Art. 407 – Codice di Procedura Penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477 - aggiornato al D.Lgs. 08.11.2021, n. 188)

Termini di durata massima delle indagini preliminari

Articolo 407 - codice di procedura penale

1. Salvo quanto previsto dall’art. 393 comma 4, la durata delle indagini preliminari non può comunque superare diciotto mesi (553) o, se si procede per una contravvenzione, un anno. (1).
2. La durata massima è tuttavia di due anni se le indagini preliminari riguardano:
a) i delitti appresso indicati:
1) delitti di cui agli articoli 285, 286, 416 bis e 422 del codice penale, 291 ter, limitatamente alle ipotesi aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del comma 2, e 291 quater, comma 4, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (2) (3);
2) delitti consumati o tentati di cui agli artt. 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630 dello stesso codice penale;
3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (3);
4) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, [270 bis, secondo comma,] (4) e 306, secondo comma, del codice penale (5) (6) (3);
5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall’art. 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110;
6) delitti di cui agli artt. 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 80, comma 2, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni;
7) delitto di cui all’art. 416 del codice penale nei casi in cui è obbligatorio l’arresto in flagranza;
7 bis) dei delitti previsti dagli articoli 600, (7) 600 bis, primo comma, 600 ter, primo e secondo comma (8), 601, 602, (7) 609 bis nelle ipotesi aggravate previste dall’ articolo 609 ter, 609 quater, 609 octies del codice penale, nonché dei delitti previsti dall’articolo 12, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni (9);
b) notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l’elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese;
c) indagini che richiedono il compimento di atti all’estero (727 ss.);
d) procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero a norma dell’art. 371.
3. Salvo quanto previsto dall’art. 415 bis (10), non possono essere utilizzati gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine per la conclusione delle indagini preliminari stabilito dalla legge o prorogato dal giudice(12)
[3 bis. In ogni caso il pubblico ministero è tenuto a esercitare l’azione penale o a richiedere l’archiviazione entro il termine di tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all’articolo 415 bis. Nel caso di cui al comma 2, lettera b), del presente articolo, su richiesta presentata dal pubblico ministero prima della scadenza, il procuratore generale presso la corte di appello può prorogare, con decreto motivato, il termine per non più di tre mesi, dandone notizia al procuratore della Repubblica. Il termine di cui al primo periodo del presente comma è di quindici mesi per i reati di cui al comma 2, lettera a), numeri 1), 3) e 4), del presente articolo. Ove non assuma le proprie determinazioni in ordine all’azione penale nel termine stabilito dal presente comma, il pubblico ministero ne dà immediata comunicazione al procuratore generale presso la corte di appello (11).] (12)

Articolo 407 - Codice di Procedura Penale

1. Salvo quanto previsto dall’art. 393 comma 4, la durata delle indagini preliminari non può comunque superare diciotto mesi (553) o, se si procede per una contravvenzione, un anno. (1).
2. La durata massima è tuttavia di due anni se le indagini preliminari riguardano:
a) i delitti appresso indicati:
1) delitti di cui agli articoli 285, 286, 416 bis e 422 del codice penale, 291 ter, limitatamente alle ipotesi aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del comma 2, e 291 quater, comma 4, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (2) (3);
2) delitti consumati o tentati di cui agli artt. 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630 dello stesso codice penale;
3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (3);
4) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, [270 bis, secondo comma,] (4) e 306, secondo comma, del codice penale (5) (6) (3);
5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall’art. 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110;
6) delitti di cui agli artt. 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 80, comma 2, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni;
7) delitto di cui all’art. 416 del codice penale nei casi in cui è obbligatorio l’arresto in flagranza;
7 bis) dei delitti previsti dagli articoli 600, (7) 600 bis, primo comma, 600 ter, primo e secondo comma (8), 601, 602, (7) 609 bis nelle ipotesi aggravate previste dall’ articolo 609 ter, 609 quater, 609 octies del codice penale, nonché dei delitti previsti dall’articolo 12, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni (9);
b) notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l’elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese;
c) indagini che richiedono il compimento di atti all’estero (727 ss.);
d) procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero a norma dell’art. 371.
3. Salvo quanto previsto dall’art. 415 bis (10), non possono essere utilizzati gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine per la conclusione delle indagini preliminari stabilito dalla legge o prorogato dal giudice(12)
[3 bis. In ogni caso il pubblico ministero è tenuto a esercitare l’azione penale o a richiedere l’archiviazione entro il termine di tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all’articolo 415 bis. Nel caso di cui al comma 2, lettera b), del presente articolo, su richiesta presentata dal pubblico ministero prima della scadenza, il procuratore generale presso la corte di appello può prorogare, con decreto motivato, il termine per non più di tre mesi, dandone notizia al procuratore della Repubblica. Il termine di cui al primo periodo del presente comma è di quindici mesi per i reati di cui al comma 2, lettera a), numeri 1), 3) e 4), del presente articolo. Ove non assuma le proprie determinazioni in ordine all’azione penale nel termine stabilito dal presente comma, il pubblico ministero ne dà immediata comunicazione al procuratore generale presso la corte di appello (11).] (12)

Note

(1) Il presente comma è stato così modificato dall’art. 22, comma 1, lett. c), D.Lgs. 10.10.2022, n. 150 con decorrenza dal 30.12.2022.
(2) Questo numero è stato così sostituito dall’art. 5 della L. 19 marzo 2001, n. 92, sulla repressione del contrabbando di tabacchi lavorati.
(3) A norma dell’art. 17, comma 6, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155, per i procedimenti relativi ai delitti previsti da questo numero, non si applicano le modificazioni recate dai commi 1, 2 e 3 del presente articolo e rimane ferma la disciplina vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
(4) Le parole poste fra parentesi quadrate sono state soppresse dall’art. 1, comma 5 quater, del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438.
(5) Le parole: «nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, 270 bis, secondo comma, e 306, secondo comma, del codice penale» sono state inserite dall’art. 1, comma 2, del D.L. 5 aprile 2001, n. 98, convertito nella L. 14 maggio 2001, n. 196.
(6) Ai sensi dell’art. 3, comma 1, del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438, nei procedimenti per i delitti previsti dall’articolo 270 ter del codice penale e per i delitti di cui all’articolo 407 comma 2 lettera a), n. 4 del codice di procedura penale, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.
(7) Le parole: «600,» e: «602,» sono state inserite dall’art. 6, comma 1, lett. c), della L. 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone.
(8) Le parole: «600 bis, comma 1, 600 ter, comma 1,» sono state così sostituite dalle attuali: «600 bis, primo comma, 600 ter, primo e secondo comma» dall’art. 5, comma 1, lett. i), della L. 1° ottobre 2012, n. 172.
(9) Le parole: «, nonché dei delitti previsti dall’articolo 12, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni» sono state aggiunte dall’art. 1, comma 27, della L. 15 luglio 2009, n. 94.
(10) Le parole: «Salvo quanto previsto dall’art. 415 bis» sono state premesse a questo comma dall’art. 17, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.
(11) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 1, comma 30, lett. a), della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. A norma dell’art. 1, comma 36, della L. 23 giugno 2017, n. 103, le disposizioni di cui a questo comma si applicano ai procedimenti nei quali le notizie di reato sono iscritte nell’apposito registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale successivamente alla data di entrata in vigore della predetta legge.
(12) Il presente comma è stato così sostituito/abrogato dall’art. 22, comma 1, lett. c), D.Lgs. 10.10.2022, n. 150 con decorrenza dal 30.12.2022.

Massime

In tema di misure cautelari, sono inutilizzabili le informative di P.G. depositate dopo la scadenza del termine di durata delle indagini che non siano meramente ricognitive di atti già acquisiti, bensì contengano la rielaborazione di atti tempestivamente inseriti nel fascicolo del pubblico ministero sulla base di altri atti e materiale probatorio acquisito successivamente, in modo da assumere autonoma attitudine probatoria. Cass. pen. sez. VI 1 marzo 2018, n. 9386

La sospensione per particolare complessità del dibattimento dei termini di custodia cautelare pera anche per il coimputato nei cui confronti non sia contestato uno dei reati indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a) c.p­­.p. essendo sufficiente che il provvedimento di sospensione sia adottato in un giudizio che tratti di tali reati ed il cui dibattimento sia caratterizzato da particolare complessità. (Mass. redaz.). Cass. pen. Sezioni Unite 14 giugno 2007, n. 23381

Nei confronti del tossicodipendente in custodia cautelare in carcere per uno dei delitti previsti dall’art. 407 comma secondo c.p.p. che abbia scelto di sottoporsi ad un programma di recupero, la concedibilità di misure alternative alla detenzione non è vietata ma è sempre subordinata alla valutazione dell’esistenza delle ordinarie esigenze cautelari secondo i criteri fissati dagli artt. 273, 274 e 275 c.p.p. ed all’accertamento che tali esigenze non possano che essere soddisfatte solo con la misura della custodia in carcere. Cass. pen. sez. II 11 febbraio 2005, n. 5437

L’aumento dei termini di durata della custodia cautelare previsto per il caso in cui si proceda per taluno dei delitti di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p.dal n. 3 bis dell’art. 303, comma 1, lett. b), stesso codice (inserito dall’art. 2, comma 1, del D.L. 24 novembre 2000 n. 341, convertito con modi.che in legge 19 gennaio 2001 n. 4), opera indipendentemente da apposita richiesta da parte del pubblico ministero. Cass. pen. sez. I 18 settembre 2001, n. 34119

Il numero 3 bis dell’art. 303, comma 1, lett. b), c.p.p. (inserito dall’art. 2, comma 1, del D.L. 24 novembre 2000 n. 341, convertito, con modi.che, in legge 19 gennaio 2001 n. 4), nel disporre – dopo aver stabilito l’aumento fino a sei mesi dei termini di durata della custodia cautelare previsti dai precedenti nn. 1, 2 e 3, qualora si proceda per i delitti di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. – che «tale termine è imputato a quello della fase precedente ove non completamente utilizzato, ovvero ai termini di cui alla lett. d) per la parte eventualmente residua» e che «in quest’ultimo caso i termini di cui alla lett. d) sono proporzionalmente ridotti», lascia chiaramente intendere come comunque i termini delle fasi ordinarie di custodia cautelare, complessivamente calcolati, non possano essere superati. Cass. pen. sez. I 18 settembre 2001, n. 34119

L’art. 407 c.p.p. nella parte in cui indica, al n. 5 della lett. a) del comma 2, tra i reati per i quali la durata massima delle indagini preliminari è fissata a due anni, quelli di «detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra», va interpretato nel senso che esso trova applicazione anche nel caso in cui ricorra soltanto l’ipotesi della detenzione o quella del porto, dovendosi escludere (anche sulla base del raffronto con le altre previsioni contenute nel medesimo articolo) che il legislatore abbia inteso affermare la necessità della contemporanea presenza di entrambe le suddette ipotesi. Cass. pen. sez. I 18 settembre 2001, n. 34114

In tema di inutilizzabilità degli atti conseguenti ad indagini espletate prima che sia intervenuta la formale autorizzazione del Gip alla riapertura delle indagini, deve essere precisato che tale sanzione non colpisce quegli atti che, sia pure prima della predetta autorizzazione, siano stati regolarmente raccolti nell’ambito di un diverso procedimento, in quanto essi sono stati assunti nel corso di separate indagini, volte ad individuare la sussistenza di altri reati. (Fattispecie nella quale, archiviato il procedimento di competenza del tribunale, il P.M. presso la pretura, ottenuta dal Gip la riapertura delle indagini, aveva utilizzato, per la emissione di un provvedimento cautelare reale di urgenza, atti di indagine anteriormente compiuti dal P.M. presso il tribunale). Cass. pen. sez. V 22 marzo 1999, n. 736

L’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo l’archiviazione e senza autorizzazione alla riapertura da parte del giudice per le indagini preliminari non è rilevabile di ufficio, ma solo su eccezione di parte, giacché quest’ultima potrebbe avere anche un interesse opposto all’inutilizzabilità. Cass. pen. sez. I 6 agosto 1998, n. 3777

Il termine di durata massima delle indagini preliminari, previsto dall’art. 407 c.p.p.al cui scadere consegue l’inutilizzabilità degli atti di indagine successivi, decorre in modo autonomo per ciascun indagato, dalla data in cui il nome è effettivamente iscritto nel registro delle notizie di reato e non da quella in cui la notizia di reato è iscritta con riferimento ad un atto di indagine senza la contestuale indicazione dell’indagato. Cass. pen. sez. V 13 luglio 1998, n. 3288

In materia di termini di durata massima delle indagini preliminari, la sanzione di inutilizzabilità degli atti ai sensi del terzo comma dell’art. 407 c.p.p.riguarda unicamente il compimento di indagini svolte dal P.M. nel periodo compreso tra la scadenza del termine massimo delle indagini preliminari e la richiesta di rinvio a giudizio. La sua ratio infatti è di impedire al P.M. che non abbia esercitato l’azione penale nei termini fissati di proseguire indagini utili ai fini dell’azione stessa, avendo egli viceversa il dovere di trasmettere gli atti al Gip con richiesta di archiviazione o di decreto penale, ovvero di emissione del decreto di citazione a giudizio. Ma tale inutilizzabilità non si estende all’ulteriore attività di indagine eventualmente svolta dal P.M. dopo la richiesta di rinvio a giudizio o dopo l’emissione del relativo decreto. L’ulteriore svolgimento di tale attività è infatti espressamente previsto da norme del codice di rito, come l’art. 419, terzo comma e l’art. 430, che resterebbero prive di concreta applicabilità se il divieto investisse qualsiasi attività di indagine svolta successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio o al decreto di citazione. Cass. pen. sez. V 19 giugno 1998, n. 2687

L’art. 89, comma 4, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nel prevedere la inapplicabilità delle disposizioni di favore di cui ai precedenti commi 1 e 2 (divieto di custodia cautelare ed obbligo di revoca della medesima nei confronti di tossicodipendenti), quando «si procede per uno dei delitti previsti dall’art. 407, comma 2, lett. a), nn. da 1 a 6, c.p.p.», postula non soltanto che il procedimento abbia ad oggetto uno di tali delitti, ma che esso rientri fra quelli per i quali la custodia cautelare deve essere o è stata disposta. Cass. pen. sez. V 25 agosto 1997, n. 3638

Ai fini della sanzione di inutilizzabilità, prevista dall’art. 407, terzo comma, c.p.p.per «atto di indagine», compiuto dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, deve intendersi solo quello con efficacia probatoria. In tale categoria non rientra la richiesta di applicazione di una misura cautelare e, a fortiori, di proroga della stessa, in quanto intesa ad ottenere un provvedimento incidente sulla sfera di libertà dell’indagato. Legittima è, pertanto, la richiesta di proroga della custodia cautelare, avanzata prima della chiusura dell’udienza preliminare, anche se dopo la scadenza del termine previsto per l’inizio dell’azione penale dall’art. 405 c.p.p.una volta che quest’ultima sia stata esercitata tempestivamente. Cass. pen. sez. II 5 maggio 1993, n. 1918

Tra i termini di durata delle indagini preliminari (art. 407 c.p.p.) e quelli di durata della custodia cautelare (art. 303 stesso codice) non esiste un rapporto di pregiudizialità. Quindi, la proroga della custodia cautelare, il cui termine sia prossimo a scadere, può essere richiesta e disposta prescindendo dalla scadenza del termine per le indagini preliminari, sempre che sussistano e persistano le condizioni necessarie per la sua applicazione. Cass. pen. sez. V 4 febbraio 1992, n. 2156

La proroga della custodia cautelare può essere disposta ancorché sia prossimo a scadere il termine di conclusione delle indagini preliminari perché fra questo termine e il termine di scadenza della custodia cautelare e fra le rispettive proroghe non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità e la scadenza del primo non comporta né la decadenza dalla potestà di chiedere l’archiviazione o di esercitare l’azione penale, né l’estinzione della custodia cautelare già applicata, ma soltanto l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine stesso, secondo il disposto dell’art. 407, terzo comma, c.p.p. La proroga del termine della custodia cautelare può essere disposta ove permanga taluna delle tre esigenze cautelari stabilite dall’art. 274, primo comma, c.p.p.e non soltanto per l’esigenza attinente alle indagini, sempre che in relazione ad esse si debbano compiere «accertamenti particolarmente complessi». Cass. pen. sez. VI 31 ottobre 1991, n. 3046

Gli elementi di prova acquisiti dal pubblico ministero dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari possono essere utilizzati ai fini cautelari solo se acquisiti “aliunde” nel corso di indagini estranee ai fatti oggetto del procedimento i cui termini siano scaduti, ovvero se provenienti da altri procedimenti relativi a fatti di reato oggettivamente e soggettivamente diversi, essendo comunque necessario che tali risultanze non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti. (Fattispecie relativa all’acquisizione ed utilizzo, a fini cautelari, di dichiarazioni di collaboratori di giustizia assunte in autonomi procedimenti, riguardanti altri fatti di reato). Cass. pen. sez. V 4 ottobre 2018, n. 44147

Gli elementi di prova acquisiti dal pubblico ministero dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari possono essere utilizzati ai fini cautelari solo se acquisiti nel corso di indagini estranee ai fatti oggetto del procedimento i cui termini siano scaduti, ovvero se provenienti da altri procedimenti relativi a fatti di reato oggettivamente e soggettivamente diversi, essendo comunque necessario che tali risultanze non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti. (Fattispecie relativa all’acquisizione ed utilizzo, a fini cautelari, di dichiarazioni di un collaboratore di giustizia assunte formalmente in un separato procedimento, ma espressamente dirette ad approfondire fatti posti a fondamento della misura cautelare richiesta nel procedimento in cui era già intervenuta la scadenza dei termini di durata delle indagini). Cass. pen. sez. VI 1 marzo 2018, n. 9386

Qualora il pubblico ministero, dopo l’iniziale iscrizione del registro delle notizie di reato, provveda ad una successiva iscrizione relativa al medesimo fatto, sia pur diversamente circostanziato, sono inutilizzabili le prove acquisite oltre il termine di durata delle indagini preliminari decorrente dalla data della prima iscrizione. Cass. pen. sez. VI 12 giugno 2017, n. 29151

La previsione normativa di inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti oltre il termine di durata, ed in assenza di proroga, non trova applicazione nei procedimenti contro ignoti. Cass. pen. sez. VI 14 maggio 2014, n. 20064

In tema di molestia e disturbo alle persone, l’elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l’eventuale convinzione dell’agente di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto. Cass. pen. sez. I 31 luglio 2013, n. 33267

La sanzione dell’inutilizzabilità per le acquisizioni tardive – le quali devono costituire oggetto di specifica deduzione e documentazione – riguarda solo gli atti di indagine del P.M. e non gli elementi di prova acquisibili indipendentemente da qualsivoglia impulso della pubblica accusa. Ne consegue che detta sanzione non riguarda l’incidente probatorio, il quale non è atto di indagine ma mezzo di acquisizione anticipata della prova, il cui espletamento non è correlato a termini perentori, trattandosi dell’assunzione anticipata di prove non rinviabili al dibattimento, indispensabili per l’accertamento dei fatti e preordinati a garantire l’effettività del diritto alla prova, altrimenti irrimediabilmente perduto. Cass. pen. sez. V 5 aprile 2013, n. 15844

Il termine di durata delle indagini è di sei mesi anche in relazione al reato di associazione per delinquere, salvo che nei casi in cui questa sia diretta alla commissione dei reati previsti dall’art. 380, comma secondo, lett. a), b), c), d), f), g) ed i) cod. proc. pen.e sia quindi obbligatorio l’arresto in flagranza. (In applicazione del principio, la Corte ha rilevato l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti oltre il sesto mese dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato relativamente ad un’associazione per delinquere dedita all’organizzazione di furti in istituti di credito). Cass. pen. sez. VI 25 febbraio 2013, n. 9097

Non rientrano, tra gli atti di indagine inutilizzabili se compiuti dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari, quelli costituenti mera rielaborazione di attività precedentemente svolte, come ad esempio le note riassuntive o conclusive della P.G.e quelli meramente ricognitivi giacché finalizzati a documentare la permanenza ed attualità di situazioni già in precedenza compiutamente accertate. Cass. pen. sez. III 31 gennaio 2012, n. 4089

Allo scopo di stabilire se, ai fini dell’applicazione degli artt. 407, comma terzo, e 414 c.p.p.le indagini svolte nell’ambito di un procedimento siano da considerarsi compiute in prosecuzione d’altro procedimento precedentemente iscritto per il quale siano scaduti i termini di durata massima ovvero sia intervenuta archiviazione, deve essere verificata esclusivamente l’identità o meno del fatto-reato oggetto dei due procedimenti. Cass. pen. sez. V 4 settembre 2008, n. 34643

La sanzione di inutilizzabilità prevista per gli atti compiuti dopo la scadenza del termine previsto per le indagini preliminari non opera quando l’atto sia stato assunto nell’ambito di indagini diverse volte ad individuare i soggetti responsabili di altri reati, in quanto la sanzione è geneticamente connessa alle indagini endoprocessuali. Cass. pen. sez. I 28 maggio 2004, n. 24564

Gli atti di indagine assunti nell’ambito di un altro procedimento ed acquisiti ai sensi dell’art. 238 c.p.p. sono utilizzabili, ai fini dell’emissione di una misura cautelare personale, anche se intervenuti dopo la scadenza del termine massimo di durata delle indagini preliminari. Cass. pen. sez. I 15 maggio 2003, n. 21367

In tema di riesame della misura cautelare, l’obbligo per il pubblico ministero di trasmettere al tribunale tutti gli atti rilevanti non si estende alla certificazione della data di iscrizione del procedimento, salvo che sussistano elementi che fanno sorgere dubbi sulla inutilizzabilità degli atti stessi per violazione dei termini di durata massima delle indagini ex art. 407, comma 3 del c.p.p.atteso che gli istituti di decadenza, inutilizzabilità e inefficacia non sono suscettibili di interpretazione estensiva, e nessuna disposizione di legge prevede che quella certificazione debba essere acclusa ai documenti trasmessi al giudice per le indagini preliminari e al tribunale del riesame, ferma restando la possibilità per la difesa di richiedere alla cancelleria una specifica attestazione. Cass. pen. sez. II 27 agosto 2001, n. 32285

È utilizzabile sia ai fini della riapertura delle indagini ex art. 414 c.p.p. sia ai fini cautelari l’atto che, successivamente alla scadenza del termine per le indagini preliminari, sia stato raccolto in un diverso procedimento: l’inutilizzabilità che colpisce gli atti compiuti dopo il predetto termine, infatti, è geneticamente connessa al tema delle indagini svolte, sicché la sanzione processuale non opera quando l’atto sia stato assunto nell’ambito delle indagini diverse, volte ad individuare gli autori di altri reati. Cass. pen. sez. II 18 gennaio 1997, n. 4478

La sanzione di inutilizzabilità delle indagini svolte dal P.M. di sua iniziativa oltre il termine di durata delle indagini preliminari non preclude al Gip, anche se richiesto di archiviazione fuori termine, di indicare le ulteriori indagini necessarie fissando un nuovo termine per il loro compimento. Invero una volta formulate le richieste del P.M. la disciplina di durata delle indagini preliminari diviene inoperante ed inizia una fase diversa affidata alla direzione del Gip, con termini suoi propri, analogamente a quanto accade nell’ipotesi di avocazione. Cass. pen. sez. VI 19 luglio 1996, n. 2463

La sanzione della inutilizzabilità prevista per gli atti compiuti dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari stabilito dall’art. 405 c.p.p. non riguarda gli atti compiuti prima, ma depositati successivamente alla sua scadenza. (Nel caso di specie la corte ha ritenuto che bene avesse fatto il pretore prima e la corte d’appello poi a ritenere pienamente utilizzabili gli esiti di una analisi di revisione in tema di sofisticazioni alimentari compiuta prima della scadenza del termine e depositato dopo). Cass. pen. sez. III 27 ottobre 1995, n. 10664  .

Nel caso in cui il pubblico ministero non abbia ancora esercitato l’azione penale e il procuratore generale non abbia esercitato il suo potere di avocazione il pubblico ministero procedente, anche dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari, può richiedere il sequestro preventivo e il giudice per le indagini preliminari è competente a provvedere sulla richiesta. Cass. pen. sez. III 27 settembre 1995, n. 2691

L’art. 335, comma primo, c.p.p. impone al pubblico ministero l’obbligo di iscrizione immediata della notizia di reato nell’apposito registro. Quanto, invece, all’iscrizione del nome dell’indagato, poiché questa, in base alla stessa disposizione normativa, deve avvenire o «contestualmente» ovvero «dal momento in cui risulta», ne deriva che, verificandosi detta seconda ipotesi, il pubblico ministero viene a fruire di un ambito di valutazione discrezionale la cui esclusività comporta l’insindacabilità da parte del giudice. Non può quindi porsi alcun problema di inutilizzabilità degli atti d’indagine, ai sensi dell’art. 407, comma terzo, c.p.p.per inosservanza dei termini di durata massima delle indagini preliminari, se non con riferimento alla data in cui il nome dell’indagato è stato effettivamente iscritto nel registro in questione. (Nella specie la Corte, pur annullando, poi, per altra ragione, l’ordinanza impugnata con la quale il tribunale del riesame aveva confermato un provvedimento cautelare, ha ritenuto infondata, sulla base dei principi dianzi enunciati, la tesi secondo la quale il preteso ritardo con il quale il pubblico ministero aveva provveduto alla iscrizione del nome dell’indagato avrebbe potuto legittimare la fittizia retrodatazione di tale iscrizione e rendere quindi configurabile l’inosservanza dei termini, con le relative conseguenze). Cass. pen. sez. I 1 giugno 1995, n. 2631

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