La sentenza che dichiara l’improcedibilità per mancanza di querela non può condannare l’imputato al pagamento delle spese di giudizio, perché questa statuizione di condanna presuppone la soccombenza. Cass. pen. sez. II 8 settembre 2008, n. 34884
Non può essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M.di talché nel procedimento eventualmente duplicato dev’essere disposta l’archiviazione oppure, se l’azione sia stata esercitata, dev’essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità. La non procedibilità consegue alla preclusione determinata dalla consumazione del potere già esercitato dal P.M.ma riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza, che restano invece applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo innanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali è incompetente. Cass. pen. Sezioni Unite 28 settembre 2005, n. 34655
Il giudice dell’udienza preliminare, investito della richiesta del P.M. di rinvio a giudizio dell’imputato, non può emettere sentenza di non doversi procedere per la ritenuta sussistenza di una causa di non punibilità senza la previa fissazione della udienza in camera di consiglio. (La Corte ha osservato che l’art. 129 c.p.p. non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo – artt. 425, 469, 529, 530 e 531 stesso codice –, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che, operando in ogni stato e grado del processo, presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio). Cass. pen. Sezioni Unite 30 marzo 2005, n. 12283
La formula di proscioglimento «per essere rimasti ignoti gli autori del reato» presuppone l’assoluta impossibilità di identificare fisicamente l’imputato e non la difficoltà o l’incertezza di pervenire alla esatta acquisizione delle generalità, perciò non potrà essere adottata dal Gip quando questi ritenga che non vi sia corrispondenza tra le generalità dichiarate e l’identità fisica dell’imputato, dovendosi in questo caso fare applicazione dei principi fissati dall’art. 66 commi primo e secondo c.p.p.secondo i quali l’impossibilità di attribuire le esatte generalità all’imputato non pregiudica il compimento di alcun atto e l’eventuale erronea attribuzione delle stesse deve essere rettificata con la procedura di correzione degli errori materiali. Cass. pen. sez. I 12 maggio 1995, n. 5472
La formula di proscioglimento per essere rimasti ignoti gli autori del reato presuppone l’assoluta impossibilità di identificare fisicamente l’imputato e non la difficoltà o l’incertezza di pervenire all’esatta acquisizione delle generalità del predetto. (Nella fattispecie era stato dichiarato non doversi procedere per essere rimasto ignoto l’autore del fatto nei confronti di straniero, imputato del reato di cui all’art. 630 c.p. perché vi erano fondati dubbi sul fatto che le generalità del pervenuto, non identificato a mezzo di documento valido e probante, fossero quelle indicate ed, inoltre, difettava qualsiasi altro elemento per potere pervenire ad una sua effettiva identificazione). Cass. pen. sez. I 9 maggio 1995, n. 5218