Art. 37 – Codice di Procedura Penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477 - aggiornato al D.Lgs. 08.11.2021, n. 188)

Ricusazione

Articolo 36 - codice di procedura penale

1. Il giudice può essere ricusato dalle parti:
a) nei casi previsti dall’art. 36 comma 1 lett. a), b), c), d), e), f), g);
b) se nell’esercizio delle funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, egli ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione (1).
2. Il giudice ricusato non può pronunciare né concorrere a pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione (41) (2).

Articolo 36 - Codice di Procedura Penale

1. Il giudice può essere ricusato dalle parti:
a) nei casi previsti dall’art. 36 comma 1 lett. a), b), c), d), e), f), g);
b) se nell’esercizio delle funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, egli ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione (1).
2. Il giudice ricusato non può pronunciare né concorrere a pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione (41) (2).

Note

(1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 283 del 14 luglio 2000, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto.
(2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 10 del 23 gennaio 1997, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui, qualora sia riproposta la dichiarazione di ricusazione, fondata sui medesimi motivi, fa divieto al giudice di pronunciare o concorrere a pronunciare la sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione.

Massime

 

La presentazione di una denuncia penale o l’instaurazione di una causa civile per il risarcimento del danno nei confronti di un magistrato non è di per sé sufficiente ad integrare l’ipotesi di ricusazione trattandosi di iniziative riferibili alla parte e non al magistrato, mentre il sentimento di grave inimicizia, per risultare pregiudizievole, deve essere reciproco e deve trarre origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo, non potendosi desumere dal mero trattamento riservato in tale sede alla parte, anche se da questa ritenuto frutto di mancanza di serenità. (Fattispecie relativa a dichiarazione di ricusazione fondata sulla presentazione di una domanda di risarcimento danni nei confronti del magistrato in quanto lo stesso aveva fatto parte, in qualità di relatore, del collegio che aveva applicato al ricorrente la misura di prevenzione della sorveglianza speciale, successivamente revocata dalla corte di appello). Cass. pen. sez. VI 21 maggio 2018, n. 22540   S.

 

L’abuso del processo consiste in un vizio, per sviamento, della funzione, ovvero in una frode alla funzione, e si realizza allorchè un diritto o una facoltà processuali sono esercitati per scopi diversi da quelli per i quali l’ordinamento processuale astrattamente li riconosce all’imputato, il quale non può in tale caso invocare la tutela di interessi che non sono stati lesi e che non erano in realtà effettivamente perseguiti. (In applicazione di tale principio, la

S.C. ha escluso nel caso di specie qualsiasi violazione del diritto alla difesa, ravvisando un concreto pregiudizio dell’interesse obiettivo dell’ordinamento, e di ciascuna delle parti, alla celebrazione di un giudizio equo in tempi ragionevoli, atteso che lo svolgimento e la definizione del processo di primo grado erano stati ostacolati da un numero esagerato di iniziative difensive – attraverso il reiterato avvicendamento di difensori in chiusura del dibattimento, la proposizione di eccezioni di nullità manifestamente infondate e di istanze di ricusazione inammissibili – con il solo obiettivo di ottenere una reiterazione tendenzialmente infinita delle attività processuali). Cass. pen. Sezioni Unite 10 gennaio 2012, n. 155

 

Il divieto, per il giudice ricusato, di pronunciare sentenza ex art. 37 comma secondo, c.p.p.opera sino alla pronuncia di inammissibilità o di rigetto, anche non definitiva, dell’organo competente a decidere sulla ricusazione, essendo, tuttavia, la successiva decisione del giudice ricusato, affetta da nullità qualora la pronuncia di inammissibilità o di rigetto sia annullata dalla Corte di cassazione e il difetto di imparzialità accertato dalla stessa Corte o nell’eventuale giudizio di rinvio. Cass. pen. Sezioni Unite 9 giugno 2011, n. 23122

 

Rientra, nell’ambito del divieto, per il giudice ricusato, di pronunciare sentenza sino a che non intervenga l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione, ogni provvedimento che, comunque denominato, sia idoneo a definire la regiudicanda cui la dichiarazione di ricusazione si riferisce. (Fattispecie di ordinanza di revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale). Cass. pen. Sezioni Unite 9 giugno 2011, n. 23122

 

La dichiarazione di ricusazione può essere proposta esclusivamente dalle “parti”, fra le quali non rientra la persona offesa dal reato, che tale quali.ca non riveste in senso tecnico. Cass. pen. sez. VI 30 dicembre 2008, n. 48494

 

I disegni effettuati da un minore nel corso delle dichiarazioni assunte dalla P.G. non possono essere considerati parti integranti del verbale delle dichiarazioni stesse, bensì documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p. Cass. pen. sez. III 11 febbraio 2004, n. 5327

Le ipotesi di ricusazione si configurano quali norme eccezionali, con la conseguenza che i casi regolati, le formalità ed i termini di proposizione della stessa hanno carattere di tassatività, e non vi possono rientrare le altre gravi ragioni di convenienza previste in tema di astensione; peraltro la indebita manifestazione del proprio convincimento va riferita a fatti sostanziali e non ai profili processuali, per loro natura strumentali all’accertamento della verità. (In applicazione di tale principio la Corte ha affermato come il rigetto delle eccezioni della difesa in ordine all’ammissione ed all’espletamento di una perizia psichiatrica, anche se accompagnato da atteggiamenti dentologicamente inopportuni, non costituisce anticipazione indebita del proprio convincimento). Cass. pen. sez. III 5 novembre 2003, n. 42193

La disposizione dell’art. 68, comma quarto, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (c.d. Ordinamento penitenziario), secondo cui i magistrati che esercitano funzioni di sorveglianza non debbono essere adibiti ad altre funzioni giudiziarie, non prevede una incompatibilità volta ad assicurare l’imparzialità del giudice in uno specifico procedimento, ma è dettata dall’esigenza di non distogliere il giudice di sorveglianza dalla propria peculiare attività istituzionale, anche al fine di consentirgli una idonea e necessaria specializzazione di funzioni, sicché si configura come norma generale di organizzazione relativa alla destinazione dei giudici agli uffici giudiziari, la cui deroga è espressamente prevista dalla circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione di detti uffici per il biennio 2002-2003, deliberata dal Consiglio superiore della magistratura nell’esercizio delle specifiche attribuzioni demandategli dagli artt. 7 ter e 110 dell’ordinamento giudiziario nei casi in cui occorra assicurare continuità e regolare funzionamento dei medesimi uffici. Ne consegue che non sussiste incompatibilità all’esercizio delle funzioni di giudice collegiale, in un processo già iniziatosi, in capo al componente del collegio che, successivamente trasferito al tribunale di sorveglianza, sia trattenuto in dette funzioni per il suo proseguimento in forza di rituale applicazione a tempo pieno disposta dal presidente della Corte d’appello. (Fattispecie in tema di ricusazione). Cass. pen. sez. VI 7 marzo 2003, n. 10681  .

Nella sola ipotesi in cui la dichiarazione di ricusazione intervenga nel momento immediatamente precedente la pronuncia della sentenza, si verifica ineludibilmente, ex art. 37 comma 2° c.p.p.la sospensione del procedimento, quale effetto indiretto della richiesta dell’imputato, con conseguente legittima adozione da parte del giudice sospetto del provvedimento di sospensione anche dei termini cautelari. Cass. pen. Sezioni Unite 20 settembre 2002, n. 31421

La presentazione, da parte dell’imputato (o di chi agisce nel suo interesse), della dichiarazione di ricusazione del giudice non comporta ordinariamente, secondo l’assetto normativo del vigente codice di rito, la sospensione del procedimento e, conseguentemente, il giudice ricusato, ove l’imputato versi in stato di custodia cautelare, non può sospendere, ex art. 304, commi 1 lett. a) e 4, c.p.p.il decorso dei relativi termini. Cass. pen. Sezioni Unite 20 settembre 2002, n. 31421

In tema di ricusazione, la funzione pregiudiziata di cui all’art. 37, lett. B) c.p.p. deve essere costituita – in conformità alla sentenza n. 283 del 2000 della Corte costituzionale – da una valutazione di merito, sullo stesso fatto e in ordine al medesimo soggetto, collegata alla decisione finale del processo. Ne consegue che non dà luogo ad una ipotesi di ricusazione la circostanza che lo stesso magistrato, dopo aver adottato l’ordinanza applicativa della misura della custodia in carcere, sia chiamato a pronunciarsi nello stesso procedimento sulla opposizione di cui all’art. 263, comma 5 c.p.p.trattandosi di decisione che non ha attinenza al merito della causa né è in alcun modo coordinata alla decisione finale di essa. Cass. pen. sez. VI 15 maggio 2002, n. 18852

Non può qualificarsi abnorme l’ordinanza con la quale il giudice ricusato rigetti la richiesta di rinvio del procedimento, preordinata ad attendere l’esito dell’impugnazione proposta avverso l’ordinanza di inammissibilità della dichiarazione di ricusazione. Cass. pen. sez. III 13 febbraio 2002, n. 5659

Le previsioni di ipotesi di ricusazione si configurano quali norme eccezionali sia perché determinano limiti all’esercizio del potere giurisdizionale, e, piin particolare, della capacità del giudice, sia perché consentono un’ingerenza delle parti in materia di ordinamento giudiziario, attinente al rapporto di diritto pubblico fra Stato e giudice e, quindi, sottratta d’ordinario alla disponibilità delle parti e dello stesso giudice, con la conseguenza che i casi regolati, le formalità e i termini di proposizione della istanza di ricusazione hanno carattere di tassatività, non solo nel senso che non possono essere applicati in via analogica, ma anche nel senso che la loro interpretazione deve essere soltanto letterale, con esclusione di ogni interpretazione estensiva. (Nel caso la Corte ha ritenuto corretto l’operato dei giudici di merito che avevano dichiarato inammissibile un’istanza di ricusazione per inimicizia grave tra il giudice e i prossimi congiunti delle parti). Cass. pen. sez. VI 12 gennaio 2000, n. 3920  . Nello stesso senso: Cass. pen. sez. VI, 28 settembre 1999, n. 2798

Il limite entro il quale il principio costituzionale del giusto processo – sotto il profilo della imparzialità del giudice – è destinato a operare per il tramite dell’istituto dell’incompatibilità è rappresentato dallo svolgimento di attività valutative e decisionali nell’ambito dello stesso procedimento penale: di tal che, se il pregiudizio che si assume lesivo dell’imparzialità del giudice deriva da attività da questo compiute al di fuori del giudizio in cui è chiamato a decidere, si verte nell’ambito di applicazione degli istituti dell’astensione e della ricusazione, anch’essi preordinati alla salvaguardia della funzione giudicante, ma secondo una logica a posteriori e in concreto. Cass. pen. sez. VI 12 gennaio 2000, n. 3919

La eventuale erroneità della scelta del giudice di merito di non pervenire ad una definizione anticipata del giudizio ex art. 129 c.p.p. non integra comportamento rilevante ai fini della ricusazione, in quanto di per sé non presenta aspetti di anomalia o malafede tali da apparire, sul piano logico, manifestazione di grave inimicizia. Cass. pen. sez. II 29 settembre 2003, n. 37090

La presentazione di una denuncia contro un magistrato non è da sola sufficiente ad integrare l’ipotesi di ricusazione di cui all’art. 37, primo comma, lett. a), in relazione all’art. 36, primo comma, lett. d), c.p.p.poiché il sentimento di grave inimicizia, per essere pregiudizievole, deve essere reciproco, deve nascere o essere ricambiato dal giudice e deve trovare origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo, non potendosi desumere semplicemente dal trattamento riservato in tale sede alla parte, anche se da questa ritenuto frutto di mancanza di serenità. Cass. pen. sez. II 21 luglio 2003, n. 30443

L’inimicizia grave come motivo di astensione o come causa di ricusazione deve sempre trovare riscontro in rapporti personali estranei al processo ed ancorati a circostanze oggettive, mentre la condotta endoprocessuale può venire in rilievo quando presenti aspetti talmente anomali e settari da costituire sintomatico momento dimostrativo di una inimicizia maturata all’esterno. Cass. pen. sez. VI 21 luglio 2003, n. 30577

In tema di ricusazione, la ipotesi di grave inimicizia tra giudice ed imputato sussiste solo quando vi siano tra i due soggetti rapporti estranei al processo, non potendo essa ravvisarsi nel trattamento (ritenuto sfavorevole ed iniquo) riservato al secondo nel corso del procedimento. Invero la allegazione della inimicizia come causa di ricusazione non può risolversi nella mera deduzione di comportamenti processuali del giudice, ritenuti anomali dalla parte, la quale è invece tenuta ad indicare fatti e circostanze concrete, che siano idonee ad affermare l’esistenza di un rapporto personale, caratterizzato negativamente per ragioni di rancore o di avversione, in modo tale da far ritenere compromessa la imparzialità del giudice. Invero comportamenti processualmente anomali e non equanimi del giudice potranno eventualmente assumere rilevanza in sede disciplinare, mentre l’adozione di provvedimenti errati potrà ovviamente legittimare l’impugnazione, nell’ipotesi che essi abbiano determinato errori di giudizio. Cass. pen. sez. V 1 aprile 1999, n. 4210

In tema di astensione del giudice, l’espressione “svolge o ha svolto le funzioni di pubblico ministero” contenuta nell’art. 36 lett. f) cod. proc. pen. non determina un generale dovere di astensione da parte del giudice il cui coniuge sia pubblico ministero, mentre lo impone al giudice il cui coniuge sia PM nel medesimo procedimento. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza di un dovere di astensione del presidente del collegio giudicante in ragione delle funzioni di pubblico ministero esercitate dal coniuge in altro procedimento, sia pure connesso a quello in corso, nei confronti dello stesso imputato). Cass. pen. sez. I 24 aprile 2014, n. 17742

È insindacabile in sede di legittimità, in quanto frutto di un motivato e non implausibile apprezzamento di fatto, la decisione che escluda che sia quali.cabile come indebita anticipazione di giudizio, l’avvenuta predisposizione da parte del giudice di una bozza del dispositivo di condanna, rinvenuta nel fascicolo processuale, sul rilievo che non era sottoscritta e che non risultava che quel dispositivo fosse effettivamente quello che il giudice avrebbe emesso. Cass. pen. sez. II 11 aprile 2017, n. 18306

Non dà luogo ad una ipotesi di ricusazione, ai sensi dell’art. 37 cod. proc. pen. come risultante a seguito della parziale dichiarazione di illegittimità di cui alla sentenza n. 283 del 2000 della Corte costituzionale, la circostanza che il magistrato abbia già preso parte a un giudizio a carico dell’ imputato per fatti diversi sebbene caratterizzati dalla pretesa identità delle fonti probatorie valutate e da valutare, atteso che una stessa fonte probatoria, considerata importante ed attendibile in un processo, potrebbe non esserlo altrettanto in un altro. (Fattispecie nella quale è stata dichiarata inammissibile l’istanza di ricusazione proposta nei confronti di un componente del collegio penale che aveva già giudicato l’imputato per i reati di associazione per delinquere e violazioni tributarie commesse in qualità di legale rappresentante di altre società). Cass. pen. sez. III 12 marzo 2013, n. 11546

Alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, deve ritenersi che non sussista alcuna valida causa di ricusazione nei confronti del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in precedente procedimento nei confronti di alcuni correi e che successivamente pronunci o concorra a pronunciare altra sentenza nei confronti di altri concorrenti nello stesso reato, ancorché nel secondo processo occorra valutare le medesime fonti di prova già valutate nel primo processo. Infatti, l’autonomia delle posizioni di ciascun concorrente consente, pur nella naturalistica unitarietà della fattispecie, una scomposizione del fatto in una pluralità di condotte autonomamente valutabili in processi distinti, senza che la decisione dell’uno possa influenzare quella dell’altro. (Fattispecie in tema di associazione per delinquere). Cass. pen. sez. VI 23 dicembre 1999, n. 3840

Le eventuali cause di incompatibilità del giudice devono, per acquisire rilievo e produrre conseguenze, sempre esser fatte valere con dichiarazione di ricusazione, ai sensi degli artt. 37 lett. a), 36 lett. g) c.p.p. e questo anche nel caso in cui la situazione che determina incompatibilità non sia tra quelle specificamente previste dall’ordinamento e, proprio per tale motivo, l’interessato intenda sollevare questione di legittimità costituzionale. (Fattispecie nella quale il ricorrente, rappresentando che, durante il giudizio di merito, non era stato possibile avanzare richiesta di ricusazione per non essere la ipotesi concretamente presentatasi prevista dall’art. 37 c.p.p.ha, per la prima volta, in Cassazione, lamentato la incostituzionalità della mancata previsione, tra i casi di incompatibilità, di quello in cui uno dei giudici componenti il collegio del dibattimento, aveva composto diverso collegio in altro dibattimento, scaturente, tuttavia, dallo stesso procedimento). Cass. pen. sez. V 15 luglio 1999, n. 9047

Non sussistono i presupposti per la ricusazione del giudice, ex art. 37, comma 1, lett. a) cod. proc. pen. qualora il giudice dell’udienza preliminare, investito di un procedimento per il delitto di cui all’art. 416-bis nei confronti dell’imputato ricusante,abbia in precedenza, nel corso di altro procedimento relativo a differenti soggetti, convalidato decreti di intercettazione afferenti ad uno stesso contesto criminale mafioso e basati su identici elementi di prova, senza esprimere valutazioni di merito in ordine alle responsabilità dello stesso ricusante. Cass. pen. sez. V 15 marzo 2018, n. 11982     

In tema di ricusazione, il carattere indebito della manifestazione del convincimento del giudice sui fatti oggetto dell’imputazione, di cui all’art. 37, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. richiede che l’esternazione venga espressa senza alcuna necessità funzionale e al di fuori di ogni collegamento con l’esercizio delle funzioni esercitate nella specifica fase procedimentale e va escluso nel caso di esternazione incidentale ed occasionale fatta in diverso procedimento, su particolari aspetti della vicenda sottoposta al giudizio. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima l’esclusione della causa di ricusazione eccepita nel caso in cui lo stesso giudice per le indagini preliminari, chiamato a decidere della misura interdittiva nei confronti dell’ente, nell’ambito del medesimo procedimento, aveva espresso considerazioni sul contesto organizzativo e decisionale della società in un precedente provvedimento cautelare nei confronti dell’indagato, persona fisica e socio dell’ente). Cass. pen. sez. V 23 gennaio 2018, n. 3033

Non costituisce indebita manifestazione del proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione, idonea ad integrare una causa legittima di ricusazione, il generico riferimento operato dal giudice in udienza alla facoltà per l’imputato, non concorde sulla decisione incidentale assunta, di poterla impugnare. (In motivazione la Corte – in una fattispecie nella quale il giudice, nel respingere l’audizione di alcuni testi richiesta dalla difesa, aveva aggiunto che “era un argomento da trattare in sede di appello” – ha precisato che a tale espressione non può attribuirsi altro significato se non quello che eventuali doglianze sull’istanza rigettata possono essere proposte in sede di impugnazione e l’ovvietà di tale assunto ne esclude ogni altra valenza). Cass. pen. sez. III 19 gennaio 2012, n. 2201

Non costituisce indebita anticipata manifestazione del proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione, e non può quindi dar luogo a ricusazione del giudice ai sensi dell’art. 37, comma 2 c.p.p.la pronuncia di ordinanza con la quale venga respinta una richiesta di rinvio del procedimento in attesa della pubblicazione di una sentenza della Corte costituzionale di cui si affermi, da parte della difesa, l’incidenza sulla posizione processuale dell’imputato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che l’ordinanza emessa nel processo non possa costituire espressione “indebita” del convincimento del giudice, ed ha affermato che il giudizio sui “fatti oggetto dell’imputazione” è rappresentato solo dalle valutazioni di merito circa la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato o circa le condizioni di applicabilità dell’art. 129 c.p.p.). Cass. pen. sez. III 13 febbraio 2002, n. 5658 .

Non può costituire valida ragione di ricusazione del giudice il fatto che questi – trattandosi di procedimento pendente alla data di efficacia del D.L.vo 19 febbraio 1998 n. 51, recante norme sull’istituzione del giudice unico di primo grado, ed essendo stata avanzata richiesta di declaratoria predibattimentale di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ai sensi dell’art. 226 del medesimo decreto legislativo – abbia provveduto negativamente su detta richiesta, motivando sulla ritenuta insussistenza di una prospettata circostanza attenuante, in presenza della quale la prescrizione sarebbe stata da considerare maturata. Cass. pen. sez. I 29 settembre 2000, n. 3659

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