Art. 599 – Codice di Procedura Penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477 - aggiornato al D.Lgs. 08.11.2021, n. 188)

Decisioni in camera di consiglio con la partecipazione delle parti

Articolo 599 - codice di procedura penale

(2)1. Quando dispone che l’udienza si svolga con la partecipazione delle parti, la corte provvede con le forme previste dall’articolo 127, oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge, quando l’appello ha ad oggetto una sentenza pronunciata a norma dell’articolo 442 o quando ha esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze, o l’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, di pene sostitutive, della sospensione della pena o della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. (3)
2. L’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato che ha manifestato la volontà di comparire (127, 486).
3. Nel caso di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, il giudice assume le prove in camera di consiglio, a norma dell’art. 603, con la necessaria partecipazione del pubblico ministero e dei difensori. Se questi non sono presenti quando è disposta la rinnovazione, il giudice fissa una nuova udienza e dispone che copia del provvedimento sia comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori (148 ss.).
[4. La corte, anche al di fuori dei casi di cui al comma 1, provvede in camera di consiglio altresì quando le parti, nelle forme previste dall’articolo 589, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo] (1).
[5. Il giudice, se ritiene di non potere accogliere, allo stato, la richiesta, ordina la citazione a comparire al dibattimento. In questo caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma possono essere riproposte nel dibattimento] (1).

Articolo 599 - Codice di Procedura Penale

(2)1. Quando dispone che l’udienza si svolga con la partecipazione delle parti, la corte provvede con le forme previste dall’articolo 127, oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge, quando l’appello ha ad oggetto una sentenza pronunciata a norma dell’articolo 442 o quando ha esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze, o l’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, di pene sostitutive, della sospensione della pena o della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. (3)
2. L’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato che ha manifestato la volontà di comparire (127, 486).
3. Nel caso di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, il giudice assume le prove in camera di consiglio, a norma dell’art. 603, con la necessaria partecipazione del pubblico ministero e dei difensori. Se questi non sono presenti quando è disposta la rinnovazione, il giudice fissa una nuova udienza e dispone che copia del provvedimento sia comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori (148 ss.).
[4. La corte, anche al di fuori dei casi di cui al comma 1, provvede in camera di consiglio altresì quando le parti, nelle forme previste dall’articolo 589, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo] (1).
[5. Il giudice, se ritiene di non potere accogliere, allo stato, la richiesta, ordina la citazione a comparire al dibattimento. In questo caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma possono essere riproposte nel dibattimento] (1).

Note

(1) Il presente comma, dapprima sostituito dall’art. 1, L. 19.01.1999, n. 14 (G.U. 30.01.1999, n. 24) è stato successivamente abrogato dall’art. 2, D.L. 23.05.2008, n. 92, con decorrenza dal 27.05.2008, conv., con mod., dalla L. 24.07.2008, n. 125.
(2) La rubrica del presente articolo è stata così modificata dall’art. 34, comma 1, lett. e), D.Lgs. 10.10.2022, n. 150 con decorrenza dal 30.12.2022.
(3) Il presente comma è stato così sostituito dall’art. 34, comma 1, lett. e), D.Lgs. 10.10.2022, n. 150 con decorrenza dal 30.12.2022, così come modificato dall’art. 5 terdecies, comma 2, D.L. 31.10.2022, n. 162, così come inserito dall’allegato alla legge di conversione, L. 30.12.2022, n. 199 con decorrenza dal 31.12.2022.

Massime

In tema di giudizio di appello, una volta che l’imputato lamenti con l’atto di gravame la mancanza di prova in ordine alla sussistenza in uno o più elementi costitutivi del reato, nessun rilievo può avere il fatto che, nel corso del giudizio di primo grado, detta mancanza di prova non sia stata espressamente contestata dall’imputato, nessuna preclusione in tal senso prevedendo le norme (ferma restando, ovviamente, la necessità di impugnare il relativo punto della sentenza), e non essendo previsto, nell’ordinamento processuale penale, un onere probatorio a carico dell’imputato modellato sui principi propri del processo civile. (Fattispecie di omesso versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti ­di cui all’art.10-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000 nel testo vigente prima delle modi.che apportate dall’art.7 del D.Lgs. n. 158 del 2015 che ha esteso la penale rilevanza della condotta, anteriormente limitata alle sole ritenute “certificate”, anche alle ritenute “dovute” sulla base della dichiarazione annuale di sostituto di imposta – nella quale la Corte ha escluso che la mancata contestazione da parte dell’imputato, nel corso del giudizio di primo grado, dell’avvenuto rilascio della certificazione, esonerasse per ciò solo la Pubblica Accusa dall’onere di prova e il giudice dell’appello dal relativo accertamento). Cass. pen. sez. III 3 marzo 2017, n. 10509

Nel giudizio di appello instaurato a seguito dell’impugnazione della sentenza emessa nel giudizio abbreviato l’impedimento a comparire del difensore dell’imputato non può dare luogo al rinvio dell’udienza camerale, in quanto quest’ultima è espressamente disciplinata dagli artt. 599 e 127 cod. proc. pen.con conseguente inapplicabilità dell’art. 420 ter, comma quinto. Cass. pen. sez. VI 20 marzo 2012, n. 10840

Dopo la definizione concordata della pena in appello a norma dell’art. 599, comma quarto, c.p.p. non può essere dedotta l’estinzione del reato per prescrizione, tanto nel caso in cui il relativo termine sia decorso prima della pronuncia del giudice di appello, quanto in quello in cui sia decorso successivamente ad essa. Cass. pen. sez. V 26 gennaio 2010, n. 3391

In tema di definizione concordata della pena in appello, la rinuncia dell’imputato ai motivi di impugnazione ben può ricomprendere anche le doglianze relative alla costituzione di parte civile. Cass. pen. sez. III 3 luglio 2007, n. 25199

Qualora nel giudizio di appello, celebrato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 599, comma secondo, c.p.p.venga presentato un certificato medico che attesti l’assoluto impedimento a comparire dell’imputato, l’udienza deve essere rinviata, dovendosi equiparare la documentazione prodotta ad una manifestazione univoca della volontà di partecipare. Cass. pen. sez. VI 25 gennaio 2007, n. 2811

In tema di patteggiamento in appello, è inammissibile il ricorso in cassazione che deduca la carenza o insufficienza della motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p.allorquando la rinuncia ai motivi in punto di responsabilità comporta, per l’effetto devolutivo, che il giudice sia investito dei soli motivi non rinunciati, che riguardano il regime sanzionatorio; resta comunque in capo al giudice l’obbligo di verificare che non sussistano le condizioni che impongano il proscioglimento dell’imputato, e di tale adempimento ben può daree conto con motivazione sintetica. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che tale requisito sia soddisfatto dalla sentenza che affermi «Non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 129 c.p.p.»). Cass. pen. sez. III 5 dicembre 2006, n. 39952

Nel procedimento che definisce il concordato in appello (art. 599, comma quarto, c.p.p.), la motivazione del giudice sull’assenza dei presupposti che legittimano l’operatività dell’art. 129 c.p.p.analogamente a quanto avviene per il patteggiamento in primo grado, può essere anche implicita o meramente enunciativa, considerato che il giudice può pronunciare sentenza di proscioglimento solo se risultino dagli atti elementi idonei a superare la presunzione di colpevolezza che il legislatore ricollega alla formulazione di una richiesta di applicazione della pena o, comunque, manchi un quadro probatorio idoneo a definire il fatto come reato. Cass. pen. sez. V 5 gennaio 2006, n. 211

L’impedimento del difensore a comparire, mentre può essere causa di rinvio dell’udienza nel giudizio abbreviato di primo grado (sia che questo si svolga in camera di consiglio che in pubblica udienza), in virtù del richiamo operato dall’art. 441, comma primo, c.p.p. alle disposizioni previste per l’udienza preliminare, ivi comprese quelle di cui all’art. 420 ter stesso codice (da riguardarsi come sicuramente compatibili con la natura del giudizio abbreviato), non pu invece, dar luogo a rinvio dell’udienza camerale fissata per la discussione dell’appello, ai sensi del combinato disposto degli artt. 443, comma quarto, e 599 c.p.p.sui quali non hanno inciso, sotto il profilo che qui interessa, nè la legge di riforma del giudizio abbreviato 16 dicembre 1999 n. 479 nè quelle successive, per cui rimane valido il principio secondo cui l’udienza camerale d’appello può essere rinviata, ai sensi del citato art. 599, comma primo(nella parte in cui richiama l’art. 127 c.p.p.) e comma secondo, solo se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato il quale abbia chiesto di essere sentito personalmente o abbia manifestato la volontà di comparire. Cass. pen. sez. V 10 maggio 2004, n. 22308

Per la manifestazione della volontà di comparire all’udienza, di cui al secondo comma dell’art. 599 c.p.p. non è necessaria una richiesta formale di audizione, essendo sufficiente che la volontà sia esternata in qualsiasi modo, purché anteriormente all’inizio dell’udienza della quale si chiede il rinvio. La dichiarazione relativa, una volta effettuata, ancorché per mezzo del difensore (ai sensi del quarto comma dell’art. 100 c.p.p.), per una determinata udienza, conserva i suoi effetti anche per quella cui il procedimento sia eventualmente rinviato a nuovo ruolo, con la conseguenza che, se quest’ultima udienza venga comunque celebrata senza la presenza dell’imputato, deve ritenersi la nullità di tutti gli atti e della sentenza, ai sensi dell’art. 178, lett. c), c.p.p.. (Fattispecie in cui l’imputato, agli arresti domiciliari, non era stato tradotto all’udienza successiva, alla quale era stato rinviato il processo per impedimento a comparire dell’imputato e del difensore, nonostante risultasse presentata istanza di partecipazione al dibattimento, depositata dal difensore). Cass. pen. sez. II 12 marzo 2003, n. 11756

In tema di c.d. «patteggiamento in appello», l’imputato non può riproporre in sede di legittimità questioni, ancorché rilevabili d’ufficio, che abbiano formato oggetto di motivi di appello ai quali, con la richiesta e la successiva definizione del giudizio di appello a norma dell’art. 599, comma 4, c.p.p.ha rinunciato. Cass. pen. sez. VII 15 novembre 2001, n. 40767

In tema di c.d. «patteggiamento in appello», il giudice di appello – nell’accogliere la richiesta avanzata a norma dell’art. 599, comma 4, c.p.p. – non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per taluna delle cause previste dall’art. 129 c.p.p. né sulla insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità della prova, in quanto a causa dell’effetto devolutivo, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di impugnazione, la cognizione del giudice deve limitarsi ai motivi non rinunciati, ed essendovi del resto radicale diversità tra l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti e quello disciplinato dal citato art. 599, comma 4, c.p.p.che non riproduce e non richiama la disposizione dell’art. 444, comma 2, dello stesso codice. Cass. pen. sez. VII 15 novembre 2001, n. 40767

Analogamente a quanto accade per la definizione di procedimento mediante sentenza di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p.anche nel giudizio d’appello definito ai sensi dell’art. 599, comma 4, c.p.p. nel quale le parti abbiano dichiarato di concordare sulla determinazione della pena, il giudice, richiesto di definizione del procedimento mediante sentenza che accolga la proposta concordata, dopo aver escluso sulla base degli atti che debba essere pronunciato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p.in relazione alla fattispecie sottoposta al suo esame, non può nella fase in cui valuta, nelle sue componenti, l’accordo raggiunto dalle parti per l’applicazione della pena, essere restituito nell’esercizio di un potere che ha già consumato; ne consegue che anche l’indicazione nel patto di circostanze attenuanti generiche, vale solo per la determinazione della pena da infliggere in concreto e non già per farne conseguire anche la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, non essendo consentita l’utilizzazione dell’accordo medesimo per finalità incompatibili con il suo contenuto e con gli scopi alla cui realizzazione era preordinato. Cass. pen. sez. VI 23 marzo 2001, n. 20944

Poiché la sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’art. 599, comma quarto, c.p.p.presuppone un giudizio di congruità della pena proposta dalle parti e una valutazione che non può essere considerata meramente confermativa della decisione di primo grado, in caso di c.d. patteggiamento in appello giudice dell’esecuzione è la corte d’appello, alla quale, pertanto, va presentata l’istanza di applicazione della continuazione in executivis. Cass. pen. sez. I 2 giugno 1999, n. 1824

In tema di modi.che apportate dalla legge 19 gennaio 1999 n. 14 all’art. 599 c.p.p.e con riferimento ai compiti della Corte di cassazione previsti nella disciplina transitoria, deve ritenersi che la Corte debba valutare: che il caso sottoposto al proprio esame rientri tra quelli temporalmente previsti dall’art. 3 della legge 14/1999; che la richiesta sia stata tempestivamente presentata nei termini di cui al quarto comma dell’art. 585 c.p.p.; che la parte ricorrente abbia rinunciato a tutti i motivi di gravame ad esclusione di quello relativo alla determinazione della pena; che le parti abbiano concordato la misura della stessa e che la pena indicata non risulti illegale, in ordine sia alla sua specie e quantità correlate al reato cui inerisce, che alla metodologia di determinazione della stessa secondo i criteri indicati dal vigente codice penale. Non è consentita, per contro qualsivoglia valutazione da parte del giudice di legittimità in ordine alla congruità della pena indicata dalle parti, dal momento che un apprezzamento sul punto comporta necessariamente un giudizio sul fatto, riservato in via esclusiva al giudice del merito e non pure a quello di legittimità. Cass. pen. sez. I 19 maggio 1999, n. 6300

Il procedimento di appello celebrato in camera di consiglio è disciplinato dall’art. 127 c.p.p.: ne consegue che, non prevedendo tale norma la presenza obbligatoria delle parti, l’irritualità della notificazione della citazione non produce una nullità assoluta ex art. 179 c.p.p.ma una nullità che, se non tempestivamente dedotta al momento della verifica della regolare costituzione delle parti, è sanata ai sensi dell’art. 184 comma primo, c.p.p. Cass. pen. sez. I 7 giugno 1997, n. 5369

Nel giudizio di appello con il rito camerale di cui all’art. 599 c.p.p.per la limitatezza di tale rito e per la mancanza di dibattimento, che esclude ogni possibilità di contestazione nuova del P.M.la corte di appello ha poteri ben limitati di cognizione e non pu come avviene nel giudizio di appello con il rito ordinario, qualora ritenga che il fatto sia diverso e più grave rispetto all’imputazione, annullare la sentenza di primo grado e trasmettere gli atti al P.M. per quanto di competenza in ordine alla nuova contestazione. Cass. pen. sez. IV 11 novembre 1996, n. 9616

Nell’ipotesi in cui il giudizio in primo grado si sia svolto nella forma del rito abbreviato, l’inosservanza in appello del procedimento in camera di consiglio non può comportare la nullità del giudizio: infatti la celebrazione del medesimo in pubblico dibattimento, con pienezza del più ampio contraddittorio, con comporta alcun pregiudizio del diritto della difesa. Cass. pen. sez. V 6 novembre 1996, n. 9447

Anche nel giudizio abbreviato in fase di appello, l’accertamento dell’imputabilità, quale capacità di intendere e di volere del soggetto, costituisce una verifica doverosa per il giudice, riguardando un presupposto necessario in mancanza del quale nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, e non è, quindi, riconducibile al concetto di acquisizione di nuove prove, per cui esisterebbe la preclusione rappresentata dalla particolarità del rito prescelto, connotato dalla decisione allo stato degli atti. (Nella fattispecie l’imputato aveva sostenuto di essere stato, al momento del fatto, in stato di semiincoscienza dovuto all’etilismo cronico di cui era affetto). Cass. pen. sez. IV 23 maggio 1995, n. 5924

A seguito della sent. 10 ottobre 1990, n. 435 della Corte costituzionale, la corte d’appello provvede in camera di consiglio solo nei casi previsti dall’art. 599, primo commac.p.p. Di conseguenza, non può in appello applicarsi il rito camerale nelle forme dell’art. 127 c.p.p.ove sia stata avanzata richiesta di assoluzione. Infatti l’inosservanza delle prescrizioni relative al rito si traduce nella violazione delle disposizioni concernenti l’intervento e la difesa dell’imputato, che si atteggiano diversamente nella procedura camerale e nel dibattimento, con la conseguente integrazione della nullità di cui agli artt. 178, lett. c) e 471 c.p.p. Cass. pen. sez. V 15 dicembre 1992, n. 11945

Correttamente esprime il proprio dissenso il P.M.ove la parte privata abbia fondato la richiesta di patteggiamento ex art. 599 c.p.p. sull’applicazione della continuazione tra i reati ascritti. Siffatta ipotesi, invero, non figura tra quelle previste dall’art. 599, primo comma c.p.p. che sole consentono il cosiddetto patteggiamento in appello. Cass. pen. sez. V 15 dicembre 1992, n. 11946

A norma dell’art. 589, secondo comma del nuovo codice di procedura penale, la dichiarazione di rinuncia, parziale o totale all’impugnazione può essere fatta personalmente dalla parte privata oppure a mezzo del difensore munito di procura speciale che, ai sensi dell’art. 122, stesso codice, deve, tra l’altro, contenere la determinazione dell’oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce. Ne consegue, pertanto, che è nullo il giudizio di patteggiamento della pena celebratosi ex art. 599, quarto comma del nuovo codice di procedura penale, qualora il difensore dell’appellante abbia patteggiato la pena, rinunciando agli altri motivi di gravame, munito di procura speciale rilasciata dall’imputato non in riferimento al procedimento de quo, ma ad un altro procedimento pure pendente presso lo stesso ufficio e fissato per la stessa udienza dibattimentale. Cass. pen. sez. IV 22 maggio 1992, n. 6117

In tema di decisioni assunte dalla Corte di appello in camera di consiglio (nella specie, impugnazione di sentenza resa all’esito di giudizio abbreviato), il termine a comparire è quello di venti giorni stabilito dall’art. 601 comma 3, cod. proc. pen. dovendosi ritenere che questa norma, per la sua collocazione e per il suo contenuto specifico, disciplini in via generale, quanto agli atti preliminari, lo svolgimento del giudizio di impugnazione, sia per il dibattimento, sia per le forme camerali, riguardando il rinvio all’art. 127 cod. proc. pen.di cui dall’art. 599, comma 1 dello stesso codice, il solo svolgimento dell’udienza camerale e non anche il più breve termine di comparizione. Cass. pen. sez. VI 15 febbraio 2018, n. 7425

È affetta da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all’esito di un giudizio abbreviato non condizionato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all’esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni. (In motivazione, la S.C. ha affermato che la decisione liberatoria di primo grado travalica ogni pretesa esigenza di automatica “simmetria” tra primo e secondo grado di giudizio, imponendo in appello il ricorso al metodo di assunzione della prova caratterizzato da oralità e immediatezza, in quanto incontestabilmente piaf.dabile per l’apprezzamento degli apporti dichiarativi). Cass. pen. Sezioni Unite 14 aprile 2017, n. 18620

Nel giudizio d’appello avverso la sentenza pronunciata all’esito del rito abbreviato la richiesta di partecipazione da parte dell’imputato impedito può essere tratta anche da “facta concludentia” da cui possa desumersi la sua inequivoca manifestazione di volontà di comparire all’udienza camerale. Cass. pen. Sezioni Unite 7 febbraio 2012, n. 4694

Nel giudizio camerale d’appello l’imputato, detenuto o comunque soggetto a misure limitative della libertà personale, ha diritto di richiedere al giudice competente l’autorizzazione a recarsi in udienza o di essere ivi accompagnato o tradotto e, in difetto di quest’ultima o in caso di rigetto della medesima da parte del giudice competente, a fronte della tempestiva richiesta dell’imputato di presenziarvi, v’è l’obbligo del giudice d’appello procedente, a pena di nullità assoluta, di disporne la traduzione, essendo inibita la celebrazione del giudizio in sua assenza. Cass. pen. Sezioni Unite 1 ottobre 2010, n. 35399

La mancata traduzione all’udienza camerale d’appello, perchè non disposta o non eseguita, dell’imputato che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire e che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza. Cass. pen. Sezioni Unite 1 ottobre 2010, n. 35399

L’imputato detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire all’udienza, ha diritto di presenziare al giudizio camerale d’appello avverso la sentenza pronunciata in giudizio abbreviato, anche se ristretto in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice procedente. (In motivazione la Corte, nell’escludere che la richiesta debba rispettare il termine di cinque giorni indicato dall’art. 127, comma secondo, c.p.p.ha precisato che detto principio è conforme ai principi enucleabili dall’art. 111 Cost.dall’art. 6, comma terzo, lett. c), d) ed e), della Cedu, dall’art. 14, comma terzo, lett. d), e) ed f) del Patto internazionale sui diritti civili e politici e da quanto affermato da Corte cost. sent. n. 45 del 1991). Cass. pen. Sezioni Unite 1 ottobre 2010, n. 35399

Nel giudizio camerale d’appello disciplinato dall’art. 599 c.p.p. l’adesione del difensore all’astensione dalle udienze non può costituire causa di rinvio, né sotto il profilo del «legittimo impedimento» né sotto quello (esclusa l’invocabilità del diritto di sciopero) dell’esercizio di un «diritto di libertà» riconducibile, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 171 del 1996, al diritto di associazione di cui all’art. 18 della Costituzione. Cass. pen. sez. VI 7 luglio 2009, n. 27842

E’ legittima la decisione con cui il giudice di appello nel rigettare la richiesta di pena patteggiata, ai sensi dell’art. 599, comma quarto, c.p.p. – formulata nella fase introduttiva del giudizio dal difensore munito di procura speciale, in contumacia dell’imputato ritualmente citato – non disponga il rinvio del dibattimento e una nuova citazione a comparire dell’imputato, in quanto, in tal caso, la previsione di cui all’art. 599, comma quinto, c.p.p. deve essere coordinata con quella di cui all’art. 602, comma secondo, c.p.p.per la quale il giudice, ove non accolga l’istanza di patteggiamento, dispone per la prosecuzione del dibattimento. Cass. pen. sez. V 23 gennaio 2006, n. 2711

In tema di pena concordata tra le parti in sede di appello ai sensi dell’art. 509, comma 4, c.p.p. nell’ipotesi che l’accordo sia subordinato alla concessione della sospensione condizionale della pena al giudice che non ritenga concedibile il beneficio non è consentita altra via se non quella di procedere con le forme ordinarie, senza dar luogo al concordato. (Mass. redaz.). Cass. pen. sez. V 11 ottobre 2005, n. 36638

Nel c.d. «patteggiamento della pena in appello» ai sensi dell’art. 599, comma 4, c.p.p.le parti esercitano il potere dispositivo loro riconosciuto dalla legge, dando vita a un negozio processuale liberamente stipulato che, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato – salva l’ipotesi di illegalità della pena concordata – da chi lo ha promosso o vi ha aderito, mediante proposizione di apposito motivo di ricorso per cassazione. (Mass. redaz.). Cass. pen. sez. II 19 maggio 2005, n. 18996

Non costituisce causa di incompatibilità e di ricusazione il fatto che il giudice, nei confronti di imputati dello stesso reato, abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza d’appello emessa ai sensi dell’art. 599, comma 4, c.p.p. (c.d. «patteggiamento in appello»), quando detta sentenza, secondo quanto ricavabile dalla relativa motivazione, non contenga alcuna valutazione sulla responsabilità di terzi. Cass. pen. sez. V 12 maggio 2004, n. 22689

L’imputato detenuto, in qualunque istituto si trovi ristretto, il quale abbia tempestivamente manifestato la volontà di comparire nel giudizio camerale di appello disciplinato dagli artt. 127 e 599 c.p.p.ha diritto di presenziare all’udienza, sicché ne deve essere disposta ed eseguita la traduzione, a pena di nullità assoluta e insanabile ai sensi degli artt. 178 lett. c) e 179 c.p.p.difettando, in caso contrario, una vocatio in ius idonea ad instaurare validamente il contraddittorio. Cass. pen. sez. II 8 gennaio 2002, n. 209

Attese le profonde differenze tra il c.d. «patteggiamento in appello», previsto dall’art. 599, comma 4, c.p.p. (nel testo novellato dall’art. 1 della legge 19 gennaio 1999 n. 14), e quello ordinario disciplinato dagli artt. 444 ss. c.p.p.è da escludere che nel primo di essi possa trovare applicazione la regola dettata dal terzo comma del citato art. 444 secondo cui il giudice deve respingere la richiesta di applicazione della pena qualora, avendo la parte esplicitamente subordinato la sua efficacia alla concessione della sospensione condizionale, non ritenga di concedere tale beneficio. Il giudice d’appello, quindi, pur quando le parti, oltre ad essersi accordate su di una rideterminazione della pena (con rinuncia agli altri eventuali motivi), abbiano anche avanzato richiesta di sospensione condizionale, può limitarsi a rati.care soltanto l’accordo sulla pena senza concedere il beneficio, fermo restando che tale mancata concessione deve risultare comunque adeguatamente motivata, anche con riguardo al giudizio prognostico richiesto dalla legge. Cass. pen. sez. II 5 aprile 2001, n. 14151

In tema di appello, con riferimento alla decisione assunta in camera di consiglio, il rinvio dell’udienza è possibile solo in presenza di un legittimo impedimento dell’imputato quando questi abbia però manifestato la volontà di comparire. (Sotto quest’ultimo profilo la Corte non ha ritenuto adeguata e sufficiente la mera richiesta di rinvio avanzata dal difensore, poiché in tal modo non si sarebbe espressa in modo incontrovertibile la volontà di comparire da parte dell’imputato). Cass. pen. sez. I 14 gennaio 2000, n. 388

Nel giudizio camerale in grado di appello (art. 599 c.p.p.), l’imputato detenuto in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice che procede non ha diritto di essere presente all’udienza ma pusoltanto richiedere di essere sentito dal magistrato di sorveglianza della circoscrizione del luogo di detenzione; né, per tale audizione, la normativa vigente prevede – al contrario di quanto accade nel procedimento camerale de libertate – che sia dato avviso al difensore: il magistrato di sorveglianza, infatti, si limita a raccogliere le dichiarazioni dell’imputato destinate ad essere successivamente valutate nel giudizio, ed in tale sede il difensore può svolgere eventuali osservazioni e difese. (In applicazione di tale principio la Corte ha rigettato il ricorso con il quale l’imputato aveva dedotto la nullità per non essere stato tradotto in udienza nonostante l’espressa richiesta di presenziarvi e per essere stato sentito dal magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione in assenza del difensore, non avvisato). Cass. pen. sez. II 24 luglio 1999, n. 9563

L’art. 599, comma secondo c.p.p.che disciplina la partecipazione all’udienza camerale dell’imputato che abbia manifestato la sua volontà in tal senso, si colloca in una posizione intermedia tra la stessa disciplina dettata dall’art. 486 cpv. per il rito ordinario e quella stabilita dall’art. 127, comma secondo, per tutti i casi di procedimenti in camera di consiglio e trova la sua spiegazione col fatto che il legislatore ha cercato di contemperare la semplificazione derivante dal rito adottato con l’esigenza di una maggiore tutela del diritto di autodifesa nell’ambito di un giudizio destinato ad accertare nel merito la sussistenza o meno della responsabilità dell’imputato. Cass. pen. sez. VI 1 giugno 1998, n. 6384

La indebita celebrazione del giudizio d’appello nelle forme di cui all’art. 599 c.p.p. anziché in quello dell’udienza pubblica dà luogo, per il combinato disposto di cui agli artt. 598 e 471, comma 1, c.p.p.ad una nullità da qualificarsi, peraltro, come relativa, e quindi soggetta alle previsioni di cui all’art. 182 c.p.p.; ne consegue che detta nullità, se non tempestivamente eccepita dalle parti presenti nel giudizio di appello, non può essere poi dedotta come motivo di ricorso per cassazione. Cass. pen. sez. III 24 febbraio 1998, n. 2368

Poiché a norma dell’art. 599, comma secondo, c.p.p.l’udienza in camera di consiglio è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato che ha manifestato la volontà di comparire, dal dato testuale appare evidente che la richiesta di partecipazione all’udienza deve precedere il momento di allegazione dell’impedimento. La contemporaneità delle richieste, pertanto, contraddice la disposizione di legge. (Nella fattispecie la corte di appello aveva negato il rinvio dell’udienza camerale richiesto dal difensore il quale coevamente aveva asserito verbalmente che l’appellante intendeva partecipare alla stessa ed aveva esibito certificazione medica volta a dimostrare l’impedimento alla realizzazione di tale intento). Cass. pen. sez. IV 20 dicembre 1996, n. 11029

Con riguardo al giudizio d’appello che si svolga nelle forme di cui all’art. 599 c.p.p.l’ipotesi del legittimo impedimento dell’imputato, al fine dell’obbligo del rinvio dell’udienza, rileva ogni qualvolta il predetto abbia manifestato la volontà di comparire: l’estrinsecazione de qua può avvenire anche a mezzo del difensore, in modo non formale, purché univoco. (Fattispecie nella quale il difensore il giorno prima dell’udienza per l’appello avverso sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato aveva richiesto rinvio per legittimo impedimento suo e dell’imputato, allegando certificato di malattia di quest’ultimo. Affermando il principio di cui sopra la Cassazione ha ritenuto che la decisione della corte di appello di considerare irrilevante l’impedimento dell’imputato per ritenuta mancanza della manifestazione della volontà di presenziare all’udienza, avesse realizzato una nullità generale di ordine intermedio riverberantesi sugli atti successivi sino alla sentenza di secondo grado). Cass. pen. sez. VI 12 dicembre 1996, n. 1320

Qualora il giudizio di appello debba svolgersi in camera di consiglio nelle forme previste dall’art. 127 c.p.p.richiamato dall’art. 599 c.p.p.sussiste ipotesi di nullità per mancata presenza del difensore dell’imputato solamente in quanto la stessa sia conseguenza dell’omissione della notifica dell’avviso della data dell’udienza; una volta notificato tale avviso è irrilevante l’assenza del difensore, anche se determinata da legittimo impedimento, essendo questo previsto quale causa di rinvio solo per il dibattimento. Cass. pen. sez. VI 18 settembre 1996, n. 8493

Il mancato rinvio del procedimento di appello, svolgentesi col rito della Camera di consiglio ai sensi dell’art. 599 c.p.p.pur in presenza di un impedimento assoluto del difensore, non costituisce causa di nullità: invero il suddetto procedimento è disciplinato, per espresso richiamo, dall’art. 127 c.p.p. il quale prevede, al comma 3, che il pubblico ministero ed i difensori «sono sentiti se compaiono», escludendo che la presenza del difensore sia obbligatoria. Cass. pen. sez. VI 30 aprile 1996, n. 4420

Anche per la celebrazione del giudizio camerale nelle forme previste dall’art. 599 c.p.p. è necessario, a pena di nullità, notificare all’imputato un formale decreto di citazione e non è sufficiente l’invio di un semplice avviso di fissazione dell’udienza. Le esigenze di semplificazione e di maggiore celerità che caratterizzano il giudizio di appello che si svolge in Camera di consiglio non consentono perdi derogare a tale formalità come si evince dal testo dell’art. 601 che prescrive che la celebrazione in Camera di consiglio sia specificata nel decreto di citazione. Cass. pen. sez. IV 22 aprile 1996, n. 4192

Qualora il processo di appello venga celebrato con il rito camerale ex art. 599 c.p.p.è da ritenere irrituale la lettura del dispositivo in udienza. Poiché tale irritualità non dà luogo a nullità, che è sanzione tassativamente prevista dalla legge, è da escludere che la lettura detta possa considerarsi tamquam non esset. Essa, pertanto, in quanto effettuata, equivale ad una notifica del provvedimento con conseguenze relative alla sola decorrenza dei termini di impugnazione. (Nella fattispecie, il dispositivo della sentenza conclusiva del giudizio di appello svoltosi con il rito camerale era stato letto in udienza alla presenza dell’imputato e del difensore. Costoro, benché la motivazione della sentenza fosse stata depositata entro il termine ordinario di quindici giorni non avevano esercitato il loro diritto di impugnazione entro trenta giorni dalla scadenza del quindicesimo giorno). Cass. pen. sez. IV 13 marzo 1996, n. 241

Nel procedimento camerale disciplinato dall’art. 127 c.p.p. l’interessato detenuto o internato il quale abbia fatto pervenire dichiarazione di rinuncia a comparire ben può validatamente revocare detta dichiarazione, chiedendo di presenziare all’udienza, ma non può pretendere, adducendo nel contempo un legittimo impedimento, che venga disposto il rinvio dell’udienza stessa, quando non abbia provveduto a manifestare la sua nuova volontà in tempo utile per consentire all’autorità giudiziaria competente di disporre la traduzione. Cass. pen. sez. VI 19 luglio 1995, n. 1124

Nel giudizio d’appello, la manifestazione della volontà di non comparire nella udienza camerale (art. 599, comma 2, c.p.p.) è revocabile. Tale revoca – così come la richiesta di essere sentito personalmente – deve essere tempestiva, cioè fatta conoscere in tempo utile per consentire all’autorità giudiziaria competente di disporre ed eseguire la traduzione, al fine di non pregiudicare la sollecita celebrazione del procedimento. L’onere di manifestare tempestivamente la volontà di comparire in udienza è tanto più rigoroso, infatti quando vi sia stata una precedente manifestazione di volontà di segno opposto, in forza della quale l’autorità procedente si sia astenuta dall’adottare qualsiasi provvedimento diretto ad assicurare la presenza del giudicabile in udienza. Cass. pen. sez. VI 19 luglio 1995, n. 8059

Nel caso in cui il processo di appello sia stato trattato, ai sensi dell’art. 599 c.p.p.con il rito camerale disciplinato dalla normativa prevista dall’art. 127 stesso codice in quanto applicabile, il provvedimento terminativo può rivestire non la forma dell’ordinanza bensì quella della sentenza, tra i cui requisiti, peraltro, non vi è quello della lettura del dispositivo in udienza, che è previsto solo per i processi che si svolgono con dibattimento «pubblico» (art. 545 c.p.p.). Cass. pen. sez. VI 26 marzo 1993, n. 3005

Nel caso in cui il provvedimento terminativo del giudizio di appello svoltosi in camera di consiglio ex art. 599 c.p.p. abbia assunto erroneamente la forma dell’ordinanza anziché quella della sentenza, della quale tuttavia contenga tutti i requisiti essenziali, non è ravvisabile alcuna nullità. Cass. pen. sez. I 26 gennaio 1993, n. 708

Il richiamo dell’art. 599, n. 1 alle forme previste dall’art. 127 c.p.p. deve intendersi fatto al procedimento, ma non all’atto conclusivo dello stesso. Ne consegue che il provvedimento con cui il giudice d’appello, decidendo in camera di consiglio, in applicazione dell’art. 599 in relazione al precedente art. 597, n. 5, concede una circostanza attenuante per effetto della quale il reato si estingue per amnistia, deve assumere la forma della sentenza, e non quella dell’ordinanza. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto che la decisione del giudice di merito, pur formalmente qualificata come «ordinanza», potesse essere ritenuta una sentenza, contenendo i requisiti sostanziali della relativa pronuncia nel merito, e pertanto non era accolto – su tale rilievo – il ricorso). Cass. pen. sez. VI 15 febbraio 1992, n. 2687

In tema di impugnazione, il giudice di appello – come espressamente impone l’art. 605 nuovo c.p.p.fuori dell’ipotesi dell’art. 604 stesso codice (sentenze di annullamento) – emette sentenze che confermano o riformano in tutto o in parte quelle di primo grado: sicché ha natura di sentenza di condanna quella che, sia pure su indicazione concorde delle parti, ai sensi dell’art. 599 c.p.p.modifica il trattamento sanzionatorio con una determinazione del giudice che non si esaurisce in una funzione meramente notarile. (Nella fattispecie, questa corte ha rigettato il ricorso dell’imputato che deduceva violazione di legge perché, con errata terminologia, il giudice di appello lo aveva dichiarato «colpevole», sebbene il provvedimento terminativo di accoglimento del patteggiamento sui motivi non sia inquadrabile tra le sentenze di condanna). Cass. pen. sez. VI 28 giugno 1991, n. 6939

La procedura camerale posta in essere nel giudizio di appello, in esito all’accordo intervenuto tra le parti in ordine alla rinuncia ad alcuni motivi di gravame ed all’accoglimento di altri – con conseguente, nuova statuizione sulla pena – deve essere definita con sentenza. Invero il richiamo all’art. 127 del codice contenuto nell’art. 599 c. p.p. riguarda, esclusivamente, la disciplina dell’art. 605 c.p.p. (con l’unica eccezione costituita dai casi previsti dall’art. 604). Nell’ipotesi che tale procedimento di appello venga concluso, invece, con provvedimento erroneamente qualificato come «ordinanza», qualora la stessa contenga in sé tutti gli elementi essenziali della sentenza, dovrà essere ritenuta tale non producendo nullità di alcun genere la sua irrituale denominazione. Cass. pen. sez. VI 7 maggio 1991, n. 5087

Il provvedimento emesso dal giudice d’appello ai sensi dell’art. 599 comma primo, c.p.p. deve essere assunto con sentenza. Tuttavia la sua mancata adozione nella forma prescritta (nella specie concretizzatasi nell’emanazione di ordinanza) non comporta la nullità della decisione, ma la semplice retti.ca dell’intestazione, a nulla rilevando la mancata pronuncia «nel nome del popolo italiano», una volta che l’atto abbia e presenti il contenuto sostanziale di sentenza. Cass. pen. sez. V 7 novembre 1990, n. 3980

In tema di giudizio abbreviato, pur mancando nell’art. 599 c.p.p. una disposizione analoga a quella dell’art. 442, terzo comma, stesso codice, anche la sentenza emessa a conclusione del giudizio di appello tenutosi con le forme camerali deve essere notificata all’imputato non comparso, a norma degli artt. 127, settimo comma, e 128 stesso codice, e dalla data della notificazione decorre il termine per impugnare. Cass. pen. Sezioni Unite 28 giugno 2000, n. 1

Nella fase di appello del giudizio abbreviato, che si svolge in camera di consiglio ai sensi degli artt. 443 ult. comma e 599 c.p.p.l’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato, che ha manifestato la volontà di comparire. La condizione di persona sottoposta allo speciale programma di protezione previsto dalla legge n. 82/91 non configura una causa impeditiva permanente, ma postula soltanto la necessità di coordinare e rendere compatibile il regolare corso della giustizia con le esigenze di sicurezza delle persone protette. (Nella fattispecie gli organi di polizia preposti alla tutela avevano assicurato tempestivamente l’accompagnamento in udienza del prevenuto). Cass. pen. sez. I 11 dicembre 1998, n. 13022

La sentenza emessa nel procedimento svoltosi con il rito abbreviato in camera di consiglio, deve essere pubblicata, come tutte le sentenze, mediante lettura del dispositivo in udienza, e non mediante deposito in cancelleria ex art. 128 c.p.p.: ciò in virtù dell’art. 442 comma primo c.p.p. che rinvia per la «decisione» nel giudizio abbreviato alle norme dettate, dagli artt. 529 ss. stesso codice, per la sentenza emessa a seguito del dibattimento, norme tra le quali sono da ricomprendere quelle concernenti la redazione e la pubblicazione della sentenza. Detto principio si applica anche per le sentenze emesse in appello a seguito di giudizio abbreviato in primo grado, posto che il rinvio all’art. 127 c.p.p. – contenuto nell’art. 599 comma primo in relazione all’art. 443 ultimo comma c.p.p. – riguarda solo le forme del procedimento camerale, e non tutti i provvedimenti ed in particolare la sentenza che lo conclude. Peraltro, in ossequio al principio della tassatività della nullità sancito nell’art. 177 c.p.p.la mancata lettura del dispositivo in udienza, nei casi in cui la disposizione dell’art. 442 comma primo in relazione all’art. 545 comma primo c.p.p. sia stata inosservata per essersi uniformato il giudice alle regole previste per la pubblicazione dei provvedimenti camerali diversi dalle sentenze, non comporta alcuna nullità – né di ordine generale, né assoluta e neppure relativa – in virtù del disposto dell’art. 546 comma terzo c.p.p. che, occupandosi proprio delle nullità dovute alla mancanza dei requisiti che la sentenza deve contenere, non vi include quella derivante dalla mancata lettura del dispositivo in udienza. Cass. pen. sez. VI 24 settembre 1996, n. 8637

Qualora il pubblico ministero non abbia acconsentito alla celebrazione del processo con il rito abbreviato e il giudice abbia ritenuto ingiustificato il suo dissenso applicando, all’esito del dibattimento, la riduzione di pena prevista dall’art. 442 c.p.p.il giudizio di appello deve svolgersi nelle forme ordinarie e non con la procedura camerale di cui all’art. 599 stesso codice. Cass. pen. Sezioni Unite 23 giugno 1995, n. 7227

Qualora l’imputato al quale in primo grado sia stata concessa, all’esito di giudizio ordinario, la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p.per avere il giudice ritenuto ingiustificato il mancato consenso del pubblico ministero alla celebrazione del processo con rito abbreviato, venga citato per l’udienza pubblica in secondo grado, la nullità da cui è inficiato il giudizio d’appello che si sia svolto, nonostante ci in camera di consiglio è quella prevista dall’art. 471 c.p.p.che non può essere ricondotta alle nullità di cui all’art. 178 lett. c) stesso codice, bensì a quelle di cui al successivo art. 181, comma 1, con la conseguenza che essa rimane sanata, se non tempestivamente dedotta. Cass. pen. Sezioni Unite 23 giugno 1995, n. 7227

È legittima la sentenza, pronunciata dopo l’entrata in vigore dell’art. 2, comma primo, lett. i), D.L. 23 maggio 2008, n. 92 che ha abrogato i commi quarto e quinto, dell’art. 599, c.p.p.con la quale il giudice d’appello, su accordo delle parti perfezionatosi prima dell’entrata in vigore della norma abrogatrice, ha accolto i motivi d’impugnazione, in tutto o in parte e con rinuncia agli altri eventuali motivi. Cass. pen. sez. V 8 febbraio 2010, n. 4976

È illegittima la decisione del giudice di appello, che, a fronte dell’accordo delle parti di cui all’art. 599, comma quarto c.p.p.subordinato alla concessione dei benefici di legge ovvero anche solo accompagnato dalla richiesta degli stessi, accolga detto accordo solo in ordine alla pena concordata senza concedere i benefici suddetti, non potendo il giudice fuoriuscire dall’alternativa tra l’accogliere il patto nella sua integrità, ove legittimo, ed il procedere con il rito ordinario prescindendo dal concordato. Cass. pen. sez. III 4 febbraio 2008, n. 5332

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