L’applicazione concordata della pena postula la rinunzia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento ed al consenso ad essa prestato; ciò in quanto le suddette nullità, se eventualmente verificatesi, devono ritenersi superate dall’accordo intervenuto tra le parti. Il giudizio di applicazione della pena deve infatti ritenersi svincolato dalla specificità delle forme processuali nel corso delle quali esso si è innestato. Appare pertanto necessario e sufficiente che la richiesta di patteggiamento sia stata ritualmente avanzata nell’ambito di una di quelle udienze in cui la legge ne ammette la proposizione. A tanto consegue che la pretesa invalidità del giudizio direttissimo, derivante dalla nullità dell’udienza di convalida, non si estende alla sentenza di patteggiamento. Cass. pen. sez. V 1 aprile 1999, n. 7262
Anche nel così detto patteggiamento in appello – oltre che nel procedimento speciale previsto dall’art. 444 c.p.p. – il riconoscimento di attenuanti generiche o la diversa valenza conferita alle stesse non possono avere altro scopo che quello di rendere possibile la applicazione della pena concordata, poiché non è consentita la utilizzazione dell’accordo per finalità incompatibili con il suo contenuto e con gli scopi alla cui realizzazione esso è preordinato; ne consegue che il concordato giudizio di prevalenza delle attenuanti (già concesse dal giudice di primo grado e ritenute, in quella fase, minusvalenti alle contestate aggravanti) non può determinare la prescrizione del reato, con riferimento al quale le parti hanno patteggiato la pena. Cass. pen. sez. V 21 giugno 2001, n. 25266
In tema di patteggiamento in appello, poiché la legittima difesa non rientra tra le cause generali di non punibilità, essa è da considerarsi oggetto di rinuncia nel momento in cui viene concordata la pena. La sua sussistenza, pertanto, non può essere riproposta ai sensi dell’art. 129 c.p.p.dal momento che essa non inerisce alla struttura della fattispecie ed alla colpevolezza, ma postula viceversa la esistenza del reato (perfetto nei suoi elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi) e dal momento che il suo riconoscimento comporta la assoluzione con la formula “perché il fatto è stato commesso da persona non punibile”. Cass. pen. sez. V 31 gennaio 2000, n. 4945
Qualora la richiesta di patteggiamento, proposta a seguito della notifica del decreto di giudizio immediato, venga rigettata, resta preclusa all’imputato la possibilità di richiedere che si proceda con giudizio abbreviato, se tale istanza non sia stata formulata in via subordinata, unitamente a quella di patteggiamento, nei termini di legge. (Nella specie, la richiesta di patteggiamento presentata tempestivamente, era stata rigettata perché proposta da soggetto recidivo ai sensi dell’art. 99, quarto comma, cod. pen.in riferimento a pena detentiva superiore ai due anni). Cass. pen. sez. II 2 marzo 2015, n. 8997
In tema di riti alternativi, la richiesta di giudizio abbreviato presentata a seguito di giudizio immediato non impedisce la conversione del rito in patteggiamento a condizione che, all’udienza appositamente fissata per la definizione del processo, l’imputato formuli l’istanza di applicazione della pena concordata prima della formale ammissione del giudizio abbreviato. Cass. pen. sez. VII 18 febbraio 2015, n. 7128
Sulla richiesta di applicazione della pena a norma dell’art. 444 c.p.p.ritualmente proposta dopo la notificazione del decreto che dispone il giudizio immediato, è competente a decidere il giudice per le indagini preliminari. Cass. pen. Sezioni Unite 25 gennaio 2006, n. 3088
In materia di giudizio abbreviato, sussiste incompatibilità fra tale rito e quello di applicazione della pena solo nel caso che il pubblico ministero abbia prestato il proprio consenso alla richiesta di patteggiamento, e da tale momento resta preclusa all’imputato la possibilità di ottenere che si proceda con giudizio abbreviato, ma non sussiste alcun motivo che precluda l’accoglimento di tale richiesta, avanzata in via subordinata, allorché l’istanza principale di applicazione della pena sia stata respinta a seguito del mancato consenso del pubblico ministero. Ne consegue che risulta erroneo, anche alla luce delle modi.che introdotte dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, il provvedimento d’inammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato motivato dal Gip sulla non proponibilità della stessa in via subordinata. Cass. pen. sez. I 16 luglio 2001, n. 28942
Allorquando il giudizio sia stato definito in primo grado con il rito abbreviato, ben possono le parti chiedere il cosiddetto patteggiamento in sede di appello. Il rito previsto dall’art. 599, comma 4, c.p.p.infatti, non comporta alcun beneficio per l’imputato e si differenzia da quello ordinario sol perché il giudice provvede in Camera di consiglio, anziché al dibattimento. (Fattispecie nella quale la S.C. ha dichiarato la nullità dell’ordinanza con la quale la corte d’appello aveva rigettato la richiesta di patteggiamento, per il principio della non cumulabilità dei due riti speciali). Cass. pen. sez. V 7 giugno 1996, n. 5671
Nell’ipotesi di richiesta di applicazione della pena, seguita, per il dissenso del pubblico ministero, da quella di giudizio abbreviato ritualmente accolta, resta successivamente precluso il vaglio della fondatezza o meno del suddetto dissenso, quale che sia la fase in cui cisi veri.chi. Cass. pen. sez. II 26 luglio 1995, n. 8455
In tema di riti alternativi, non è possibile la trasformazione del rito abbreviato con quello dell’applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. poiché, attesa la sostanziale diversità tra i due riti, essi si pongono tra loro in alternativa. Cass. pen. sez. II 17 maggio 1995, n. 2361
Vi è incompatibilità fra il giudizio abbreviato ed il procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti: la differenza di struttura dei due riti, i diversi effetti delle sentenze emesse al loro esito ed il differente regime di impugnazione cui queste sono sottoposte, escludono infatti che possa configurarsi la convertibilità dell’uno nell’altro; nessuna disposizione, del resto, disciplina la trasformazione del giudizio abbreviato nel patteggiamento, la cui alternatività, viceversa, è evidenziata da tutte quelle norme che, regolando la facoltà dell’imputato di operare una scelta tra i possibili giudizi speciali, gli impongono un’esplicita opzione tra l’uno o l’altro procedimento. Cass. pen. Sezioni Unite 23 dicembre 1994, n. 12752
È inammissibile la richiesta di patteggiamento riguardante soltanto alcuni dei reati contestati all’interno di uno stesso procedimento, salvo che l’azione penale sia stata esercitata nei confronti del medesimo imputato per fatti tra loro non connessi, o che comunque non potrebbero essere nemmeno riuniti ai sensi dell’art. 17, cod. proc. pen.nel qual caso la separata definizione è utile alla speditezza del processo. Cass. pen. sez. III 11 marzo 2016, n. 10109
La sentenza di patteggiamento che abbia applicato una pena precisamente determinata o determinabile in relazione ad un reato satellite, ritenuto nel giudizio di legittimità interamente assorbito in altro reato più grave, deve essere annullata senza rinvio a norma dell’art. 620, comma primo, lett. l, c.p.p.limitatamente al reato assorbito, posto che, per il principio di conservazione degli atti giuridici, la Corte di cassazione può in tal caso, limitarsi ad eliminare la relativa pena e a rideterminare il trattamento sanzionatorio in attuazione dell’originario accordo concluso tra le parti per il reato base. (Fattispecie in cui la Corte ha rideterminato la pena eliminando l’aumento a titolo di continuazione per il reato di detenzione di materiale pornografico ritenuto assorbito in quello più grave di pornografia minorile). Cass. pen. sez. III 16 gennaio 2015, n. 2011
L’erronea indicazione del reato base, individuato per la determinazione della pena su cui operare l’aumento per la continuazione, rileva, ai fini del sindacato di legittimità, solo nel caso in cui, dall’errato recepimento dei termini dell’accordo sulla pena da applicare ai sensi dell’art. 444 c.p.p.derivi l’impossibilità di far coincidere la pena finale indicata con quella concordata dalle parti e non, invece, quando nessuna conseguenza vi sia rispetto alla pena finale oggetto dell’accordo. (In motivazione la Corte – in una fattispecie nella quale il giudice, correttamente rati.cando l’accordo tra le parti nella misura finale, aveva però erroneamente individuato quale reato-base quello di furto, punito meno gravemente rispetto a quello previsto dall’art. 73, comma quinto, D.P.R. n. 309 del 1990 – ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato per carenza di interesse). Cass. pen. sez. III 19 gennaio 2012, n. 2207
In tema di patteggiamento, qualora la sentenza abbia ad oggetto più reati uniti per continuazione, la riduzione di pena ai sensi dell’art. 444, comma 1, c.p.p. va operata sulla pena complessiva applicata per i detti reati, ivi compreso anche l’aumento previsto dall’art. 81 cpv. c.p.per cui essa deve intendersi ripartita in egual misura percentuale fra tale aumento e la pena stabilita per la violazione più grave. Ne deriva che, in caso di ulteriore applicazione della continuazione in altra sede (nella specie, in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 671 c.p.p.), la pena inflitta per detta violazione, da prendere a base per il nuovo aumento (ove non risulti altra violazione di maggiore gravità), dev’essere individuata non in quella originariamente stabilita ma in quella ridotta nella misura percentualmente corrispondente alla riduzione a suo tempo apportatavi per il rito. Cass. pen. sez. I 24 novembre 2001, n. 42738
Nella dizione «pena detentiva» e «reclusione» di cui al primo comma dell’art. 444 c.p.p. deve intendersi compresa anche la reclusione militare, dato che l’art. 23 c.p.m.p. espressamente comprende la reclusione militare tra le pene detentive previste dal codice penale. Cass. pen. sez. I 5 giugno 1995, n. 2728
Attesa la permanente validità del rinvio operato dall’art. 261 c.p.m.p. al codice di procedura vigente, le cui disposizioni, ai sensi di detta norma, vanno osservate anche nei procedimenti davanti ai tribunali militari salvo che la legge disponga altrimenti, deve ritenersi sicuramente applicabile anche nel rito militare, in assenza di qualsivoglia disposizione speciale in contrario, l’istituto del «patteggiamento» di cui agli artt. 444 ss. c.p.p. (Nella specie l’inoperatività del detto istituto era stata sostenuta anche sulla base della considerazione – non ritenuta valida dalla Corte – che, atteso il limitato carico di lavoro gravante sui tribunali militari, il legislatore non avrebbe avuto ragione di perseguire, mediante l’istituto medesimo, quelle stesse finalità de.attive che aveva invece ragione di perseguire nell’ambito della giurisdizione ordinaria). Cass. pen. sez. I 20 aprile 1995, n. 1421
Per l’esclusione dal patteggiamento a pena detentiva superiore a due anni (cosiddetto “patteggiamento allargato”), non è sufficiente che dal certificato penale dell’imputato emerga una situazione di recidiva qualificata, ma occorre che la stessa sia stata espressamente riconosciuta e dichiarata dal giudice. Cass. pen. sez. I 5 giugno 2014, n. 23643
In tema di patteggiamento, il consenso prestato alla richiesta di applicazione della pena è sempre revocabile qualora, dopo la stipulazione del patto e prima della pronuncia della sentenza, ex art. 444 cod. proc. pen.sia sopravvenuta una legge più favorevole o tale ritenuta dall’interessato, che alteri la precedente valutazione di convenienza sulla base della quale la parte si sia determinata a chiedere o ad acconsentire all’accordo. Cass. pen. sez. IV 22 marzo 2012, n. 11209
La richiesta di patteggiamento non è più revocabile una volta che su di essa sia stato espresso il consenso dell’altra parte. Infatti nessun recesso è più possibile quando le manifestazioni di volontà delle parti hanno determinato nel procedimento effetti irreversibili. Tali effetti si verificano nel caso regolato dall’art. 447 c.p.p.già prima della pronuncia della sentenza di accoglimento della richiesta. Con il consenso del pubblico ministero, infatti, il procedimento si avvia verso un epilogo anticipato che, con l’assunzione da parte dell’inquisito della qualità di imputato, e l’esercizio dell’azione penale, non consente il ritorno alla fase delle indagini preliminari. Una ulteriore conferma può trarsi dall’art. 447, ultimo comma, c.p.p.il quale prevede che, durante il termine fissato dal giudice per esprimere il consenso o il dissenso sulla richiesta, quest’ultima non è revocabile: sarebbe illogico ritenere che, una volta raggiunto l’accordo, la richiesta potesse invece essere revocata. Cass. pen. sez. II 9 febbraio 1998, n. 115
In tema di patteggiamento, la richiesta di applicazione della pena da parte dell’imputato, ovvero il consenso prestato alla proposta del pubblico ministero, non possono valere come rinuncia alla prescrizione, in quanto l’art.157 comma settimo cod.proc.pen. richiede la forma espressa, che non ammette equipollenti. (In motivazione, la Corte ha affermato che, qualora il giudice non rilevi l’intervenuta prescrizione ex art.129 cod.proc.pen.l’errore può essere dedotto con ricorso in cassazione). Cass. pen. Sezioni Unite 6 maggio 2016, n. 18953
In tema di patteggiamento, la prescrizione maturata antecedentemente alla scelta pattizia non può essere fatta valere in sede di impugnazione, in quanto l’adesione all’accordo fra le parti costituisce una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla prescrizione non pirevocabile. Cass. pen. sez. II 27 gennaio 2004, n. 2900
Una volta richiesta ed ottenuta pronuncia ex art. 444 c.p.p. (c.d. patteggiamento) non può essere sollevata la questione della prescrizione, se maturata successivamente, in quanto il procedimento speciale consensuale è stato già concluso con l’accordo delle parti e sarebbe contraddittorio considerarlo in .eri ai fini della prescrizione. Cass. pen. sez. III 26 maggio 1998, n. 1241
In tema di cosiddetto “patteggiamento allargato”, allorché sia applicata una pena detentiva superiore ai due anni, congiunta o meno a pena pecuniaria, è consentita, nei congrui casi, l’applicazione di pene accessorie e misure di sicurezza, quand’anche non automatiche e rimesse alla valutazione discrezionale del giudice, ferma restando la necessità, ove occorra, di accertare la sussistenza in concreto della pericolosità sociale dell’imputato. (In motivazione la Corte ha precisato che, trattandosi di conseguenze prevedibili, l’imputato può sempre evitarne l’applicazione subordinando l’efficacia della richiesta di patteggiamento all’esclusione delle pene accessorie o delle misure di sicurezza, con facoltà per il giudice di rigettarla ove ritenga di doverle applicare). Cass. pen. sez. III 25 gennaio 2012, n. 3107
Una volta contestata la recidiva nel reato, anche reiterata, purché non ai sensi dell’art. 99, comma quinto, c.p.qualora essa sia stata esclusa dal giudice, non solo non ha luogo l’aggravamento della pena, ma non operano neanche gli ulteriori effetti commisurativi della sanzione costituiti dal divieto del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, di cui all’art. 69, comma quarto, c.p.dal limite minimo di aumento della pena per il cumulo formale di cui all’art. 81, comma quarto, stesso codice, dall’inibizione all’accesso al cosiddetto “patteggiamento allargato” e alla relativa riduzione premiale di cui all’art. 444, comma 1-bis, c.p.p.; effetti che si determinano integralmente qualora, invece, la recidiva stessa non sia stata esclusa, per essere stata ritenuta sintomo di maggiore colpevolezza e pericolosità. (Fattispecie relativa ad istanza di cosiddetto “patteggiamento allargato”). Cass. pen. Sezioni Unite 5 ottobre 2010, n. 35738
Nel giudizio che segue ad annullamento senza rinvio della sentenza di patteggiamento determinato dall’illegalità della pena (nella specie conseguente a erronea valutazione di prevalenza di circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, pur ritenuta sussistente), le parti sono rimesse dinanzi al giudice nelle medesime condizioni in cui si trovavano prima dell’accordo annullato e pertanto non è loro preclusa la possibilità di riproporlo, sia pure in termini diversi. (Fattispecie in tema di cosiddetto “patteggiamento allargato”, con riferimento alla quale la Corte ha ritenuto che non potesse comunque desumersi dall’erronea valutazione del giudice in ordine alla dichiarata subvalenza della recidiva qualificata la sua intenzione di escluderne in radice la rilevanza). Cass. pen. Sezioni Unite 5 ottobre 2010, n. 35738
Ai fini dell’interdizione al cosiddetto “patteggiamento allargato” nei confronti di coloro che siano stati dichiarati recidivi ai sensi dell’art. 99, comma quarto, c.p. non occorre una pregressa dichiarazione giudiziale della recidiva che, al pari di ogni altra circostanza aggravante, non viene “dichiarata”, ma può solo essere ritenuta e applicata ai reati in relazione ai quali è contestata. (In motivazione, la Corte ha chiarito che la testuale disposizione dall’art. 444, comma 1-bis, c.p.p.la quale fa riferimento a “coloro che siano stati dichiarati recidivi”, è tecnicamente imprecisa ed è stata utilizzata dal legislatore per motivi di uniformità lessicale, in quanto riferita anche ad altre situazioni soggettive che, attributive di specifici “status”, come quelli di delinquente abituale, professionale e per tendenza, richiedono un’apposita dichiarazione espressamente prevista e disciplinata dalla legge). Cass. pen. Sezioni Unite 5 ottobre 2010, n. 35738
Ai fini dell’operatività della recidiva qualificata come causa di esclusione del patteggiamento ai sensi dell’art. 444, comma primo-bis, c.p.p.è sufficiente che essa sia stata contestata, in tal senso dovendosi intendere, trattandosi di una circostanza, il concetto di “dichiarazione” al quale si richiama la predetta disposizione per ricomprendere anche le altre situazioni soggettive quali condizione di delinquente abituale, professionale o per tendenza. Cass. pen. sez. VI 30 dicembre 2008, n. 48477
Anche nel così detto patteggiamento in appello – oltre che nel procedimento speciale previsto dall’art. 444 c.p.p. – il riconoscimento di attenuanti generiche o la diversa valenza conferita alle stesse non possono avere altro scopo che quello di rendere possibile la applicazione della pena concordata, poiché non è consentita la utilizzazione dell’accordo per finalità incompatibili con il suo contenuto e con gli scopi alla cui realizzazione esso è preordinato; ne consegue che il concordato giudizio di prevalenza delle attenuanti (già concesse dal giudice di primo grado e ritenute, in quella fase, minusvalenti alle contestate aggravanti) non può determinare la prescrizione del reato, con riferimento al quale le parti hanno patteggiato la pena. Cass. pen. sez. V 21 giugno 2001, n. 25266
Analogamente a quanto accade per la definizione di procedimento mediante sentenza di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p.anche nel giudizio d’appello definito ai sensi dell’art. 599, comma 4, c.p.p. nel quale le parti abbiano dichiarato di concordare sulla determinazione della pena, il giudice, richiesto di definizione del procedimento mediante sentenza che accolga la proposta concordata, dopo aver escluso sulla base degli atti che debba essere pronunciato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p.in relazione alla fattispecie sottoposta al suo esame, non può nella fase in cui valuta, nelle sue componenti, l’accordo raggiunto dalle parti per l’applicazione della pena, essere restituito nell’esercizio di un potere che ha già consumato; ne consegue che anche l’indicazione nel patto di circostanze attenuanti generiche, vale solo per la determinazione della pena da infliggere in concreto e non già per farne conseguire anche la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, non essendo consentita l’utilizzazione dell’accordo medesimo per finalità incompatibili con il suo contenuto e con gli scopi alla cui realizzazione era preordinato. Cass. pen. sez. VI 23 marzo 2001, n. 20944 .
La richiesta di patteggiamento non può avere altro fine che quello di condurre all’applicazione della pena secondo i criteri di cui agli artt. 444 ss. c.p.p. Ne deriva che l’indicazione nel patto di circostanze attenuanti ha come unica valenza quella di individuare il criterio di determinazione della pena da in.iggersi in concreto, ma non già quella di conseguire la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione a seguito dell’abbreviazione del relativo termine derivante dalla riduzione della pena edittale. Consegue ulteriormente che, in ipotesi di inserimento nel patto di circostanze attenuanti non aventi l’esclusivo ruolo di parametro di commisurazione della pena congrua, ma produttive anche dell’effetto estintivo del reato per prescrizione, il giudice deve respingere l’accordo e procedere secondo il rito ordinario. Cass. pen. Sezioni Unite 22 febbraio 1999, n. 3 .
Il Procuratore Generale non può sostituire la propria volontà a quella già manifestata, in forza della conoscenza diretta degli elementi concreti acquisiti al processo, dal P.M. che ha partecipato al patteggiamento e non può proporre, come motivi di ricorso, censure che si sostanziano in un recesso dall’accordo. (Fattispecie in cui la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore Generale che si doleva del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 73, comma quinto, d.p.r. n. 309 del 1990). Cass. pen. sez. III 7 ottobre 2013, n. 41137
In tema di riti alternativi, è inammissibile la richiesta di patteggiamento parziale in quanto la caratteristica di essi di essere funzionalmente orientati alla rapida definizione del processo in ordine a tutti i reati contestati ne rende incompatibile un’utilizzazione differenziata solo per la decisione di alcune imputazioni tra quelle contestate, con la prosecuzione del processo nelle forme ordinarie per le altre imputazioni. Cass. pen. sez. II 11 marzo 2013, n. 11284
In tema di patteggiamento, l’accordo tra l’imputato e il pubblico ministero costituisce un negozio giuridico processuale recettizio che, una volta pervenuto a conoscenza dell’altra parte e quando questa abbia dato il proprio consenso, diviene irrevocabile e non è suscettibile di modifica per iniziativa unilaterale dell’altra, in quanto il consenso reciprocamente manifestato con le dichiarazioni congiunte di volontà determina effetti non reversibili nel procedimento e pertanto né all’imputato né al pubblico ministero è consentito rimetterlo in discussione. Cass. pen. sez. IV 1 ottobre 2012, n. 38070
Nell’accordo sull’applicazione della pena in ordine al reato di guida in stato di ebbrezza le parti non possono prima procedere alla conversione della pena detentiva in quella pecuniaria per poi sostituirla con il lavoro di pubblica utilità, trattandosi di regimi sanzionatori sostitutivi aventi totale autonomia in ordine ai presupposti di applicazione, alle modalità esecutive ed alle conseguenze nel caso di violazione, di guisa che essi possono trovare applicazione individualmente, senza che i benefici connessi alla sostituzione si sommino determinando un trattamento sanzionatorio ibrido, in violazione del principio di legalità delle pene. Cass. pen. sez. IV 1 ottobre 2012, n. 37967
In tema di applicazione della pena a richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 e segg. c.p.p.poichè la decisione del giudice che rati.ca l’accordo corrisponde all’interesse che le parti hanno ritenuto di soddisfare con la richiesta di patteggiamento, l’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso detta decisione, con cui si lamenti unicamente l’incompetenza del giudice ad emetterla, è subordinata alla specifica indicazione di un’utilità concreta perseguita con il mezzo di gravame, a nulla rilevando la natura funzionale dell’incompetenza dedotta e la sua conseguente rilevabilità di ufficio. (Fattispecie nella quale l’imputato, dopo l’emissione del decreto di giudizio immediato, aveva tempestivamente chiesto al Gip – e ottenuto dopo la prestazione del consenso del P.M. – l’applicazione della pena a norma dell’art. 444 c.p.p.censurandone poi la decisione sull’unico rilievo che competente a pronunciarsi sarebbe stato il giudice del dibattimento; la Corte, nell’enunciare il principio di cui sopra, ha ritenuto la declaratoria di nullità preclusa dalla inammissibilità dell’impugnazione dovuta a carenza di interesse). Cass. pen. Sezioni Unite 8 febbraio 2005, n. 4419
Nel procedimento speciale previsto dall’art. 444 c.p.p. la omissione della sospensione condizionale della pena nel dispositivo senza che risulti, neppure per implicito, nella motivazione della sentenza alcuna contraria determinazione da parte del giudice, ed in mancanza di condizioni ostative alla concessione, può essere oggetto del procedimento di correzione ex art. 130 c.p.p. ove risulti dal verbale di udienza la subordinazione dell’accordo alla concessione del predetto beneficio. Cass. pen. sez. III ord. 6 agosto 2001, n. 30505
In tema di applicazione della pena su richiesta, i termini dell’accordo tra imputato e pubblico ministero (il quale è pertinente esclusivamente agli aspetti penalistico-sanzionatori) non si estendono agli aspetti liquidatori delle spese sostenute dalla parte civile; ne consegue che, non essendo ricompresa l’entità della somma da liquidare nel negozio processuale intercorso tra le parti patteggianti, non può considerarsi preclusa alla parte interessata (l’imputato o la stessa parte civile) la possibilità di dedurre le normali censure attinenti alla valutazione giudiziale circa la pertinenza delle voci di spesa, la loro documentazione e la loro congruità. Cass. pen. sez. VI 11 gennaio 2001, n. 3057
L’applicazione della pena su richiesta a norma dell’art. 444 c.p.p. esige l’esistenza di un accordo tra le parti sull’intero contenuto della decisione richiesta al giudice. Ne consegue che, in presenza di un accordo che abbia subordinato espressamente l’applicazione della pena alla restituzione di una cosa sequestrata, il giudice non può ratificare il concordato negozio processuale disponendo, con la sentenza di cui all’art. 444 c.p.p.la confisca della cosa indicata dalle parti come oggetto di un provvedimento di restituzione, anche nella ipotesi in cui la confisca sia obbligatoria. Cass. pen. sez. I 9 giugno 2000, n. 3252
In tema di patteggiamento, la divergenza tra volontà e dichiarazione non può essere dedotta come motivo di impugnazione poichè al negozio processuale concluso dalle parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p. non si applica la disciplina dell’errore dei negozi di diritto sostanziale, bensì il regime delle nullità degli atti processuali il quale non prevede detta divergenza come causa di nullità. Cass. pen. sez. VI 2 giugno 2000, n. 6580
In tema di patteggiamento la procedura dettata dagli artt. 444 e ss. c.p.p. è tale per cui la stipulazione del patto fra l’imputato, personalmente (o a mezzo di procuratore speciale), e il pubblico ministero, comporta implicitamente la rinuncia a qualsivoglia eccezione di natura processuale, vertendo il patto esclusivamente in ordine alla entità della pena e alla considerazione delle eventuali circostanze. (Nella fattispecie, relativa a ricorso per cassazione proposto dal difensore cui non sarebbe stato dato alcun avviso della data dell’udienza di convalida dell’arresto, la Corte, alla stregua dell’enunziato principio, ha chiarito che l’omessa citazione rituale del difensore di fiducia diviene irrilevante a fronte della volontà libera e dichiarata di patteggiare la pena purché sia assicurata la presenza di un difensore (anche di ufficio) che garantisca la conformità del patto alla legge. Ciò in quanto la volontà di stipulare il patto medesimo è prerogativa esclusiva dell’imputato rispetto alla quale (salvo il caso di procura speciale) il difensore non può surrogarsi). Cass. pen. sez. VI 30 maggio 2000, n. 1445
Non può farsi luogo ad applicazione della pena su richiesta delle parti nel caso in cui il P.M.pur avendo prestato il suo consenso in ordine alla quantificazione della sanzione detentiva, lo abbia negato per quanto attiene la sua sostituzione ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689. Invero, il mancato consenso del P.M. su di una parte della richiesta dell’imputato, impone al giudice di rigettare in toto la richiesta di patteggiamento. Cass. pen. sez. V 13 gennaio 2000, n. 00000
In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti per più reati unificati dalla continuazione, qualora sia ritenuta l’insussistenza di uno dei reati satellite, la Corte di cassazione deve procedere alla eliminazione della porzione di pena inflitta per il reato ritenuto insussistente nella misura determinata dall’accordo. (Fattispecie in tema di violazione obblighi inerenti alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, in cui la Corte ha ritenuto che l’inosservanza di prescrizioni generiche, come quelle di vivere onestamente e di rispettare le leggi, non integra il reato). Cass. pen. sez. V 23 ottobre 2018, n. 48347
In tema di patteggiamento, il giudice deve condannare l’imputato al pagamento delle spese processuali a favore della parte civile quando la costituzione della parte civile è avvenuta prima dell’accordo per l’applicazione della pena. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la condanna al pagamento delle spese in favore della parte civile poiché, malgrado le istanze di applicazione pena erano state presentate in una prima udienza poi rinviata preliminarmente, non si poteva perritenere che il giudizio era ormai ristretto alla sola decisione dell’accoglibilità della richiesta di patteggiamento). Cass. pen. sez. V 23 ottobre 2018, n. 48342
In tema di patteggiamento, la domanda di liquidazione delle spese a favore della parte civile è estranea all’accordo tra il pubblico ministero e l’imputato ed è oggetto di un autonomo capo della sentenza che deve essere adeguatamente motivato dal giudice sulle singole voci riferibili all’attività svolta dal patrono di parte civile e sulla congruità delle somme liquidate. Cass. pen. sez. IV 9 febbraio 2018, n. 6538