Il potere del giudice di assumere d’ufficio nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 cod. proc. pen. può essere esercitato anche con riferimento a quelle prove per la cui ammissione si sia verificata la decadenza delle parti per omesso tempestivo deposito della lista testimoniale, ai sensi dell’art. 468, comma 1, cod. proc. pen. poichè il requisito della “novità” non è limitato ai soli mezzi di prova che non avrebbero potuto essere richiesti dalle parti al momento del deposito delle liste testimoniali. Cass. pen. sez. V 12 luglio 2018, n. 32017
L’esercizio del potere del giudice di assunzione di nuove prove a norma dell’art. 507 cod. proc. pen. sorretto da motivazione insufficiente non determina inutilizzabilità o invalidità, in quanto l’ordinamento processuale non prevede specifiche sanzioni. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittima l’ordinanza di ammissione della prova testimoniale degli agenti della polizia giudiziaria, a seguito della declaratoria di inutilizzabilità degli atti di indagine da essi svolti per violazione dell’art. 360 cod. proc. pen. sorretta dalla formula ” stante la necessità ai fini del decidere”). Cass. pen. sez. III 16 aprile 2018, n. 16673
Nel caso di assunzione di ufficio di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. è riconosciuto alle parti il diritto alla prova contraria, la cui istanza di ammissione integra a tutti gli effetti una richiesta ai sensi dell’art. 495, comma secondo, cod. proc. pen.ma, ai fini del vaglio della ammissibilità della stessa sotto il profilo della non manifesta superfluità o irrilevanza ai sensi dell’art. 190 cod. proc. pen. la parte istante ha l’onere di indicare specificamente i temi sui quali verte la controprova richiesta, atteso che quest’ultima, a differenza di quella articolata su temi indicati dalle parti, deve riferirsi ai fatti sui quali il giudice ha ritenuto indispensabile il supplemento istruttorio ai fini della decisione. Cass. pen. sez. V 8 giugno 2017, n. 28597
In tema di ammissione di nuove prove, è esercitabile il potere d’ufficio ex art. 507 cod. proc. pen. anche con riferimento al nuovo esame di un testimone già sentito, purchè su circostanze diverse da quelle già oggetto di prova, poichè il requisito della “novità” si riferisce sia ai mezzi di prova non introdotti precedentemente, sia a quelli provenienti da fonti probatorie già esaminate ma su circostanze e contenuti differenti. Cass. pen. sez. II 21 dicembre 2016, n. 54274
Il giudice ha il dovere di esplicitare le ragioni per le quali ritenga di non procedere ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. in quanto il potere di disporre anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova rientra nel compito del giudice di accertare la verità ed ha la funzione di supplire all’inerzia delle parti o a carenze probatorie, quando le stesse incidono in maniera determinante sulla formazione del convincimento e sul risultato del giudizio. (Fattispecie di reato previsto dall’art. 256, comma primo, lett. a), D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nella quale la S.C. ha censurato la sentenza assolutoria per l’immotivato omesso ricorso, da parte del giudice di merito, al potere di cui all’art. 507 cod. proc. pen. per supplire alla carenza probatoria del PM circa la dimostrazione della iscrizione di una cooperativa all’albo dei gestori ambientali). Cass. pen. sez. III 30 novembre 2016, n. 50761
Il potere del giudice di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, previsto dall’art. 507 cod. proc. pen. non comprende anche la possibilità di dare lettura degli atti esistenti nel fascicolo del dibattimento senza l’impulso della parte, non potendosi confondere la lettura di atti con l’assunzione di nuove prove. (Fattispecie nella quale la Corte ha escluso che il giudice, avvalendosi dei poteri di cui all’art. 507 cod. proc. pen. potesse dare lettura della querela ex art. 512 cod. proc. pen. in assenza della richiesta di parte). Cass. pen. sez. V 6 ottobre 2016, n. 42334
È legittima l’acquisizione, ex art. 507 c.p.p.dalle intercettazioni autorizzate ed eseguite in procedimenti diversi e fatte oggetto di trascrizione peritale nel procedimento di importazione, ancorchè non depositate e trasmesse, a norma degli artt. 415, comma secondo, e 416, comma secondo, c.p.p.. Cass. pen. sez. I 23 maggio 2013, n. 22053
Alla luce del principio già affermato dalla Corte costituzionale (sent. 111/1993) con riferimento ai poteri di integrazione probatoria riconosciuti al giudice dall’art. 507 c.p.p.secondo cui, anche in un sistema di tipo accusatorio, “fine primario e ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità”, deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 441, comma 5, c.p.p.,che, nell’ambito del giudizio abbreviato, assolve ad una finalità del tutto analoga a quella del citato art. 507. Cass. pen. sez. III 12 ottobre 2009, n. 39718
Il potere del giudice di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’articolo 507 c.p.p.può essere esercitato pur quando non vi sia stata precedente acquisizione di prove, e anche con riferimento a prove che le parti avrebbero potuto chiedere e non hanno chiesto, ma sempre che l’iniziativa probatoria sia assolutamente necessaria e miri, pertanto, all’assunzione di una prova decisiva nell’ambito delle prospettazioni delle parti, non essendo consentito, invece, che il giudice possa coltivare un’ipotesi autonoma e alternativa, pena la violazione del basilare principio di terzietà della giurisdizione. Cass. pen. Sezioni Unite 18 dicembre 2006, n. 41281
L’indebita manifestazione del convincimento da parte del giudice espressa con la delibazione incidentale di una questione procedurale, anche nell’ambito di un diverso procedimento, rileva come causa di ricusazione solo se il giudice abbia anticipato la valutazione sul merito della res iudicanda, ovvero sulla colpevolezza dell’imputato, senza che tale valutazione sia imposta o giustificata dalle sequenze procedimentali, nonché quando essa anticipi in tutto o in parte gli esiti della decisione di merito, senza che vi sia necessità e nesso funzionale con il provvedimento incidentale adottato. (La S.C. ha confermato la decisione della Corte d’appello che aveva respinto l’istanza di ricusazione, in una fattispecie in cui il richiedente deduceva che il giudice avesse espresso valutazioni sul merito del processo, negando l’ammissione d’ufficio di nuove prove per superfluità delle medesime). Cass. pen. Sezioni Unite 15 novembre 2005, n. 41263
Al fine dell’assolvimento dell’onere di trasmissione al Gip, con la richiesta di rinvio a giudizio, della documentazione relativa alle indagini espletate, il P.M. ha il potere di individuare e allegare gli atti che attengono strettamente ai soggetti e alle imputazioni per cui viene esercitata l’azione penale e, nell’esercizio di esso, ben può stralciare, mediante degli omissis, parti di dichiarazioni rese da persone informate sui fatti o da coimputati in un unico contesto e nell’ambito del medesimo atto processuale. (Nell’affermare tale principio, la Corte ha precisato che gli atti non inseriti tra quelli trasmessi sono inutilizzabili, ma, se ipoteticamente favorevoli all’indagato, sono suscettibili di acquisizione ad opera del giudice su iniziativa della difesa o, in dibattimento, anche di ufficio, a norma dell’art. 507 c.p.p.fermo restando il potere del P.M. di rifiutare, per ragioni connesse al corretto svolgimento delle indagini, l’esibizione di atti contenenti elementi che devono rimanere coperti dal segreto, nei limiti e con le formalità previsti dall’art. 329 dello stesso codice). Cass. pen. sez. I 14 maggio 2002, n. 18362
Il provvedimento con il quale il giudice respinge la richiesta della parte alla autorizzazione alla citazione dei testi per genericità dei capitoli di prova, in quanto formulati per relationem al capo di imputazione, è illegittimo, ma non abnorme, atteso che detto provvedimento non si pone fuori dal sistema processuale (essendo specificamente previsto dall’art. 468 cpv. c.p.p.), e non determina la stasi del procedimento, in quanto, da un lato, la parte, conosciuta la ragione del diniego, ben può provvedere alle opportune specificazioni ed integrazioni, reiterando la richiesta, così come può presentare direttamente in dibattimento i testimoni indicati nelle liste; dall’altro, può sollecitare l’esercizio da parte del giudice del potere di assunzione delle prove, ritenute assolutamente necessarie, ai sensi dell’art. 507 c.p.p. (vedasi sentenza Corte costituzionale n. 111 del 1993). Cass. pen. sez. V 9 agosto 2001, n. 31085
Il provvedimento con il quale il giudice respinge la richiesta della parte alla autorizzazione alla citazione dei testi per genericità dei capitoli di prova, in quanto formulati per relationem al capo di imputazione, è illegittimo, ma non abnorme, atteso che detto provvedimento non si pone fuori dal sistema processuale (essendo specificamente previsto dall’art. 468 cpv. c.p.p.), e non determina la stasi del procedimento, in quanto, da un lato, la parte, conosciuta la ragione del diniego, ben può provvedere alle opportune specificazioni ed integrazioni, reiterando la richiesta, così come può presentare direttamente in dibattimento i testimoni indicati nelle liste; dall’altro, può sollecitare l’esercizio da parte del giudice del potere di assunzione delle prove, ritenute assolutamente necessarie, ai sensi dell’art. 507 c.p.p. (vedasi sentenza Corte costituzionale n. 111 del 1993). Cass. pen. sez. V 9 agosto 2001, n. 31085
Il potere del giudice di disporre anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, previsto dall’art. 507 c.p.p.deve essere esercitato, a pena di nullità della sentenza, anche con riferimento ai testimoni del pubblico ministero, preventivamente ammessi ma non citati per l’inerzia della parte, atteso che, tale potere-dovere non ha carattere eccezionale ma è ampio ed ha natura suppletiva. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato per violazione di legge la sentenza di assoluzione pronunciata ex art. 129 c.p.p. dal giudice di primo grado il quale, preso atto della mancata citazione dei testi, già ammessi, indicati dal pubblico ministero, aveva ritenuto essergli precluso l’esercizio del potere di integrazione probatoria di cui all’art. 507 c.p.p.). Cass. pen. sez.V 8 giugno 2001, n. 23436
Qualora il giudice disponga, ai sensi dell’art. 507 c.p.p.l’assunzione di un nuovo mezzo di prova – ivi compresa la perizia – senza attendere che sia «terminata l’acquisizione delle prove» (intendendosi con tale espressione soltanto l’esaurimento della fase dell’istruzione dibattimentale in cui puaver luogo l’ammissione di nuove prove), non può farsi da ciò derivare alcuna nullità, trattandosi solo di una semplice irregolarità sfornita di qualsivoglia sanzione processuale. Cass. pen. sez. I 23 novembre 2000, n. 12081
Alla ammissione di una prova nuova ai sensi dell’art. 507 c.p.p.il giudice non può non far seguire l’ammissione anche delle eventuali prove contrarie. Pertanto, l’istanza di ammissione di queste ultime, che non può essere avanzata se non dopo la decisione di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova una volta esaurita l’attività probatoria già autorizzata, integra a tutti gli effetti esercizio del diritto alla prova e concreta, quindi, rituale richiesta a norma dell’art. 495, secondo comma, c.p.p. Cass. pen. sez. VI 8 maggio 2000, n. 5401
In tema di istruzione dibattimentale, all’ammissione di una prova nuova, ai sensi dell’art. 507 c.p.p.il giudice non può non fare seguire l’ammissione anche delle eventuali prove contrarie, sicché la istanza di ammissione delle eventuali prove contrarie – che non può che essere formulata dopo la decisione di disporre ex officio l’assunzione di nuovi mezzi di prova una volta esaurita l’attività probatoria già autorizzata – integra a tutti gli effetti esercizio del diritto alla prova e concreta, perciò rituale richiesta a norma dell’art. 495, secondo comma, c.p.p. Cass. pen. sez. VI 10 novembre 1997, n. 10109
Il potere di ammissione di ufficio di nuove prove, ex art. 507 c.p.p.deve essere esercitato quando risulti assolutamente necessario integrare la prova in relazione alle esigenze di ricerca della verità, ed il carattere della novità, secondo l’espressione ampia usata e la ratio della norma, comprende tutti i mezzi di prova nuovi rispetto a quelli (documentali e/o orali) acquisiti ad iniziativa delle parti, sicché ben può costituire “nuova prova” l’audizione di un teste che sia stato presente al dibattimento, non essendo prevista, al riguardo, nullità alcuna. Cass. pen. sez. III 10 novembre 1997, n. 10015
In tema di istruzione dibattimentale, all’ammissione di una prova nuova, ai sensi dell’art. 507 c.p.p.il giudice non può non fare seguire l’ammissione anche delle eventuali prove contrarie, sicché la istanza di ammissione delle eventuali prove contrarie – che non può che essere formulata dopo la decisione di disporre ex officio l’assunzione di nuovi mezzi di prova una volta esaurita l’attività probatoria già autorizzata – integra a tutti gli effetti esercizio del diritto alla prova e concreta, perciò rituale richiesta a norma dell’art. 495, secondo comma, c.p.p. Cass. pen. sez. VI 10 novembre 1997, n. 10109
Il ricorso all’integrazione probatoria di ufficio, effettuato prima che sia terminata l’acquisizione delle prove, costituisce una mera irregolarità procedimentale che, in mancanza di una specifica previsione normativa, non determina alcuna nullità o inutilizzabilità. (Nella fattispecie la Suprema Corte ha rigettato il ricorso con il quale era stata dedotta, tra l’altro, violazione di legge perché si assumeva che il giudice di merito aveva fatto ricorso all’integrazione probatoria di ufficio, rinnovando l’incarico peritale quando l’acquisizione delle prove non era neppure iniziata). Cass. pen. sez. I 11 settembre 1997, n. 8259
Il giudice ha l’obbligo di ricorrere al potere che l’art. 507 c.p.p. gli conferisce in ordine all’acquisizione anche d’ufficio di mezzi di prova quando ciò sia indispensabile per decidere non essendo rimessa alla sua mera discrezionalità la scelta tra disporre i necessari accertamenti e prosciogliere l’imputato. Inoltre il giudice ha un obbligo specifico di motivazione in ordine al mancato esercizio di tale potere-dovere e perciò la mancanza di una adeguata giustificazione della propria condotta determina un vizio di motivazione lesivo della legge dal quale discende la nullità della sentenza e la necessità del rinvio al giudice di merito per un nuovo giudizio. (Nell’affermare il principio di cui in massima la Corte ha annullato con rinvio la sentenza con la quale il pretore aveva prosciolto l’imputato invece di ricorrere al potere di integrazione per verificare, ai fini della valutazione dell’utilizzabilità della prova, se erano stati rispettati i diritti di difesa, avendo il pubblico ministero omesso di produrre di propria iniziativa la prova dell’avvenuto avviso). Cass. pen. sez. III 17 giugno 1997, n. 5747
Nel nostro sistema processuale, pur avendo l’organo decidente carattere di terzietà, ha un residuale potere officioso di integrazione probatoria al fine di colmare le lacune lasciate dalle emergenze acquisite su impulso delle parti. Invero il giudice, ex art. 507 c.p.p.può disporre nuove prove, avendo come criterio direttivo e discretivo l’assoluta necessità di completamento delle acquisizioni emerse nell’istruzione dibattimentale: in tal modo il giudice supera l’inerzia delle parti o può far propria un’iniziativa delle stesse formalmente scorretta. Pertanto, il mancato adempimento dell’onere di formulare la richiesta dei mezzi di prova nei modi e nei termini di legge non comporta l’impossibilità assoluta della loro assunzione, ma fa sì che la parte sia esposta alla decisione discrezionale del giudice. (Nella specie, relativa a rigetto di motivo di ricorso avverso l’ordinanza con la quale il pretore, attivando i suoi poteri di ufficio ex art. 507 c.p.p.aveva acquisito esclusivamente prove a sostegno dell’accusa e non quelle di segno opposto richieste dalla difesa, la S.C. ha altresì osservato che «Differente situazione si determina quando la parte ha fatto richiesta di una prova decisiva ai sensi dell’art. 495 comma secondo c.p.p.; in tale ipotesi, il diritto della prova, inopinatamente non ammessa, si sostanzia in un error in procedendo che consente il ricorso in Cassazione (art. 606 comma primo sub d c.p.p.)». Cass. pen. sez. III 17 marzo 1997, n. 2542
Legittimamente va disposta dal giudice, ai sensi dell’art. 507 c.p.p.l’acquisizione al processo, con conseguente utilizzabilità, del provvedimento prefettizio di sospensione della patente di guida adottato nei confronti di soggetto imputato del reato di cui all’art. 218, comma 6, D.L.vo 30 aprile 1992 n. 285, il quale si trovava inserito nel fascicolo del P.M.in difetto di divieti normativi ed essendo il documento rilevante sul piano probatorio per una giusta decisione. Cass. pen. sez. IV 21 maggio 1996, n. 5102
Il potere del giudice di disporre d’ufficio nuove prove di cui all’art. 507 c.p.p. è stato previsto in funzione di riequilibrio per supplire alle carenze probatorie delle parti, quando tali carenze possano incidere in modo determinante sulla formazione del convincimento e sul risultato del giudizio. Perciò il giudice ha la possibilità di esercitare il potere suppletivo conferitogli anche quando vi sia stata una assoluta inerzia da parte della pubblica accusa ed a maggior ragione quando, come nel caso di specie, il giudice ha ritenuto di dover escludere dagli atti del fascicolo del dibattimento, in quanto non atti irripetibili, la nota del genio civile e il rapporto dei vigili urbani sulla base dei quali l’accusa aveva ritenuto di poter documentalmente provare, senza bisogno di indicare ulteriori fonti di prova, gli illeciti urbanistici contestati all’imputato. Cass. pen. sez. III 15 gennaio 1996, n. 363
Per nuovi mezzi di prova, che, ai sensi dell’art. 507 c.p.p.il giudice può disporre anche d’ufficio, si devono intendere quelli non introdotti in dibattimento ovvero provenienti da fonti probatorie esaminate in detta fase su circostanze diverse da quelle che si reputa necessario acquisire ai fini del completamento del quadro probatorio utile alla decisione. Nulla, pertanto, vieta che un teste già escusso nella fase dibattimentale possa essere risentito allorché se ne prospetti la necessità, tenuto pure conto che l’art. 506, comma 2, c.p.p.consente al presidente di rivolgere domande ai testimoni già esaminati. Cass. pen. sez. I 18 settembre 1995, n. 9707
Non si ha insufficiente indicazione dell’enunciazione del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, qualora si abbia l’individuazione dei tratti essenziali del fatto di reato attribuito dotata di adeguata specificità sicché l’imputato possa apprestare la sua difesa. Infatti, in considerazione della centralità del dibattimento, dei poteri conferiti al giudice sia in materia di integrazione del materiale probatorio insufficiente o mancante ex art. 507 c.p.p. sia in tema di ammissione di prove, e della possibilità di procedere a contestazione suppletiva ed a modificazione dell’imputazione ex art. 516 c.p.p.sicché l’imputazione appare magnetica e suscettibile sempre di precisazioni, non sembra necessaria una dettagliata imputazione in aderenza con le novità del nuovo sistema processuale, disancorato da visioni formalistiche e da valori epistemologici delle radici letterali e teso a considerare l’imputazione nel suo complesso ed il fondamentale principio iura novit curia. (Fattispecie relativa all’esecuzione di un intervento di ristrutturazione di un immobile con modificazione di destinazione di uso in zona soggetta a vincolo, per il quale è necessaria la concessione edilizia, effettuata tramite il rilascio di una semplice autorizzazione, inquadrata dal P.M. nello schema dell’autorizzazione illegittima e ritenuta dal giudice del dibattimento non sufficientemente precisata). Cass. pen. sez. III 8 settembre 1995, n. 2853
Alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 111 del 1993 va esclusa la sussistenza di qualsiasi limite all’esercizio del potere discrezionale del giudice del dibattimento di assumere nuove prove di ufficio ai sensi dell’art. 507 c.p.p.: ciò in forza del principio secondo cui «fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità» e tenuto conto che «ad un ordinamento improntato al principio di legalità non sono consone norme di metodologia processuale che ostacolino in modo irragionevole il processo di accertamento del fatto storico necessario per pervenire ad una giusta decisione». Cass. pen. sez. I 7 giugno 1995, n. 6683
In materia probatoria, il potere suppletivo del giudice non trova preclusioni nel comportamento delle parti (quali la carenza di attività probatoria, le decadenze in cui queste siano incorse e lo stesso accordo sul rito) ma solo nella non necessarietà dell’esercizio dello stesso al fine del decidere. Ciò comporta che nei riti in cui il giudice può esercitare detto potere suppletivo, il rifiuto di detto esercizio dovrà essere motivato solo in relazione alla non necessarietà dell’accertamento richiesto ai fini del decidere. Cass. pen. sez. VI 27 maggio 1995, n. 6196
In materia di ricorso a mezzi di prova, nel dibattimento, i poteri del giudice sono soltanto residuali: l’art. 507 c.p.p. prevede una istruttoria già svolta ed una facoltà, non un obbligo del giudice di disporre nuovi mezzi di prova quando ciò sia assolutamente necessario. Quando manchi completamente l’iniziativa della parte processuale, la norma non attribuisce al giudice alcun ruolo di supplenza. Quando l’iniziativa di parte sia monca, il giudice può disporre il nuovo mezzo di prova, per esempio una testimonianza, se è in grado di individuare il possibile teste. Tuttavia, trattandosi di facoltà riservata al giudice di merito, non è ravvisabile nel mancato esercizio di essa la violazione di alcuna norma processuale; né in alcun modo è ravvisabile vizio di motivazione, in assenza di una istanza rigettata tendente a sollecitare al giudice l’esercizio della predetta facoltà. Cass. pen. sez. I 4 aprile 1995, n. 3646
La norma di cui all’art. 507 c.p.p. costituisce lo strumento di controllo da parte del giudice rispetto all’inerzia, agli errori o alla rinuncia del pubblico ministero. In proposito la legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, al punto 73, ultima parte, prevede per la fase dibattimentale «il potere del giudice di disporre l’assunzione di mezzi di prova» senza alcuna aggettivazione o limitazione, ad illustrazione della volontà del legislatore delegante di consentire al giudice del dibattimento, esaurita l’iniziativa delle parti (sia perché non esercitata, sia perché non idonea a fornire certezze probatorie sufficienti per una qualsiasi decisione), di potere autonomamente acquisire tutte quelle prove necessarie per l’adozione della decisione di merito con la quale deve necessariamente chiudersi il processo. (Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio di sentenza di assoluzione nel merito, la Suprema Corte ha osservato che, una volta accertata e dichiarata la nullità delle analisi per vizio procedimentale, la richiesta di perizia avanzata dal dibattimento del P.M. costituiva corretta sollecitazione del potere-dovere di integrazione probatoria demandato al giudice dall’art. 507 c.p.p.). Cass. pen. sez. III 29 marzo 1995, n. 3428
Per quanto l’assunzione della nuova prova, legata alla sussistenza dell’assoluta necessità, sia attribuita al giudice come «potere» e non come obbligo (arg. ex art. 507 c.p.p.), tale potere non deve essere inteso nel senso della mera discrezionalità, postulandosi per l’esercizio o per il mancato esercizio di esso un’adeguata motivazione, pur se limitata alla valutazione circa la sussistenza o non dell’assoluta necessità del nuovo mezzo di prova. La carenza di siffatta risposta motivata si traduce in una violazione di legge. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto che non si sottrae a censura il rigetto, con l’ordinanza dibattimentale, della richiesta del P.M. di assunzione di nuovi mezzi di prova: stante il carattere di assoluta necessità di tale prova (solo attraverso l’audizione di un funzionario del competente ufficio delle imposte o l’acquisizione di idonea documentazione era possibile accertare se la denuncia .scale fosse stata o non presentata), l’organo giudicante era chiamato ad esercitare il potere espressamente previsto dall’art. 507 c.p.p. in ordine all’assunzione, anche di ufficio, di tale nuovo mezzo di prova). Cass. pen. sez. III 9 marzo 1995, n. 2361
Il decorso del termine segnato dall’art. 495 c.p.p. non può avere efficacia preclusiva dell’ammissione, indipendentemente dalla disciplina dettata dall’art. 507 c.p.p.di nuove prove che non siano manifestamente infondate o superflue, intendendosi per «nuove» quelle prove i cui elementi siano venuti ad esistenza o siano stati conosciuti dalle parti successivamente al termine anzidetto. Cass. pen. sez. VI 18 ottobre 1994, n. 10762
Il potere del giudice di disporre anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova previsto dall’art. 507 c.p.p. può esser esercitato anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto. (La Cassazione ha precisato che ai fini di cui all’art. 507 c.p.p. per prova «nuova» deve intendersi la prova non disposta precedentemente e non invece la prova sopravvenuta o scoperta, ed ha altresì sostenuto che all’ammissione di una prova «nuova» ai sensi del suddetto articolo il giudice non potrebbe non far seguire l’ammissione anche delle eventuali prove contrarie). Cass. pen. Sezioni Unite 21 novembre 1992, n. 11227
Il potere del giudice di disporre anche di ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova ai sensi dell’art. 507 c.p.p. sussiste anche nel caso in cui non vi sia stata in precedenza alcuna «acquisizione delle prove». (Nell’affermare il principio di cui in massima la Cassazione ha evidenziato che le parole «terminata l’acquisizione delle prove», con le quali esordisce l’art. 507 c.p.p.indicano il momento dell’istruzione dibattimentale in cui può avvenire l’ammissione delle nuove prove e non invece il presupposto per l’esercizio del potere del giudice). Cass. pen. Sezioni Unite 21 novembre 1992, n. 11227
Nel caso in cui l’imputato, che abbia già rifiutato di sottoporsi all’esame e abbia poi rilasciato dichiarazioni spontanee, e le cui precedenti dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari siano state acquisite ai sensi dell’art. 513 c.p.p.chieda poi nuovamente di essere interrogato, il giudice non ne può disporre d’ufficio l’esame ai sensi dell’art. 507 c.p.p.atteso che difettano i requisiti della novità e della assoluta necessità per l’espletamento di tale mezzo istruttorio. Cass. pen. sez. I 9 settembre 2002, n. 30286
L’assunzione di una testimonianza ai sensi dell’art. 507 c.p.p. in un momento diverso da quello indicato dalla norma («terminata l’acquisizione delle prove») costituisce mera irregolarità e non è sanzionata né sotto il profilo della nullità, né sotto quello dell’inutilizzabilità; in particolare non può ravvisarsi, in tale ipotesi, alcuna nullità di ordine generale ricollegabile all’art. 178, lett. c), c.p.p.in quanto l’escussione di un teste «anticipata» rispetto al termine dell’acquisizione delle prove, non può incidere sull’assistenza, sulla rappresentanza o sull’intervento dell’imputato. Cass. pen. sez. I 18 settembre 1995, n. 9707
Il potere del giudice di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, previsto dall’art. 507 c.p.p.può essere esercitato anche a conclusione del dibattimento, terminata la discussione, dal momento che non sussiste alcuna preclusione in relazione alla possibilità di riaprire il dibattimento per assumere nuove prove, se queste sono decisive (art. 523, comma settimo c.p.p.). (Fattispecie nella quale l’integrazione della prova, intesa ad ottenere l’escussione di un testimone e l’acquisizione degli atti relativi al procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione, è stata disposta quando si era conclusa l’acquisizione delle prove richieste dal pubblico ministero e dalla difesa dell’imputato). Cass. pen. sez. V 25 novembre 1993, n. 10819
È legittima l’acquisizione, ex art. 507 c.p.p.dalle intercettazioni autorizzate ed eseguite in procedimenti diversi e fatte oggetto di trascrizione peritale nel procedimento di importazione, ancorchè non depositate e trasmesse, a norma degli artt. 415, comma secondo, e 416, comma secondo, c.p.p.. Cass. pen. sez. I 23 maggio 2013, n. 22053
Il giudice di appello, ove sia richiesta la riassunzione di una prova già acquisita o l’assunzione di una prova nuova, perché nota alle parti nel giudizio di primo grado ma non acquisita, dà luogo alla rinnovazione solo se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti ed in tale giudizio deve apprezzare la necessità dell’integrazione anche in relazione alle prospettive di riforma della sentenza impugnata ed alla idoneità della stessa a giustificare un ragionevole dubbio sulla colpevolezza; ove invece sia richiesta l’assunzione di una prova nuova sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado, ne valuta la mera utilità, fuori dei casi di prova dichiarativa nei procedimenti per taluno dei delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p. non essendo indispensabile per l’assunzione della prova che essa si prospetti come decisiva. (Mass. redaz.). Cass. pen. sez. III 10 gennaio 2007, n. 230
Nel caso in cui l’imputato, che abbia già rifiutato di sottoporsi all’esame e abbia poi rilasciato dichiarazioni spontanee, e le cui precedenti dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari siano state acquisite ai sensi dell’art. 513 c.p.p.chieda poi nuovamente di essere interrogato, il giudice non ne può disporre d’ufficio l’esame ai sensi dell’art. 507 c.p.p.atteso che difettano i requisiti della novità e della assoluta necessità per l’espletamento di tale mezzo istruttorio. Cass. pen. sez. I 9 settembre 2002, n. 30286
Il provvedimento con il quale il giudice respinge la richiesta della parte alla autorizzazione alla citazione dei testi per genericità dei capitoli di prova, in quanto formulati per relationem al capo di imputazione, è illegittimo, ma non abnorme, atteso che detto provvedimento non si pone fuori dal sistema processuale (essendo specificamente previsto dall’art. 468 cpv. c.p.p.), e non determina la stasi del procedimento, in quanto, da un lato, la parte, conosciuta la ragione del diniego, ben può provvedere alle opportune specificazioni ed integrazioni, reiterando la richiesta, così come può presentare direttamente in dibattimento i testimoni indicati nelle liste; dall’altro, può sollecitare l’esercizio da parte del giudice del potere di assunzione delle prove, ritenute assolutamente necessarie, ai sensi dell’art. 507 c.p.p. (vedasi sentenza Corte costituzionale n. 111 del 1993). Cass. pen. sez. V 9 agosto 2001, n. 31085
L’ordinanza del giudice che interrompa la discussione ex art. 507 e 523, comma 6, c.p.p. e disponga l’acquisizione dei verbali di constatazione del reato (nella specie utilizzazione di fatture emesse per operazioni inesistenti) al fine di accertare, trattandosi di reato permanente, la cessazione della permanenza e il termine iniziale del periodo prescrizionale, si inscrive perfettamente nell’ambito previsionale dell’art. 523, comma 6, c.p.p.a tenore del quale, il giudice può interrompere la discussione quando ricorra l’assoluta necessità di assumere nuove prove e, in tal caso, disporre anche d’ufficio l’assunzione dei nuovi mezzi di prova, intendendo per prova nuova, secondo l’insegnamento consolidato di questa Corte, non solo la prova sopravvenuta o successivamente scoperta, ma anche, e più semplicemente, la prova che non sia stata precedentemente disposta senza che, al riguardo, abbia alcun rilievo la distinzione tra prove “di merito” e prove “di rito”, trattandosi di norme preordinate all’accertamento di elementi essenziali per il giudizio, siano essi di natura sostanziale o processuale. Cass. pen. sez. III 12 febbraio 1999, n. 1759
Il potere del giudice di disporre d’ufficio nuove prove a norma dell’art. 507 c.p.p. non incontra limitazioni di sorta derivanti dal comportamento delle parti: in ordine all’esercizio di tale potere discrezionale, diretto allo scopo fondamentale del processo consistente nell’accertamento della verità, il giudicante deve fornire adeguata motivazione solo se, richiesto circa l’assunzione di determinate prove, ritenga le indagini non necessarie, mentre non ricorre alcun obbligo di motivazione quando i mezzi di prova siano disposti e abbiano influenza sulla decisione. Cass. pen. sez. VI 4 agosto 1998, n. 9104
In materia di assunzione di nuove prove, per quanto l’assunzione della nuova prova, legata alla sussistenza dell’assoluta necessità, sia attribuita al giudice come «potere» e non come obbligo, tale potere non deve essere inteso nel senso della mera discrezionalità, postulandosi per l’esercizio di esso un’adeguata motivazione, pur se limitata alla valutazione circa la sussistenza o non dell’assoluta necessità del nuovo mezzo di prova. Tale potere è sindacabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606 lett. e) c.p.p. Cass. pen. sez. V 15 maggio 1998, n. 5806
La inammissibilità della lista proposta dalla parte civile non esclude che il giudice, avvalendosi della facoltà conferita dall’art. 507 c.p.p.possa ritenere «assolutamente necessario» sentire un teste compreso in quella lista comunque acquisita agli atti. La ratio ispiratrice dell’art. 507 c.p.p. è da cercarsi nel fine primario ed ineludibile del processo penale, che rimane la ricerca della verità al fine di pervenire ad una giusta decisione conferendo al giudice il potere di supplire anche a carenze probatorie o a decadenze delle parti. Cass. pen. sez. V 15 maggio 1998, n. 5770
L’assoluta necessità di assunzione di nuovi mezzi di prova, di cui all’art. 507 c.p.p.lungi dal postulare il dovere di assumerli, non esclude – ma al contrario introduce ed esige – l’apprezzamento del giudice, come indica la stessa dizione dell’articolo citato laddove evidenzia che «il giudice può disporre anche d’ufficio l’assunzione», senza dire né «deve», né puramente e semplicemente «dispone». Trattasi di un apprezzamento rimesso unicamente al giudice e fondato su tutte le risultanze probatorie adeguatamente dallo stesso valutate. Cass. pen. sez. III 23 aprile 1994, n. 4702
Anche in relazione al processo innanzi al giudice di pace, la mancata assunzione di una prova decisiva – quale motivo di impugnazione per cassazione – può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova dei quali sia stata chiesta formalmente l’ammissione, e non nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte mediante l’invito al giudice del merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 32 del D.L.vo 274/2000 (che richiama implicitamente la disciplina dell’art. 507 c.p.p.) e questi abbia ritenuto tale mezzo di prova non necessario ai fini della decisione. Cass. pen. sez. IV 28 novembre 2003, n. 45998 .