L’applicazione della regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533 cod. proc. pen. in tema di nesso causale, in presenza di patologie riconducibili a più fattori causali diversi e alternativi tra loro, consente di pronunciare condanna a condizione che, in base al dato probatorio acquisito, la realizzazione dell’ipotesi alternativa, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana. (Fattispecie in tema di omicidio colposo da esposizione ad amianto sul luogo di lavoro, in cui la Corte ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di assoluzione che aveva ritenuto sussistente il ragionevole dubbio sulla sussistenza del nesso causale, avendo la persona offesa abitato per lungo tempo in prossimità di un’industria manifatturiera dell’amianto). Cass. pen. sez. IV 24 ottobre 2018, n. 48541
La regola di giudizio secondo cui per la condanna è necessario che la colpevolezza risulti “al di là di ogni ragionevole dubbio” non impedisce che la condanna sia pronunciata in appello con riforma di una sentenza di assoluzione di primo grado. Cass. pen. sez. III 16 aprile 2009, n. 15911
La omessa indicazione dei criteri di determinazione della pena, anche nel caso che riguardi più reati unificati nella continuazione, non configura una nullità di ordine generale; neppure configura una nullità specifica, giacché il precetto di cui all’art. 533, comma 2, c.p.p. non è assistito da alcuna specifica sanzione processuale. Per conseguenza, in ossequio al principio di tassatività delle nullità stabilito nell’art. 177 c.p.p.l’anzidetta omissione configura, non già una nullità della sentenza, bensì una mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena, che sottrae all’imputato il controllo sull’uso fatto dal giudice del suo poter discrezionale. Cass. pen. sez. III 1 ottobre 1999, n. 11302
Non vi è violazione dell’art. 533 c.p.p. quando il giudizio su più reati si sia scisso in distinti procedimenti – anche se per ragioni processuali. La inottemperanza è invece configurabile, qualora nel medesimo processo lo stesso giudice, dopo avere riconosciuto la continuazione non la applichi. (La corte ha osservato che il problema, alla luce dell’art. 671 c.p.p, va risolto in sede esecutiva). Cass. pen. sez. III 12 maggio 1994, n. 5636
L’arresto e la condanna (anche definitiva) intervenuti dopo la commissione di taluni reati non ostano, di per sè soli, alla configurazione dell’unicità del disegno criminoso con altri reati successivamente commessi, e dunque non sono ostativi all’applicazione della continuazione. Cass. pen. sez. I 2 dicembre 1992, n. 4689
Data l’intrinseca differenza tra il giudizio di prevenzione e quello di accertamento della responsabilità penale, la valutazione di pericolosità sociale è a carattere essenzialmente sintomatico, basandosi – nell’ipotesi di sospetta appartenenza ad associazioni mafioso-camorristiche – sull’utilizzazione di qualsiasi elemento indiziario certo e idoneo a giustificare il libero convincimento del giudice. Cass. pen. sez. I 15 gennaio 1993, n. 5044
La omessa indicazione dei criteri di determinazione della pena, anche nel caso che riguardi più reati unificati nella continuazione, non configura una nullità di ordine generale; neppure configura una nullità specifica, giacché il precetto di cui all’art. 533, comma 2, c.p.p. non è assistito da alcuna specifica sanzione processuale. Per conseguenza, in ossequio al principio di tassatività delle nullità stabilito nell’art. 177 c.p.p.l’anzidetta omissione configura, non già una nullità della sentenza, bensì una mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena, che sottrae all’imputato il controllo sull’uso fatto dal giudice del suo poter discrezionale. Cass. pen. sez. III 1 ottobre 1999, n. 11302