La violazione da parte del P.M. del termine per la presentazione dell’imputato al giudice per il procedimento con il rito direttissimo non comporta una nullità di ordine generale, ma relativa, che, in quanto tale, deve essere denunciata ai sensi e nei termini di cui all’art. 491 comma 1 c.p.p.rientrando fra quelle previste dall’art. 181 stesso codice. Cass. pen. sez. I 10 ottobre 1995, n. 10231
Nel caso in cui la persona arrestata in flagranza sia presentata all’udienza entro le quarantotto ore successive ed il suo arresto sia debitamente convalidato nella medesima udienza così da determinare la regolare costituzione del rapporto processuale e la rituale instaurazione del giudizio direttissimo, il fatto che all’udienza successiva – e cioè a giudizio direttissimo ormai in corso – si sia verificato un mutamento nella composizione del collegio giudicante non vale ad inficiare la legittimità del giudizio ritualmente instaurato. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, l’imputato aveva dedotto la nullità del giudizio direttissimo per inosservanza del termine di quindici giorni stabilito dall’art. 449, comma quarto, c.p.p. in quanto il giudizio direttissimo, instaurato con la sua presentazione all’udienza, era stato rinviato, per l’assunzione di mezzi istruttori, ad una udienza che, in considerazione del sopravvenuto mutamento della composizione del collegio giudicante, non poteva costituire prosecuzione della precedente e doveva ritenersi tardiva agli effetti della legittimità della nuova instaurazione del giudizio direttissimo, essendo decorso dalla data dell’arresto il citato termine di giorni quindici). Cass. pen. sez. VI 10 gennaio 1992, n. 167
La disposizione di cui all’art. 468 c.p.p. – che prevede l’onere per le parti di specificare le circostanze sulle quali si intendono escutere i testimoni – non è applicabile nel caso di giudizio direttissimo. Ed invero l’art. 451 c.p.p. – che disciplina lo svolgimento del giudizio direttissimo – non richiama tale disposizione che non è compatibile con la ratio di detto procedimento speciale. Cass. pen. sez. III 23 luglio 1994, n. 8314
Nel giudizio direttissimo le parti non hanno l’onere di specificare le circostanze sulle quali si intendono escutere i testimoni. Invero la specifica formulazione dell’art. 451 c.p.p. che prevede la «presentazione», al dibattimento, senza citazione, di testimoni, ad iniziativa del pubblico ministero, dell’imputato e della parte civile, è indicativa della voluntas legis di assicurare la semplicità e la celerità del giudizio direttissimo, anche attraverso l’eliminazione di formalità prescritte nel giudizio ordinario. Né la mancanza dell’obbligo di specificare le circostanze sulle quali i testimoni «presentati» dovranno essere escussi realizza una lesione del diritto di difesa, posto che le parti si trovano in una posizione «paritaria» assicurata dall’eguale diritto di «presentazione diretta» (e, pertanto, «a sorpresa») dei testimoni. Cass. pen. sez. II 9 giugno 1993, n. 5791
L’irrituale instaurazione del giudizio direttissimo di per sé («da sola») comporta non una nullità di origine generale ma soltanto una irregolarità, che viene eliminata a norma dell’art. 452, primo comma, c.p.p.secondo il quale «se il giudizio direttissimo risulta promosso fuori dei casi previsti dall’art. 449, il giudice dispone con ordinanza la restituzione degli atti al P.M.», ma soltanto nel giudizio di primo grado, o anche successivamente purché sia stata sollevata – e riproposta in sede di impugnazione – eccezione ai sensi e nei termini dell’art. 491, primo comma, c.p.p.dovendosi ritenere che la irritualità dell’instaurazione del processo vada equiparata a nullità relativa ai sensi dell’art. 181 del detto codice. (Nell’affermare il principio di cui in massima la Cassazione ha altresì evidenziato, da un lato, che non può ritenersi «violata» l’iniziativa del P.M. nell’esercizio dell’azione penale – art. 178, lettera b), c.p.p. – per il solo fatto che questi abbia scelto il rito direttissimo invece che quello ordinario e, dall’altro, che non può parlarsi neppure di violazione dei diritti della difesa, nei termini indicati dalla lettera c) del succitato art. 178, salvo che la erronea scelta del rito abbia comportato anche la mancanza di un decreto di citazione o di termini a difesa). Cass. pen. sez. V 28 luglio 1992, n. 8419
L’eventuale nullità derivante dalla scelta del rito direttissimo al di fuori dei casi previsti dall’art. 449 c.p.p. non potendo essere inquadrata nell’ambito delle nullità assolute, non può essere eccepita per la prima volta nel giudizio di cassazione. Cass. pen. sez. V 17 luglio 1992, n. 8069
La mancata comunicazione dell’arresto al professionista indicato dall’imputato come difensore di fiducia e la successiva celebrazione del giudizio direttissimo non preceduta dall’avviso allo stesso difensore determinano una nullità assoluta e insanabile dell’intero procedimento per violazione del diritto di difesa, a nulla rilevando la presenza e l’assistenza, nel giudizio, di un difensore di ufficio (che nella specie aveva accettato la contestazione supplettiva mossa dal P.M. all’imputato e aveva richiesto il patteggiamento della pena). Cass. pen. sez. II 20 ottobre 1993, n. 9479
Non sussiste nullità del giudizio direttissimo qualora l’avviso dell’udienza venga notificato al difensore dell’imputato nel pomeriggio del giorno precedente. La disposizione del comma quinto dell’art. 450 c.p.p.secondo cui la notifica va effettuata senza ritardo, non indica un termine preciso e va collegata al successivo art. 451, comma sesto c.p.p.il quale prescrive che l’imputato venga avvisato della facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa. La concessione di tale termine elide l’eventuale pregiudizio che al prevenuto potrebbe derivare da una notifica non tempestiva. Cass. pen. sez. II 23 febbraio 1993, n. 1655
Ai fini della sussistenza della circostanza attenuante della riparazione del danno, anche nel giudizio direttissimo è necessario che il risarcimento avvenga prima delle formalità di apertura del dibattimento e non con l’offerta di un assegno bancario, che, in quanto costituisce una datio pro solvendo, è privo del carattere della effettività, essendo equiparabile piuttosto ad una promessa di ristoro. Cass. pen. sez. III 26 maggio 1994, n. 6155