposizione dettata dall’art. 583 c.p.p. per il deposito degli atti di impugnazione). Cass. pen. sez. I 24 aprile 2013, n. 18441
Il divieto di sospensione dell’esecuzione della pena previsto dall’art. 656, comma nono, c.p.p. non è applicabile nel caso di condanna per l’ipotesi attenuata del delitto di violenza sessuale, di cui all’art. 609 bis, ultimo comma, c.p.. Cass. pen. sez. I 19 marzo 2012, n. 10537
Non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione di condanna inflitta per il delitto di violenza sessuale ai sensi dell’art. 656, comma nono, c.p.p. neanche ove sia stata riconosciuta la circostanza attenuante della minore gravità del fatto prevista dal comma terzo dell’art. 609 bis c.p.in quanto la deroga prevista per quest’ultima ipotesi dall’ultima parte dell’art. 4 bis, comma primo “quater”, della legge 26 luglio 1975 n. 354 (cosiddetto ordinamento penitenziario) riguarda solo l’accesso ai benefici penitenziari. Cass. pen. sez. I 27 luglio 2010, n. 29384
Il divieto di procedere alla sospensione dell’esecuzione di una pena detentiva breve, previsto dall’art. 656, comma nono, c.p.p.come modificato dalla L. n. 251 del 2005, non opera quando la recidiva prevista dall’art. 99, comma quarto, c.p.sia stata ritenuta in una sentenza diversa da quella in esecuzione. Cass. pen. sez. I 27 febbraio 2007, n. 8152
Il divieto di sospensione dell’esecuzione previsto dall’art. 656, nono comma, lett. a), per il caso di condanna per taluno dei delitti di cui all’art. 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (c.d. Ordinamento penitenziario), non opera quando, trattandosi di delitti indicati in detta seconda disposizione soltanto come reati-fine di un’associazione per delinquere, non vi sia stata condanna per quest’ultimo reato (principio affermato, nella specie, con riguardo a condanna per il solo delitto di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p.facente parte, prima della modifica dell’art. 4 bis cit. ad opera dell’art. 15 della legge 6 febbraio 2006, n. 38, di quelli indicati unicamente come reati-fine di un’associazione per delinquere). Cass. pen. Sezioni Unite 30 maggio 2006, n. 24561
Le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno carattere di norme penali sostanziali e pertanto (in assenza di una specifica disciplina transitoria), soggiacciono al principio tempus regit actum, e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall’art. 2 c.p.e dall’art. 25 della Costituzione. (In applicazione di tale principio, le Sezioni Unite hanno ritenuto che, in un caso in cui vi era stata condanna per il delitto di violenza sessuale, la sopravvenuta inclusione di tale delitto, per effetto dell’art. 15 della legge 6 febbraio 2006, n. 38, tra quelli previsti dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario in quanto tali, e non pisoltanto come reati-fine di un’associazione per delinquere, comportasse l’operatività, altrimenti esclusa, dal divieto della sospensione dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 656, nono comma, lett. a), c.p.p. non essendo ancora esaurito il relativo procedimento esecutivo al momento dell’entrata in vigore della novella legislativa). Cass. pen. Sezioni Unite 30 maggio 2006, n. 24561
L’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p.ove si stabilisce il divieto di sospensione dell’esecuzione delle pene detentive brevi nel caso di condanna per taluno dei delitti indicati nell’art. 4 bis della legge n. 354/1975 (c.d. «Ordinamento penitenziario»), tra i quali figura quello di associazione per delinquere finalizzata al compimento di determinati reati, va interpretato, con riguardo a tale ultima ipotesi, nel senso che il divieto non opera quando la condanna sia stata soltanto per taluno di tali reati (nella specie, quello di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p.), e non per quello associativo. Cass. pen. sez. I 20 ottobre 2005, n. 38602
In tema di esecuzione, il termine perentorio di trenta giorni ai fini della presentazione dell’istanza per la concessione della misura alternativa alla detenzione decorre – a seguito delle modi.che dell’art. 656, comma 5, c.p.p. per effetto del D.L. n. 341 del 2000, conv. dalla legge n. 4 del 2001 – dalla valida notifica dell’ordine di esecuzione e del decreto di sospensione al condannato ed al difensore. Ne consegue che è nulla ed improduttiva di effetti la notifica dei suddetti provvedimenti al condannato presso lo studio professionale del difensore, ancorché il condannato abbia ivi eletto domicilio nel procedimento di cognizione in quanto detta elezione vale per ogni stato e grado del giudizio ma dopo la sua conclusione, con la pronuncia della sentenza irrevocabile, cessa di avere efficacia e non è più utilizzabile per la fase esecutiva. Cass. pen. sez. IV 25 ottobre 2002, n. 35979
In tema di esecuzione delle pene brevi, dovendo trovare applicazione il principio della scindibilità del cumulo ogniqualvolta da essa possano derivare conseguenze favorevoli per il condannato, deve ritenersi che il divieto di sospensione dell’esecuzione sancito dall’art. 656, comma 9, lett. a) c.p.p. nel caso di condanna per taluno dei delitti di cui all’art. 4 bis ord. pen.non operi, in presenza di una condanna per delitti uniti per continuazione, allorché la pena residua da espiare sia riferibile soltanto a reato non compreso fra quelli di cui al citato art. 4 bis ord. pen. Cass. pen. sez. I 7 giugno 2002, n. 22479 .
In tema di esecuzione, quando la condanna sia stata inflitta per taluno dei delitti di cui all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, il divieto di sospensione previsto dall’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. deve ritenersi operante anche se il condannato si trovi agli arresti domiciliari, dovendosi considerare il suddetto divieto come preclusivo anche della sospensione prevista dal successivo comma 10 dello stesso art. 656 per i condannati che si trovino agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire. Cass. pen. sez. II 11 ottobre 2001, n. 36764
L’annullamento dell’ordine di carcerazione da parte del giudice dell’esecuzione non può trovare giustificazione nella circostanza che la pena, rideterminata a seguito della ritenuta continuazione a norma dell’art. 671 c.p.p.sia stata ridotta nei limiti previsti dall’art. 656, comma quinto, stesso codice. E invero la rideterminazione della pena comporta solo l’obbligo di comunicazione all’istituto di detenzione della nuova data di scadenza della pena, ma non può avere come conseguenza l’annullamento di un ordine di carcerazione legittimamente emesso, la sospensione della cui esecuzione può avvenire esclusivamente, ricorrendone i presupposti, a seguito di richiesta di misure alternative alla detenzione. Cass. pen. sez. I 19 maggio 2000, n. 2349
La disciplina dettata dall’art. 656, comma 10, c.p.p. (secondo cui, sussistendo le condizioni indicate nel precedente comma 5, qualora il condannato si trovi agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, il pubblico ministero sospende l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmette gli atti al tribunale di sorveglianza per l’eventuale concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare), non può trovare applicazione nel caso in cui la pena da eseguire sia cumulata con altre; e ciò senza che in contrario possa invocarsi il principio della scindibilità del cumulo ogni qual volta possa da ciò derivare un vantaggio per il condannato, atteso che la sospensione dell’ordine di carcerazione, ai sensi della disposizione normativa sopra citata, è funzionalmente preordinata al possibile conseguimento di una misura alternativa alla detenzione, e una tale misura non può operare su una soltanto delle pene concorrenti, ma esclusivamente sulla pena unica determinata sulla base di tutti i titoli contemporaneamente esecutivi nei confronti del medesimo soggetto. Cass. pen. sez. I 6 maggio 2000, n. 440
Non spetta né al pubblico ministero competente all’emissione dell’ordine di carcerazione per delitti di cui all’art. 4 bis ord. pen.né al giudice dell’esecuzione davanti al quale sia stato proposto incidente, la valutazione, ai fini della sospensione dell’esecuzione, della sussistenza o meno dei requisiti richiesti dalla legge per l’ammissione in via di eccezione del condannato ai benefici penitenziari, essendo tale compito riservato esclusivamente al tribunale di sorveglianza e dovendo l’organo dell’esecuzione limitarsi alla mera constatazione della presenza dei titoli ostativi alla sospensione. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato la decisione del giudice dell’esecuzione il quale, investito dell’incidente avverso il provvedimento del pubblico ministero che aveva negato la sospensione dell’esecuzione a condannato per uno dei delitti di cui all’art. 4 bis ord. pen.aveva concesso la sospensione medesima sul presupposto dell’assenza di collegamenti del reo con la criminalità organizzata). Cass. pen. sez. II 5 maggio 2000, n. 1443
Il termine di trenta giorni concesso al condannato per la presentazione dell’istanza volta ad ottenere una delle misure alternative alla detenzione, così come disposto nel quinto comma dell’art. 656 c.p.p.ha natura processuale. Ne consegue che si applicano le disposizioni in tema di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. Cass. pen. sez. II 19 ottobre 1999, n. 3933
Allorché rilevi l’esecutività di una condanna a pena detentiva, il P.M. è tenuto ad emettere immediatamente ordine di carcerazione, e, quando esistano o sopravvengano più condanne per reati diversi, è tenuto altresì a determinare la pena complessiva, in ossequio a quanto dispongono le norme del codice penale. Ne consegue che, anche in caso di concorso di pene detentive brevi, ciascuna delle quali, singolarmente considerata, darebbe luogo a sospensione del provvedimento di carcerazione in vista della possibile applicazione di benefici penitenziari, non viene meno l’obbligo di provvedere al cumulo, con l’ulteriore conseguenza che, unificata la pena, ove questa risulti superiore ai limiti di legge cui è subordinata la concessione delle misure alternative richiedibili, la sospensione dell’esecuzione prevista dall’art. 656 c.p.p.come modificato dalla L. n. 165 del 1998 non può essere più disposta. Cass. pen. sez. I 27 luglio 1999, n. 3007
Poiché l’ordine di carcerazione non deve essere notificato al condannato, ma deve essere eseguito, sono inammissibili tanto censure di nullità della notifica dell’ordine stesso, quanto quelle relative alla violazione dell’art. 656 comma 2 c.p.p. nel testo anteriore alle modi.che introdotte con l’art. 1 della legge 27 maggio 1998 n. 865. Invero, da un lato, la prescritta consegna di copia all’interessato al momento dell’esecuzione è unicamente diretta a mettere il soggetto in grado di attivare tempestivamente le eventuali questioni sul titolo e le altre previste dagli articoli 667 e seguenti del c.p.p.; dall’altro, per il principio di tassatività delle nullità, l’omissione della prevista ingiunzione all’interessato di costituirsi in carcere, in caso di condanna a pena detentiva non superiore a mesi sei, è sfornita di sanzioni e non comporta alcuna conseguenza. Cass. pen. sez. V 18 maggio 1999, n. 1739
L’omessa notificazione dell’ingiunzione a costituirsi in carcere, o l’omessa rinnovazione della notificazione, non è causa di nullità dell’ordine di esecuzione della pena detentiva, perché non sancita dal codice di rito. La particolare procedura prevista dall’art. 656, comma secondo, c.p.p. per l’esecuzione della pena detentiva non riguarda infatti la libertà personale, ma esclusivamente le modalità attraverso le quali il condannato deve esser ristretto in carcere per espiare la pena a lui inflitta. Cass. pen. sez. III 26 gennaio 1999, n. 3250
Una volta che il giudice dell’esecuzione abbia sospeso, per un termine non inferiore a quello di cinque giorni previsto dall’art. 656, comma secondo, c.p.p.l’esecuzione dell’ordine di carcerazione non preceduto dall’intimazione a costituirsi in carcere, viene meno qualsiasi interesse del condannato a far valere la nullità dell’ordine medesimo perché emesso in luogo dell’ingiunzione stessa. Cass. pen. Sezioni Unite 25 luglio 1995, n. 13
La prosecuzione degli arresti domiciliari, a seguito del passaggio in giudicato della condanna ed in costanza della sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 656, comma decimo, c.p.p. non preclude la misura alternativa dell’espulsione ex art. 5 d.l.vo n. 286 del 1998. Cass. pen. sez. I 3 gennaio 2013, n. 104
Anche l’ordine di esecuzione della pena emanato ai sensi dell’art. 656 c.p.p. è soggetto alle disposizioni di cui all’art. 143 stesso codice in materia di traduzione degli atti destinati allo straniero che non conosca la lingua italiana. La traduzione non è però necessaria se dagli atti del procedimento di cognizione risulta che lo straniero capiva la lingua italiana. Cass. pen. sez. VI 27 maggio 1995, n. 843
Non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva irrogata per il delitto di violenza sessuale, ai sensi dell’art. 656, comma nono, c.p.p.che, a tal fine, richiama le fattispecie indicate dall’art. 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, mediante un rinvio formale, il quale recepisce tutte le modi.che incidenti nel tempo su quest’ultima disposizione. Cass. pen. sez. IV 7 novembre 2012, n. 43117
La richiesta di misura alternativa alla detenzione, ai sensi dell’art. 656, comma sesto, c.p.p.deve essere corredata, a pena di inammissibilità, anche se presentata dal difensore, dalla dichiarazione o dalla elezione di domicilio effettuata dal condannato non detenuto. (In motivazione la Corte ha chiarito che il principio non trova applicazione per il condannato latitante o irreperibile) Cass. pen. Sezioni Unite 19 maggio 2010, n.18775
Ai fini della deroga al divieto di sospensione dell’esecuzione della pena stabilita per i recidivi reiterati dall’art. 656, comma nono, lett. c), c.p.p.in favore dei condannati tossicodipendenti o alcoldipendenti che abbiano in corso, al momento del deposito della sentenza definitiva, un programma terapeutico di recupero presso i servizi pubblici per l’assistenza ai tossicodipendenti, per sentenza definitiva deve intendersi quella della Corte di cassazione per effetto della quale la condanna sia divenuta irrevocabile. Cass. pen. sez. I 27 gennaio 2010, n. 3486
La sospensione dell’esecuzione di condanna inflitta per il delitto di atti sessuali con minorenne previsto dall’art. 609-quater c.p. non può essere disposta ai sensi dell’art. 656, comma nono, c.p.p. neanche ove sia stata riconosciuta la circostanza attenuante speciale prevista dal comma quarto della citata disposizione, in quanto la concessione di benefici penitenziari ai condannati per tale delitto è subordinata all’osservazione scientifica e collegiale della personalità condotta per almeno un anno. (Nell’enunciare il principio di cui in massima, la Corte ha anche ritenuto manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 27 Cost.la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis L. 26 luglio 1975 354, come modificato dalla L. 23 aprile 2009 n. 38, nella parte in cui irrazionalmente discriminerebbe, quanto all’accesso ai benefici penitenziari, i condannati “ex” art. 609-bis e quelli “ex” art. 609-quater c.p. cui sia stata egualmente concessa l’attenuante della minore gravità del fatto) Cass. pen. sez. I 30 ottobre 2009, n. 41958
L’ordine di esecuzione, emesso dal pubblico ministero senza il contestuale provvedimento di sospensione per pene detentive brevi, non può essere annullato dal giudice dell’esecuzione ma esclusivamente dichiarato temporaneamente inefficace, per consentire al condannato di presentare, nel termine di trenta giorni, la richiesta di concessione di una misura alternativa alla detenzione. Cass. pen. sez. I 29 ottobre 2009, n. 41592
Il pubblico ministero, nell’emettere l’ordine di esecuzione per pena detentiva e ai fini della determinazione della pena ancora da espiare, deve tenere conto del beneficio dell’indulto, anche se non ancora concesso dal giudice dell’esecuzione. Cass. pen. sez. I 20 ottobre 2009, n. 40548
La sospensione automatica dell’esecuzione delle pene detentive brevi è da escludere quando il condannato sia già detenuto in espiazione di altra pena, mentre deve aver luogo, alla stregua del letterale tenore dell’art. 656, comma 9, lett. b), c.p.p.quando egli si trovi in stato di custodia cautelare per fatto diverso da quello per il quale è sopravvenuta la condanna definitiva. Cass. pen. sez. I 22 settembre 2004, n. 37174
In tema di benefici penitenziari, lo stato di custodia cautelare per causa diversa da quella relativa al titolo da eseguire non è ostativo all’ammissione del condannato a misura alternativa alla detenzione, dovendosi valutare nel merito l’istanza dell’interessato e la compatibilità tra la misura cautelare in atto ed il beneficio richiesto. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza che aveva ritenuto inammissibile la richiesta di affidamento in prova proposta da persona sottoposta a misura cautelare). Cass. pen. sez. I 15 maggio 2003, n. 21377
La sospensione prevista dall’art. 656, comma 5, c.p.p. non trova applicazione nei confronti dì colui che si trovi già ristretto in carcere in relazione alla medesima sentenza, cui si riferisce l’istanza, in quanto l’esecuzione concerne la pronuncia nella sua interezza e non già i singoli reati oggetto della condanna, neppure se gli stessi non siano stati ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione. Cass. pen. sez. III 17 marzo 2003, n. 12362
In tema di esecuzione di pene detentive, quando il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna, deve essere applicato il decimo comma dell’art. 656 c.p.p. e, nel caso in cui il tribunale di sorveglianza abbia negato l’applicazione della detenzione domiciliare, è preclusa l’operatività della disciplina stabilita dal precedente quinto comma dello stesso articolo, atteso che tale ultima disposizione – che consente la sospensione dell’esecuzione – si applica ai condannati in stato di libertà al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna e la mancata applicazione della detenzione domiciliare esclude implicitamente l’esistenza dei presupposti per l’applicazione di misure alternative meno gravi. (Fattispecie precedente all’entrata in vigore della modifica del decimo comma dell’art. 656 c.p.p. ad opera dell’art. 10 D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito nella L. 19 gennaio 2001, n. 4). Cass. pen. sez. I 26 giugno 2001, n. 25919
In tema di esecuzione di pena detentiva nei confronti di condannato che si trovi agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, l’art. 656, comma 10, c.p.p. (nel testo vigente anteriormente alle modi.che apportate dal decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341, convertito nella legge n. 4 del 2001), che attribuisce al pubblico ministero il potere di sospendere l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e di trasmettere gli atti al tribunale di sorveglianza per l’eventuale concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare, sussistendo le condizioni indicate nel precedente comma 5, non trova applicazione quando ricorrano le condizioni menzionate nel comma 9, e cioè nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’art. 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, atteso che tra le due disposizioni vi è uno stretto collegamento testuale e che l’interpretazione letterale è sorretta anche da una convergente esegesi adeguata al dato costituzionale, pena la lesione dell’art. 3 Cost.riguardo ai detenuti agli arresti domiciliari, rispetto agli imputati a piede libero. (Fattispecie in tema di condanna per l’art. 628, commi 1 e 3, c.p.per la quale è stato escluso il beneficio). Cass. pen. sez. II 9 aprile 2001, n. 14996
Atteso il carattere derogatorio che deve attribuirsi alle disposizioni del comma 9 dell’art. 656 c.p.p. rispetto alla disciplina generale in tema di sospensione dell’esecuzione delle pene detentive brevi contenuta nei commi precedenti, e dovendosi quindi interpretare dette disposizioni con criterio restrittivo, è da escludere che possa essere considerato ostativo alla sospensione il fatto che il condannato si trovi in stato di custodia cautelare in carcere per fatto diverso da quello che forma oggetto della sentenza di condanna da eseguire. Cass. pen. sez. III 3 marzo 2001, n. 8880
Alla luce di una interpretazione complessiva e sistematica della disciplina dettata dall’art. 656 c.p.p. deve ritenersi che la sospensione automatica dell’esecuzione della pena sia esclusa quando il condannato sia già detenuto in espiazione di pena per altro titolo ovvero sia in stato di custodia cautelare in carcere per lo stesso fatto al quale si riferisce la condanna da eseguire, dovendosi invece dar luogo alla suddetta sospensione quando il condannato sia in stato di custodia cautelare per fatto diverso, atteso che in tal caso la sua condizione è equiparabile, ai fini dell’operatività dell’istituto in esame, a quella di chi si trovi in stato di libertà. Cass. pen. sez. VI 28 febbraio 2001, n. 8498
In materia di esecuzione di pene detentive, qualora debba trovare applicazione la disciplina dettata dall’art. 656, comma 10, c.p.p. per il caso del condannato che si trovi già in regime di arresti domiciliari relativamente al fatto oggetto della condanna da eseguire, e sia stata quindi disposta la sospensione dell’esecuzione con trasmissione degli atti al tribunale di sorveglianza ai fini dell’eventuale applicazione della detenzione domiciliare (fermo restando, nel frattempo, lo stato detentivo in atto), i provvedimenti interinali che, nell’attesa della decisione del tribunale di sorveglianza, siano stati adottati dal magistrato di sorveglianza, in forza del richiamo all’art. 47 ter dell’ordinamento penitenziario contenuto nell’ultima parte della citata disposizione normativa, sono da ritenere sottratti ad ogni genere di impugnazione. Cass. pen. sez. I 25 ottobre 2000, n. 4583
Ai sensi dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p.deve escludersi l’operatività della sospensione obbligatoria dell’esecuzione della pena ogni qual volta questa sia stata inflitta per taluno dei delitti previsti dall’art. 4 bis dell’Ordinamento penitenziario; il che trova ragionevole giustificazione – con esclusione, quindi, di ogni dubbio di incostituzionalità – ove si consideri che l’istituto della sospensione obbligatoria si fonda sulla presunzione di una ridotta pericolosità del condannato, quando ricorrano le condizioni di cui al comma 5 del citato art. 656, mentre per i delitti di cui all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario vige l’opposta – se pur relativa – presunzione di pericolosità. Cass. pen. sez. I 24 luglio 2000, n. 2761
Alla stregua del testuale tenore dell’art. 656, comma 9, lett. b), c.p.p.è da escludere che il divieto di disporre la sospensione dell’esecuzione della pena operi, oltre che nel caso, ivi espressamente previsto, di condannato che si trovi in stato di custodia cautelare in carcere «per il fatto oggetto della condanna da eseguire», anche in quello di condannato il cui stato di custodia cautelare sia riferibile ad un fatto diverso. Cass. pen. sez. I 2 ottobre 1999, n. 4476
In tema di esecuzione di pene detentive brevi, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale (v. C. Cost. n. 41 del 2018) dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. il giudice dell’esecuzione ha il dovere di esaminare la domanda del detenuto di sospensione temporanea dell’ordine di esecuzione relativo a pena superiore a tre anni ma inferiore a quattro e, in presenza degli altri presupposti di legge, di provvedere al ripristino della facoltà del medesimo di proporre, da libero, istanza di misura alternativa, con tempestiva sospensione dell’esecuzione, a condizione che analoga istanza di misura alternativa, proposta dopo l’inizio dell’esecuzione della pena cui l’istanza stessa si riferisce, non sia già stata oggetto di decisione da parte del Tribunale di Sorveglianza. Cass. pen. sez. I 20 luglio 2018, n. 34427
In tema di esecuzione di pene detentive brevi, ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione correlata ad un’istanza di affidamento in prova ai servizi sociali ai sensi dell’art. 47, comma 3-bis, ord. pen.il limite edittale cui il pubblico ministero deve fare riferimento per l’emissione dell’ordine di carcerazione ex art. 656, commi 5 e 10, cod. proc. pen. è quello di tre anni, essendo rimessa al Tribunale di sorveglianza ogni valutazione circa l’istanza di affidamento in prova nel caso di pena espianda, anche residua, non superiore ad anni quattro. (In motivazione la Corte ha osservato che l’art. 1, commi 82 e 85, della legge 23 giugno 2017, n. 103, recante “Modi.che al cod. pen. al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”, nel delegare il Governo ad emanare un D.Lgs. di revisione della disciplina concernente le procedure di accesso alle misure alternative, ha ritenuto necessario fissare uno specifico criterio volto a elevare a quattro anni il limite di pena per la sospensione obbligatoria dell’ordine di carcerazione, in tal modo corroborando l’interpretazione dell’art. 656, comma quinto, cod. proc. pen. accolta). Cass. pen. sez. I 15 marzo 2018, n. 11916
Nei confronti del condannato che ha già beneficiato della sospensione dell’esecuzione della pena ex art. 656 c.p.p. e che non ha avanzato la richiesta di misura alternativa, il pubblico ministero deve disporre una ulteriore sospensione dell’esecuzione, quando sussistono le condizioni previste dall’art. 1, L. 26 novembre 2010, n. 199, per consentire al magistrato di sorveglianza di decidere se la pena vada eseguita presso il domicilio. Cass. pen. sez. I 3 febbraio 2015, n. 4971
In tema di misure cautelari, l’irrevocabilità della sentenza di condanna a pena detentiva determina il venir meno della funzione della misura custodiale ed impedisce la rimessione in libertà del condannato garantendo l’esigenza di non creare, anche in caso di sospensione dell’esecuzione disposta ai sensi dell’art. 656, comma 10, cod. proc. pen. una soluzione di continuità tra l’applicazione della misura e l’esecuzione della condanna; ne consegue che è inammissibile l’impugnazione cautelare (nella specie l’appello avverso il rigetto della richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere) in quanto la definitività del titolo esecutivo apre una fase ontologicamente incompatibile con la verifica demandata al tribunale ordinario a fini cautelari. Cass. pen. sez. VI 9 marzo 2018, n. 10786
In tema di esecuzione delle pene brevi, il divieto sancito dall’art. 656, comma nono, lett. a) cod. proc. pen. di sospensione dell’ordine di esecuzione comprendente taluno dei delitti di cui all’art. 4 bis ord. pen. opera anche quando la responsabilità per il reato ostativo sia stata ritenuta a titolo di concorso anomalo, ex art. 116 cod. pen. (In motivazione la Corte ha aggiunto che la configurazione del concorso anomalo come forma di partecipazione dolosa – e non colposa – esclude profili di irragionevolezza che possano postulare l’illegittimità costituzionale degli artt. 656, comma nono, cod. proc. pen.4 bis ord. pen. e 116, cod. pen. in relazione agli artt. 3 e 27, comma primo, Cost.). Cass. pen. sez. I 12 gennaio 2017, n. 1452
Il Tribunale di sorveglianza competente a decidere su richieste di benefici penitenziari avanzate da «collaboratori di giustizia» che abbiano fruito della sospensione obbligatoria dell’esecuzione della pena ai sensi dell’art. 656 c.p.p. va individuato sulla base non del criterio di cui al comma sesto di tale articolo, ma di quello stabilito dalla disposizione speciale di cui all’art. 16 nonies, comma ottavo, D.L. 15 gennaio 1991 n. 8, conv. con modif. in L. 15 marzo 1991 n. 82, e successive modificazioni e integrazioni, in forza del quale deve aversi riguardo al luogo in cui il condannato ha eletto domicilio a norma dell’art. 12, comma terzo bis, del medesimo D.L. Cass. pen. sez. I 17 luglio 2007, n. 28453
La competenza a decidere su richieste di benefici penitenziari avanzate da «collaboratori di giustizia» i quali abbiano titolo a fruire della sospensione obbligatoria dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 656 c.p.p. appartiene al tribunale di sorveglianza da individuarsi in base al criterio stabilito dal comma 6 di detto articolo, non potendo, in tale situazione, trovare applicazione il diverso criterio dettato dall’art. 16 nonies del D.L. 15 gennaio 1991 8, conv. con modif. in legge 15 marzo 1991 n. 82, e successive modificazioni e integrazioni, secondo cui è competente il tribunale di sorveglianza del luogo in cui il condannato ha eletto domicilio a norma dell’art. 12, comma 3 bis, del medesimo D.L. Cass. pen. sez. I 2 febbraio 2006, n. 4383
Il tribunale di sorveglianza competente a decidere su richieste di benefici penitenziari avanzate da «collaboratori di giustizia» i quali abbiano titolo a fruire della sospensione obbligatoria dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 656 c.p.p. va individuato sulla base non del criterio stabilito dal comma 6 di tale articolo ma di quello stabilito dalla speciale disposizione normativa costituita dall’art. 16 nonies, comma 8, del D.L. 15 gennaio 1991 n. 8, conv. con modif. in legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni e integrazioni, secondo cui deve aversi riguardo al luogo in cui il condannato ha eletto domicilio a norma dell’art. 12, comma 3 bis, del medesimo D.L. Cass. pen. sez. I 18 gennaio 2006, n. 1888
La speciale disciplina derogatoria e premiale, prevista in materia di misure alternative alla detenzione dall’art. 13 ter D.L. 15 gennaio 1991 n. 8, convertito in legge 15 marzo 1991 82, per i collaboratori di giustizia, non comporta l’automatico obbligo per il pubblico ministero di sospendere l’esecuzione della pena detentiva, a prescindere dai limiti e dai divieti fissati dall’art. 656, commi quinto e nono, c.p.p.per l’esercizio della relativa potestà sospensiva. (Fattispecie nella quale l’interessato risultava essere stato condannato, per uno dei delitti di cui all’art. 4 bis della legge n. 354 del 1975, alla pena di otto anni di reclusione, onde, a norma dell’art.656, commi quinto e nono, c.p.p. non sussistevano i presupposti per la sospensione dell’esecuzione in attesa della pronuncia del tribunale di sorveglianza sulla domanda di affidamento in prova al servizio sociale proposta). Cass. pen. sez. I 23 maggio 2000, n. 2195
La disposizione di cui al quinto comma dell’art. 656 c.p.p. nella parte in cui consente al pubblico ministero di sospendere l’esecuzione della pena, è norma del tutto eccezionale rispetto al principio generale di immediata esecuzione dei giudicati di condanna stabilito dall’art. 665 c.p.p. Ne deriva che essa è di stretta interpretazione, e non è pertanto consentita la sua applicazione in via estensiva ad ipotesi non espressamente previste. (Nella fattispecie: soggetto escluso per il titolo del reato ma che ha collaborato con l’autorità di polizia o con l’autorità giudiziaria). Cass. pen. sez. V 11 maggio 2000, n. 2517
L’esclusione della sospensione dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. nei confronti di chi sia stato condannato per taluno dei delitti previsti dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, è da ritenere operante anche quando trattisi di soggetto ammesso allo speciale programma di protezione previsto per i «collaboratori di giustizia». La suddetta disposizione normativa non contiene, infatti, alcuna deroga analoga a quella prevista, in favore dei medesimi «collaboratori», con riguardo alla sola fruibilità dei benefici penitenziari, dall’art. 13 ter, comma 1, del D.L. 15 gennaio 1991 n. 8, convertito con modi.che in legge 15 marzo 1991 n. 82, né pu d’altra parte, estendersi la sfera di applicabilità di tale ultima disposizione al di fuori della materia strettamente penitenziaria per la quale essa è stata dettata; materia diversa da quella dell’esecuzione, pur se ad essa funzionalmente collegata. Cass. pen. sez. I 29 marzo 2000, n. 6364
In virtù del principio “tempus regit actum”, il provvedimento di sospensione dell’esecuzione della pena, legittimamente emesso ai sensi dell’art. 656 cod. proc. pen. non può essere revocato per effetto del sopravvenire di una legge (nel caso di specie, la legge 9 gennaio 2019, n. 3) che ampli il catalogo dei reati ostativi alla sospensione di cui all’art. 4bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, anche se il condannato al momento dell’entrata in vigore della legge in questione non aveva ancora avanzato richiesta di misura alternativa. (In motivazione,la Corte ha evidenziato che, dovendosi considerare la sospensione un atto processuale dotato di autonomo rilievo, la legge applicabile “ratione temporis” deve essere individuata in relazione al momento della sua emissione). Cass. pen. sez. I 26 settembre 2019, n. 39609
In tema di esecuzione di pene detentive brevi, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale (v. C. Cost. n. 41 del 2018) dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. il giudice dell’esecuzione ha il dovere di esaminare la domanda del detenuto di sospensione temporanea dell’ordine di esecuzione relativo a pena superiore a tre anni ma inferiore a quattro e, in presenza degli altri presupposti di legge, di provvedere al ripristino della facoltà del medesimo di proporre, da libero, istanza di misura alternativa, con tempestiva sospensione dell’esecuzione, a condizione che analoga istanza di misura alternativa, proposta dopo l’inizio dell’esecuzione della pena cui l’istanza stessa si riferisce, non sia già stata oggetto di decisione da parte del Tribunale di Sorveglianza. Cass. pen. sez. I 18 marzo 2019, n. 11920
Nei confronti del condannato che ha già beneficiato della sospensione dell’esecuzione della pena ex art. 656 cod. proc. pen. e che non ha avanzato la richiesta di misura alternativa, il pubblico ministero deve disporre una ulteriore sospensione dell’esecuzione, quando sussistono le condizioni previste dall’art. 1, legge 26 novembre 2010, n. 199, per consentire al magistrato di sorveglianza di decidere se la pena vada eseguita presso il domicilio. Cass. pen. sez. I 4 aprile 2019, n. 14987
La sospensione dell’esecuzione della pena a norma dell’art. 656 cod. proc. pen. non può essere disposta nei confronti del tossicodipendente o dell’alcooldipendente istante per l’affidamento terapeutico, allorché essa riguardi condanna inflitta per reato ostativo alla sospensione stessa, salvo che, al momento del passaggio in giudicato della sentenza, l’interessato si trovi agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell’art. 89 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e l’interruzione del programma in corso possa pregiudicarne il recupero. Cass. pen. sez. I 16 ottobre 2018, n. 47084
In tema di esecuzione di pene detentive brevi, ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione correlata ad un’istanza di affidamento in prova ai servizi sociali ai sensi dell’art. 47, comma 3-bis, ord. pen.il limite edittale cui il pubblico ministero deve fare riferimento per l’emissione dell’ordine di carcerazione ex art. 656, commi 5 e 10, cod. proc. pen. è quello di tre anni, essendo rimessa al Tribunale di sorveglianza ogni valutazione circa l’istanza di affidamento in prova nel caso di pena espianda, anche residua, non superiore ad anni quattro. (In motivazione la Corte ha precisato che, a seguito della sentenza della C. Cost. n. 41 del 2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. nella parte in cui prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggior pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni, incombe sul giudice dell’esecuzione il dovere di rivalutare i casi ancora pendenti o comunque relativi a situazioni non ancora esaurite). Cass. pen. sez. I 9 marzo 2018, n. 10733
In tema di riconoscimento delle sentenze penali emesse in uno Stato membro dell’Unione ai fini dell’esecuzione delle pene detentive, la sospensione dell’ordine di esecuzione di una pena detentiva breve, prevista dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. non opera nei confronti del condannato che, al momento dell’esecuzione, abbia già scontato una parte della pena nello Stato di condanna. Cass. pen. sez. VI 21 dicembre 2017, n. 57259
Ai fini dell’esecutività di una condanna a pena detentiva, il P.M. è tenuto ad emettere immediatamente ordine di carcerazione e, quando esistano o sopravvengano più condanne per reati diversi, è tenuto altresì a determinare la pena complessiva. Ne consegue che, anche nel caso di concorso di pene detentive brevi, ciascuna delle quali, singolarmente considerata, darebbe luogo a sospensione del provvedimento di carcerazione in vista della possibile applicazione di benefici penitenziari, non viene meno l’obbligo di provvedere al cumulo, con l’ulteriore conseguenza che, unficata la pena, ove questa risulti superiore ai limiti di legge cui è subordinata la concessione delle misure alternative richiedibili, la sospensione dell’esecuzione prevista dall’art. 656 cod. proc. pen. come modificato dalla legge n. 165 del 1998 non può essere pidisposta. Cass. pen. sez. I 22 maggio 2017, n. 25483
La sospensione dell’ordine di esecuzione previsto dall’art. 656 c.p.p.funzionalmente preordinata al possibile conseguimento di una misura alternativa alla detenzione, se già disposta con riguardo ad alcuna delle condanne oggetto di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, non può essere reiterata in relazione a successivo provvedimento che inglobi il precedente, qualora l’istanza di misura alternativa presentata a seguito dell’originaria sospensione sia stata rigettata, a nulla rilevando che la pena complessiva risultante dal cumulo rientri nei limiti previsti per disporre la sospensione. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’art. 656 c.p.p.comma settimo, con l’espressione “stessa condanna” si riferisce anche ad una soltanto delle condanne comprese nel cumulo, poiché questo istituto comporta la contemporanea esecuzione di tutti i titoli esecutivi come se fossero riferibili ad un’unica pronuncia, e, quindi, preclude la separata esecuzione delle singole condanne, al fine di consentire che delle stesse, autonomamente considerate, si possa sospendere l’esecuzione). Cass. pen. sez. I 23 aprile 2015, n. 17045